sabato 24 marzo 2012

REGOLA AUREA PER L'ART.18

Si va disputando da troppo tempo su questo articolo a causa della fumosa espressione "per ragioni economiche". Che significano le ragioni economiche? Possono significare cose diverse. E allora poniamoci delle domande. La proprietà privata non discende da un diritto naturale, che nella tradizione giusnaturalistica sarebbe il diritto del primo occupante. La proprietà privata può esistere solo in quanto esistano delle leggi che la tutelino. Dunque nessuno può ritenersi in diritto di fare della sua proprietà ciò che vuole. Ciò premesso domandiamoci. Le ragioni economiche quali sono? Quelle del maggiore profitto? Allora la proprietà privata diventa un mezzo per andare contro l'interesse della collettività che deve essere tutelato dallo Stato. Se invece le ragioni economiche sono quelle derivanti da un bilancio passivo dell'azienda, che soltanto riducendo il personale può salvarsi salvando anche gli altri posti di lavoro il discorso è diverso. Purtroppo le ragioni economiche di questo governo delle banche, che con la BCE finanzia le banche private con l'interesse ridicolo dell'1% (mentre le banche poi prestano soldi a tassi che raggiungono e superano il 7%), sono le ragioni del maggiore profitto. Si vuole che per ragioni di maggiore profitto si possa licenziare. Con il risultato che aumenterà la disoccuppazione e diminuiranno i consumi. Pertanto le aziende non si accorgono di andare contro i loro stessi interessi. Se diminuiscono i consumi diminuiranno le vendite e le aziende soffriranno di una crisi di sovraproduzione. L'aveva già anticipato Marx. E allora che deve fare lo Stato con l'art.18? Deve impedire che le ragioni economiche siano quelle del maggiore profitto. La questione è molto semplice. Basta introdurre la regola aurea che dica nessuna azienda può licenziare se i suoi conti non sono in passivo. Ma per questo bisogna esaminare attentamente i suoi bilanci perché non siano truccati. Se il bilancio è in attivo deve essere impedito per legge il licenziamento. Se è in passivo e si dimostra che soltanto riducendo il personale l'azienda può salvarsi e non chiudere allora soltanto possono valere le ragioni economiche. E' charo allora che l'azienda da quel momento non può sostituire i licenziati (magari quelli che per anzianità costano troppo) con altri che siano giovani assunti come precari per risparmiare. Se ciò avvenisse l'azienda tramite il giudice del lavoro dovrebbe essere obbligata a rispettare il reintegro dei licenziati. Troppo comodo usare le ragioni economiche per sostituire il lavoro a tempo indeterminato con il lavoro del precariato. Questa azienda sarebbe gestita da disonesti che rovinano non soltanto l'azienda ma anche la società, che deve considerarli nemici. Se il licenzamento è giustificato lo Stato deve intervenire sostituendosi per un determinato periodo di tempo all'azienda con una cassa integrazione che non sia molto lontana dall'ultimo stipendio. Inoltre lo Stato deve combattere la dislocazione delle fabbriche all'estero (in Asia o nei Paesi europei dove minore è il costo della mano d'opera) ponendo dei dazi sulla merce che le aziende introducono in Italia dopo essersi dislocate all'estero. Cesserebbe la furbizia dell'andare a cercare mano d'opera a basso costo all'estero. Al contrario, lo Stato dovrebbe diminuire le tasse a tutte le aziende che producano in Italia perché questo sarebbe il migliore mezzo per aumentare l'occupazione in Italia con maggior introito di tasse nella quantità maggiore di occupati che compenserebbe la diminuzione delle tasse. Ma pare che, al contrario di quanto scrisse Cartesio all'inizio del Discorso sul metodo, il buon senso (bon sens) sia la cosa peggio distribuita nel mondo, e tanto meno se ne può trovare nei governi italiani, dei professori e dei non professori.

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