domenica 20 maggio 2012

ATTENTATO TERRORISTICO A BRINDISI: SOLITI DISCORSI INCONCLUDENTI DI CIRCOSTANZA E SOLITE MANIFESTAZIONI DI CONDANNA FOLKLORISTICHE. LA MAFIA SI COMBATTE CON LA PENA DI MORTE PER LIBERARCI DI QUESTA SCHIFOSA GENIA DI SUBANIMALI


COSI' AVEVO GIA' SCRITTOIN UN MIO LIBRO NEL 2006.

Il famoso Dei delitti e delle pene (1764) di Beccaria nell’escludere la pena di morte esprime una concezione contrattualistica e utilitaristica della legge,1 e pertanto non può che escludere una concezione retributiva della pena. Secondo Beccaria dal contratto sociale non deriva il diritto dello Stato di applicare la pena di morte perché gli uomini non possono avere contrattato ciò, dando agli altri il potere di ucciderli. Ma si noti come l’affermazione di Beccaria sia, oltre che illogica, soltanto una petizione di principio. Infatti gli uomini che avessero escluso la pena di morte sin dalla fase del contratto sociale per timore di essere uccisi avrebbero ammesso di aderire contraddittoriamente (perché in malafede) al contratto, avendo già d’allora intenzione di uccidere, mentre il contratto nasceva perché nessuno potesse più rimanere vittima degli altri. Chi non avesse avuto intenzione di uccidere non avrebbe avuto paura di richiedere allo Stato la pena di morte, per maggiore tutela della propria vita, ma, al contrario, l’avrebbe impedita chi avesse avuto in animo di uccidere, pur aderendo al contratto. Perciò l’esempio di Beccaria giustifica solo la malafede.
Per Beccaria la pena ha la funzione di distogliere gli altri dal commettere eguale reato, mentre gli è estranea una concezione emendativa della pena, che serva al reo per redimersi. Ma si tratta di una giustificazione logicamente insostenibile, giacché 1) o tutti si dovrebbero sentire distolti; 2) o la pena non serve a tutti quelli che non si siano sentiti distolti, mentre per tutti gli altri sarebbe inutile.
La pena serve soltanto a quelli che non si sentano distolti. Ma questa è una tautologia che non spiega alcunché.
Le argomentazioni di Beccaria contro la pena di morte sono dunque risibili. Egli scrive: “Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risultano la sovranità e le leggi…Non è dunque la pena di morte un diritto…ma è una guerra della nazione con un cittadino, che giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere”. Quale enorme confusione di idee! Da una parte un assassino viene considerato moralisticamente simile alla vittima innocente, dall’altra si presenta come negativo ciò che è positivo, che lo Stato, come in una guerra, ritenga necessario o utile usare le armi da guerra contro il nemico. L’argomentazione di Beccaria si rivolge contro di lui. Ma lungi da qualsiasi considerazione filosofico-umanitaria l’illuminista Beccaria è indotto a chiedere per il carcere perpetuo “una schiavitù perpetua, fra ceppi o le catene”, in cui “il disperato non finisce i suoi mali”, come, invece, con la pena di morte. Beccaria condanna lo Stato che compra le delazioni e impone taglie: “Chi ha la forza di difendersi non cerca di comprarla. Di più, un tal editto sconvolge tutte le idee di morale e di virtù, che ad ogni minimo vento svaniscono nell’animo umano. Ora le leggi invitano al tradimento, ed ora lo puniscono…Invece di prevenire un delitto, ne fa nascere cento. Questi sono gli espedienti delle nazioni deboli, le leggi delle quali non sono che istantanee riparazioni di un edificio rovinoso che crolla da ogni parte”.2 D’altra parte, Beccaria (Dei delitti e delle pene, cap. XXVII) continuò a giustificare la pena di morte se “la morte di qualche cittadino diviene necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell’anarchia, quando i disordini tengon luogo di leggi”.
Bisognerebbe dunque concludere che Beccaria non sarebbe oggi contrario alla pena di morte almeno per i delitti di mafia, in cui “i disordini tengon luogo di leggi”, o contro i trafficanti di droga, cioè di morte, siano collegati o non con la mafia. La mafia non può essere combattuta democraticamente, ma sospendendo nelle regioni mafiose ogni forma di rappresentanza politica, esposta localmente ai ricatti mafiosi, e ogni forma di garanzia costituzionale nei confroni delle famiglie mafiose, a cui soggiace anche tutto l’apparato giudiziario, dalle guardie carcerarie ai direttori delle carceri sino ai magistrati che dovrebbero giudicare i criminali mafiosi, i quali smetterebbero di comandare e ricattare anche dal carcere soltanto se venissero giustiziati con la pena di morte. Soltanto da morti non potrebbero più comandare e ordinare altre uccisioni. Si sa quali sono le famiglie mafiose, e quando si peschi dentro di esse si pesca sempre bene, senza andare per il sottile. Uno Stato che non voglia intendere ciò è o buffone o connivente con questa feccia di specie soltanto biologicamente umana. Merito principale di Beccaria è l’avere evidenziato la necessità di “una proporzione tra i delitti e le pene”. Ma proprio tale proporzione sarà rivendicata da Kant contro Beccaria per giustificare la pena di morte.
1 Il contrattualismo non implica necessariamente l’utilitarismo come negazione di un diritto naturale. In Hobbes, per esempio, la concezione contrattualistica si accorda con quella utilitaristica, ma anche con una concezione giusnaturalistica che vede la legge naturale non dipendere dal contratto ma precederlo. Così in Locke la concezione contrattualistica si accorda con il diritto naturale alla libertà e alla proprietà (Secondo Trattato del governo civile (a cura di Luigi Pareyson) , Utet 1982, pp. 229-63.
2 Oggi il riferimento va all’impiego, da parte dello Stato, dei cosiddetti “pentiti”, premiati per le loro “confessioni”. E’ il risultato, direbbe Beccaria, di uno Stato che, non avendo la forza di difendersi, a causa del suo garantismo nei riguardi delle organizzazioni criminali, cerca di comprarla, mandando in rovina l’edificio dell’ordinamento giuridico, fondato sulla proporzionalità della pena al delitto. 

Ho aggiunto nel 2010 in un altro libro


Un bel cappio al collo e questa feccia sparirebbe per sempre. Buffone o connivente (e perciò corrotto) lo Stato che crede di combattere la mafia democraticamente, quando è la stessa “democrazia” il terreno di coltura della mafia. Basterebbe 1/3 di Hitler riveduto e corretto (senza antisemitismo) per estirpare la mafia nel tempo di un mese. Mi viene il vomito a sentire i soliti discorsi inconcludenti contro la mafia, pensando che possa essere eliminata educando la società “civile”, a iniziare dalla scuola, o cambiando il clima culturale con libri (come Gomorra) o film (come la Piovra) contro la mafia, che, invece, la rendono più forte, quando è la stessa società, volente o non volente, ad essere permeata dalla mafia. Il fascismo riuscì soltanto ad addormentare la mafia con il prefetto Mori, con un sostanziale accordo con essa.
 

6 commenti:

Ercolina ha detto...

Buongiorno Professore

Mi faccia capire: per "fare giustizia" contro chi uccide vittime innocenti a casaccio (come a Brindisi) lei prenderebbe con lo stesso criterio persone con l'unica colpa di essere parenti di conclamati delinquenti e metterebbe loro "un cappio al collo"?
Complimenti, della serie due torti fanno una ragione.

E, tanto per saperlo, l'ipotetico "1/3 di Hitler senza l'antisemitismo", una volta (supponiamo sia vero) risolto in un mese il problema mafia cosa otterrebbe? La mia ipotesi è sostituire una serie di bastardi delinquenti con un'altra... Tomasi di Lampedusa direbbe che "bisogna che tutto cambi affinché tutto resti come prima".

Infine, lei pensa davvero che la pena di morte sia un deterrente? per una persona onesta anche, non dico tanto, UN MESE di galera sarebbe un'ipotesi terrorizzante. Il delinquente, invece, se ne infischia, perché lui è "furbo" e "la farà franca".
La pena, per ottenere qualcosa, non serve tanto sia draconiana, quanto certa. Lo diceva il buon Beccaria, da lei così tanto osteggiato.

Saluti e buona domenica
Ercolina Sempre In Piedi

alsarago58 ha detto...

Pura follia... Forse gli Stati che hanno la pena di morte si sono liberati dalla criminalità e dalla corruzione? Chi uccide o compie reati li fa perchè è convinto di non essere preso, oppure non gliene importa niente di esserlo (come nei delitti passionali). In questa ottica ci sia, se viene preso, l'ergastolo, 30 anni o la morte, fa poca differenza...Ha idea, Melis, di quante persone innocenti siano state uccise dallo stato? Una sarebbe già abbastanza per vietare la pena di morte, ma solo negli Usa hanno liberate dai bracci della morte negli ultimi decenni centinaia di condannati, dopo un esame del DNA che li ha scagionati. E fa più danni all'immagine della mafia un loro boss in galera, reso inoffensivo, ma rispettato nella sua vita e persino curato dallo Stato, o uno Stato che si mette sul loro stesso piano e comincia ad ammazzare i picciotti, facendone dei martiri? Infine ci sono fior di ricerche, che dimostrano che le organizzazioni criminali non le stronchi solo arrestando e ammazzando i loro membri: questo crea solo "catene di opportunità" per gli altri membri di salire nella gerarchia e far entrare sangue fresco: le organizzazioni criminali vanno stroncate anche e soprattutto asciugando l'acqua in cui i loro pesci nuotano (intimidazione e consenso sociale, convenienze economiche della società non criminale, connivenze politiche). Insomma la pena di morte è solo un impulso ancestrale, automatico di vendetta, che ci può anche soddisfare a livello di pancia (o, quanto avrei voluto veder fucilare Breivnik, il killer norvegese di ragazzini...), ma è quanto di più irrazionale e controproducente si possa immaginare...

giuseppe.piacesi ha detto...

La pena di morte esclude il risarcimento del danno: chi risarcirà gli aventi causa della vittima?
Più che la condanna a morte del colpevole,io vedrei meglio la sua condanna a lavorare per risarcire gli aventi causa della vittima, incluso lo stato,e per mantenersi in vita.In tal caso,forse resterebbe di difficile valutazione la covenienza economica tra i costi e i benefici producibili dal condannato.
Un saluto.

Pietro Melis ha detto...

A Ercolina (a cui, per quanto riguarda il suo commento al successivo post "Per la pena di morte" intendo rispondere successivamente nello stesso post affrontando il grave tema del rapporto, per me inestistente, tra pena e perdono nel suo riferimento a Dostoevskij)dico qui:
non ho scritto che anche i familari dei boss debbano essere considerati colpevoli.Ma quasi certamente sono complici dei capimafia godendo dei beni ricavati da questi con il crimine. Ho scritto che si conoscono le "famiglie" dei mafiosi e che quando si peschi lì dentro si pesca sempre bene. Perché lì è il terreno di coltura della mafia. Queste "famiglie" debbono essere private dei loro beni. Questo raramente viene fatto. E quando i beni vengono sequestreati e dati a cooperative scattano le vendette con distruzioni e incendi. Allora mi domando: sono i familiari in questi casi immuni da colpe? Io dico di no. I familiari (a cominciare da coniugi e figli) dovrebbero avere il coraggio di dissociarsi dai capifamiglia rompendo qualsiasi rapporto con essi. E' vero che ciò è pericoloso per gli stessi familiari. Ma a questo punto dovrebbe scattare la loro protezione da parte dello Stato.E poi mi domando: può ritenersi non colpevole una donna che sposi un mafioso? Non sapeva forse che il futuro marito fosse un criminale? E chi può dire che il delinquente la faccia franca come se fosse una regola? La può fare franca se gode di protezioni anche politiche. Chi può escludere che vi siano anche magistrati non coraggiosi (come Falcone e Borsellino) che per timore di subire rappresaglie in famiglia preferiscano diventare indirettamente complici dei criminali? Il coraggio se uno non ce l'ha non se lo può dare (Don Abbondio).E a proposito di Borsellino: dove e come è sparita l'agenda rossa di Borsellino? Evidentemente vi erano anche poliziotti corrotti. Non capisco che cosa significhi dire che si sostituirebbe "una serie di bastardi delinquenti con un'altra". Quale sarebbe l'altra serie di bastardi? Quella politica? Ma la serie di delinquenti politici che abbiamo non si sotituirebbe alla prima serie, di cui ha bisogno per tenersi al potere. Se poi intendeva riferirsi a politici della razza di Hitler, io intendevo riferirmi alla necessità di un potere politico che non dipenda dal voto democratico, che crea un circolo vizioso tra delinquenza e politica. E allora bisogna instaurare una dittatura? Direi che occorerebbe una via di mezzo cancellando il potere politico delle regioni mafiose e sospendendo il voto in esse per commissariarle tutte come si commissariano i Comuni in odore di mafia in modo che i mafiosi non abbiano in loco dei referenti diretti.E' più difficile arrivare a condizionare la politica di un parlamento nazionale (dove non siano eletti parlamentari dalle regoni mafiose) mentre è molto facile condizionare la politica regionale e comunale per rapporti diretti della mafia. Pura utopia? Forse. Ma quello dell'Italia è un caso anomalo in tutta l'Europa. Occorrono metodi antidemocratici per estirpare la mafia. La situazione economica in cui versa l'Italia è dovuta principalmente alla criminalità mafiosa del sud che non permette investimenti (pubblici o privati) in esso perché vengono intercettati dalle varie mafie nella connivenza con la politica.
Continua

Pietro Melis ha detto...

Ad alsarago59 ho risposto già con il mio post successivo circa la pena di morte come deterrente. Se lo legga.Qui aggiungo e ripeto che i boss continuano a comandare dal carcere perché questo è l'unico modo in cui si sentono ancora in vita.
A Piacesi dico che non capisco come i lavori forzati potrebbero risarcire i parenti delle vittime. Tranne che i lavori forzati vengano pagati con stipendi da manager e devoluti ai parenti delle vittime. Ma anche in questo modo sarebbe pur sempre lo Stato a dover pagare. E infatti non vi è altra soluzione. Tranne che il condannato a morte (nel caso di un capomafia) possegga dei beni che, sequestrati, dovrebbero andare a benefici dei parenti delle vittime. Ci si ricordi che è sempre lo Stato a pagare (ingiustamente) con le nostre tasse per gli errori commessi dai magistrati, che dovrebbero pagare di tasca loro assicurandosi. E' ora che finisca questa storia. Il Trubunale aveva condannato a 24 anni di carcere chi (l'ex fidanzato) era stato incolpato dell'uccisione diSimonetta Cesaroni (delitto di via Poma). La Corte d'Appello lo ha assolto. una delle due: o è pazzo il Tribunale o è pazza la Corte d'Appello. In questo caso l'imputato era a piede libero. Ma mi ricordo di uno che recentemente è stato assolto dopo ben 26 anni di carcere. Pazzesco. Questa è giustizia da lotteria. Se i giudici dovessero pagare di tasca loro ci penserebbero mille volte prima di stendere una sentenza. Ma qui non siamo nell'ambito della mafia, dove si pesca sempre bene.

alsarago58 ha detto...

"Ma mi ricordo di uno che recentemente è stato assolto dopo ben 26 anni di carcere. Pazzesco"

Bravo, ha detto proprio bene e fatto l'esempio giusto...se ci fosse stata la pena di morte quello sarebbe stato spacciato...vuole chiedere a lui cosa pensa della pena di morte?

Sulla fallibilità dei giudici, capisco che se lei fosse al posto loro, non sbaglierebbe mai, ma li e ci compatisca, siamo solo esseri umani che devono vivere in una realtà complessa, sfumata e spesso indecifrabile, non semidei seduti su cataste di libri, che sentenziano in modo spietato e inappellabile su ciò che è giusto e sbagliato per tutti, compresi i morti.

Infine sullo studio che proverebbe l'efficacia deterrente della pena di morte, come negli USA dei 15.000 omicidi l'anno, contro gli 800 dell'imbelle Italia.

http://www.npr.org/2012/04/19/150904299/death-penalty-research-flawed-expert-panel-says