giovedì 24 maggio 2012

TREMONTI: MINISTRO DEL MALAFFARE

HO LASCIATO IL SEGUENTE COMMENTO NEL SITO DEL MINISTRO DEL MALAFFARE (parafrasando Gaetano Salvemini che scrisse un libro su Giolitti intitolato Il ministro della malavita)
Giulio Tremonti

Lei ha la faccia tosta di saper predicare bene contro la globalizzazione (vedi trasmissione di Santoro a Rai2) ma è la causa maggiore dello sfacelo finanziario. Che cosa ha fatto come ministro dell'economia contro il potere delle banche, perché non ha mai parlato del signoraggio? Lei è l'inventore dell'Equitalia, cioè di un sistema di riscossione da rapinatori di Stato che manda cartelle di pagamento senza prima accertarsi che i tributi siano realmente dovuti e non vi siano stati errori. Arrivano raccomandate con sanzioni enormi oltre gli interessi anche senza avere preavvisato del ritardo. Inoltre nelle raccomandate non sono specificati i motivi del pagamento ed uno deve andare all'ufficio della rapinatrice di Stato Equitalia per sapere a che titolo siano dovuti.
Stato arrogante per il solo fatto di aggiungere le sanzioni oltre agli interessi. Un creditore privato che in sede di giudizio riesca ad avere la riscossione del credito tramite pignoramento può pretendere solo gli interessi per il ritardo perché per avere la stessa somma rivalutata deve dimostrare il maggior danno (che invece dovrebbe essere pacifico) dovuto alla svalutazione. E per dimostrarlo deve dimostrare, per esempio, che era in condizioni di investire il suo credito e che da tale investimento avrebbe tratto un guadagno. Per questo Stato di merda che lei ha sempre bene rappresentato invece non vale ciò che vale nei Tribunali. Aggiunge le sanzioni oltre gli interessi senza avere dimostrato il maggior danno e prima poneva ipoteche sulla casa senza nemmeno avvisare il proprietario (come invece richiesto dal Codice Civile). Poi la Corte di Cassazione, sostituendosi alla legge, stabilì che non si potevano porre ipoteche per un valore inferiore a 8000 euro. Ora si è passati per legge ad un valore che deve superare un asserito credito dell'Equitalia superiore a 20.000 euro. Ma ci poteva pensare lei prima come ministro dell'economia. Ministro di quel venditore di fumo che è stato il puttaniere maniaco sessuale Berlusconi. Sa che cosa le dico? Che individui come lei dovrebbero essere idealmente gambizzati perché paghino di persona (visto che non vanno in galera per i loro misfatti) come responsabili di tutti i suicidi causati da uno Stato ladrone di una democrazia di merda che non rinuncia ai privilegi dei politici che vanno in pensione con più di tremila euro al mese anche per essere stati in quel casino di parlamento per pochi giorni ed essersi dimessi poi avendo altri incarichi. E questo Stato pretende invece il pagamento dei tributi ancor prima di pagare esso ciò che deve all'imprenditore. Non solo. Ma quando paga con moneta svalutata a causa del ritardo di anni si permette di violare il Codice Civile non aggiungendo nemmeno gli interessi. Si ritiene al di sopra della legge. Ma non era stato dichiarato anticostituzionale il "solve et repete" (prima paghi e poi protesta)? Ora si è inventata la legge che prevede che anche in caso di ricorso alla commissione tributaria l'asserito debitore debba comunque anticipare almeno il 33%. Gambizzare individui come lei per vendicare tutti i poveretti che sono stati portati al suicidio da luridi individui come lei sarebbe troppo poco. 
Ciò che ho scritto sto per riportarlo nel mio blog. E ora Tremonti mi sbatta la faccia in culo. Individuo spocchioso, arrogante e ignorante anche in fatto di economia. Disgrazia dell'Italia con il suo amico Berlusconi. Che si sarebbe meritato più di un modellino del duomo di Milano lanciato in faccia. Io non ho paura. Il suo libro Uscita di sicurezza ha un titolo profetico. Infatti lei ci è uscito finalmente dai coglioni. Spero che la politica sia per lei solo un ricordo per tutti i disastri che ha combinato.  
  
Dopo aver scritto ciò alcuni avvocati mi hanno detto di cancellare le espressioni per cui potrei addirittura essere accusato di istigazione al delitto. Rifiuto. Sono espressioni metaforiche, iperboliche. Non incito alcuno alla violenza fisica. Vi sono armi migliori, come spiegherò appresso. Prima di tutto difendo la memoria degli onesti imprenditori vittime di uno Stato omicida che li ha portati al suicidio non pagando i loro crediti. Uno Stato forte con i deboli e debole con i forti, come ha dimostrato di esserlo patteggiando con la criminalità delle banche, a cui ha riconosciuto una riduzione dei loro grandi debiti. In secondo luogo mi fa schifo questo Stato che, colluso con la mafia e responsabile della morte di Falcone e Borsellino, anche Tremonti ha rappresentato.
Non ho forse il diritto di non commuovermi per la fine di Marco Biagi, uno che al servizio di un'economia predatrice che riduce l'uomo ad una merce, introdusse il concetto di flessibilità per mascherare un maggiore precariato nel lavoro ed una maggiore disoccupazione a beneficio di un maggiore profitto? Se l'avessi conosciuto personalmente gli avrei detto: per chi scrive e lavora lei? Per il maggiore profitto delle imprese o per i lavoratori che generano il profitto? Lei che crede di essere un economista (mentre io non lo sono) mi dica: può lei ritenere che un'impresa possa licenziare senza vincoli anche quando il licenziamento non si renda necessario a causa della situazione deficitaria dell'impresa (riduzione della richiesta di mercato, passività di bilancio, etc.) ma sia finalizzato solo ad un maggiore profitto? E' in questo modo che lei ritiene si debba migliorare il diritto del lavoro, disciplina di cui lei è professore universitario? E' con il licenziamento dei lavoratori anziani , messi alla fame perché costano troppo rispetto a giovani assunti nel precariato, che lei chiama da impostore flessibilità, che lei crede di avere migliorato il mondo del lavoro? E' questo che lei insegna agli studenti cercando di convincerli che, se un giorno saranno licenziati, ciò sarà giusto in base alla sua concezione del diritto del lavoro? Se lei è convinto di ciò allora lei è complice degli sfruttatori. Ha predicato e sfruttato il precariato da professore ordinario facendosi ricco con vari incarichi anche in campo internazionale. Non le fa tutto ciò schifo, non dico solo moralmente, ma anche giuridicamente? Ha mai sentito parlare di diritto naturale come diritto alla vita, che nel caso dell'uomo non può esistere senza dare priorità al diritto AL (e non del) lavoro? Questo avrebbero dovuto dirgli i suoi studenti, svergognandolo anche dentro l'Università per tutte le stronzate di cui ha riempito i suoi libri fecendosi portavoce degli interessi di un'economia mercificatrice dell'uomo. E invece non hanno reagito. Questo avrebbero dovuto dirgli in pubblico tutti coloro che avevano capito quanto non valesse questo individuo esponendolo al pubblico ludibrio. A che è servito ucciderlo? A nulla. Anzi, l'imbecille che l'ha ucciso lo ha trasformato in un martire ottenendo l'effetto contrario. Bisognava squalificarlo professionalmente togliendogli la boria e neutralizzarlo trasformandolo da falso esperto di economia in una ridicola ed ignorante macchietta nemica del mondo del lavoro. 
    
E a questo punto posso aggiungere anche la mia storia personale, allucinante. Avevo una quota del 66% in una società proprietaria di un cinema di 750 posti vendutomi nel 1997 illegittimamente da un liquidatore la cui nomina fu dichiarata illegittima ("abnorme") dal Tribunale, ma un mese dopo la (s)vendita per un miliardo e mezzo di lire. Ma ho incontrato due giudici pazzi (se non corrotti), Mario Farina e Vincenzo Aquaro, che sono riuscito a far finire di fronte alla Commissione disciplinare del CSM per le loro sentenze pazzesche con cui hanno riconosciuto, l'uno la validità della parcella di 153 milioni di lire a saldo del liquidatore (ridotta ad 1/3 con ordinanza, in attesa di sentenza, dalla Corte d'Appello, che ha riconosciuto che le voci della parcella erano tutte o gonfiate o inesistenti), l'altro la validità della vendita, e tutti e due sulla base di una asserita, quanto inessenziale, e comunque documentatamente inesistente, buonafede del liquidatore e del promissario acquirente, pur da me ampiamente diffidati - con argomenti giuridici e giurisprudenziali inclusi in una racc. A.R. di 4 pagine - dal vendere e dall'acquistare perché vi era un giudizio in corso teso a ottenere, come ottenni, la nullità della nomina del liquidatore. Il liquidatore e l'acquirente (come documentato in causa) anticiparono la data della vendita prevista nel preliminare per anticipare la dichiarazione di nullità della nomina del liquidatore per pormi di fronte al fatto compiuto. Avevo prodotto nel giudizio civile anche una sentenza penale passata in giudicato e a mio favore in cui si riconosce che fui vittima di una estorsione da parte di due soci di minoranza (due pseudofratelli) che volevano costringermi a vendere per sanare i loro debiti personali (e non societari, giacché la società era da sempre in attivo riscuotendo i canoni di affitto). Il liquidatore fu nominato  per sbaglio tremendo di un presidente del Tribunale, Marco Onnis (defunto in pensione nel 2009), che mi diede come consenziente mentre dagli atti del giudizio risultavo nettamente contrario e concludevo con la richiesta di rigetto della domanda avversaria perché giuridicamente infondata. Ma i giudici non pagano mai per i loro errori, neanche quando sono gravi. 
Dopo 15 anni attendo con sfiducia in Corte d'Appello la sentenza di annullamento della (s)vendita. Per ora l'acquirente, un impresario edile pieno di soldi, rifiutando qualsiasi accordo, è rimasto senza quattrini e senza locale (chiuso dal 1998) di cui possiedo io, se pur inutilmente, le chiavi in attesa della sentenza della Corte d'Appello.  Poiché con la dichiarata nullità della nomina del liquidatore fu cancellato lo stato di liquidazione, la società è rimasta titolare di un conto in banca quale residuo del ricavato della vendita, che dunque non può ritenersi un profitto ma capitale sociale (non tassabile). La società ha dovuto pagare nel 1998 più di 200 milioni di tasse perché per lo Stato figura una vendita e non la cancellazione dello stato di liquidazione. NON BASTA. A questo punto anche i soci avrebbero dovuto pagare le tasse. Nonostante io non abbia incassato nemmeno una lira (oggi  euro) dalla vendita perché il ricavato della illegittima vendita si è trasformato in capitale sociale, e dunque non ero tenuto a pagare tasse su un profitto inesistente, l'Equitalia, al momento dell'andata in pensione, fregandosene di tutto ciò, mi ha pignorato 1/5 della liquidazione dopo 42 anni di insegnamento all'Università. Oltre 1/5 per legge (Codice Civile) non poteva andare. NON BASTA. Per evitare che l'Equitalia mi pignorasse la casa a causa delle tasse che non dovevo pagare per i motivi esposti ho dovuto vendere la casa (nella sua nuda proprietà) tenendomi il diritto di abitazione a vita. E per evitare che falsi o ingiusti creditori (come anche l'Equitalia) mi pignorassero 1/5 della pensione ho dovuto chiedere un prestito con l'unica intenzione di non pagarlo per farmi pignorare dal creditore (d'accordo con lui) 1/5 della pensione precedendo l'Equitalia, a cui così l'ho messa in culo, come a tutti i miei falsi creditori. Risulto personalmente nullatenente. Mi sono imboscato legalmente i quattrini. Mi potrei permettere anche di non pagare più debiti. Poi si vedrà come andrà in Corte d'Appello con la lotteria della giustizia dai tempi geologici e ridotta ormai in Italia ad una cloaca. Chi ci finisce muore affogato nella merda perché anche quando ottenesse vittoria dopo tanto tempo dovrebbe dire come Pirro (dopo avere battuto i Romani): un'altra vittoria come questa e siamo rovinati.  
E pensare che tutta questa storia è conseguente ad uno scellerato presidente del Tribunale che mi diede falsamente come consenziente alla nomina del liquidatore, lanciandomi contro una palla di neve che altri"giudici", invece di rimediare a questo errore materiale, nemmeno giuridico, hanno trasformato in valanga, sotto cui ancora mi trovo.                      
Ho raccontato questa mia allucinante vicenda (facendo i nomi di tutti i giudici ed esponendo da competente il farsesco ordinamento giudiziario italiano per proporre anche una reale riforma del Codice di Procedura Civile) in un capitolo del mio libro anche autobiografico intitolato Io non volevo nascere. Un mondo senza certezze e senza giustizia. Filosofi odierni alla berlina.  
         


14 febbraio 2012"Polis" Critica Politica > Rubriche

Giulio Tremonti e l’illusione italiana del capitalismo anni ’90

Dopo il fallimento del Comunismo e la caduta del Muro di Berlino ecco il fallimento del Capitalismo. Quello che resta all'Italia è un'ottima Costituzione e la ragione di ognuno di noi, scevra da ideologie e partiti

Qualcuno deve aver letto a Santoro il mio intervento di qualche settimana fa, perché giovedì la trasmissione “Servizio Pubblico” è andata decisamente incontro alle critiche che avevo sollevato sul programma. A parte la battuta, l’ultima puntata è stata decisamente più interessante delle precedenti. Il tema, le regole della finanza e il rapporto con la politica, è decisamente d’attualità; le analisi e gli approfondimenti, pur nei limiti del dibattito televisivo, non erano privi di una certa pregnanza; in studio erano presenti giornalisti prestigiosi, come Mentana e Mieli, l’ottimo Gianni Dragoni, il solito Travaglio e diversi invitati che, pur da prospettive talvolta opposte, non per questo hanno lesinato spunti interessanti, come il leader dei no global Luca Casarini o il giovane ricercatore di Oxford Emanuele Ferragina.
Era presente, a dire il vero, anche un politico. Eppure Giulio Tremonti, per il ruolo di governo che ha ricoperto fino a ieri e le particolari tesi espresse, è uno di quei politici il cui parere si ascolta sempre con un certo interesse. Intendiamoci: io non sono affatto un fan di Tremonti. Nonostante i giudizi positivi che riscuote un po’ in tutti gli schieramenti politici, da destra a sinistra, io sono del parere che questo tributarista di Sondrio come economista sia decisamente sopravvalutato: lo trovo fastidiosamente supponente, penso che sia direttamente responsabile di diversi obbrobri legislativi (vedi scudo fiscale) e, soprattutto, che si compiaccia di esprimersi attraverso metafore oracolari e profetiche, senza però che dietro a queste si nasconda una particolare profondità di analisi.
Detto questo, si tratta comunque di un personaggio che, inspiegabilmente, emana un discreto fascino intellettuale: sarà per la bellissima imitazione di Corrado Guzzanti; sarà per la folle ebrezza che ci pervade al pensiero che questo simpatico mitomane autoproclamatosi erede di Quintino Sella sia stato per tre diversi mandati l’autorità più alta per l’economia italiana; o forse sarà per lo sguardo inespressivo, gli occhiali anni ’70 e l’irresistibile erre moscia. Come che sia, l’altra sera molte persone, compreso il sottoscritto, sono rimasti ad ascoltarlo mentre ripercorreva cattedratico la storia del mondo dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale fino ai giorni nostri.
Secondo Tremonti nei primi anni ’90, con la fine del comunismo, la caduta dell’Unione Sovietica alla spalle e la nuova organizzazione del commercio mondiale (il WTO), il mondo è cambiato fino a produrre una globalizzazione che ha generato ricchezza da alcune parti, ma anche povertà in molte altre, mentre la finanza usciva fuori da ogni controllo. Il punto di svolta, secondo Tremonti, è la caduta del muro di Berlino. E non ci vuole un ministro dell’economia per dirlo: basta uno studente di liceo. Non c’è dubbio che si tratti dell’evento più importante per la storia contemporanea; il momento che costituisce, anche simbolicamente, lo spartiacque tra un dopoguerra dominato da due potenze e due ideologie e un “dopo”, in cui ci troviamo tuttora, che ancora non abbiamo capito bene cosa debba essere.
Tremonti rileva ciò che è ovvio, ma ha comunque ragione a incentrare l’attenzione sui cambiamenti avvenuti tra gli anni ’80 e gli anni ’90. Certo è che il mondo prima del 1989 poteva ancora essere declinato secondo due schemi alternativi: da una parte il capitalismo statunitense e i paesi NATO, basati sulla libera iniziativa economica; dall’altra il comunismo russo e i paesi del patto di Varsavia, la cui economia era organizzata e pianificata direttamente dallo Stato, cioè dai funzionari del partito comunista al potere, con lo scopo (teorico) di livellare le ineguaglianze sociali. Il fatto che il comunismo così concepito sia fallito da un giorno all’altro, ha finito per ingenerare la convinzione che il capitalismo fosse la risposta.
Ad esempio, scrive Paul Krugmann (nobel per l’economia nel 2008) che dal 1989-91 in avanti: «il nocciolo del socialismo non rappresenta più un’opposizione al capitalismo. Per la prima volta dopo il 1917 viviamo dunque in un mondo in cui i diritti alla proprietà e al libero mercato sono considerati principi fondamentali, non più cinici espedienti» (Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008, Milano, Garzanti, 2009).
Ed in effetti in precedenza, persino nell’Italia alleata degli Stati Uniti, un minimo di richiamo al socialismo, o almeno a misure sociali, era d’obbligo, se non si voleva passare per egoisti che pensano solo all’arricchimento personale. Ma negli anni ’90 questi freni si sono definitivamente sciolti, e il modello dello yuppie anni ’80 dalla commedia di Jerry Calà e Christian De Sica è passato a paradigma della realtà. Ancora oggi è difficile riuscire a valutare l’impatto causato dalla fine del comunismo, cioè di un’opzione considerata seria e realistica per tutto il ’900; ma è chiaro che il cambiamento, soprattutto da un punto di vista culturale e psicologico, è stato enorme.
E’ abbastanza evidente, ad esempio, che la vittoria del capitalismo è stata un’ubriacatura che ha fatto passare in secondo piano i suoi eccessi. Tant’è che oggi, con la crisi del capitalismo globale, tantissimi economisti – persino lo stesso Tremonti – riscoprono Marx. Eppure quello che la crisi avrebbe dovuto insegnarci non è tanto che il comunismo non aveva tutti i torti, quanto piuttosto che si fanno danni a voler operare nella realtà con il paraocchi di un’ideologia considerata vincente. In Italia, in particolar modo, siamo maestri nell’andare dove tira il vento: cosa che non facciamo per cinismo, ma per un naturale istinto di sopravvivenza, forgiato in secoli di dominazioni straniere, da cui discende che l’opzione più igienica è sempre quella di salire sul carro dei vincitori. Fascisti sotto il fascismo, partigiani nel dopoguerra, democristiani nel boom economico, “tangentari” sotto Tangentopoli, “anti-tangentari” e “berlusconiani” sotto Berlusconi, “tecnici” sotto Monti: gli Italiani fiutano l’aria che tira e cambiano in modo repentino, con una capacità di adattamento straordinaria.
Questa ricostruzione, a dire il vero, sarebbe ingenerosa, se non tenesse conto delle vaste minoranze che resistono nelle loro posizioni e non si piegano all’andazzo generale: ma è proprio il generale, la maggioranza, che conta. E negli ultimi vent’anni la maggioranza si è illusa che un capitalismo sfrenato con il minor controllo possibile da parte dello Stato sarebbe stata la soluzione. Solo oggi ci accorgiamo che, insieme al resto del mondo, vivevamo in un sogno e che abbiamo buttato via il bambino (il principio di superiorità dell’autorità politica e delle sue regole) con l’acqua sporca (il comunismo). Eppure non sarebbe stato difficile capirlo.
Dal passato avevamo il precedente di un’ottima costituzione scritta insieme da radicali, democristiani, socialisti e comunisti: funziona da 65 anni proprio perché non ha un’ideologia di riferimento, ma è il risultato sincretico di uno spirito comune (l’antifascismo) e della conseguente necessità di porre principi validi per sé e non dal punto di vista astratto di una utopia politica. Sapevamo benissimo, poi, per una lunga tradizione di pensiero, che l’autorità statale e le buone regole hanno un’utilità sociale preliminare rispetto alla scelte di politica economica. Sono tutte cose che abbiamo acquisito con fatica nel corso delle storia e che, tramite l’esperienza e il buon senso, avevamo imparato a riconoscere come valide. Ma le abbiamo trascurate perché la dottrina imperante, i facili guadagni e l’illusione di una crescita senza fine hanno reso comodo non considerarle. Per questo oggi saremmo più preparati ad affrontare le sfide che abbiamo davanti se ci preparassimo a ponderare le nostre scelte non sulla base di persone, ideologie o partiti, ma ragionando e basta.

Andrea Giannini
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5 commenti:

Giovanni ha detto...

Sappia, professore, che condivido pienamente le cose che ha detto su Tremonti.
Ammirevole il suo coraggio. E dire che anch'io non mi facevo nessuna remora quando si trattava di denunciare certe nefandezze sul mio blog (ormai inattivo da diversi mesi), ma devo predere atto che lei non eguali in fatto di audacia.
Calorosi saluti da Giovanni

Pietro Melis ha detto...

Caro Giovanni

legga quanto ho aggiunto. Se mi vuole lasciare la sua email le risponderò personalmente.

Giovanni ha detto...

Caro professore, le ho già inviato una e-mail.

Saluti
Giovanni

Massimo Villivà ha detto...

Allucinante la sua vicenda. Da farsi venire i capelli bianchi.
Verrà il momento che gente di merda come l'ex ministro del Tesoro, sarà valutata per quello che è. Il re è sempre più nudo.

Giovanni ha detto...

Caro professore,
vada ad aprire la sua casella di posta elettronica, le ho inviato già due email. In una delle quali peraltro la informo di aver ordinato il suo libro: "Io non volevo nascere".
Giovanni