sabato 7 gennaio 2017

DISPUTA:QUAL E' IN OGNI CASO O ANCHE QUAL'E'?

Un lettore mi ha fatto osservare che ho errato scrivendo nel precedentente articolo "qual'è la causa di tutto ciò?". Avrei dovuto scrivere "qual è", senza l'apostrofo trattandosi di troncamento e non di elisione. Si legga il suo commento a tale articolo. Fatte le mie indagini sono arrivato alla conclusione che egli ha ragione e io non ho torto. Egli si richiama soprattutto all'Accademia della Crusca, che dice che "qual" è sempre troncamento (apocope) e non elisione. Pertanto non avrei dovuto aggiungere l'apostrofo. Anche altri famosi dizionari confermano ciò. Ma vi è una autorità costituita  che possa stabilire per sempre quale forma sia corretta? Non ho l'autorità dell'Accademia della Crusca e di famosi linguisti e perciò non posso sostituirmi ad essi. Mi limito pertanto ad obiettare con una domanda. Se ho usato "qual'è" invece di "qual è" vi sarà pure una ragione. E la ragione principale è questa: perché è corretto scrivere "un'amica" (trattandosi in tal caso di elisione) ed è giustamente scorretto dire "un amica" mentre è corretto dire "un amico" (trattandosi in tal caso di troncamento e non di elisione)?  Per analogia non dovrebbe forse dirsi "qual'è la causa" tenendo conto del fatto che in tal caso "qual" si riferisce ad un termine femminile (causa)? Perché è giustamente scorretto scrivere "dov è" invece di "dov'è" mentre è scorretto scrivere "qual'è"? Poiché in Pirandello e in altri autori (anche se meno noti) si trova "qual'è" anche se riferito ad un termine maschile, allora l'Accademia della Crusca deve dire una delle due cose: 1) o il grande Pirandello e altri pur meno grandi hanno sbagliato; 2) oppure l'Accademia della Crusca deve dire che Pirandello ed altri non hanno sbagliato ma dopo di essi non è più ammesso dire "qual'è". Questa seconda conclusione mi sembrerebbe ridicola. L'Accademia della Crusca si è investita da sé dell'autorità che ha perché non vi è altra autorità che possa avergliela data. Altrimenti dovrebbe esistere un'autorità superiore. E si andrebbe all'infinito. L'Accademia dice che la lingua si evolve e bisogna seguire l'evoluzione. Ma allora l'Accademia della Crusca si contraddice perché perde di autorità sottoponendosi all'evoluzione della lingua. Quale è (notare che ho saltato l'ostacolo scrivendo "quale è") il limite di tempo oltre il quale è errato ciò che prima era giusto? Quante espressioni del Leopardi scrittore di prosa risulterebbero oggi errate per il suo linguaggio alquanto e volutamente arcaico! Se la maggior parte degli scrittori (naturalmente quelli degni di passare nella letteratura italiana) scrivesse "qual'è" invece di "qual è" dove andrebbe a finire l'autorità della famosa Accademia? 
Nonostante Roberto Saviano non sia certamente un'autorità in letteratura, a coloro che gli avevano rimproverato di aver scritto "qual'è" ha detto che avrebbe continuato a scrivere così allo stesso modo di Pirandello e di Tommaso Landolfi. 
Sulla disputa tra "qual è" e "qual'è" cfr.
Anche gli aggettivi e pronomi tale e quale diventano tal e qual sia dinanzi a vocale sia dinanzi a consonante, sia al maschile sia al femminile. Ma sono elisioni o ...
Sull'argomento basta scrivere su Google "qual" e si troveranno vari siti, compresi quelli di vari dizionari.  Ho trovato in un sito quanto segue.


Merola Bartolomeo ·
Ammesso che esista la parola qual nella nostra lingua non si può non ammettere che esista la parola quale (questo è certo). Se esiste ed è corretta la parola quale non si può non scrivere quale è. Se ciò è vero non si può impedire di elidere la vocale finale: qual'è. Perciò è sicuramente esatto scrivere qual'è. Il dubbio si pone su qual è. Questo implica sostenere che nella nostra lingua esista la parola qual. Molti dizionari non la contemplano. Ci sono altre ragioni a sostegno di questa tesi: moltissimi scrittori usano qual'è e mai qual è. Ci sono altre ragioni conosciute da tempo.


Merola Bartolomeo ·

Conosco esattamente cosa significa "troncamento di una parola". Il troncamento fa nascere nella lingua una nuova parola : una parola "tronca". Se ciò non accade non si può parlare di troncamento, ma di elisione. Nessuno mette in dubbio la parola un, invece la parola "qual" è messa in dubbio da tempo. Non escludo che possa esistere il troncamento della parola quale, ma di certo esiste la sua elisione: qual'è.          

6 commenti:

Anonimo ha detto...

"Verbigrazia", e sopratutto "eziandio", due parole che imparai leggendo Leopardi e non potrei mai dimenticare.

Sergio ha detto...

Ho sempre scritto "qual è" ritenendo errato l'apostrofo (seguendo il Gabrielli), ma dopo questa lunga discussione sono ora in imbarazzo: devo infatti ammettere che ci sono anche alcune buone ragioni per mettere l'apostrofo. Personalmente continuerò ad ad omettere l'apostrofo (la forza dell'abitudine), ma non taccerò più d'incolto chi mettesse l'apostrofo. Ma è questa una questione d'importanza vitale? Mentre noi discutiamo di questa inezia l'italiano sta perdendo il congiuntivo e un cruscante come Sabatini ci dice che non è poi una tragedia (invitandoci quindi ad adeguarci all'italiano moderno che ha o sembra avere in uggia il congiuntivo). Sabatini aggiunge che il congiuntivo è sparito senza tragedie in francese e spagnolo. Non mi risulta. Il francese ha sì abbandonato da tempo il congiuntivo imperfetto (sotituito dal congiuntivo presente, sempre vivo e obbligatorio dove è necessario), e in spagnolo ci sono addirittura due forme del congiuntivo imperfetto). La tendenza generale sembra essere la semplificazione, quindi l'abbandono di certe forme non più necessarie alla comprensione (sono corrette per esempio entrambe le costruzioni: "se l'avessi saputo non sarei venuto", e "se lo sapevo non venivo". E tuttavia la scomparsa del congiuntivo mi dispiace. La lettura dei classici (persino contemporanei o del Novecento) risulterà poco gradita o ardua ai "nuovi italiani senza congiuntivo". Certo la lignua evolve, bisogna farsene una ragione. Il congiuntivo imperfetto francese è stato abbandonato per ragioni eufoniche, il congiuntivo italiano sarà abbandonato per pigrizia e ignoranza.

Alessio ha detto...

In realtà l'abbandono del congiuntivo non è affatto una semplice abitudine, ma è un errore LOGICO ancor prima che grammaticale. Infatti ogni testo di grammatica insegna che l'indicativo è il modo della certezza, mentre il congiuntivo è quello del dubbio. Non sono d'accordo e non lo sarò mai con il Sabatini che minimizza tale perdita. Molte regole grammaticali hanno anche un valore logico. Con i verbi credere, dubitare,sperare, pensare e simili è necessario quindi il congiuntivo dopo la congiunzione "che", esso serve per rimarcare il fatto che l'oggetto del discorso è messo in dubbio ed è soggettivo, non è quindi un dato di fatto. Imparare ad usare correttamente i differenti modi verbali significa quindi anche affinare le capacità di pensare.

Sergio ha detto...

@ Alessio

Sergio ha detto...

@ Alessio In francese verbi come croire penser espérer richiedono l'indicativo. L'uso del congiuntivo in italiano con questi verbi è quindi un'usanza più che un'assoluta necessità. Per carità, anche le usanze vanno rispettate, ma alcune non sono cogenti. Naturalmente io sono a favore del congiuntivo e della consecutio temporum, ma temo che saremo presto sorpassati dalla ... modernità. In alto loco (ONU) si patrocina la cosiddetta LINGUA FACILE. Frasi brevi, niente subordinate, bando alle parole difficili affinché tutti, proprio tutti, capiscano. Passeremo così dal burocratese, lingua orribile per gli iniziati (i burocrati appunto) alla lingua degli analfabeti. E con ciò diremo addio alla tradizione (non credo si possa tradurre Dante in lingua facile senza perdere qualcosa d'importante).

Alessio ha detto...

@Sergio: L'ONU patrocina la cosiddetta lingua facile? Niente di più sbagliato, dico io!. Secondo me si va verso un impoverimento del pensiero, in nome di un falso mito di democrazia linguistica. Secondo me l'umanità va verso l'IDIOZIA e la pigrizia mentale, caro Sergio, tutte, e dico tutte, le tendenze della modernità suscitano in me opposizione totale, dall'integrazione degli immigrati alla riduzione della difficoltà nei programmi scolastici, si va verso l'idiozia e l'ignoranza, verso la pigrizia mentale, tanto più la lingua è "facile" tanto meno richiede sforzo mentale e quindi meno consumo di materia grigia. Anche se venisse imposta la lingua facile (ed è impossiible...) io non cambierò mai il mio modo di esprimermi, credo che anzi proprio le parole più diffici abbiano una storia tutta da scoprire.