domenica 16 aprile 2017

PASQUA DI SANGUE. MA IL SANGUE DEGLI INNOCENTI RICADA SUI LORO ASSASSINI E MANDANTI, A COMINCIARE DAL PAPA DEL SILENZIO

Io sono nato per odiare, non per amare. Perché "se si ha il diritto di amare si ha anche il diritto di odiare" (Oriana Fallaci). E soltanto odiando con tutte le forze un mondo di violenza, di ingiustizie contro i più deboli, gli indifesi, soltanto odiando i vigliacchi malati di antropocentrismo, le menzogne delle religioni propagatrici di violenza, soltanto odiando una umanità fatta di impostori, di gente che vive per far danaro, anche sfruttando a morte la vita animale, si può veramente amare un ideale di vita migliore, fondata, non sulla morale, sempre soggetta al relativismo delle tradizioni culturali, anche le più aberranti, ma sul diritto naturale, metaculturale. Odio coloro che amano i piaceri della gastronomia preparata dai "pasticceri di cadaveri" (Plutarco). Odio gli impostori che mangiano carne ma non sarebbero mai capaci una volta nella vita di ricavarsi da sé la bistecca in un mattatoio uccidendo, dissanguando, spellando e squartando l'animale di cui si cibano. Credono di avere le mani monde di sangue, mentre, da mandanti, le hanno più sporche di quelle dei macellatori che se le sporcano per gli impostori. Ma ne uccide più il palato che la spada. Troppo facile amare il bene senza agire per combattere il male. A causa di quasi tutta l'umanità sono stato reso indifferente alle sofferenze umane. Perciò sono costretto ad odiare anche questo papa, che da impostore ha scritto l'enciclica Laudato si' rinforzando una concezione antropocentrica della natura tratta da quel pessimo maestro che fu il carnivoro Francesco d'Assisi (morto a 44 anni), invece di ispirarsi al vegano S. Francesco da Paola (morto a 91 anni), di tutt'altra stoffa e da questo papa sempre ignorato.  Mai una frase che ponesse fine all'identificazione della Pasqua con una strage di agnelli. L'odio che ho per questo papa non ha limiti. Ecco un'immagine con cui giustifico questo odio. Ecco la vera immagine della Pasqua. Il sangue di questi innocenti ricada pertanto con odio anche sui loro mandanti, a cominciare dal papa. 

La Pasqua è orribile



Dei bimbi. Sottratti alle madri...legati alle zampe per la pesatura illegale. Esserini sensibili. Provate ad immaginare il dolore...la paura, per poi essere assassinati a causa vostra!






3 frasi di Albert Einstein che possono cambiare il mondo | [Ifeelgood.it]

QUESITO EVANGELICO

pietromelis.blogspot.com/2014/04/quesito-evangelico.html
20 apr 2014 - QUESITO EVANGELICO. Si dice (Luca, 24, 36-53) che Gesù, dopo essere risorto, per dimostrare ai discepoli che era risorto con il corpo,


E' risorto!

Dopo essere risorto, non sapeva come passare il tempo.

E poi, era anche un po' stressato per la nottataccia precedente.













Quanto segue è tratto dal mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica. L'Occidente e il diritto naturale.  Dedicato Alla memoria di Albert Einstein ideale di una umanità metaculturale.  E  A tutti gli animali vittime della violenza dell'antropocentrismo.  

Schopenhaur (Il fondamento della morale, 1840, § 19, 7-8) scrive che “bisogna avere tutti i sensi ottusi o essere totalmente cloroformizzati dal fetore Giudaico (corsivo di Schopenhauer, che usa sempre l’espressione foetor Iudaicus) per non vedere che nell’animale e nell’uomo l’essenza principale è la stessa e ciò che li distingue non è nel primario, che nell’uomo come nell’altro è la volontà dell’individuo, bensì nel secondario, nell’intelletto, nel grado di facoltà conoscitiva, che nell’uomo, aggiungendosi la facoltà della conoscenza astratta, chiamata ragione, è più alto…A questi occidentali e giudaizzati spregiatori degli animali e idolatri della ragione bisogna rammentare che, come essi sono stati allattati dalla loro madre, anche il cane lo è stato dalla sua. Non si può dubitare che…anche l’idea di un dio diventato uomo (Avatar) venga dall’India e attraverso l’Egitto sia arrivata in Grecia, di modo che il cristianesimo sarebbe un riverbero della luce originaria indiana dalle rovine egizie, caduto però purtroppo su suolo giudeo…La pietà verso gli animali è talmente legata alla bontà del carattere da consentire di affermare fiduciosamente che l’uomo crudele con gli animali non può essere buono. Questa compassione proviene dalla medesima fonte donde viene la pietà verso gli uomini…la colpa è tutta del fetore Giudaico che qui pervade ogni cosa…”.

In Parerga e Paralipomena (1851) Schopenhauer scrive: “Un errore fondamentale inspiegabile del cristianesimo…è il fatto che esso, contrariamente alla natura, ha staccato l’essere umano dal mondo degli animali, al quale esso essenzialmente appartiene dando valore esclusivamente all’uomo e considerando gli animali addirittura come cose, mentre il brahmanesimo e il buddhismo, fedeli alla verità, riconoscono decisamente la palese parentela dell’uomo, come in generale con l’intera natura, così anzitutto con la natura animale e, mediante la metempsicosi e in altri modi, rappresentano l’essere umano come collegato strettamente al mondo degli animali…Il suddetto errore fondamentale è però la conseguenza della creazione dal nulla, secondo la quale il creatore (capp. 1 e 9 del Genesi) consegna all’uomo affinché li domini, cioè faccia di essi quello che vuole, tutti gli animali, come se fossero delle cose e senza alcuna raccomandazione di trattarli bene…Questo è di nuovo soltanto un simbolo della loro completa dipendenza dall’uomo, vale a dire della loro privazione di ogni diritto…Simili storielle mi fanno l’effetto della pece e del fetore Giudaico. Ciò dipende dall’opinione ebraica che considera l’animale come un prodotto fabbricato ad uso e consumo dell’uomo”. Schopenhauer cita un passo dei Proverbi di Salomone: “il giusto ha pietà del proprio bestiame”. Ma osserva Schopenhauer: “Avere pietà! Non già pietà, ma giustizia si deve all’animale, e nel maggior numero dei casi se ne resta debitori in Europa, questa parte del mondo impregnata dal fetore Giudaico…Tuttavia che cosa ci si può aspettare dal volgo se vi sono scienziati e perfino zoologi che, invece di riconoscere l’identità, loro intimamente connessa, tra uomo e animale, perciò che riguarda l’essenziale, polemizzano contro colleghi onesti e ragionevoli che includono l’essere umano nella rispettiva classe degli animali e rilevano la grande somiglianza di esso con lo scimpanzé e l’orango?…Evidentemente è giunta l’ora di porre fine in Europa alla concezione ebraica della natura, almeno riguardo agli animali…A dispetto di ogni mitologia giudaica e intimidazione dei preti, bisogna che anche in Europa, finalmente, si imponga una verità, immediatamente certa e di per sé evidente per ogni persona di sano intelletto non obnubilato dal fetore Giudaico, una verità che non può essere più a lungo celata: che, cioè, gli animali in tutti gli aspetti principali ed essenziali sono esattamente la stessa cosa che noi, e che la differenza risiede soltanto nel grado di intelligenza, cioè di attività cerebrale”.      

Rousseau nel Discorso sull’origine e sui fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini (1754) aveva scritto: “Io vedo in ogni animale …esattamente le stesse cose che vedo nella macchina umana, con questa differenza, che la natura fa tutto da sola nelle operazioni dell’animale, mentre l’uomo collabora alle sue come agente libero…Ogni animale ha delle idee, dato che ha dei sensi, e fino a un certo punto coordina anche le sue idee; da questo punto di vista l’uomo differisce dall’animale solo quantitativamente. Alcuni filosofi hanno anche sostenuto che vi è più differenza tra certi uomini e certi altri che non tra certi uomini e certi animali. Non è perciò tanto l’intelletto che distingue in modo specifico l’uomo tra gli animali, quanto la sua qualità di agente libero”.        

Quasi a completamento di quanto scritto da Rousseau, il giurista inglese Jeremy Bentham in Principi della morale e della legislazione (1789), cap. XVII, scrisse: “ Esiste qualche motivo per cui si dovrebbe permettere che tormentassimo gli animali? Nessuno che io possa vedere. Ve ne è qualcuno per cui non si dovrebbe permettere che li tormentassimo? Si, parecchi. C’è stato un giorno, e mi rattrista dire che in molti luoghi non è ancora passato, in cui la maggior parte del genere umano, grazie all’istituzione della schiavitù è stata trattata dalla legge esattamente nello stesso modo in cui, per esempio in Inghilterra, sono state trattate ancora le razze inferiori di animali. Forse verrà un giorno in cui le altre creature animali si vedranno riconosciuti quei diritti che nessuno, che non sia un tiranno, avrebbe dovuto negar loro. I francesi hanno scoperto che il colore della pelle non è una buona ragione perché un uomo debba essere abbandonato, per motivi diversi da un atto di giustizia, al capriccio di un torturatore. Forse un giorno si giungerà a riconoscere che il numero delle zampe, la villosità della pelle o la terminazione dell’osso sacro sono ragioni altrettanto insufficienti per abbandonare a quello stesso destino un essere senziente. In base a che altro si dovrebbe tracciare una linea insuperabile? In base alla ragione? O alla capacità di parlare? Ma un cavallo o un cane che abbiano raggiunto l’età matura sono senza confronto animali più razionali e più aperti alla conversazione di un bambino di un giorno, di una settimana o di un mese. Supponiamo che così non fosse; che cosa conterebbe? La domanda da porsi non è se sappiano ragionare, né se sappiano parlare, bensì se possano soffrire”. Ma la difesa dei diritti animali rimaneva mal fondata in Bentham, che aveva una concezione morale fondata sull’utilitarismo.

Per lo stesso motivo era mal fondata la concezione di Stuart Mill nel difendere la tesi di Bentham contro W. Whewell, che affermava, come Kant, che l’uomo non può avere dei doveri nei riguardi degli animali, e che “dobbiamo essere umani verso di loro perché siamo umani, non perché noi e loro del pari proviamo piaceri animali”, perché “è intollerabile che sia lecito sacrificare la felicità degli uomini a patto di poter produrre un sovrappiù di piacere per i cani, i gatti ed i porci”.[1] Stuart Mill replica che anche gli schiavisti bianchi ritengono che sia intollerabile sacrificare anche solo una porzione di felicità dei bambini bianchi a vantaggio di poco di felicità dei negri, come i signori feudali pensavano avesse più valore il loro piacere rispetto a quello dei servi. “Niente è più naturale per gli esseri umani che considerare i piaceri e le sofferenze di altri meritevoli di preoccupazioni esattamente in proporzione alla loro somiglianza con noi stessi...Siamo disposti a far dipendere l’intera questione da questo argomento. Dato che una qualche pratica causa più dolore agli animali di quanto piacere dia agli uomini, questa pratica è morale o immorale? E se gli esseri umani, esattamente nella misura in cui si liberano dai vincoli dell’egoismo, non risponderanno tutti 'immorale', che la moralità del principio di utilità sia sempre condannata”. Per Stuart Mill è immorale la pratica che causa più dolore agli animali che piacere agli uomini. Ma se la condanna morale di una pratica dipendesse dal suo essere immorale, la giustificazione rimarrebbe soggettiva perché fondata sull’utilitarismo. Infatti potrebbe ritenersi più forte il piacere, e perciò l’utile, tratto dall’uomo rispetto al dolore animale. Ogni spiegazione utilitaristica si ritorce contro se stessa in mancanza del riferimento al diritto naturale.   

Se esistono i diritti fondamentali degli uomini, considerati come individui, tali diritti, in quanto naturali, non possono essere soltanto umani.

Non vi è da meravigliarsi che nel mare del soggettivismo, del pluralismo e del relativismo della filosofia contemporanea soltanto Robert Nozick, tra i filosofi che non si siano in modo specifico dedicati alla questione dei diritti animali,[2] abbia sostenuto, nel proporre un modello di spiegazione dell’origine della società, il diritto naturale, estendendolo coerentemente agli animali non umani, anche se ne tratta in poche pagine dell’opera principale Anarchia, Stato e utopia, 1974). Tale diritto consegue coerentemente dall’avere superato i vincoli morali, e perciò antropocentrici, del diritto. Scrive Nozick: “ Se ci fossero esseri provenienti da un’altra galassia e se stessero rispetto a noi nella posizione in cui stiamo di solito rispetto agli animali, questi esseri sarebbero giustificati a trattarci come mezzi alla maniera utilitaristica? Gli organismi sono forse collocati su una scala ascendente, in modo che uno qualsiasi di essi può essere sacrificato o fatto soffrire perché quelli che non sono più in basso nella scala conseguano un maggior vantaggio totale? ...Questi esseri proclamano che noi possiamo essere sacrificati per il loro benessere...Le nostre dottrine morali permettono il nostro sacrificio a profitto delle superiori capacità di questi esseri? ...Le conseguenze non riguardano unicamente la questione se esseri superiori possano sacrificarci a loro vantaggio. Riguardano anche la questione  di quel che noi dovremmo fare”.[3] Osserva Nozick che non è possibile ammettere che abbia significato soltanto la vita di coloro che siano capaci di regolare la propria vita secondo un piano globale per darle un significato. Si potrebbe infatti sostituire all’espressione “significato della vita” il termine “felicità”. Non è infatti un imperativo categorico pretendere che la vita umana debba avere un significato. Non si può dunque pretendere che sia la qualità di esperienza di vita a stabilire i limiti di ciò che l’uomo può fare agli animali. Quanto all’argomento secondo cui, se gli uomini non mangiassero animali, questi non verrebbero fatti nascere, ed è sempre meglio vivere, anche se poco, piuttosto che non nascere, Nozick osserva che, se fosse valido l’argomento per gli animali non umani, allora in uno Stato che imponesse limiti demografici una coppia che avesse superato il limite stabilito di figli farebbe bene a farne nascere altri per poi sacrificarli per qualche uso gastronomico giunto che fosse ad una certa età. “Si supponga che mangiare animali non sia necessario alla salute...Quindi il vantaggio di mangiare animali sta nei piaceri del palato...Il problema è questo: questo piacere, o piuttosto l’aggiunta marginale a questo piacere, supera in valore il valore morale che si deve dare alle vite e alle sofferenze degli animali? Stabilito che gli animali devono contare qualche cosa, il vantaggio supplementare ottenuto mangiandoli al posto di prodotti non animali è maggiore del costo morale?...Potremmo esaminare il caso della caccia, in cui suppongo che non sia giusto inseguire e uccidere animali per puro divertimento”.[4]

Condannata in proposito qualsiasi concezione utilitaristica, che giustificherebbe il rispetto degli animali non umani sulla base della considerazione che anche gli animali non umani hanno interessi, per cui la felicità totale deve essere calcolata considerando tutti i viventi, Nozick precisa che gli animali non umani non possono essere impiegati o sacrificati per il vantaggio umano, né è mai stato dimostrato che mangiare carne sia necessario alla salute e non dipenda piuttosto da una questione di palato. Ogni concezione etica dei diritti presuppone una differenza radicale tra gli uomini e gli altri animali. Ma la questione, come disse già Jeremy Bentham, non è se gli animali non umani siano capaci di parlare, ma se siano capaci di soffrire. Pertanto nello Stato minimo di Nozick la libertà e i diritti naturali non sono limitati agli esseri umani.[5]

 Dobbiamo lasciare la filosofia per trovare nomi noti o famosi di vegetariani nel XIX e nel XX secolo. Tra questi ricordiamo Tolstoj che, divenendo vegetariano nel 1885, si fece promotore del pacifismo vegetariano e Richard Wagner, che considerò il vegetarianesimo l’alimentazione naturale, Einstein e Ghandi, che (in Le basi morali del vegetarianesimo) contrastò l’idea che la dieta vegetale rendesse deboli, passivi e abulici, precisando: “Sono convinto che la carne non sia alimento adatto alla nostra specie; il nostro errore è di imitare gli animali inferiori perché noi siamo esseri superiori”. Anche Geroge Bernard Shaw fu vegetariano (dall’età di 25 anni) e morì nonagenario. I medici che gli avevano sconsigliato il vegetarianesimo morirono tutti prima di lui. In tarda età rispose a chi gli domandava come facesse ad apparire giovane: “Io dimostro la mia età. Sono gli altri che sembrano più vecchi. Stranamente troviamo anche Isaac Bashevis Singer (Nobel per la letteratura), ebreo, che si rammaricò di essere divenuto vegetariano soltanto a 55 anni. Egli disse che il vegetarianesimo non era in contrasto con il suo essere ebreo, precisando che siamo tutti creature di Dio e che non aveva senso chiedere a Dio clemenza e giustizia continuando ad uccidere animali. Come potesse affermare una mancanza di contrasto con la religione ebraica è inspiegabile. Mancano in questi uomini citati le riflessioni sul diritto naturale, sostituito da considerazioni morali, anche se non antropocentriche.


[1]Lectures, cit. da Stuart Mill, in Tom Regan-Peter Singer, Diritti animali e doveri umani, Torino 1987, pp. 135-36. 

[2]Se si prescinde dall’ambito specifico della teoria dei diritti degli animali, in cui emergono i nomi di Tom Regan (statunitense), autore di Diritti animali (1983, Garzanti 1990)  e Peter Singer (australiano), autore di Liberazione animale (1975, L.A.V. 1986) e di Etica pratica (1979, Liguori 1989). Il primo fa riferimento al diritto naturale mentre il secondo ad una concezione utilitaristica.   

[3] Anarchia, Stato e utopia (1974), Le Monnier 1981, pp.48 sgg.

[4]Ibid., p.39.


[5]Ibid., pp. 38-41.

2 commenti:

Alessio ha detto...

Anch'io tendo più all'odio che all'amore, ma credo che in definitiva le due forze siano molto più vicine di quanto si creda: infatti una persona davvero orientata al bene e moralmente sana è spinta naturalmente all'odio e all'avversione verso le ingiustizie e i soprusi di ogni tipo, quindi anche l'odio può essere visto come amore per il bene e per la giustizia. Conta quindi comprendere l'oggetto dell'odio per giudicarlo, infatti una persona può essere cattiva ed amare quindi le ingiustizie e il male in tutte le sue forme, il suo "amore" non è altro se non odio per il bene.
Per quanto riguarda l'indifferenza verso le sofferenze umane, beh, io penso che in molti casi essa è quasi giustificata dal vedere come molte persone siano a loro volta meschine, crudeli e ciniche, quindi alla fine è come se meritassero anche il male o perfino lo costruiscono con le loro azioni ed esso si ritorce come un boomerang contro di loro. Eppure personalmente, pur non essendo incline alla compassione, riesco ugualmente a rispettare i miei simili e i loro diritti. A questo proposito Il filosofo Kant inoltre critica anche il concetto di "compassione" come fondamento dell'etica, in quanto esso è assolutamente soggettivo e quindi non può aspirare ad essere una regola per tutti gli uomini.

Pietro Melis ha detto...

NO. L'etica di Kant è fondata sulla RAGIONE (Critica della ragione pura pratica): "Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre come principio di una legislazione universale". La formula del diritto dice: "Agisci esternamente in modo che il libero uso del tuo arbitrio possa accordarsi con la libertà di ogni altro secondo una legge universale". Come si vede, il diritto presuppone la libertà propria del soggetto morale. Fu Schopenhauer a concepire la morale fondata sull'istinto di compassione. Ad esso, secondo Schopenhauer, si oppone l'istinto di crudeltà. Le norme della giustizia, secondo Schopenhauer sono fondate sulla compassione, con la conseguente confusione tra morale e diritto. Kant distinse tra morale e diritto, ma ritenne che il diritto naturale,fondamento di ogni diritto, valesse solo per i soggetti morali,così escludendo gli animali dal diritto naturale, precisando che nei confronti degli animali vi fossero soltanto doveri, tra cui quello di evitare delle crudeltà. Come se potessero esistere dei doveri senza corrispettivi diritti. Da qui la sua concezione antropocentrica del diritto naturale,come in tutto il giusnaturalismo moderno, che identificò il diritto naturale con il diritto della ragione. Come se la natura fosse solo quella umana. La malattia dell'antropocentrismo contagiò anche Kant. Come avrebbe potuto diversamente rinunciare alle bistecche accompagnate da un bicchiere di vino?