martedì 28 maggio 2019

IL CANE PAVEL E UN PARROCO CHE NE IMPEDISCE L'INGRESSO IN CHIESA...

...in occasione dei funerali del proprietario. Questo parroco (la cui vita vale meno di quella di un cane) ha detto che S. Francesco avrebbe fatto lo stesso. E' vero. Infatti questo papa ha assunto il nome Francesco facendo riferimento a quel Francesco di Assisi che era un carnivoro e che degli animali se ne fregava (come risulta dall biografia scritta da Tomaso da Celano). Come se ne frega l'attuale papa (mancato macellaio avendo detto che da bambino aspirava a fare il macellaio). Mai, provenendo dall'Argentina, avrebbe fatto riferimento a San Francesco da Paola, vegano e vissuto 91 anni.  I parenti avrebbero dovuto imporsi a questo pretaccio ignorante facendogli presente che non esiste un divieto ufficiale di introdurre un cane in chiesa. Ricordo l'esempio di Don Canciani, che nella basilica  di San Giovanni dei Fiorentini a Roma faceva entrare tutti gli animali. Era vegetariano e permetteva ai propri fedeli di introdurre in chiesa animali domestici come cani e uccellini, ai quali poteva essere impartita la benedizione. Nel libro Ultima cena dagli esseni avallò la tesi storica secondo cui Gesù  – celebrando la pasqua con il calendario esseno – non avesse voluto cibarsi della carne di agnello, sacrificandosi egli stesso come Agnello al posto di ogni altro innocente. Per queste ragioni, Canciani esortava i fedeli a non mangiare l'agnello a Pasqua; a questo proposito, dichiarò in un'intervista:

«Cristo era vegetariano e tutti i fedeli dovrebbero imitarlo. Nei giorni scorsi, in chiesa ho invitato i miei parrocchiani ad astenersi dal consumare la carne di agnello. Lo ripeto: è inutile che noi pronunciamo, durante la messa, l'Agnus Dei e poi subito dopo corriamo a mangiarlo. Ci vorrebbe maggiore coerenza, maggiore rispetto. Invece...»
Nel libro Nell'arca di Noè: religioni e animali (Il Carroccio, 1990) argomentò la tesi secondo cui anche gli animali hanno un'anima. Dichiarò più volte che «anche per gli animali c'è posto in paradiso» e, nonostante le critiche rivoltegli da alcuni ecclesiastici tradizionalisti, poté sempre contare sulla particolare simpatia di Paolo VI  e su quella degli altri papi. 
Il teologo  Paolo De Benedetti ha concentrato alcuni suoi studi teologici sulla teologia degli animali, ossia sulla possibilità, in un'ottica giudaico-cristiana, che gli animali e tutti gli esseri viventi possano rientrare nel piano di salvezza divino realizzato per l'uomo. La sensibile sofferenza patita dagli animali, la loro "intrinseca fragilità", fanno intuire al teologo la possibilità di un loro escatologico riscatto finale: "... lo sguardo dell'animale che patisce, - al pari di quello del bambino che soffre, dell'uomo che muore, del perseguitato inerme - 'mostra', in maniera inequivocabile, da che parte inclina - non so se si possa davvero dire così - lo sguardo di Dio" (Gabriella Caramore, premessa a Teologia degli animali, pp. 7–8). Lo stesso Messia sofferente, secondo De Benedetti, "... appare negli occhi di un cane che muore" (p. 82).
Dissento  Da Canciani e da De  Benedetti  che hanno voluto far passare Gesù come vegetariano in quanto appartenente alla setta degli Esseni. Tesi riproposta da Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazareth. Tesi che contrasta con il fatto che l'ultima cena fu una cena pasquale nel senso ebraico (con uccisione dell'agnello sacrificale). Lo ha documentato la teologa ex cattolica Uta Ranke-Heinemann nel suo libro Così non sia. Introduzione al dubbio di fede. Ma hanno ragione tutti e due (e con essi Benedetto XVI) nell'affermare che con il sacrificio della croce doveva ritenersi chiusa la tradizione ebraica in quanto Gesù si era presentato come l'agnello sacrificale una volta per tutte.   
Il pretaccio che ha impedito l'ingresso del cane in chiesa ignora un passo dell'Epistola ai Romani (8,21) di S. Paolo, dove si dice: 
"Le cose create furono sottoposte all'insulsaggine peccatrice, non di loro volontà, ma in forza di colui che ve la sottopose, nella speranza che anch'esse, le cose create, saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per ottenere la libertà propria della gloria di Dio. Sappiamo infatti che tutte le cose create gemono insieme e soffrono insieme le doglie del parto fino al momento presente. Non solo queste, ma anche noi che abbiamo il primo dono dello Spirito, a nostra volta gemiamo in noi stessi, in attesa dell'adozione a figli, del riscatto del nostro corpo".

Queste frasi vengono così commentate dal teologo gesuita Ugo Vanni, che ha curato l'introduzione, la versione e le note di commento all' Epistola ai Romani (Edizioni San Paolo 2003):" Viene spiegato l'oggetto della speranza: le creature - perfino loro - parteciperanno alla gloria completa dei figli di Dio, che sarà caratterizzata dalla liberazione da ogni negatività, da ogni male sia morale che fisico. Ad essa parteciperanno anche le creature liberate dallo stato di sottomissione forzata in cui si trovano adesso, cioè dalla schiavitù della corruzione. Possiamo dire che in questa espressione è racchiuso quello che è il peccato originale delle cose create: una carenza dell'ordine fisico messa in relazione col peccato dell'uomo. Data la personificazione letteraria di tutto il contesto, non possiamo affermare con esattezza in che consiste questa carenza. Forse si tratta delle continue trasformazioni a cui è soggetta la natura e che implicano l'evoluzione, quindi un superamento da attuarsi progressivamente, e, perciò che è superato, il venir meno, della corruzione. Una volta raggiunto il punto massimo dell'evoluzione, la natura potrebbe considerarsi liberata dalla corruzione. Ma, mente questa e altre ipotesi sono dei tentativi di spiegazione, resta certo il fatto fondamentale: la salvezza si estende a tutto l'universo, umano, infraumano, fisico".            
 Il commento lascia capire che per San Paolo tutte le creature, e perciò non solo gli uomini, fanno parte di una unica natura e che per tale motivo anche gli animali, coinvolti nella corruzione della natura a causa della corruzione dell'uomo, saranno salvati dopo avere sopportato le sofferenze della natura corrotta dall'uomo e faranno parte anch'essi dopo la morte della gloria di Dio. Questa comunanza tra uomini e animali dovrebbe essere supportata dalla considerazione di San Paolo  che "tutte le cose create gemono insieme e soffrono insieme le doglie del parto". In sostanza, S. Paolo sembra dire che anche gli animali dopo la morte saranno assunti come figli di Dio in una vita ormai priva della corruzione della natura causata dall'uomo.     
 Al funerale del suo padrone, il cane deve aspettare fuori dalla chiesa ...
2 giorni fa - E allora, per consolare Pavel - che con il suo cuore di cane sente tutto il dolore del distacco dal suo amico umano - in tanti sono usciti per fargli ... 

2 giorni fa - Per tutta la funzione, che si è tenuta sabato mattina alla parrocchia Pier Giorgio Frassati di via Pietro Cossa 280 a Torino, il grosso Labrador è ...

1 commento:

bambilu ha detto...

ancora con questi funerali in chiesa?
E' un'assurdità come gli "allegri" che si sposano vestiti di bianco, dove una lei è vestita da maschio ed una lei vestita da femmina. E chi se la scorda la Congia...ta in quella maniera? Ciò prova che anche se i maschi non si vestono da femmina per il matrimonio, non ancora, c'è sempre
chi fa la femmina e chi fa il maschio. Se non sono disturbati questi...