Henri Désiré Landru
Scontro Brancaccio Giannino - YouTube | |
www.youtube.com/watch?v=6re3NyRt3TQ9 May 2010 - 5 min - Uploaded by emilianobrancaccio Uno scontro tra Emiliano Brancaccio dell'Università del Sannio e e il giornalista Oscar Giannino. (Tratto da www ... Ho sentito il prof. Brancaccio alla trasmissione PIAZZA PULITA de LA7 dire cose interessanti sulla responsabilità che ha l'euro della situazione finanziaria in cui ci troviamo. L'ho sentito dire della colpa che ha la Germania nel trattare gli altri Stati della zona euro secondo i suoi soli interessi ai fini dell'esportazione in tali Stati e proporre un ricatto alla Germania minacciando di fare esplodere il mercato unico facendo esplodere anche l'euro. Ma non ho ben capito se Brancaccio sia favorevole al ritorno alle monete nazionali. Su questo ho scritto nel mio recente post del 10 novembre. Poi sono andato a vedere il sito di Brancaccio, e, saltando, purtroppo, tutte le parti tecniche esposte con formule matematiche e diagrammi, sono riuscito a capire che Brancaccio è un antiliberista (come me) e si dichiara appartenente all'indirizzo dell'economia "critica" ponendosi a fianco di Marx e di Keynes nel rilevare l'importanza determinante che ha lo Stato (contro la teoria del neoclassicismo dei marginalisti che vedevano nel liberismo le regole dell'equilibrio economico tra capitale e lavoro dipendente) nel promuovere lo sviluppo economico finanziando esso stesso la crescita economica, che non può essere garantita dal liberismo, che naviga dentro le sue contraddizioni interne. Dai sui Appunti di Economia politica (programma di esame per i suoi studenti) ho tratto in particolare una considerazione che va a conferma di quanto ho scritto il 10 novembre. Il liberismo facilita il licenziamento, ma in tal modo aumenta la disoccupazione e conseguentemente diminuisce il consumo. Se diminuisce il consumo le aziende vendono di meno e cala il loro profitto. Dunque vi dovrebbe essere un punto di equilibrio tra domanda ed offerta. Ma questo punto di equilibrio non può essere trovato dalle singole aziende. Ecco allora quanto ho appreso in aggiunta a ciò che io stesso avevo scritto e che ora ho ripetuto pur non essendo economista. Brancaccio scrive che le aziende sono miopi perché guardano solo al loro proprio vantaggio senza considerare l'andamento di tutte le altre aziende. Se considerassero il loro profitto nel contesto di un'economia nazionale si accorgerebbero che il loro provvisorio maggiore profitto ottenuto lincenziando si ritorce contro di loro. Ma Brancaccio non mi è sembrato abbia proposto una soluzione che vada oltre la sostituzione dell'utopia dello spontaneo equilibrio tra domanda ed offerta (dei marginalisti) con il conflitto di classe (di marxiana memoria). Egli in sostanza ritiene che l'equilibrio tra domanda ed offerta (ad impedire che i salari possano scendere al ribasso secondo gli interessi capitalistici) possa essere ottenuto soltanto in una conflittualità di rapporto di forze tra capitale e lavoro. Come dire: vinca il più forte. Saranno i salariati a imporre con la loro forza le loro condizioni ai detentori del capitale. Ma allora mi domando: lo Stato dov'è? E' assente? Non dovrebbe essere lo Stato a regolare questi rapporti di forza? Ora, io, socialista e antiliberista, vado considerando una cosa. Se non si vuole proporre uno Stato comunista (e mi pare che di Stati comunisti non ne esistano più dopo il 1989, giacché anche la Cina è diventata uno Stato di capitalisti privati governati da un partito unico che non si può più chiamare comunista) quale Stato è in grado di controllare veramente l'economia perché non sia l'economia liberista (che ha fallito) a comandare sulla politica (come nella stessa cosiddetta Unione Europea, Unione dei finanzieri e degli speculatori) ma sia la politica a controllare l'economia? Mi dispiace dirlo ma debbo fare riferimento al fascismo e al nazionalsocialismo (che in due anni rimise a posto l'economia tedesca dopo il disastro economico della democratica Repubblica di Weimar). Io non ho mai trovato una vera opposizione tra comunismo e fascismo o nazional socialismo. Tanto è vero che il cofondatore (con Gramsci) del Partito comunista d'Italia Nicola Bombacci si accostò al fascismo e divenne ministro dell'economia nella R.S.I., giacché Mussolini, reso ormai libero dai ceppi della borghesia capitalistica, che egli tuttavia controllò, oltre che con il corporativismo (unione forzata degli interessi del capitale con il lavoro), anche con una seria legislazione sociale (Agip, IRI, B.N.L., Istituto maternità e infanzia, Istituto Case popolari, Cinecittà, etc., etc., demolita tutta dai governi del dopoguerra) istituì con Bombacci la socializzazione delle imprese, in cui gli operai, oltre ad avere il salario, fossero anche comparteci della proprietà delle aziende. Bombacci morì a Dongo fucilato da innocente con gerarchi fascisti gridando: viva il socialismo! Quale economia dunque vogliamo oggi? Quella che con il libero licenziamento mercifica il lavoro a favore del profitto o quella che vuole che il profitto sia regolato dallo Stato? Io ho avanzato una regola semplice (regola aurea): nessuna impresa (piccola o grande) può licenziare se non dimostri (con bilanci controllati e non truccati) che sia in passivo e che soltanto licenziando una parte del personale possa continuare la sua attività salvando il posto di lavoro degli altri. Avrei voluto che Brancaccio avesse parlato almeno una volta dell'incredbile fenomeno del signoraggio, che consiste in quel 2,5% di interesse passivo che ogni Stato della zona euro deve pagare alla Banca Centrale Europea (a Francoforte) per ogni moneta cartacea stampata in circolzione. Il signoraggio, si dice, aumenta spaventosamente il debito pubblico. Che ne pensa Brancaccio? Ad ogni modo è evidente che il liberista killer Giannino-Landru è dalla parte degli speculatori, fregandosene del tutto di coloro che creano il profitto del capitale, cioè gli operai. Avrei voluto |
Più libri, meno canne.
RispondiEliminaPiù virgole, meno parentesi. Illeggibile.
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