Si sa che la storia è scritta sempre dai vincitori. La cosa strana è che in Italia la storia degli anni '43-45 sia stata scritta dai perdenti che ritengono che l'Italia sia stata "liberata" dal fascismo dagli italiani. Non ci si dimentichi che i "liberatori" angloamericani (con al soldo anche dei marocchini che avevano avuto via libera per stuprare le donne, di cui si fa eco il romanzo La ciociara di Alberto Moravia) furono degli strani liberatori in quanto si resero colpevoli di un numero di morti superiore a quello attribuito ai nazisti nelle loro rappresaglie. I "liberatori" bombardavano edifici che non avevano alcuna importanza come obiettivi di guerra. Basti ricordare il bombardamento del quartiere di S. Lorenzo a Roma, la distruzione totale dell'antico monastero di Montecassino, i bombardamento persino su una città come Cagliari che era praticamente fuori della guerra. Ci si ricordi della distruzione in Germania della città di Dresda, con 200 mila morti, quando ormai si era già alla fine della guerra. "Liberatori" che avevano in animo come scopo principale quello di terrorizzare la popolazione, non capendosi a che cosa fosse indirizzato questo scopo se tutta la popolazione attendeva passivamente la fine della guerra.
Una storia metaculturale, non ideologica, dovrà riconoscere un giorno la responsabilità di quei partigiani che, mosche cocchiere della resistenza, fatta in realtà dagli anglo-americani, provocarono le rappresaglie dei nazisti (previste dai trattati internazionali a partire dalla Convenzione dell'Aja del 1907). Ai sensi dell'art. 42 di tale Convenzione “la popolazione ha l'obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi”. E l'art.1 della stessa Convenzione (come ribadito dalla Convenzione di Ginevra del 1929)1 pone come condizione che i corpi di volontari affianchino gli eserciti regolari, siano riconoscibili in base ad una divisa, rispondano ad un responsabile e portino apertamente le armi. E lo stesso Tribunale di Norimberga al caso 9 disse: “Le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui essi si verificano possono essere giustificati. Ciò in quanto l'avversario colpevole si è comportato a sua volta in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di impedire all'avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro”.Lo stesso Tribunale ritenne equa la proporzione di 10 ad 1. Certamente perché gli stessi alleati tra il 1944 e il 1945 avevano anch'essi, quando pure non attuato, minacciato rappresaglie da una proporzione minima di 1 a 25 ad un massimo di 200 a 1. 2 E nel processo che si svolse a Mestre nel febbraio del 1947 contro Kesserling (conclusosi con sentenza di condanna a morte, commutata in ergastolo e seguita da concessione di libertà dal 1952) la Corte accolse la tesi, formulata dalla stessa pubblica accusa, che la rappresaglia era legittima, ma aggiunse che Kesserling doveva essere accusato del fatto che per errore erano state uccise 335 persone invece di 330. E per quanto riguarda le stragi che furono compiute tra l'agosto e il settembre del '44, culminanti in quella di Marzabotto si riconobbe da parte dello stesso pubblico Ministero che Kesserling si trovò ad affrontare “alcune persone irresponsabili con le quali non poteva negoziare e ai cui capi non poteva dire: controllate i vostri uomini”.3
Una storia metaculturale, non ideologica, dovrà riconoscere un giorno la responsabilità di quei partigiani che, mosche cocchiere della resistenza, fatta in realtà dagli anglo-americani, provocarono le rappresaglie dei nazisti (previste dai trattati internazionali a partire dalla Convenzione dell'Aja del 1907). Ai sensi dell'art. 42 di tale Convenzione “la popolazione ha l'obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi”. E l'art.1 della stessa Convenzione (come ribadito dalla Convenzione di Ginevra del 1929)1 pone come condizione che i corpi di volontari affianchino gli eserciti regolari, siano riconoscibili in base ad una divisa, rispondano ad un responsabile e portino apertamente le armi. E lo stesso Tribunale di Norimberga al caso 9 disse: “Le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui essi si verificano possono essere giustificati. Ciò in quanto l'avversario colpevole si è comportato a sua volta in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di impedire all'avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro”.Lo stesso Tribunale ritenne equa la proporzione di 10 ad 1. Certamente perché gli stessi alleati tra il 1944 e il 1945 avevano anch'essi, quando pure non attuato, minacciato rappresaglie da una proporzione minima di 1 a 25 ad un massimo di 200 a 1. 2 E nel processo che si svolse a Mestre nel febbraio del 1947 contro Kesserling (conclusosi con sentenza di condanna a morte, commutata in ergastolo e seguita da concessione di libertà dal 1952) la Corte accolse la tesi, formulata dalla stessa pubblica accusa, che la rappresaglia era legittima, ma aggiunse che Kesserling doveva essere accusato del fatto che per errore erano state uccise 335 persone invece di 330. E per quanto riguarda le stragi che furono compiute tra l'agosto e il settembre del '44, culminanti in quella di Marzabotto si riconobbe da parte dello stesso pubblico Ministero che Kesserling si trovò ad affrontare “alcune persone irresponsabili con le quali non poteva negoziare e ai cui capi non poteva dire: controllate i vostri uomini”.3
Inoltre,
i partigiani non potevano pretendere di essere rappresentanti del
popolo, rimasto pressoché passivo o indifferente ad essi
nell'Italia occupata dai nazisti (come dimostrerà il
referendum che vide prevalere di poco la repubblica sulla monarchia –
pur responsabile del fascismo - soltanto per il sospetto di brogli
elettorali). Il cosiddetto Comitato di Liberazione Nazionale,
giuridicamente inesistente, in quanto costituito da individui che si
erano autoinvestiti di un potere politico, non fu mai ufficialmente
riconosciuto dalle forze belligeranti. Dagli Alleati e dal governo
monarchico fu riconosciuto, e solo dal 7 settembre 1944 (Protocolli
di Roma) il Corpo dei
Volontari della Libertà, al comando del generale Raffaele
Cadorna e a condizione che esso operasse a fianco degli Alleati. Ma
il CLN accettò solo nominalmente tale accordo per darsi una
veste giuridica, mentre le varie bande partigiane continuarono ad
operare indipendentemente da esso e separatamente tra loro.
Una
parte di esse, formata da comunisti e dai loro fiancheggiatori, come
Pertini, rifiutò infatti di consegnare agli americani
Mussolini, contro la volontà degli emissari del governo regio
di Badoglio, e ordinò che Mussolini fosse fucilato forse anche
per timore che egli potesse rendere pubblico un carteggio con
Churchill, che, facendo il doppio gioco - con la promessa nascosta di
Nizza, (a spese dell'alleata Francia) e della Dalmazia all'Italia -
pare avesse indotto Mussolini ad entrare in guerra perché,
considerata ormai persa la guerra – quando gli Stati Uniti non
erano ancora intervenuti – moderasse le pretese della Germania. 4
Quando
verranno tolte le medaglie agli assassini materiali che, causando
anche vittime civili, il 23 marzo del 1944 provocarono, in una strada
di Roma (via Rasella) la rappresaglia delle Fosse ardeatine, perché
vigliaccamente rifiutarono di costituirsi, allora finalmente si
inizierà a rendere giustizia alle vittime della rappresaglia,
come a quelle di altre.5
I mandanti dell'attacco proditorio, e perciò i maggiori
responsabili della rappresaglia, furono i componenti di una sedicente
Giunta militare del sedicente Comitato di Liberazione Nazionale
(CNL). Di tale Giunta erano responsabili Giorgio Amendola (uno dei
futuri capi del P.C.I.), Riccardo Bauer (Partito d'Azione) e Sandro
Pertini (socialista), un fanatico che poi cercò di scaricare
su Amendola la responsabilità dicendo che non era stato
informato della decisione di porre in atto l'attentato terroristico e
fu premiato con la presidenza della Repubblica. E fu principalmente
lui a volere ad ogni costo la morte di Mussolini sovrapponendosi al
governo monarchico (riconosciuto dagli alleati) e impedendo che
Mussolini, tramite l'accordo cercato con il cardinale Schuster, si
consegnasse agli americani, come da essi richiesto in quanto veri
legittimati a chiederne la consegna, e non i cosiddetti partigiani,
che, pur privi di qualsiasi autonoma legittimazione politica,
volevano acquisirla decidendo, con la loro ala oltranzista, di
passare per le armi tutti i gerarchi della Repubblica Sociale, senza
alcun processo, come si fece, invece, a Norimberga. Fu assassinato
dai comunisti persino Nicola Bombacci, che, uomo mite, teorizzatore
della socializzazione delle imprese, era stato prima segretario del
partito socialista e poi cofondatore nel 1921 del partito comunista,
delegato a Mosca dei comunisti italiani nel 1920 ed amico di Lenin,
ma espulso nel 1923 dai miopi del suo partito quando alla Camera
propose un'alleanza tra fascismo e comunismo sovietico, capendo
l'affinità tra le origini socialiste del fascismo e il
comunismo sovietico sino a quando condannò la svolta
staliniana. Nella Repubblica sociale, dove fu consigliere economico
di Mussolini, continuava a chiamare “compagni” gli operai. Morì
gridando:”Viva il socialismo”. Mussolini, anche contro la
volontà di quei partigiani che l'avevano arrestato nella sua
fuga verso la Svizzera, disposti a consegnarlo agli americani, fu
sottratto ad essi da una banda di assassini che, al comando di una
cupola di fanatici (in prevalenza formata da comunisti, ma tra cui si
trovava anche Pertini), furono inviati da Milano a Dongo per
anticipare l'arrivo a Milano degli americani e permettere a questi
fanatici vigliacchi di fregiarsi di fronte ai vincitori di
un'autorità che non avevano e di dare poi in pasto ad una
folla scatenata la visione dei cadaveri appesi a testa in giù
in piazzale Loreto. Quella stessa folla che, come commentò
con disprezzo lo stesso Leo Valiani, leader del Partito d'Azione (e
uno dei mandanti dell'assassinio di Mussolini), non era mai stata
antifascista. E ora saltava indegnamente sul carro dei vincitori. E
poi si parla di guerra di liberazione. Come se fosse stata una guerra
di popolo.
I
vigliacchi partigiani (per lo più comunisti) agivano sempre
proditoriamente con imboscate esponendo le popolazioni alle
rappresaglie con il rifiuto di presentarsi. Nel processo contro
Kappler (Tribunale Militare di Roma, 20 luglio 1948) – che
riconobbe che l'attentato era da ritenersi illegittimo secondo il
diritto internazionale - il Bentivegna disse di avere ricevuto
l'ordine di attaccare il battaglione di altoatesini e che si sarebbe
presentato se fosse stata richiesta dai tedeschi la presentazione
degli attentatori, che, invece, non vi sarebbe stata perché
sarebbe stato deciso dai tedeschi di attuare comunque la
rappresaglia. Ma la stessa accusa riconobbe che già due mesi
prima erano stati affissi dei manifesti preannunciando rappresaglie
per gli attentati: Soltanto il 28 marzo 1974 (settimanale “Panorama”)
si fece vivo un testimone (Domenico Anzaldi) per dire che la sera
stessa dell'attentato era stato affisso un manifesto sui muri di
Roma.6
Non basta. Questo principale manovale dell'attentato cambiò
versione quando si accodò a quanto Paolo Emilio Taviani, ex
partigiano ed esponente dei passati governi democristiani, dichiarò
nel 1977 al quotidiano Il
Giornale (del 10
luglio 1997 affacciando la tesi che “l'attentato di via Rasella fu
un atto di guerra compiuto dai partigiani, non per regolamento di
conti al loro interno (questa è un'altra versione, che
vorrebbe che i partigiani comunisti volessero sbarazzarsi di quelli
non comunisti o anche di quelli comunisti non affiliati al P.C,I. che
si trovavano già in carcere, in modo da farli finire vittime
della prevedibile rappresaglia – n. d. r.),7
ma su richiesta dei comandi alleati. L'azione doveva alleggerire la
pressione delle forze tedesche che impedivano l'avanzata
angloamericana verso Roma”.8
La tesi apparve a chi non fosse disonesto del tutto insostenibile.
Non si era mai affacciata prima d'allora una simile tesi. Se fosse
stata vera la banda degli attentatori, a incominciare dal Bentivegna,
sarebbe stata la prima a dirlo. Invece la banda tacque di fronte alla
tesi di Taviani, smentendo così se stessa, giacché lo
stesso Bentivegna aveva detto che tutto era stato programmato
all'interno della “giunta militare” del CLN, anche se poi,
all'interno di questa asserita giunta, Amendola, come detto, si
assunse inverosimilmente la responsabilità per tutti, non
sconfessando Bauer e Pertini, che, per ridurre al minimo le
responsabilità, disse che egli e Bauer erano ignari della
decisione presa da Amendola.
Per
salvare questa banda di assassini si mosse subito il governo Badoglio
(dimentico della sua connivenza con il fascismo e delle stragi da lui
operate in Etiopia) e provvide subito ad una amnistia con decreto
legge n.96 del 5 aprile 1944 e con quello del 12 aprile, n. 194,
riconoscendo retroattivamente questa banda come composta da legittimi
belligeranti. Era infatti già incalzato dai partiti
antifascisti, che sarebbero entrati organicamente nel II governo
Badoglio il 22 aprile, con Togliatti vicepresidente del Consiglio. Se
gli attentati fossero stati azioni di guerra non ci sarebbe stato
bisogno di amnistia. Ciò in contrasto con l'ordine che lo
stesso Badoglio aveva diramato di evitare di fare attentati nelle
città proprio per evitare prevedibili rappresaglie.9
I
parenti delle vittime delle Fosse Ardeatine si videro negato il
risarcimento dei danni nella causa promossa nel 1949, conclusasi
negativamente in tre gradi del giudizio con la sentenza della
Cassazione del 9 maggio 1957 che riconosceva che l'attentato era
stato un'azione di guerra condotta da “legittimi belligeranti”.
Ciò
in contrasto con la citata sentenza del Tribunale militare del 1948
(processo Kappler), a cui si aggiunse la sentenza del Tribunale
Supremo Militare del 26 aprile 1954, che stabiliva che, per espresso
disposto dell'art. 1 del Decreto legge 6 settembre 1946, n.93 i
partigiani non potevano essere considerati belligeranti. 10
.
Però la Corte Costituzionale, abrogando l'art. 270 del codice
penale militare, che vietava la presenza di parti civili in un
processo militare, permise che i familiari delle vittime e il Comune
di Roma alla fine degli anni '90 si costituissero parte civile nel
processo militare e civile contro Priebke, ritenuto uno dei
responsabili dell'attuazione della rappresaglia. Così si passò
giudiziariamente dalla tragedia alla farsa. Si immagini che cosa
avrebbero potuto avere i familiari delle vittime delle Fosse
Ardeatine da Priebke, a parte l'età ormai avanzata. Lo Stato
avrebbe dovuto pagare il risarcimento dei danni ai parenti. Ma come
avrebbe potuto farlo se non riconoscendo di essere nato dalla
complicità con coloro che furono degli assassini? In
alternativa i parenti delle vittime avrebbero dovuto chiedere i danni
allo Stato tedesco, che infatti pagò i danni ai parenti degli
ebrei morti nei lager. Ma per ragioni di amicizia con la nuova
Germania lo Stato italiano non fece nemmeno questo. Oppure agì
ipocritamente non sentendosi giudiziariamente forte nel sostenere di
fronte alla Germania che l'attentato fosse un'azione di guerra. E
così preferì scaricare le colpe su chi non avrebbe
potuto pagare. Gli bastò aver trovato un capro espiatorio per
salvare la faccia.11
Basta
ripercorrere le varie fasi del processo contro Priebke per accorgersi
della confusione ideologica in cui esso si svolse. Assolto per
prescrizione del reato dal Tribunale militare di Roma l'1 agosto
1996, la sentenza fu cambiata dal Tribunale in una condanna, prima a
15, poi a 10 anni dopo che la prima sentenza fu annullata dalla
Cassazione, sensibile al tumulto suscitato nella stessa aula alla
lettura della prima sentenza e alla reazione del governo, a sua volta
sensibile al tumulto alimentato soprattutto dalle comunità
ebraiche, senza le quali quasi certamente la Cassazione non sarebbe
intervenuta. Da notare che Kappler nel 1948 era stato condannato
all'ergastolo solo per il fatto di essere stato responsabile per
sbaglio di cinque vittime in più alle Fosse Ardeatine e di
averne aggiunto altre dieci dopo la morte in ospedale di un altro
soldato rimasto ferito in via Rasella, mentre Priebke fu riconosciuto
colpevole della morte di tutte le 335 vittime. La Corte d'Appello nel
marzo del 1998 condannò Priebke all'ergastolo, con conferma
della Cassazione nel mese di novembre (che celerità!). Ma poi,
a causa dell'età, fu concessa a Priebke la detenzione
domiciliare. Il 12 giugno gli fu concesso di uscire di casa per
recarsi nello studio del suo avvocato. Ma le comunità degli
ebrei – che si credono ancora l'ombelico dell'umanità e che
credono di poter vivere di rendita per tutto l'avvenire a motivo
dell'asserito olocausto – ottennero dal magistrato dell'ufficio di
sorveglianza, e poi dalla Cassazione il 3 novembre 2007, che fosse
revocato tale permesso.
Indro
Montanelli – che si era visto sequestrare su querela dei vigliacchi
attentatori di via Rasella il volume “L'Italia della guerra
civile” (scritto con Mario Cervi) perché aveva ritenuto gli
attentatori responsabili della rappresaglia – per quieto vivere il
22 marzo 1998 (Corriere
della sera) si limitò
a condividere il giudizio di Enzo Forcella secondo cui l'attentato
era privo di rilevanza militare, suggerendo ingiustamente che non si
disseppellissero i cadaveri e non si tenessero ancora aperti i conti
con il processo contro Priebke, che, invece fu condannato. E il 26
marzo aggiunse che non si poteva tenere aperta un caso giudiziario
dopo che 50 anni prima era passata in giudicato una sentenza di
assoluzione che aveva riconosciuto colpevole Kappler e non i suoi
subordinati, come Priebke. Concludeva scrivendo che non si poteva
continuare ad avvelenare il presente compromettendo il futuro. Ma in
sede storica il passato deve essere rivisitato, non per avvelenare il
presente, ma per illuminarlo alla luce della verità. E la
verità è scomoda per uno Stato nato dalla disonestà.
Il
Gip Pacioni, affiancato dai familiari delle vittime nel processo
contro Priebke, quando respinse la richiesta di archiviazione per le
responsabilità dei partigiani, fu assalito da tutta la
sinistra, compreso l'attuale capo di Stato Napolitano, che, insieme
con tanti altri del suo partito, definì “aberrante” la
decisione del Gip, che fu sottoposto ad un linciaggio morale e
minacciato, per cui rinunciò all'incarico. Anche
l'intellighenzia giornalistica, ben rappresentata a sinistra dall'ex
partigiano Giorgio Bocca (La
Repubblica, 28.6.97),
si scatenò contro il Gip cercando di ridicolizzarlo.
L'ineffabile capo dello Stato di allora, Scalfaro, disse che non si
poteva portare la storia in Tribunale dopo 50 anni. Seguì a
ruota Prodi con una frase assai simile. E perché allora dopo
53 anni si portò in giudizio Priebke?
Per
contrasto non si può non citare la luminosa figura del
carabiniere Salvo d'Acquisto, che a Palidoro (a pochi km da Roma),
dopo che una bomba - che si trovava in una cassa di munizioni
ispezionata da alcuni componenti del corpo di S.S. che si era
acquartierato in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza -
scoppiò uccidendone uno e ferendone due, sacrificò la
sua vita per evitare la fucilazione, per rappresaglia, di 22 ostaggi
presi tra la popolazione civile. Si disse che la bomba fosse
scoppiata accidentalmente. Come mai fu trovata dai nazisti quella
cassa nonostante la caserma fosse stata abbandonata? I finanzieri
l'avevano dimenticata lì? La cosa appare inverosimile. I
nazisti sapevano che d'Acquisto era innocente, ma preferirono evitare
la rappresaglia facendo finta che fosse lui il colpevole, e solo lui.
Né si possono dimenticare i carabinieri Vittorio Marandola,
Alberto La Rocca e Fulvio Sbarretti, che anch'essi, a Fiesole, si
sacrificarono per salvare dieci ostaggi innocenti. Questi furono veri
patrioti, non gli scellerati partigiani, soprattutto quelli
comunisti, che avevano in mente non tanto il progetto di combattere
contro il nazismo, ma quello di combattere per una rivoluzione
comunista, strumentalizzando i partigiani non comunisti.12
Non
voglio e non posso addentrarmi nei particolari di altre stragi, che
furono tali più che rappresaglie, come quella commessa ai
nazisti a Marzabotto. Infatti in questi casi furono uccisi
indiscriminatamente anche dei bambini, e senza alcun preavviso che
permettesse un'alternativa alle stragi. Si disse subito che i morti
fossero stati 1800, mentre oggi si sa che furono 750. Ma il minore
numero accertato non diminuisce la gravità della strage.
Nonostante ciò, anche in questo caso non si deve nascondere la
verità che fu all'origine della rabbiosa vendetta dei nazisti.
La propaganda ideologica ha voluto tacere di questa verità.
Nel settembre del 1944 i nazisti erano ormai in fuga ed avevano già
abbandonato la difesa della linea gotica. Il maresciallo Kesserling
volle assicurarsi almeno che la ritirata potesse compiersi
indisturbata, senza ulteriori attacchi proditori delle bande dei
partigiani, che nella zona di Marzabotto e degli altri paesi ad esso
vicini avvenivano soprattutto per le frequenti incursioni di una
brigata di partigiani comunisti chiamata Stella Rossa. Perciò
inviò una delegazione per contrattare la pacifica ritirata del
suo esercito. Ma la
delegazione non tornò mai perché i suoi componenti
furono uccisi dai partigiani.
Questo fu un atto di pazzia, che contravveniva ad una delle più
antiche tradizioni in tempo di guerra, che voleva che fossero fatte
salve le vite dei componenti di un'ambasceria. La reazione nazista fu
feroce, folle, ma pari alla follia di coloro che l'avevano scatenata.
La storia dei vincitori fa apparire il male solo da una parte, ma la
verità storica deve fare apparire il male da ogni parte. La
feroce reazione nazista seguì alla vigliacca e maramaldesca
azione delle bande dei partigiani che nella loro follia volevano
apprestarsi a presentarsi come liberatori. Né si può
escludere che effettivamente una buona parte della popolazioni di
quei luoghi, che nel dopo guerra rappresenteranno la fortezza
elettorale del comunismo, fosse connivente con le bande dei
partigiani e avesse dato ad essi rifugio.13
Al contrario di quanto avvenne nei confronti dei maggiori
responsabili della rappresaglia delle Fosse Ardeatine, abbandonati a
stessi dal governo della nuova Germania, nei confronti del maggiore
responsabile della strage di Marzabotto, Walter Reder, estradato e
condannato all'ergastolo nel 1951, si mosse il governo austriaco, a
tal punto che nel 1985 ottenne perfino la grazia dal governo
italiano. Come è spiegabile ciò pur in presenza di un
numero assai maggiore di morti rispetto a quelli della rappresaglia
di Roma? Penso che, nonostante tutta l'ufficialità della
retorica di Stato, si sia voluto ammettere nascostamente la
responsabilità delle azioni maramaldesche dei partigiani che
operavano in quella zona sparando su un esercito in fuga.
L'attribuzione della medaglia d'oro a Marzabotto (il 30 settembre
1945) tradisce scioccamente la verità nel suo attribuire alla
popolazione locale - certamente oltre i limiti della sua vera azione
di fiancheggiamento attivo dei partigiani – il merito – del tutto
inesistente - di avere contribuito alla ritirata dell'esercito
tedesco e alla liberazione dei paesi circostanti, quando, invece, la
ritirata era stata già decisa. Si racconti bene ciò nei
libri di storia prima di continuare a commemorare le vittime di tali
stragi, facendole passare tutte per martiri.
1V. voce“Leggi di guerra nel XX secolo” nel sito www.cronologia.leonardo.storia.it/guerra03.htm.
2Quando
fu ucciso il generale americano Rose nel marzo del 1945 furono
uccisi per rappresaglia
110 civili tedeschi. Per le rappresaglie attuate da inglesi ed americani cfr. “1945 seconda guerra mondiale le RAPPRESAGLIE” nel sito www.cronologia.leonardo.storia.it/storia/a1945s.htm.
3 www.inilossum.it/comunismo6.html (La strage di via Rasella:un atto “eroico”).V. la descrizione del procedimento contro Kesserling in www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Processi/AlbertKesserling. Per una rassegna dei processi condotti negli anni 1947-51 contro i nazisti v. www.storicamente.org/Focardi_shoa/htm. Per conoscere la contraddittoria difesa dell'attentato di via Rasella da parte dell'Associazione Nazionale Partigiani v. www.anpibagnoaripoli/doc//testiNoteDominiciSuViaRasella.
4
V. su Google carteggio
Churchill-Mussolini. In particolare cronologia.leonardo.it e
controstoria.it.(Mussolini fucilato-da chi?).
5I
principali manovali dell'attacco proditorio, da ritenersi di natura
terroristica e non azione di guerra perché attuato fuori di
un'azione di guerra tra nemici dichiarati sono stati Rosario
Bentivegna (che fece esplodere la bomba posta in un carretto dopo
essersi travestito da spazzino), Carla Capponi, Pasquale Balsamo e
Franco Calamandrei. Gli ultimi tre avevano il compito di segnalare
al primo l'arrivo di un battaglione del reggimento (Bozen) di
altoatesini che aveva solo compiti di polizia e si dice transitasse
disarmato (almeno perché avevano l'ordine di transitare con
le armi scariche). Un gruppo di sostegno lanciò altre bombe
sulla coda del battaglione portando i morti a 32. I primi tre ebbero
nel 1951 dal presidente della Repubblica, su proposta di De Gasperi,
rispettivamente una medaglia d'argento, d'oro e di bronzo.
Evidentemente la Capponi come terrorista aveva più
benemerenze. L'attacco proditorio fu preparato da Carlo Salinari,
che negli anni '60 mi ritrovai come professore ordinario di
letteratura italiana nella Facoltà di Magistero di Cagliari.
Suo è il noto manuale di letteratura italiana adottato in
molte scuole. Di indirizzo marxista, come lo era Giuseppe Petronio,
professore di letteratura italiana, con cui detti l'esame da
studente del corso di filosofia della Facoltà di Lettere e
filosofia.
6V.
l'articolo citato “La strage di via Rasella: un atto “eroico”.
V. anche (a cura di Reno Bromuro) “L'attentato di via Rasella”,
in www.nonsoloparole.com.
(riportante un articolo di Ivaldo Giaquinto (“L'imboscata di via
Rasella. Ma questa era guerra?”, in www.italia-rsi.org.
7Tra
i comunisti non appartenenti al P.C.I. vi erano quelli di “Bandiera
Rossa” (formata da troskisti), alcuni dei quali finirono a Regina
Coeli e poi alle Fosse Ardeatine. Alcuni sopravvissuti dissero che
la loro presenza in via Rasella fu voluta dal P.C.I. per farli
cadere in una trappola e far ricadere su di essi le responsabilità.
V. di Pierangelo Maurizio “via Rasella, un mistero che dura
sessant'anni” (Il
Giornale, 12 agosto
2007), in www.mascellaro.it/taxonomy/term/35.
8 V. voce “D'Acquisto Salvo (salvatore) 23 settembre 1943 in www.cronologia.leonardo.it/storia/a1943za.htm.
9
V. cronologia.leonardo.it/storia/a1945s. Le rappresaglie. V. anche
nota 103.
10In
questo senso è stato citata la sentenza da Giampaolo Pansa in
Sconosciuto 1945
(Sperling&Kupfer 2005, pp.376 sgg.). In realtà il decreto
del 6 settembre 1946 riconosceva la qualifica di belligeranti anche
ai partigiani, come confermato dal decreto legislativo 4 marzo 1948,
n.137. Una rassegna faziosa di processi a vari comandanti nazisti
(tra cui Kapler, Priebke, Haas, Stommel, Reder) è volta a
condannare la rappresaglia a posteriori, dopo la guerra, secondo
il diritto internazionale delle Nazioni Unite (www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Proces
cessi/HeinrichNordhom.17.La rappresaglia).
11
Per tali notizie v. Salvo
D'acquisto e la strage di via Rasella, compreso nell'articolo citato
nella nota 89.
12V. D'Acquisto Salvo-23 settembre 1943,
art. cit. (nota 89).
13:
V. la voce “La strage di
Marzabotto: le vittime furono 750 e non 1820, nel sito laperfetta
letizia.blogspot.com (3.7.09). Si tratta di un sito che è la
“rivista giornalistica cattolica di informazione e attualità”.
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