Come documenterò nel mio prossimo libro (con il titolo Roba da sardi, in stampa per settembre, avendo domandato all'editore di rinviare la pubblicazione) la Sardegna è una terra di antica barbarie dovuta soprattutto ad un popolo che nella sua maggioranza ha ereditato la disgrazia della cultura pastorale. Sono soprattutto i pastori che appiccano ogni estate gli incendi per far crescere meglio l'erba in una regione dove vi sono ben 7 milioni di pecore (la metà di tutte le pecore d'Italia). E poi lo Stato italiano deve ricorrere all'acquisto di nuovi canadair per spegnere gli incendi senza con questo riparare ai gravi danni causati. Il mio libro esporrà per più della metà la Storia della Sardegna e la Storia della Sardegna moderna (sino alla fine del '700) dello storico politico sardo Giuseppe Manno, che fu a Torino presidente del Senato del regno sardo-piemontese. Lettura difficile quella dei libri del Manno essendo il suo italiano volutamente nobile e arcaico. L'ho dovuto quasi tradurre nell'italiano d'oggi perché la sua opera sia conosciuta dal grosso pubblico. Si trae dalla sua lettura un ritratto terribile della storia del popolo sardo, che ancor oggi si presenta come vittimista, cioè vittima delle colpe altrui, mentre è solo vittima di se stesso, dei suoi costumi tribali fatti di violenza intestina e di odi reciproci. Un sardo capace di migliorare non è fatto oggetto di imitazione ma oggetto di invidia distruttiva, che porta all'uso di attentati con bombe per distruggere l'azienda. Un sardo abitante in un paese a pochi km di distanza da un altro paese veniva chiamato "unu sardu de afforasa", un sardo di fuori, in pratica uno straniero.
I politici sardi sono lo specchio di un popolo di miserabili parassiti incapaci di migliorare. In essi si riflettono l'incapacità e le divisioni tribali trasferite nei partiti. Credono di risolvere tutto con la richiesta della zona franca, per pagare meno i prodotti senza spiegare da dove verrebbe tratto il necessario maggiore reddito con la zona franca una volta abolite l'IVA (nonostante che i 9/10 siano lasciati dallo Stato in Sardegna) e le accise sui carburanti, non avendo saputo prevedere di quanto aumenterebbe in proporzione l'occupazione, per di più lasciata a possibili avventurieri esterni, che, pagando a basso costo la mano d'opera sarda, messa in necessaria concorrenza con quella a basso costo dei Paesi dove le industrie delocalizzano la produzione, pagherebbero altrove le tasse sul profitto, avendo le loro società le sedi legali fuori della Sardegna, dove certamente non reinvestirebbero i loro profitti. Insomma: pagare meno continuando con la politica di assistenza per mangiare con i soldi degli altri.
E'rimasta famosa la frase che ben dipinge i sardi: pocos, locos y male unidos (pochi, stolti e divisi). Frase che molti attribuirono a Carlo V, mentre è stata accertata l'attribuzione ad Antonio Parragués, che fu arcivescovo di Cagliari dal 1958 al 1973, anno di morte). pocos, locos y mal unidos? carlo v non lo ha mai detto!
Per quanto riguarda le condizioni miserevoli e miserabili dei sardi vedere ANTONIO PARRAGUéS DE CASTILLEJO E LA SARDEGNA
Torna attuale il vecchio detto di Cicerone:sardi venales, alius alio nequior (sardi da vendere come schiavi, uno peggiore dell'altro).
Evidentemente pochi conoscono la storia della Sardegna del Manno altrimenti non gli avrebbero dedicato delle strade. Balzac dal suo viaggio in Sardegna trasse una immagine impietosa di un popolo di nullafacenti che sapevano solo oziare pascolando e mungendo pecore. Cultura pastorale significa cultura della violenza e di odio. Un antico racconto dice che un angelo propose a un sardo di esprimere un desiderio purché un suo nemico avesse come premio il doppio. La risposta fu: cavami un occhio. Importante non era per lui una vita migliore, ma che il suo nemico diventasse cieco.
I politici sardi sono lo specchio di un popolo di miserabili parassiti incapaci di migliorare. In essi si riflettono l'incapacità e le divisioni tribali trasferite nei partiti. Credono di risolvere tutto con la richiesta della zona franca, per pagare meno i prodotti senza spiegare da dove verrebbe tratto il necessario maggiore reddito con la zona franca una volta abolite l'IVA (nonostante che i 9/10 siano lasciati dallo Stato in Sardegna) e le accise sui carburanti, non avendo saputo prevedere di quanto aumenterebbe in proporzione l'occupazione, per di più lasciata a possibili avventurieri esterni, che, pagando a basso costo la mano d'opera sarda, messa in necessaria concorrenza con quella a basso costo dei Paesi dove le industrie delocalizzano la produzione, pagherebbero altrove le tasse sul profitto, avendo le loro società le sedi legali fuori della Sardegna, dove certamente non reinvestirebbero i loro profitti. Insomma: pagare meno continuando con la politica di assistenza per mangiare con i soldi degli altri.
E'rimasta famosa la frase che ben dipinge i sardi: pocos, locos y male unidos (pochi, stolti e divisi). Frase che molti attribuirono a Carlo V, mentre è stata accertata l'attribuzione ad Antonio Parragués, che fu arcivescovo di Cagliari dal 1958 al 1973, anno di morte). pocos, locos y mal unidos? carlo v non lo ha mai detto!
Per quanto riguarda le condizioni miserevoli e miserabili dei sardi vedere ANTONIO PARRAGUéS DE CASTILLEJO E LA SARDEGNA
Torna attuale il vecchio detto di Cicerone:sardi venales, alius alio nequior (sardi da vendere come schiavi, uno peggiore dell'altro).
Evidentemente pochi conoscono la storia della Sardegna del Manno altrimenti non gli avrebbero dedicato delle strade. Balzac dal suo viaggio in Sardegna trasse una immagine impietosa di un popolo di nullafacenti che sapevano solo oziare pascolando e mungendo pecore. Cultura pastorale significa cultura della violenza e di odio. Un antico racconto dice che un angelo propose a un sardo di esprimere un desiderio purché un suo nemico avesse come premio il doppio. La risposta fu: cavami un occhio. Importante non era per lui una vita migliore, ma che il suo nemico diventasse cieco.
Riporto quanto inviatomi da un mio corrispondente.
All'attenzione della Procura della Repubblica di
Oristano
All'attenzione della del Comandante della Polizia
Municipale del Comune di Nurachi (OR)
All'attenzione del Sindaco del Comune di Nurachi
(OR)
All'attenzione del Comandante della stazione dei
Carabinieri del Comune di Riola Sardo (OR)
All'attenzione del Dirigente Asl Veterinaria Area
C di Oristano
e, per conoscenza, a tutti i mezzi
d'informazione
Oggetto: sedici cani uccisi con il
pesticida da un allevatore a Nurachi (OR).
Gentili organi competenti,
scriviamo dopo aver appreso la triste notizia
dell'uccisione di sedici cani da parte di un allevatore di Nurachi (OR)
all'interno della sua stessa proprietà. Leggiamo che gli animali sono stati
avvelenati in quanto il sig. F. Zucca, stanco delle lamentale da parte dei
vicini per la presenza dei suoi cani che continuavano ad abbaiare, ha ritenuto
opportuno porre fine a tutto questo uccidendoli. I cani sono morti tutti. Alla
luce di tutto questo, scriviamo per ottenere una pena esemplare per questo
individuo che si è macchiato di un crimine di una gravità indescrivibile.
Inoltre, chiediamo al Sindaco del Comune di Nurachi (OR), se non ci siano anche
responsabilità da parte delle istituzioni, nello specifico ci domandiamo se
qualcuno era a conoscenza di questa situazione.
Chiunque non sia intervenuto per evitare la
strage, anche se una violenza così importante non la potrebbe mai immaginare
nessuno, è anch'esso responsabile della morte dei cani. L'aspetto più
inquietante di questa vicenda è che l'uomo, F. Zucca, possiede altri cani e
pecore che DEVONO essere subito ritirati. Questa ondata di violenza sugli
animali nella nostra isola, che sembra non volersi arrestare, è preoccupante. Le
istituzioni dovrebbero iniziare a rendersi conto che c'è qualcosa che non va
nella gestione dei problemi legati ai nostri amici a quattro zampe, nonostante
ci siano delle leggi a loro tutela. Troppa indifferenza, troppa ignoranza,
troppo menefreghismo, troppi organi che ritengono le questioni legate agli
animali non importanti, dimenticando che, i maltrattamenti e le uccisioni di
animali nella nostra isola, non fanno altro che sporcare l'immagine della
Sardegna e a nuocere alla nostra economia, ci riferiamo al turismo ad
esempio.
Diciamo questo perché, se chi ha il potere
di cambiare le cose, non ha nessun rispetto verso gli animali, deve almeno
mettere in atto quanto la legge prevede per salvaguardare il loro benessere,
evitando così che la nostra isola continui a essere ai primi posti nella
classifica delle violenze sugli animali. Per finire, viste le accuse recenti
rivolte alla nostra associazione che da anni denuncia vicende legate agli
animali nel comune di Alghero, e non, ricordiamo che non sporchiamo noi
l'immagine delle comunità all'interno delle quali hanno luogo violenze così
assurde sugli animali, ma gli stessi cittadini che le portano a termine, come in
quest'ultimo caso. Sicuri di un vostro intervento, e riscontro, non atto a
giustificare o a salvarsi la faccia davanti al resto d'Italia, come abbiamo
visto fare da tanti altri sindaci e responsabili di enti vari, ma a impegnarsi
realmente per migliorare la situazione degli animali d'affezione, porgiamo i
nostri più cordiali saluti,
Silvia Carbonara
Roma
Concordo con quello che Lei scrive, ma credo che qualcosa stia cambiando pian pianino. Occorre tempo per sradicare una cultura così ancestrale e ignorante. Comprerò il suo libro appena disponibile in libreria. Oggi ho ordinato il suo " Io non volevo nascere" Mi diletterò durante le ferie.
RispondiEliminaGrazie. Ma quanti secoli dovrebbero passare? Bisognerebbe prima di tutto eliminare la pastorizia, anche se qualcuno sarebbe pronto a dire da imbecille che così si distruggerebbe l'industria casearia. Ma questa è l'effetto di una disgraziata causa. Se una terra di un milione e 600 mila abitanti ha almeno 7 milioni di pecore vi è poco da sperare in meglio. Odio tutte le tradizioni sarde. A cominciare dalla pagliacciata di costumi esibiti a S. Efisio il 1° di maggio.L'ho vista una sola volta da bambino per rimanerne schifato per sempre.
RispondiEliminaMia madre ha sempre avuto parole di biasimo verso questa terra, definendola ignorante e arretrata. Andò via giovanissima per vivere a Roma. Così con questo ritornello mi ha fatto crescere e ancora oggi all'età di ottantatré anni nel giorno del suo compleanno che cade il primo maggio continua a dire: -per fortuna che non mi hanno chiamato Efisia...- Ma io mi chiedo le tradizioni non sono espressioni di una identità?
RispondiEliminaP.S. Il suo libro è davvero interessante possiede la rara virtù di far riflettere il lettore.
Quale libro? Quello annunciato o altro già pubblicato?
RispondiEliminaSto leggendo il suo " Io non volevo nascere"
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