mercoledì 8 ottobre 2014

LUCIANO CANFORA E I 30 TALLERI DI KANT

Nella trasmissione di martedì condotta da Giovanni Floris su La7 era presente il noto filologo classico Luciano Canfora. Avendo condotto per una vita studi sull'antichità greco-romana gli si può perdonare di non avere mai letto Kant. Perché questo è il dubbio che mi è sorto. Forse anche uno studente del liceo classico o scientifico conosce il ragionamento con cui Kant cercò di demolire la prova ontologica dell'esistenza di Dio. E quando si fa riferimento a questo argomento saltano sempre fuori i famosi 100 talleri portati come esempio da Kant. Il tallero era una moneta tedesca all'epoca d Kant. Dice Kant: una cosa è pensare cento talleri ed un'altra averli in tasca. Ma Luciano Canfora ha detto che i talleri erano 30. Peccato veniale? No. Chi non è sicuro è meglio stia zitto per evitare brutte figure. Chi dice 30 talleri invece dei famosi 100 talleri (in cui il numero 100 fa parte integrante dell'argomentazone di Kant) dà l'impessione, se non la certezza, che non abbia mai avuto conoscenza diretta di Kant. E non vi è stato alcuno durante la trasmissione che abbia detto al Canfora: professore, badi che i talleri erano 100 e non 30. Riguardo nei confronti di Canfora o totale ignoranza tra i presenti? Credo sia vera la seconda ipotesi. Colgo l'occasione per spiegare al prof. Canfora (luciano.canfora@unibi.it) tutta la questione partente dai 100 talleri. Anche perché gira molta confusione persino nei manuali di storia della filosofia su questo argomento. 
Nella trasmissione di Giovanni Floris lei ha citato Kant citando un numero sbagliato di talleri. I famosi talleri pensati e non reali sono 100 e non 30 come ha detto lei.
Comunque, Kant, se la può interessare, visto che ha dimostrato di non conoscere l'argomento, sbagliava contro S. Anselmo. Infatti Anselmo si riferiva non ad un oggetto finito ma all'essere del quale non se ne può pensare uno maggiore. Anselmo, è vero, sbagliava nel corso del suo ragionamento, dicendo che questo essere deve avere tutte le perfezioni e dunque anche l'esistenza. Infatti (su questo aveva ragione Kant) l'esistenza non è un attributo e dunque non può essere una perfezione. Ma è anche vero che l'essere del quale non se ne può pensare uno maggiore ( «ciò di cui non può essere pensato niente di maggiore») necessariamente esiste. E questo essere è l'universo. In sostanza, Kant negava giustamente che da un concetto si possa trarre l'esistenza, ma a ciò fa eccezione l'essere del quale non se ne può pensare uno maggiore.  Dal momento in cui penso l'essere (e se lo penso non posso non pensarlo come l'essere del quale non se ne può pensare uno maggiore, per cui con Parmenide si può aggiungere che il pensiero è pensiero dell'essere, che necessariamente esiste al di là dell'essere pensato) l'essere pensato, in quanto universo, non può non esistere necessariamente. Il suo concetto include l'esistenza. L'errore di Anselmo consistette nell'identificare l'essere con Dio. Ma questa identificazione è dedotta da un ulteriore ragionamento che non è collegato logicamente con il primo. Aggiunge infatti Anselmo che Dio deve essere considerato perfetto. E, poiché il mondo non è perfetto perché la materia è corruttibile, l'universo non è identificabile con Dio. Ma con ciò ha realmente dimostrato Anselmo che Dio esiste? Niente affatto. Ha soltanto presupposto la sua esistenza con il dire che l'essere perfetto in quanto pensato deve esistere. L'errore di tutto il ragionamento consiste nell'identificare "l'essere del quale non se ne può pensare uno maggiore" con Dio essere perfetto, deducendo dalla perfezione di Dio ( e non dall'essere del quale non se ne può pensare uno maggiore) l'esistenza di Dio. Ma che esista un essere perfetto è solo una petizione di principio, non potendo attribuirsi all'universo l'attributo della perfezione, perché l'universo è al di là di ogni connotazione morale. Dire dunque che l'universo è perfetto non ha senso in quanto gli si attribuirebbe una perfezione che, essendo un attributo morale, non può essere un attributo della natura. Ha senso attribuirlo a Dio. Ma dalla supposta perfezione di Dio non può dedursi l'esistenza. L'esistenza di un essere perfetto (Dio) viene illogicamente dedotta da Anselmo partendo da una concezione errata, perché gerarchica, della natura. Partendo infatti da una asserita (e scientificamente infondata) gerarchia di perfezioni nella natura, Anselmo arrivava a concepire un essere perfetto che avesse in sé tutte le perfezioni, e perciò anche l'esistenza. Doppio errore. La natura non è concepibile come scala di gradi di perfezione perché la natura non è né imperfetta né perfetta: è come è, e basta. Ne consegue (secondo errore)  che non si può partire dalla natura intesa come scala di gradi di perfezione per arrivare a concepire la perfezione massima di un essere fuori della natura (Dio).
In conclusione, Kant e Anselmo avevano entrambi ragione e torto. Anselmo aveva ragione perché non potevano confondersi i 100 talleri con l'essere inteso come universo (il cui concetto implica l'esistenza), ma aveva torto andando oltre l'universo ponendo capo ad un concetto di essere (Dio) che andava oltre l'universo giungendo ad un essere (Dio) che implicasse anche la perfezione. Aveva ragione Kant nell'affermare la distinzione tra concetto ed esistenza, ma aveva torto nel non comprendere che la prima parte del ragionamento di Anselmo era valida essendo in sostanza una tautologia (se penso l'essere, l'essere non può non essere  necessariamente eterno). Per l'universo vale identificazione tra concetto ed esistenza. In fondo Kant non capì che l'insussistenza della prova ontologica di Anselmo dell'esistenza di Dio non escludeva l'eccezione dell'identificazione del concetto con l'esistenza nel caso dell'essere del quale non se ne può pensare uno maggiore.          
Hegel, contro Kant, recuperò l'argomento di Anselmo nella prima parte. Ma identificando l'universo ( «ciò di cui non può essere pensato niente di maggiore») con Dio, in una concezione immanentistica (panteistica) di Dio. E si sa che l'immanentismo è solo una diversa affermazione dell'ateismo. 
  

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