lunedì 30 marzo 2015

ORIGINE DELL' IDEA DI IMMORTALITA' DELL'ANIMA

Dal mio libro Io non volevo nascere
Nietzsche ritiene che la credenza nell’immortalità sia nata dal fatto che “la generazione vivente riconosce ogni volta un obbligo giuridico verso la generazione più antica che aveva fondato la stirpe…Qui prevale la convinzione che la specie sussista solo in virtù dei sacrifici e dell’attività degli antenati e che essi ne debbano essere ripagati con altri sacrifici e attività…Questi antenati sopravvissuti come spiriti potenti, non cessano di assicurare alla specie nuovi vantaggi e nuovi contributi derivati dalla loro forza. Ma non esiste niente di gratuito per quelle epoche rozze e povere nello spirito. Con che cosa si possono ripagare? Sacrifici…Si dà mai abbastanza agli avi? Il sospetto rimane e aumenta: …esso costringe a un grande riscatto cumulativo, un qualche mostruoso risarcimento al 'creditore' (il famigerato sacrificio del primogenito, per esempio, sangue, sangue umano in ogni caso)…L’antenato finisce necessariamente per trasfigurarsi in un dio. Forse questa è anche l’origine degli dei…La nascita del Dio cristiano, come massima divinità cui si sia giunti fino ad oggi, ha portato sulla terra anche il maximum del sentimento di debito…l’umanità martoriata ha trovato un momentaneo sollievo, quel colpo di genio del cristianesimo: Dio stesso che si sacrifica per la colpa dell’uomo, Dio stesso che si risarcisce su se stesso. Dio come l’unico che possa riscattare l’uomo da ciò che per l’uomo stesso non è riscattabile – il creditore che si sacrifica per il suo stesso debitore, per amore (dobbiamo crederci?), per amore del suo debitore”.1

Freud ritenne che la credenza nell’immortalità fosse nata da più cause nel contesto di una religione fondata sul tabù (termine polinesiano). Innanzi tutto “vi vediamo manifestazioni di pentimento, di considerazione del nemico (ucciso), di senso di colpa per avergli tolto la vita. Ci sembra quasi che anche in questi selvaggi si mostri vivo il comandamento “non uccidere”, che non può essere impunemente violato, e che era valido anche molto prima di avere ricevuto le leggi dalle mani di un dio”. Evidentemente bisognava ritenere che il morto sopravvivesse perché potesse perdonare l’assassino. Bisognava sottoporsi a riti di purificazione. Alla testa mozzata si offrivano dei cibi in forma di riparazione, nel timore che lo spirito del morto potesse vendicarsi.2 In secondo luogo, la morte dei propri familiari poteva creare nell’uomo primitivo, incapace di distinguere la realtà esterna dal mondo interiore, un altro senso di colpa, derivante dal fatto stesso di essere sopravvissuti, come se la morte fosse stata causata da una loro negligenza. Da qui la necessità di ritenere che l’anima del familiare fosse sopravvissuta. Ma da ciò conseguiva un possibile rapporto di ostilità del morto nei riguardi dei sopravvissuti, i quali, pertanto, si sentivano costretti a difendersi dalla malvagità dei morti con riti propiziatori che avevano lo scopo “in quasi tutti i casi di un intenso legame affettivo” con il morto, pur nell’ambivalenza di un rapporto di timore e di amore. Da qui nacque successivamente la credenza nei demoni.3 In terzo luogo, l’animismo, consistente nel popolare la natura di entità spirituali, nacque dai fenomeni del sonno e dalla spiegazione che di essi diede l’uomo primitivo, attribuendoli agli spiriti di uomini morti. “Per gli uomini primitivi una vita senza fine – cioè l’immortalità – doveva apparire come la cosa più ovvia. L’idea della morte è stata recepita assai più tardi e solo con grande riluttanza. Il primitivo ha reagito… con la formazione di rappresentazioni dell’anima trasferite poi su oggetti del mondo esterno”, estendendo l’animismo alle anime degli animali, delle piante e delle cose. Sull’animismo poggia tutta la mitologia, con la conseguente arte della magia come tecnica atta ad impadronirsi di una natura popolata da spiriti. E Freud cita la classica opera di J. Fraser (Il ramo d’oro) in cui si dice che “gli uomini hanno preso erroneamente per ordine della natura l’ordine delle loro idee e si sono immaginati che, essendo essi in grado di controllare le loro idee, ciò avrebbe loro permesso di esercitare eguale controllo anche sulle cose”.4 Un esempio di tale controllo è dato dalla convinzione del primitivo di poter avere maggiore successo nell’attività della caccia e della guerra quando si forma “un’azione simpatetica a distanza” tra lui e le sue donne rimaste incustodite, perché l’infedeltà sarebbe stata causa di fallimento dell’impresa.5 Dall’animismo, dice Freud, rifacendosi a I principi della sociologia (vol.I) di Herbert Spencer, ebbe principio la dualità tra natura e spirito. Si dovrebbe dire, invece, che tale dualismo derivò dalla radicalizzazione della distinzione tra natura e spirito, che nell’animismo non era ancora evidente. L’animismo, precisa Freud, è sopravvissuto in tutte i fenomeni che riguardano l’attività dell’inconscio, che si nasconde nei processi dell’attività psichica e che può dare luogo alla nevrosi. Da qui la tendenza alla superstizione.

Freud avrebbe fatto bene a citare anche Darwin, che ne L’origine dell’uomo aveva dato una eguale spiegazione dell’origine della credenza negli spiriti. “Appena le importanti facoltà dell’immaginazione, della meraviglia e della curiosità, insieme al potere della ragione, si furono parzialmente sviluppate, l’uomo naturalmente pretese di capire che cosa stesse accadendo intorno a lui e cercò vagamente di indagare sulla propria esistenza…E’ anche probabile, come ha mostrato Tylor (The Worship of Animals and Plants, 1849), che i sogni possano per primi aver dato origine all’idea degli spiriti, poiché i selvaggi di fatto non distinguono tra le impressioni soggettive e quelle oggettive. Quando un selvaggio sogna, crede che le immagini che gli appaiono provengano da lontano per fermarglisi davanti…La credenza in agenti spirituali potrebbe facilmente trapassare nella fede in una o più divinità. Infatti i selvaggi attribuiscono agli spiriti le stesse passioni, lo stesso amore per la vendetta o le più semplici forme di giustizia, e gli stessi sentimenti che essi stessi provano. …Le stesse elevate facoltà mentali che dapprima portarono l’uomo a credere in agenti spirituali invisibili, poi nel feticismo, nel politeismo, e infine nel monoteismo, lo porterebbero infallibilmente, finché i suoi poteri razionali restano scarsamente sviluppati, a varie strane superstizioni ed abitudini. Molte di queste sono terribili a pensarsi – come il sacrificio di esseri umani a una divinità assetata di sangue… tuttavia è bene riflettere occasionalmente su queste superstizioni, poiché ci mostrano quale debito di gratitudine dobbiamo all’aumento della ragione, alla scienza, alla conoscenza accumulata…Le miserevoli e indirette conseguenze delle nostre facoltà superiori possono paragonarsi con gli errori incidentali ed occasionali degli animali inferiori”.6 Ma Darwin prendeva ad esempio le popolazioni indigene delle Americhe e dell’Africa, paragonandole ingiustamente ai primitivi degli albori dell’umanità, che non avevano ancora formato dei gruppi stanziali e non conoscevano ancora l’agricoltura e l’allevamento degli animali. Egli, dunque, si riferiva a popolazioni ormai semicivili del suo tempo, tra cui erano ormai consolidate ampie forme di comunità tribali fisse sul territorio, le cui strutture, conosciute dai colonizzatori e dai viaggiatori, erano fondate su gerarchie, avendo ormai superato la fase animistica degli uomini cacciatori-raccoglitori. Scrive Darwin a tale proposito: “Si sa bene che le donne e i bambini degli indiani nord-americani aiutavano a torturare i nemici. Alcuni selvaggi traggono un orribile piacere nell’incrudelire sugli animali e, tra loro, l’umanità è una virtù ignota. Nondimeno, oltre agli affetti familiari, la gentilezza è comune, specialmente durante le malattie, tra i membri della stessa tribù e talora si estende oltre questi limiti. Si possono dare molti esempi della nobile fedeltà dei selvaggi l’uno verso l’altro, ma non verso gli stranieri…Le virtù personali, che non concernono il benessere della tribù, non sono mai abbastanza apprezzate dai selvaggi, sebbene ora lo siano altamente dalle popolazioni civili. La massima intemperanza non è affatto riprovata dai selvaggi”.7

In tale situazione di ignoranza era naturale che la ragione, ancora confusa con l’immaginazione, si accompagnasse alla superstizione, come capita ancor oggi, e che gli uomini appartenenti ad altre tribù, fossero ritenute popolazioni da schiavizzare o da uccidere, con gli stessi metodi impiegati sugli animali. Era ormai avvenuta la distinzione tra natura e spirito.

La stessa separazione non poteva che essersi rinforzata e resa definitiva nelle prime manifestazioni delle “civiltà”, come la decantata “civiltà” mesopotamica, in cui, con l’invenzione della scrittura e con le prime conoscenze scientifiche, non disgiunte ancora da rappresentazioni mitologiche, si accentuò e si rinforzò la separazione dell’uomo dalla natura, ridotta ad oggetto.

  Il controllo della capacità riproduttiva degli animali si accompagnò al controllo maggiore di quella della donna, a cui fu imposta la repressione sessuale come espressione di dominio.8 Fu infatti in Mesopotamia che le prime guerre di cui ci rimanga memoria storica si risolsero con l’uccisione degli uomini adulti e con la traduzione in schiavitù delle donne e dei bambini, le prime come riproduttrici di schiavi, i secondi come futura forza lavoro nei campi dopo essere stati castrati. Tra schiavi ed animali non vi era differenza.

Ha scritto Nietzsche: “Quanto ingenuamente e con quanta innocenza si manifesta il bisogno umano di crudeltà…qualcosa al quale la coscienza dice sì con tutto il cuore” e che ha alimentato “la crescente spiritualizzazione e divinizzazione della crudeltà che corre attraverso tutta la storia della civiltà superiore…Noi uomini moderni siamo gli eredi di una vivisezione della coscienza e di una crudeltà contro gli animali esercitata su noi stessi vecchie di millenni…L’uomo ha guardato troppo a lungo le sue tendenze naturali con 'occhio cattivo', cosicché queste hanno finito per legarsi strettamente alla 'cattiva coscienza'. Sarebbe mai possibile un tentativo opposto ...cioè il tentativo di unire strettamente alla cattiva coscienza le tendenze innaturali, tutte quelle aspirazioni alla trascendenza, contrarie al senso, all’istinto, alla natura, all’animalità, in breve tutti gli ideali che sono esistiti sino ad oggi, ideali che sono tutti ostili alla vita, ideali che denigrano il mondo”.


1 Genealogia della morale, Saggio secondo, 19.

2 Totem e tabù, cap. II, 3 a).

3 Ibid., 3 c)

4 Ibid., cap. III, 2).

5 Ibid., 4).

6 L’origine dell’uomo, cap. 3 (Fede in Dio- Religione)

7 Ibid. cap. 4.


8 Elizabeth Fischer, Donne: il primo sesso. Come le donne stanno cambiando il mondo (1979), Lyra Libri, Como 2000.

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