martedì 21 aprile 2015

MAIALI SARDI O SARDI MAIALI?

NESSUNA DELLE DUE. SAREBBERO STATI MIGLIORI DEI MAIALI QUEI SARDI CHE HANNO INSISTITO PERCHE' LA SARDEGNA FOSSE RAPRESENTATA DAL MAIALETTO SARDO A QUEL VERGOGNOSO E DISEDUCATIVO BARACCONE DELL'EXPO, DOVE NON SI BADA AFFATTO AL MIGLIORAMENTO DELLA SALUTE, CHE DIPENDE ANCHE DAL CIBO, MA UNICAMENTO AGLI AFFARI. "L'UOMO E' CIO'CHE MANGIA" (LUDOVICO FEUERBACH). I SARDI NON POSSONO ESSERE RAPPRESENTATI TUTTI DA QUESTI SCELLERATI. E' STATO TOLTO IGNOMINIOSAMENTE IL DIVIETO DI RAPPRESENTARE LA SARDEGNA CON IL MAIALETTO ARROSTO. E' EVIDENTE CHE QUEI SARDI CHE HANNO SOSTENUTO QUESTA SCELTA, FREGANDOSENE ANCHE DEI VEGETARIANI, SONO GLI EREDI MIGLIORI DI QUEI SARDI CHE QUI SOTTO DESCRIVO IN UN MIO PROSSIMO LIBRO.   
Anche dopo la fine del feudalesimo i sardi rimasero dei miserabili, continuando a vivere nel sottosviluppo economico rispetto non soltanto al Piemonte, ma anche al sud d’Italia, rendendosi sempre più dipendenti materialmente col riuscire a trasformare l’assistenza economica in maggiore miseria, essendo totalmente incapaci di qualsiasi iniziativa imprenditoriale, preferendo l’inerzia della pastorizia, che fossilizza il cervello. Di ciò si deve rendere responsabile anche il governo piemontese, ma soltanto per non avere usato il bastone sui sardi, lasciando che si impigrissero e vivessero alla giornata pascolando e mungendo le pecore. Altrimenti non si capisce come qualcuno di essi, come il Manno, sia riuscito eccezionalmente ad eccellere.

La miseria intellettuale dei sardi fu sempre pari soltanto alla loro miseria materiale, come testimoniano le misere case dei paesi. Nessun progresso, né materiale né spirituale, si accompagnò alla loro miserabile vita, non essendo stati nemmeno capaci, vivendo sempre al margine della storia, di subire almeno marginalmente l’influenza di chi li governò, avendo essi dimostrato ancor oggi di non sapersi governare. Quelli che, come il Bellieni e il Lussu, aprirono la questione dell’autonomia politica dei sardi, preparavano ad essi un futuro peggiore. Scrisse Aristotele (Politica) che “ogni popolo ha il governo che si merita”. I sardi, che mai furono un popolo, si meritarono per secoli la schiavitù. Poi, facendo parte dell’Italia, si meritarono i consigli regionali che sempre ebbero, specchio dell’incapacità politica alimentata dalle ancestrali divisioni ed invidie distruttive che ancor oggi, nella diffusa subcultura pastorale, sostituiscono l’omicidio alla giustizia.

Mi piace riportare quanto il grande scrittore francese Honoré de Balzac scrisse sui sardi dopo avere attraversato tutta la Sardegna da Alghero a Cagliari nel 1838: “Essi sono dei veri selvaggi. Non ho visto alcuna coltivazione. Savane di palme selvatiche e cisti. Dovunque pecore e capre che brucano tutti i germogli impedendo alla vegetazione di crescere oltre la cintura. Ho fatto 17 ore a cavallo senza trovare una casa. Foreste vergini. Le donne fanno un pane orribile riducendo in farina le ghiande delle querce e impastandolo con l’argilla. Uomini e donne vanno nudi con un brandello di tela e uno straccio per coprire il sesso. Ho visto accozzaglie di creature a branchi fermi al sole, lungo i muri di terra delle loro tane. Nessuna abitazione ha il camino. Accendono il fuoco in mezzo alla casa tutta piena e tappezzata di fuliggine. Le donne impastano il pane e gli uomini badano alle greggi. Tutto è incolto nel più bel paese del mondo. Uno spettacolo di profonda e incurabile miseria”.

Tali erano ancora molti sardi a metà circa dell’800. Erano tanto imbecilli da non saper nemmeno costruire un camino per evitare che il fumo riempisse la casa e ricavavano il pane dalle stesse ghiande che davano ai maiali, dai quali non erano culturalmente distanti. Senza voler offendere i maiali. Che cosa ci si poteva attendere in futuro dai cromosomi di simili selvaggi incapaci di andare oltre la pastorizia? Al massimo i loro discendenti potevano servire come carne da cannone per la brigata Sassari. E non che il capoluogo della Sardegna fosse nel suo aspetto migliore, se si pensa a quanto scrisse ai primi dell’800 Francesco d’Austria-Este che aveva sposato una figlia di Vittorio Emanuele I. Egli racconta di essere fuggito inorridito da Cagliari a causa delle brutture delle sue costruzioni, che erano specchio dell’incultura e della miseria dei sardi. Non vi era una sola costruzione di valore artistico, se si prescinde dalla cattedrale, progettata e costruita dai pisani tra XIII e il XIV secolo, mentre la facciata è stata rifatta nel 1931 in stile barocco, dopo che si cercò di rimettere a nudo quella medievale. Non vi era alcuna iniziativa culturale, e soltanto in via Università vi era un teatrino privato, costruito in legno, che, appartenente al marchese Zapata, rimase distrutto poi da un incendio. I sardi erano riusciti a costruire una città orribile in un bellissimo golfo che essi non meritavano, avendolo completamente deturpato. Erano persino riusciti ad andare contro natura. Dibattuto tra l’attaccamento al vecchio e il desiderio del nuovo vi fu chi, come Salvatore Cambosu (Miele amaro), scrisse che i cagliaritani accettarono sempre dallo straniero arrivato pacificamente un ruolo subalterno. Invece di emularlo per migliorare si sottrassero a qualsiasi sfida accontentandosi di offrire lo scalo per merci altrui per avere un mercato dove collocarle, senza mai avere un programma che li facesse uscire dall’arretratezza. Ma nemmeno il Cambosu ebbe il coraggio di prendere le distanze dalla sardità condannandola culturalmente in blocco, perché si limitò a fare riferimento ad una sorta di tragico destino che avrebbe gravato sui sardi, quasi non fossero responsabili di se stessi. Lo dimostra il fatto di avere riportato nel suo testo molte poesie in sardo, non avendo capito nemmeno lui che la lingua sarda è tuttora la barriera del sottosviluppo culturale che ha sempre separato il sardo dalla modernità. Ancor oggi più si è ignoranti e più si parla il sardo, e meno si conosce correttamente l’italiano.


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