Ho sentito dire alla TV da qualche folle che la caccia è fondata sulla Bibbia, dove nel Genesi si legge: "Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra. E avranno timore e spavento di voi tutti gli animali della terra e tutti gli uccelli del cielo (notare l'inutile aggiunta "del cielo"). Essi sono dati in poter vostro con tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare".Questo dice Jahweh (proiezione del cervello malato degli antichi ebrei) a Noè. Noè aveva raccolto nell'arca una coppia di tutti gli animali. Già questo significa che gli inventori di questa mitologia erano veramente malati di cervello. A parte tutto, degli insetti non si parla. Come avrebbe potuto Noè raccogliere anche una coppia di tutti gli insetti distinguendoli anche per sesso? Corbellerie bibliche di fronte alle quali appaiono serie anche le mitologie mesopotamiche e quelle successive.
Si noti poi che nel Levitico vi è una lunga distinzione tra animali puri (che si possono mangiare)ed animali impuri che non si possono nemmeno toccare. E perché allora questo stronzo di Jaweh avrebbe creato anche gli animali impuri? BOH! Ma lasciamo perdere le fregnacce della Bibbia e passiamo al grande filosofo ebreo ateo Spinoza che nel Trattato teologico-politico demolì tutte queste fregnacce. Egli fu il primo studioso nel campo dell'esegesi biblica rilevando tutte le contraddizioni dell'Antico Testamento, sino a dire che "i rabbini delirano". E di questo bisogna dargli grande merito, anche per avere concepito uno Stato laico in cui la religione non interferisse con le leggi dello Stato laico. Distinse infatti tra culto interno e culto esterno, riconoscendo allo Stato il diritto di vietare tutti quei comportamenti esterni che fossero in contrasto con le leggi dello Stato. Il pensiero politico di Spinoza è fondato tutto sul diritto naturale. Ma qui gli rimase appiccicata una concezione ebraica circa la vita degli animali. Infatti così scrive nel cap. XVI del Trattato: "
“Coloro che credono di piegare
la Bibbia alla ragione ne falsano il contenuto; coloro che
subordinano la ragione alla Bibbia sono costretti ad ammettere
come divini i pregiudizi di un volgo di epoca antichissima.
Costoro sono tutti pazzi; i secondi perché sono privi di
ragione, i primi anche con la loro ragione…1 Niente vi è di più lontano dal
vero che il credere che la religione voglia sottomettere la
ragione, o che questa voglia sottomettere la religione, e che la
ragione e la religione non possano avere, ciascuna il proprio
regno, e vivere in concordia…La ragione è il regno della verità
e del sapere, e la teologia quello della pietà e l’obbedienza
(ad essa)…ma abbandona alla ragione ||il compito|| di
determinare in qual modo i dogmi religiosi debbano essere
compresi con preciso criterio di verità”. Come dire: la ragione
è il limite delle pretese dogmatiche della religione, che non
può comandare sulla ragione. In tali termini può e deve essere
intesa la coesistenza. La teologia, secondo Spinoza, non può
imporre gli insegnamenti di vita che siano contrari alla ragione
e che non si riassumano nei principi della giustizia e della
carità., che per Spinoza sono comuni alla ragione. Per il resto
ognuno sia libero di credere, se ne sente il bisogno,
affidandosi ad una “certezza morale”, non conoscitiva, fondata,
come quella dei cosiddetti profeti, su una “vivida
immaginazione”. La religione, in tal modo diviene “fonte di
consolazione per tutti coloro che sono incapaci di innalzarsi
alla ragione” (op. cit., cap. XV).Osserva finemente Spinoza che
coloro che credono di poter dimostrare l’autorità della teologia
sono costretti ad usare la ragione per “ricacciarla con maggiore
energia e…per dimostrare l’invalidità della ragione”, pervenendo
però, contraddittoriamente, “a trarre la teologia sotto
l’imperio della ragione” (ibid.).
“Il diritto dello Stato sarebbe
in balia delle passioni e delle opinioni di ciascun uomo”, se
nessuno si credesse “tenuto ad obbedire a ciò che egli giudica
contrario alla sua fede o alla sua superstizione…Soltanto al
governo spetta di decidere in materia religiosa quello che può
essere giusto e conveniente” (ibid., cap. XVI), nel senso che
esso ha il diritto di intervenire, non sul contenuto dei dogmi
religiosi, ma sulle conseguenze che essi possono avere
nell’ambito “di uno Stato civile”, in cui le leggi debbono
essere eguali senza eccezioni derivanti da credenze religiose.
Lo si vada a dire a quei politici alfieri del multiculturalismo
che oggi, tornando indietro di quasi tre secoli e mezzo rispetto
a Spinoza, riconoscono vergognosamente, in uno Stato che si dice
laico, pari dignità ad ogni religione, riconoscendo
eccezioni a favore di ebrei e di islamici per giustificare la
“macellazione rituale”.
1 Abbiamo modificato alquanto,
pur rispettandone il pensiero, una frase di Spinoza (op. cit.
cap. XV).
Sin qui tutto bene. Ma quando Spinoza passa a definire il diritto naturale cade in una grande confusione che lo porta a definirlo come diritto della forza. Nello stesso errore cadde Hobbes.
Da rilevare la grande contraddizione in cui incorse Spinoza,
nell’avere definito il diritto naturale come diritto della forza
–
scrivendo che “il diritto di ciascuno fin là si estende dove può
giungere la sua particolare potenza”, cosicché “anche
l’ignorante e il violento hanno il supremo diritto su tutto ciò
che il desiderio loro consiglia” - invece di definirlo
collegandolo coerentemente al concetto di conatus,
che esprime “lo sforzo col quale ciascuna cosa si sforza di
perseguire nel suo essere” (Ethica,
III, prop. VII) , cioè la
tendenza naturale di ogni organismo alla sua autoconservazione,
che pone dei limiti naturali alla violenza. Egli, invece,
confuse la
violenza interspecifica, funzionale alla conservazione della
specie,
oltre che dell’individuo, nella catena alimentare, con la
violenza
tout court,
che nell’uomo supera i limiti naturali nella violenza
interspecifica diventando anche, innaturalmente,
intraspecifica per
fattori
culturali, in
quanto supera il limite del conatus
o sforzo naturale inteso a conservare il suo essere.
D'altra parte, la stessa contraddizione si trova in una stessa pagina del Trattato, dove Spinoza scrive:
"E siccome la potenza universale di tutta la natura nient'altro è che l'insieme delle potenze dei singoli individui, ne segue che ciascun individuo ha sommo diritto su ogni cosa che è in suo potere, cioè il diritto di ciascuno fin là si estende dove può giungere la sua particolare potenza. Inoltre è somma legge di natura che ciascuna cosa si sforzi di mantenersi nel proprio stato finché le è possibile, e ciò senza tener contodelle ragioni che non siano le sue proprie, ne segue ancora che ciascun individuo ha il massimo diritto di esistere e di operare secondo quelle leggi da cui è naturalmente determinato".
"E siccome la potenza universale di tutta la natura nient'altro è che l'insieme delle potenze dei singoli individui, ne segue che ciascun individuo ha sommo diritto su ogni cosa che è in suo potere, cioè il diritto di ciascuno fin là si estende dove può giungere la sua particolare potenza. Inoltre è somma legge di natura che ciascuna cosa si sforzi di mantenersi nel proprio stato finché le è possibile, e ciò senza tener contodelle ragioni che non siano le sue proprie, ne segue ancora che ciascun individuo ha il massimo diritto di esistere e di operare secondo quelle leggi da cui è naturalmente determinato".
Ho sottolineato quella che può essere la vera definizione di diritto naturale, che appare in contrasto con la frase che precede, che dà ad intendere che il diritto naturale non abbia limiti e si estenda fin dove si estende la forza di un individuo. Ma non è così se si considera proprio quella natura a cui Spinoza fa riferimento. In natura il predatore esercita la sua forza non illimitatamente, ma nei limiti della sua sopravvivenza. In effetti il diritto della sua forza è subordinato al diritto alla sua sopravvivenza. Non è così per l'uomo, che, abbandonando il suo stato di animale naturale (anche per colpa delle religioni, soprattutto di radice biblica) è divenuto animale culturale. E la cultura ne ha traviato la natura convincendolo di essere padrone della Terra e di poter esercitare il suo dominio su tutte le altre forme di vita, come se esistessero in funzione dell'uomo.
La caccia è dunque la manifestazione migliore della depravazione umana perché va oltre i limiti del diritto naturale inteso come diritto alla propria auto-conservazione e non come diritto della forza.
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