mercoledì 23 dicembre 2015

ECCE AGNUS DEI (QUI NON TOLLIT PECCATA MUNDI). SARDI VENALES ALIUS ALIO NEQUIOR (CICERONE)



A causa della pastorizia avevo sempre odiato il Natale e la Pasqua, trasformate ogni anno in una strage di agnelli, gli animali più mansueti della Terra. Ogni volta che si avvicinano queste feste di sangue aumentano la mia sofferenza e il mio odio contro una barbara e crudele tradizione che ha contagiato anche gli atei. L'anno scorso avevo inviato una lettera al papa Francesco chiedendo che rompesse il silenzio contro la crudele tradizione dell'agnello pasquale, ucciso per rispettare una antica tradizione ebraica e non cristiana. Gli avevo scritto che dopo il sacrificio della croce non era più necessario immolare animali come si faceva nel tempio-mattatoio ebraico. Avevo aggiunto che un altro S. Francesco, quello da Paola, migliore di quello carnivoro di Assisi, era stato vegano ed era vissuto ben 91 anni, mentre quello di Assisi era vissuto solo 44 anni.
 
Lo stesso Benedetto XVI, seguendo il S. Paolo della Epistola ai Romani (3,25), aveva detto all'udienza generale del 7 gennaio 2009 che "Questo rito - quello ebraico del sacrificio degli animali - era espressione del desiderio che si potessero realmente mettere tutte le nostre colpe nell’abisso della misericordia divina e così farle scomparire. Ma col sangue di animali non si realizza questo processo. Era necessario un contatto più reale tra colpa umana ed amore divino. Questo contatto ha avuto luogo nella croce di Cristo. Cristo, Figlio vero di Dio, fattosi uomo vero, ha assunto in se tutta la nostra colpa. Egli stesso è il luogo di contatto tra miseria umana e misericordia divina; nel suo cuore si scioglie la massa triste del male compiuto dall’umanità, e si rinnova la vita. Rivelando questo cambiamento, san Paolo ci dice: Con la croce di Cristo – l’atto supremo dell’amore divino divenuto amore umano – il vecchio culto con i sacrifici degli animali nel tempio di Gerusalemme è finito. Questo culto simbolico, culto di desiderio, è adesso sostituito dal culto reale: l’amore di Dio incarnato in Cristo e portato alla sua completezza nella morte sulla croce". 

Ma nemmeno Benedetto XVI era stato capace di gridarlo ai cristiani affacciandosi al balcone dante sulla piazza S. Pietro perché cessasse l’identificazione del Natale e della Pasqua con una strage di agnelli o capretti. E per risposta avevo ricevuto dal papa Francesco solo una ipocrita cartolina artistica che rinnovava il silenzio sulle cristiane stragi di agnelli. E pertanto ero stato costretto ad odiare anche i papi insieme con i pastori.
Quando ero bambino capitò in casa, non mi ricordo come, un capretto, che era stato regalato a mio padre. Non mi ricordo per quale motivo mio padre avesse accettato in regalo un capretto vivo. Mi affezionai ad esso come se fosse un cane. Lo portavo a passeggio tenendolo al guinzaglio per fargli brucare l'erba nella periferia di Cagliari, che allora era un vasto campo erboso su cui sarebbero poi sorti i palazzi della piazza Michelangelo e della piazza Giovanni XXIII. Mi divertivo a giocare con lui in casa alzando una gamba per mostrargli la pianta della scarpa mentre gli dicevo in sardo: attumba caprittu (urta capretto). E lui prendeva la rincorsa per dare una tenera incornata alla suola della scarpa. Avevo capito che un capretto (o un agnello) non era meno capace di affettività rispetto ad un cane. E allora perché gli uomini si mangiano gli agnelli e non si mangiano i cani? mi domandavo. Anche ciò mi aveva indotto a divenire vegetariano, oltre al fatto di essere rimasto profondamente scioccato, sconvolto, vedendo all'età di 10 anni dei buoi correre impazziti per la via Sonnino dopo essere fuggiti dal mattatoio, che allora si trovava in una strada centrale della città. Piansi amaramente quando fui costretto a separarmi da lui per volere di mio padre, che disse che non si poteva ulteriormente convivere al terzo piano di un palazzo con un capretto. Ma fui ingenuamente rassicurato che il capretto non avrebbe fatto la triste fine che attende tutti i suoi simili e che il pastore, pagato per questo, l'avrebbe risparmiato tenendolo in vita per la riproduzione. Ma certamente il capretto, prima o dopo, avrebbe fatto la stessa fine. 

Anche per questo avevo coltivato sempre un odio per i pastori, per una terra, che, tra tutte le regioni italiane, pur avendo una popolazione di soli un milione e seicentomila abitanti, aveva tratto dalla pastorizia la maggiore risorsa economica e il maggiore profitto esportando cadaveri di agnelli, sottratti alle madri piangenti che cercano i loro figli.

Pastori tanto crudeli quanto imbecilli per essere rimasti miserabili conservando la tradizione della produzione del latte ai fini del formaggio pecorino, anche se tratto da pecore malate del morbo della lingua blu o comunque trasmettenti nel latte l’antibiotico del vaccino per pecore, non avendo mai pensato di poter trarre maggior vantaggio economico sostituendo la pecora e la capra sarde, che danno una lana priva di valore, usata per tappeti o per isolanti termici, con altre razze di pecore e di capre dalla lana pregiata, come il cachemire e il merino, in modo da risparmiare i maschi, sapendo che il cachemire del maschio è ancora più pregiato. Una Sardegna che è stata sempre una terra di povertà espressa dal 45% di tutti gli ovini d’Italia pur con una popolazione di un milione e seicentomila abitanti. Sardi venales alius alio nequior, cioè sardi da vendere (come schiavi), uno peggiore dell'altro (Cicerone).

PASTORI SARDI BASTARDI. 

Sardegna terra di miserabili vittimisti con una popolazione (che non può nemmeno chiamarsi popolo) di un milione e 600 mila abitanti e con almeno 5 milioni di ovini. All'EXPO non ha avuto vergogna di farsi rappresentare soprattutto dal maialetto arrosto.Un EXPO baraccone diseducativo e rovinoso per la salute come fiera di tutte le peggiori tradizioni alimentari. Tra qualche mese uscirà il mio libro ROBA DA SARDI, in cui ho esposto per metà del libro la Storia di Sardegna e Storia della Sardegna moderna dal 1773 al 1779 del sardo non sardo Giuseppe Manno. Ne viene fuori un' immagine terribile dei sardi, accozzaglia di genti parassite la cui storia è stata segnata da continue lotte tribali, ma pronte a farsi serve dell'invasore. Non hanno mai combinato alcunché di buono nella loro storia. E hanno il Consiglio regionale che si meritano. 

I sardi si sono sempre ritenuti vittime degli altri, mentre invece nei loro odi reciproci sono stati sempre vittime di se stessi, della loro invidia distruttiva. Non hanno mai avuto capacità imprenditoriali, le maggiori risorse, quelle turistiche, sono in mano a capitali non sardi, la Costa Smeralda è in  mano agli arabi del Qatar, finaziatore occulto dell'Isis, nell'iglesiente vi è una fabbrica d'armi tedesca che vende armi all'Arabia Saudita. Sanno solo piangere ed elemosinare soldi dal governo per continuare a vivere da parassiti. Nella loro subcultura pastorale hanno saputo soprattutto mungere e uccidere ovini. Ecco da dove traggono il loro maggiore profitto questi sardi bastardi. Mi vergogno di avere un cognome sardo. Parafrasando Dante posso dire di me: sardus natione non moribus. Ma sono nato a Roma.       
ECCE AGNUS DEI
Il sangue degli innocenti ricada sugli assassini e sui mandanti. Compreso il papa.  

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