Lei,
se avesse un po’ di resipiscenza, dimostrando di avere ancora un
briciolo di coscienza, dovrebbe spogliarsi di questa causa e
chiedere che essa venga trasferita ad altra Corte d’Appello per
incompatibilità ambientale, soprattutto dopo il mio esposto a Roma. Perché lei, dopo la sua sentenza non
definitiva (doc.29) che prende illogicamente la vicenda dalla coda,
invece che dalla testa, invertendo il rapporto logico-giuridico
tra la sentenza non definitiva e quella definitiva (per cui
la sentenza non definitiva dovrebbe risultare nulla in Cassazione,
dove il ricorso contro la sentenza non definitiva è stato assegnato
alla Prima Sezione), non può più rimangiarsi ciò che ha scritto
nella sentenza non definitiva, che affaccia falsità e contraddizioni
che compromettono quella definitiva. Dunque la sentenza definitiva è
già scritta ripetendo un cumulo di falsità materiali e di
contraddizioni. Lei, per rispetto del rapporto logico-giuridico,
avrebbe dovuto iniziare dalla sentenza che ancora deve fare,
affrontando tutti i vizi di nullità. Nullità assoluta
(equivalente all’inesistenza) della nomina del liquidatore
) 1) Per
mancato contraddittorio con la società Cinecorallo nel
procedimento di volontaria giurisdizione in cui fu nominato il
liquidatore, giacché la società non è stata citata in giudizio,
con tutte le conseguenze agli effetti della vendita, da considerarsi
anch’essa nulla indipendentemente dalla buona fede o malafede
dell’acquirente (per altro in documentata malafede). “Il
principio del contraddittorio sancito dall’art. 101 c.p.c. deve
essere applicato anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione
tutte le volte che sia identificabile un contro interessato…In
difetto il procedimento di liquidazione è affetto da nullità e non
produce effetto la pronuncia emessa nei confronti dei contraddittori
non sentiti”(Cass., sez. II, 4 marzo 1977, n. 885). Nella
fattispecie la Cinecorallo era il contro interessato principale, ma non sentito, e
dunque su di essa non può avere alcun effetto la nomina del
liquidatore, anche riguardo alla vendita da lui effettuata.
2) Per
avere falsamente considerato il socio Pietro Melis acquiescente alla
nomina del liquidatore mentre risultava contrario,
avendo concluso con la domanda di RIGETTO
della domanda del socio di minoranza Gianluca Melis. Infatti il
presidente del Tribunale in data 11 dicembre 1997 revocò la nomina
del liquidatore “data la sua abnormità” a causa del mio
documentato dissenso;
3) Per
il palese conflitto di interessi tra il curatore speciale, tale
nominato il 29 gennaio 1996 “sino alla costituzione della normale
rappresentanza della società” e la successiva nomina del
liquidatore nella stessa persona del curatore speciale, trovatosi
nella contraddittoria veste di curatore (che avrebbe dovuto
attendere che si costituisse la normale rappresentanza della società)
e quella di liquidatore.
Motivi
tutti evidenziati con l’atto d’appello, da lei ignorato.
Lei
ha persino citato più di una volta contro di me sentenze che invece
sono a mio favore. Come anche nell’ordinanza (doc.42) che rigetta
la domanda di sospensione del procedimento in attesa che la
Cassazione si pronunci sulla sentenza non definitiva. Infatti ha
citato contro di me un’ordinanza e una sentenza della Cassazione
che, invece, vanno a mio favore per quanto riguarda il rapporto
logico-giuridico tra sentenza definitiva e sentenza non definitiva.
Nella sentenza non definitiva (p.13) ha citato contro di me
una sentenza del Tribunale di Treviso che, a proposito della
rimozione di un decreto presidenziale di nomina del liquidatore, ha
scritto che “il giudice adito in sede cautelare…non potrà
sindacare le questioni di legittimità del provvedimento dovute ad
eventuali irregolarità, posto che tali questioni potrebbero essere
rilevate unicamente in sede di revoca dal presidente del Tribunale
che l’ha emesso”. Mentre lei, subito dopo, scrive che “il
presidente non avrebbe potuto pronunciarsi sulla istanza di revoca
del liquidatore”. Veramente incredibile. A p. 16 ha scritto
che “sono irrilevanti ai fini della valutazione della diligenza
dell’Angius nell’espletamento del suo incarico di liquidatore,
per il cui compenso è oggi causa, gli atti da lui compiuti
successivamente al provvedimento di revoca”. E tuttavia, per
salvargli la parcella, ritiene rilevante l’atto, successivo alla
revoca, della notifica del decreto ingiuntivo, e senza tener
conto della violazione da parte dell’Angius delle norme processuali
avvenuta prima della vendita, con il trasformare un’ordinanza e una
sentenza del Tribunale in sentenze passate in giudicato per salvargli
la buonafede. E a p. 14 ha scritto che “il decreto ingiuntivo
è stato chiesto sia nei confronti della società che dei tre singoli
soci ed a questi ultimi tre ritualmente notificato”. Senza
considerare che alla società non poteva essere notificato perché
allora era ancora priva di amministratore, e che la notifica ai tre
soci non aveva alcun valore per riconosciuto dissidio tra i soci.
Bisognava dunque nominare un curatore speciale ai sensi dell’art.
78 c.p.c. mancando una volontà univoca della società. Vedere su
questo punto, per una situazione analoga, la sentenza 34/2001
allegata di questa stessa Corte (est. S. Fundoni).
Per
di più lei a p. 7 della sentenza non definitiva ha scritto che “l’11
settembre 1997 il Presidente del Tribunale…ha revocato il
precedente provvedimento presidenziale di nomina come liquidatore il
dott. Angius facendo venir meno lo stato di liquidazione”. Ma
in contraddizione con ciò lei
1)
Ha considerato valida la successiva notifica
ai tre soci (e non alla società) del bilancio finale di liquidazione
con annesso il riparto e con il conseguente decreto ingiuntivo, come
se lo stato di liquidazione non fosse stato mai tolto;
2)
ha scritto (p.13) che “il Presidente del
Tribunale non avrebbe potuto pronunciarsi sulla istanza di revoca del
liquidatore, aggiungendo (pp.13-14) un’ulteriore contraddizione con
il dire che il presidente aveva il potere di revocare il proprio
decreto, ma che “non può dubitarsi che la revoca non potesse
avere, per il liquidatore dott. Angius, che efficacia ex nunc…non
potendosi considerare perciò concluso il procedimento di
liquidazione implicitamente riconoscendo validità all’attività
espletata”. Ma il presidente del Tribunale che ha revocato il
proprio decreto non ha affatto riconosciuto come valida l’attività
svolta dall’Angius sino alla sua revoca. Infatti il presidente ha
scritto: “Questo presidente non aveva alcun potere di disporre la
messa in liquidazione della società…”. Orbene, è evidente che,
se la nomina del liquidatore era illegittima “data la sua
abnormità”, secondo l’espressione usata dal presidente nel suo
decreto di revoca della nomina del liquidatore, la nomina del
liquidatore, con il conseguente stato di liquidazione, deve ritenersi
illegittima ab origine,
come se non fosse mai esistita. Ma ammesso, e non concesso, che la
revoca (11 dicembre 1997) avesse valore ex nunc, nemmeno in questo
caso si giustificava la successiva notifica (20 febbraio 1998) del
bilancio finale di liquidazione con l’annesso riparto (che non è mai avvenuto data la revoca dello stato di liquidazione) e il conseguente e
successivo decreto ingiuntivo, se era stato tolto lo stato di
liquidazione, come riconosciuto a p. 7 della sentenza non definitiva,
per cui l’ormai ex liquidatore si trovava ad essere privo di titolo
per notificare il bilancio finale di liquidazione con l’annesso
riparto e successivo decreto ingiuntivo. Inoltre è principio
giurisprudenziale costante che la revoca, quando sia fondata su vizi
di illegittimità, ha sempre valore retroattivo.
Lei
con la sentenza non definitiva voleva sapere se la soc.Cinecorallo,
attore principale nella vicenda giudiziaria, fosse ancora esistente
dopo l’avvenuta vendita tramite liquidatore. Ma è stato
documentato che la Cinecorallo non si era mai sciolta ed era rimasta
sempre iscritta nel registro delle imprese. E tuttavia lei, invece di
attendere che ciò venisse documentato, evitando di fare la sentenza
non definitiva e sospendendo per questo motivo tutto il giudizio,
ha fatto irritualmente una sentenza non definitiva estromettendo
la Cinecorallo dalla sentenza non definitiva pur figurando la
Cinecorallo anche in questa sentenza come parte principale in causa
in quanto rappresentata dal socio amministratore Pietro Melis,
come risultante dalla stessa intestazione della sentenza non
definitiva. Sentenza non definitiva che non poteva essere fatta
perché la sentenza non definitiva deve essere pregiudiziale rispetto
a quella definitiva, mentre lei illogicamente ha fatto una sentenza
non definitiva che per rapporto logico-giuridico dipende da quella
definitiva, per cui avrebbe dovuto sospendere tutto il processo in
attesa della sentenza definitiva che era invece pregiudiziale a
quella non definitiva. Con ordinanza contestuale alla sentenza
non definitiva (p.10) ha chiesto chiarimenti per sapere se la
Cinecorallo fosse tuttora esistente in quanto ancora iscritta nel
registro delle imprese. Se aveva questo dubbio doveva evitare di fare
la sentenza non definitiva e di estromettere la Cinecorallo dalla
sentenza non definitiva perché la Cinecorallo è parte principale
nel procedimento riguardante l’opposizione al decreto ingiuntivo
del liquidatore (su cui unicamente ha deciso la sentenza non
definitiva). Avrebbe dovuto sospendere TUTTO il giudizio in attesa
dei richiesti chiarimenti invece di fare la sentenza non definitiva.
Invece lei ha fatto un grosso pasticcio estromettendo la
Cinecorallo dalla sentenza non definitiva per lasciare in causa solo
il socio Pietro Melis e revocando per questo motivo il decreto
ingiuntivo nei confronti della Cinecorallo. Pasticcio più grosso non
si sarebbe potuto inventare. Inoltre lei, con ordinanza del 19 agosto
2015 ha rigettato la domanda di sospensione del processo prima della
sentenza definitiva in attesa che la Cassazione di pronunci sul mio
ricorso contro la sentenza non definitiva, complicando ancor più
le cose se la Cassazione annullasse o riformasse la sentenza non
definitiva, che avrebbe riflessi su quella definitiva. Infatti
sarei costretto a fare un secondo ricorso in Cassazione contro la
sentenza definitiva, allungando i tempi e le spese. Che avrei
potuto evitare se lei avesse fatto un’unica sentenza, pur dandomi
ingiustamente torto, ma almeno rispettando il rapporto
logico-giuridico. Ma lei, ancor prima della sentenza definitiva, compromessa già da quella non
definitiva, ha condannato al pagamento solo il socio Pietro Melis,
con procedura del tutto illogica estromettendo la società dalla
sentenza non definitiva pur essendo la società soggetto giuridico
principale anche nella aberrante sentenza non definitiva. Lei,
infatti, del tutto illogicamente ha deciso con sentenza non
definitiva su una questione (l’entità della parcella del
liquidatore) che dipende in toto dalla questione preliminare, cioè
dalla sentenza definitiva, riguardante, previa richiesta di
dichiarazione della nullità assoluta della nomina del liquidatore,
la richiesta di nullità o annullamento o inefficacia della vendita
da lui effettuata, con conseguente ulteriore domanda di risarcimento
dei danni nei riguardi del liquidatore e dell’acquirente
solidalmente. Pertanto la sentenza non definitiva dovrebbe essere
annullata in Cassazione a causa dell’inversione dell’ordine
logico-giuridico. Non si è nemmeno accorta che in tal modo ha fatto
involontariamente un favore a me perché non sapeva che le
somme tuttora sequestrate in banca dal 1998 a favore dell’ex
liquidatore (in attesa della conclusione della causa di opposizione
al decreto ingiuntivo) sono a nome della Cinecorallo, e pertanto
l’Angius, in base alla sentenza non definitiva, che ha estromesso
la Cinecorallo condannando solo Pietro Melis, non possono essere
riscosse dall’Angius. Per rimediare a questo pasticcio dovrebbe
modificare la sentenza non definitiva con quella definitiva: il che è
impossibile perché dovrebbe arrivare ad un contrasto tra sentenza
non definitiva e sentenza definitiva all’interno del medesimo
procedimento. Il pasticcio risulta, per esempio, da una sentenza
della Cassazione (sez. II, 19 gennaio 1979, n.402) di commento
all’art. 295 c.p.c.: “L’istituto della sospensione non opera
nell’ipotesi di cause riunite pendenti nello stesso grado, poiché
in tal caso la questione pregiudiziale viene decisa coevamente – e
in via logicamente prioritaria – con la questione pregiudicata,
venendo a costituire, nel corpo dell’unica decisione, una questione
logicamente preliminare”. Lei invece, illogicamente, ha deciso con
una sentenza non definitiva che avrebbe dovuto dipendere logicamente
da quella definitiva da considerarsi preliminare e pregiudiziale a
quella non definitiva. Avrebbe dovuto fare un’unica sentenza
affrontando prima la questione pregiudiziale riguardante,
previa dichiarazione della nullità della nomina del liquidatore, la
nullità o annullamento o inefficacia della vendita, da cui doveva
dipendere la questione pregiudicata riguardante la parcella del
liquidatore. Lei ha messo il carro di fronte ai buoi. Complimenti!
A
p. 15 ha scritto che “la manifestazione di contrarietà all’operato
dell’Angius, ed in particolare alla vendita dell’unico cespite
della società, da parte del Melis, è avvenuta dopo l’instaurazione
delle trattative per la vendita dell’immobile e dopo la stipula del
contratto preliminare”. Con ciò ignorando che il contratto
preliminare dell’1 agosto 1997 era stato annullato e sostituito
furtivamente (a mia insaputa) con quello dell’8 settembre, quando
già il 23 agosto sia il liquidatore che il promissario acquirente
avevano ricevuto la mia racc. posta celere A.R. di 4 pagine (qui
allegata) in cui 1) evidenziavo i motivi di nullità della nomina del
liquidatore; 2) annunciavo il mio prossimo ricorso per chiedere la
sospensione e la revoca della sua nomina. Il preliminare dell’1
agosto prevedeva la vendita per il 30 agosto 1998. La vendita del 13
novembre 1997 è stata anticipata di ben 9 mesi, sempre furtivamente,
in base al preliminare dell’8 settembre, con il chiaro proposito di
pormi di fronte al fatto compiuto. Ma per lei è stato tutto
regolare.
Lei
(sentenza non definitiva, pp.17-18) ha duplicato la voce riguardante
la consulenza contrattuale riconoscendo all’Angius L.37.000.000,
mentre la consulenza contrattuale avvenne per intermediazione della
agenzia immobiliare Steluma, che era già stata pagata dal Cadeddu,
come risulta dalla fattura della Steluma (qui allegata) per l’importo
di L. 34.860.000. L’Angius non ha partecipato affatto alle
trattative di vendita. E comunque non è stato dimostrato in causa.
Diversamente si arriverebbe all’assurdo che l’intermediazione per
consulenza contrattuale sarebbe costata L. 37.000.000 più L.
34.860.000. Precedentemente la Corte d’Appello, fondandosi sulla
analisi critica di tutte le voci della parcella dell’Angius esposta
con l’atto di appello contro il decreto ingiuntivo, con ordinanza
del 4 gennaio 2008 (qui allegata), aveva ridotto la parcella di ben
50.000 euro. Ma lei non ha tenuto conto affatto dell’analisi
contenuta nell’atto di appello, e conseguentemente nemmeno di tale
ordinanza. Inoltre lei (pp.17-18) ha considerato il massimo della
tariffa per L. 37.000.000 “tenuto conto della difficoltà che nella
trattativa ha rappresentato l’atteggiamento ostruzionistico del
Melis”. Quale difficoltà nella trattativa se questa fu condotta dall'Agenzia immobiliare Steluma? E quale atteggiamento ostruzionistico? Quello causato
dall’essermi opposto epistolarmente e giudiziariamente alla nomina
del liquidatore (revocato dal presidente del Tribunale in data 11
dicembre 1997)? INCREDIBILE! E l’avermi tenuto sempre
nascosto il secondo preliminare dell’8 settembre 1997 per
anticipare la vendita di 9 mesi rispetto al primo preliminare dell’1
agosto (che prevedeva la vendita per il 30 agosto 1998) per mettermi
di fronte al fatto compiuto con dolo processuale, questo non conta?
Ma poi (bontà sua!) a p. 19 ha scritto che “non deve infine essere
riconosciuta la maggiorazione prevista dall’art. 6 T.P. …in
quanto non pare che le prestazioni siano state rese in condizioni di
urgenza, per il vero neppure allegata, né possa configurarsi una
situazione di disagio per il solo fatto che il Melis negli ultimi
mesi dell’incarico abbia manifestato, seppure in modo veemente,la
sua opposizione verso la vendita dell’unico cespite sociale”.
Dunque nel primo caso dovevo essere punito con la maggiorazione
dell’importo per avere avuto un “atteggiamento ostruzionistico”
riguardo alla vendita; nel secondo caso potevo essere graziato
nonostante la mia “veemente opposizione alla vendita”. Se questa
è logica!
Lei
ha aggiunto (p. 19) che nessuna osservazione è stata sollevata nella
consulenza di parte per quanto riguarda gli onorari graduali
richiesti nella misura di lire 5.040.000 e delle indennità richieste
nella misura di lire 4.590.000. FALSO! Evidentemente non ha
letto l’atto d’appello con l’analisi dettagliata di tutte le
voci della parcella. Analisi ripetuta nell’esposto a p. 42. Tali
onorari e indennità sono completamente privi di pezze
giustificative. E sulla base dell’atto d’appello la stessa Corte
con ordinanza del 4 gennaio 2008 aveva ridotto di ben 50.000 euro la
parcella dell’Angius. E per lei che l’Angius tra gli onorari
graduali abbia compreso persino L. 200.000 per essere andato, o avere
mandato, a ritirare una mia racc. alle Poste quando era in vacanza
nella sua villa al mare, non potendo dunque nemmeno accampare
un’assenza dallo studio, anche questo è normale.
Poiché
anche il comportamento successivo al contratto (art. 1362 c.c.) può
valere per escludere la buona fede dei contraenti, legga l’esposto
a p. 40 dove ho documentato il comportamento in malafede dell’Angius
che, dopo la definitiva revoca della sua nomina da parte del
presidente della Corte d’Appello in data 16 marzo 1998, cercò il
23 aprile del 1998 di farsi passare come liquidatore ancora in carica
(con certificato scaduto della Camera di Commercio) per incassare
presso l’allora Banco di Napoli (oggi banca Intesa) il ricavato
della vendita meno le tasse nascondendosi dietro il socio Paolo Melis
mandato allo sportello dopo avergli rilasciato delega con cui
attestava falsamente “la piena validità di tutte le suddette
operazioni” (documentazione anche qui allegata). E ciò per evitare
uno scomodo decreto ingiuntivo e mettermi per la seconda volta di
fronte al fatto compiuto. L’operazione non gli riuscì perché il
30 marzo 1998 avevo già avvisato la banca con racc. A. R. della sua
già avvenuta revoca definitiva in data 16 marzo 1998. Cfr. in
dettaglio p. 40 dell’esposto. Denunciai alla Procura il fatto, oltre a quello di avere consegnato
al socio pignorato Gianluca Melis (colui che ne aveva chiesto la
nomina) la somma la somma di L. 18.000.000 (pignorata in base a
decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo dell’allora pretore),
commettendo il reato di cui all’art. 334 C.P. Ma tale denuncia,
dopo che vari p.m. se lo palleggiarono tra loro, dopo alcuni anni fu
archiviato. Cfr. in dettaglio p. 41 dell’esposto qui allegato. Da
prima tale importo fu ridotto dall’Angius a L. 11.000.000 abolendo
illecitamente gli interessi. Poi l’Angius scrisse nel bilancio
finale di liquidazione che sarebbe stato aperto un libretto bancario
a mio favore per lo stesso importo. Ma tale libretto non fu mai
aperto. Dunque fu pagato al socio pignorato tutto l’importo. Come
se non bastasse l’Angius disonestamente ha fatto passare tale reato
come transazione con il socio Gianluca Melis attribuendosi per questo
L. 930.000. E lei a p.17 della sentenza ha giustificato tale importo non avendo capito questo
imbroglio. Io invece dovetti subire un processo sino alla Cassazione
(per vedervi dichiarata la prescrizione del reato di offesa) perché
in una mia lettera all’Angius l’avevo definito “piffero di
montagna” dopo la sua revoca da liquidatore. Cfr. in dettaglio p.
41 dell’esposto. Sempre a p. 17 lei ha riconosciuto
all’Angius una transazione con il gestore A.C. quando, invece, non
vi fu alcuna transazione perché fu pagata dall’Angius al gestore
la buona uscita calcolata a termini di legge.
Lei
è giunta perfino a confondere una addizione con una sottrazione
laddove (p. 20) scrive “che l’Angius ha speso lire
3.184.500 per diritti di liquidazione”. Ma invece di aggiungere
tale importo sbaglia (involontariamente a mio favore) sottraendo tale
importo invece di aggiungerlo. Infatti, dopo essere giunta
all’importo di L. 107.676.310 (p. 19), ha sottratto l’acconto di
L. 12.000.000 (p.20), giungendo così a L.95.676.310. Ma poi, invece
di aggiungere L. 3.184.500, ha sottratto quest’ultimo importo
giungendo a L.92.491.810. Non può trattarsi solo di una svista. Si
tratta della spia di una confusione mentale con cui è stata fatta
tutta la sentenza. E queste sono solo alcune delle tante “perle”
della sentenza non definitiva.
Vi
sono gravi errori in questa mia
allucinante vicenda. Non ho alcunché da aspettarmi di diverso con la
sentenza definitiva dopo la sentenza non definitiva piena anche di imperdonabili falsità
materiali. Questa vicenda si
chiuderà solo in Cassazione.
Come ha potuto ripetere la
falsità che all’epoca dell’ordinanza di mero rito 8-20 novembre
1997 (doc. 19, qui allegata) della Tiziana Marogna (che non dovrebbe nemmeno
far parte del Collegio in Corte d’Appello, essendo responsabile di
quella disgraziata ordinanza in Tribunale) era stato superato
l’orientamento della Cassazione che prevedeva un giudizio ordinario
con contestuale provvedimento cautelare contro un decreto di nomina
del liquidatore da parte di un presidente del Tribunale, mentre
risultava esattamente il contrario? FALSO.
Infatti l’ultima sentenza della Cassazione
prima di detta ordinanza (Cass. 2 dicembre
1996, n. 10718), dando ragione a me con il
richiedere un giudizio ordinario con contestuale provvedimento
cautelare in Tribunale (come io avevo fatto), contrastava
l’indirizzo, per di più minoritario, che prevedeva il ricorso per
Cassazione ex art. 111 Cost. E tale indirizzo proseguì oltre
l’ordinanza della Marogna, rendendo falsa l’affermazione della
Marogna, e perciò anche la sua, che all’epoca della sua ordinanza
fosse stato superato l’indirizzo della Cassazione che prevedeva il
ricorso al Tribunale. Tanto più che lei ha citato la sentenza della
Cassazione a Sezioni Unite 11104/2002, che, dando ragione a me, ha
cancellato la giurisprudenza minoritaria che prevedeva il ricorso
diretto in Cassazione ex art. 111 Cost. e ha lasciato la
giurisprudenza maggioritaria che diceva che contro un decreto
presidenziale di nomina del liquidatore l’unico rimedio era un
giudizio ordinario con contestuale provvedimento cautelare ex art.
700 c.p.c., come avevo fatto io. Lei ha ripetuto la falsità materiale della Marogna con il ritenere
che all’epoca dell’ordinanza di mero rito della Marogna (8-20
novembre 1997) fosse stato superato l’indirizzo che prevedeva il
ricorso al Tribunale (come fatto da me) e che rimanesse il ricorso
per Cassazione. Senza quella disgraziata
ordinanza non starei qui a tribolare ancora dopo 18 anni. Ma chi
ripete queste falsità in Corte d’Appello ha una responsabilità
maggiore.
Non
basta. Lei a p. 11 della sentenza non definitiva ha citato la
sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 11104/2002 secondo cui
“il decreto con il quale il presidente del Tribunale abbia
provveduto alla nomina del liquidatore di una società di persone ai
sensi dell’art. 2275 non è suscettibile di ricorso in
Cassazione…ciascun interessato, purché legittimato all’azione,
può promuovere un giudizio ordinario su dette questioni”. Ora, a
parte la considerazione che la nomina del liquidatore avvenne
erroneamente ai sensi dell’art. 2272 n. 3, e non ai sensi dell’art
2275, vi è da considerare che proprio in contrasto con l’ordinanza
della Marogna - che lei contraddittoriamente ha voluto salvare nel
riferimento di detta ordinanza al ricorso diretto in Cassazione a
norma dell’art. 111 Cost. come unico rimedio contro la nomina del
liquidatore - io avevo promosso un ricorso al Tribunale con giudizio
ordinario. Mentre lei, paradossalmente, in ulteriore contraddizione,
ha scritto (p.13) che “l’interessato…avrebbe dovuto proporre un
giudizio in via ordinaria”, negando così falsamente - fatto
grave - che è proprio ciò che io avevo
fatto, promuovendo un giudizio ordinario con contestuale
provvedimento cautelare. E ciò nonostante lei avesse scritto prima
(a p. 6) che “avverso il provvedimento presidenziale di messa in
liquidazione della società Cinecorallo s.n.c. il Melis ha promosso
il 15 settembre 1997 azione giudiziaria cautelare volta a conseguire
la revoca del provvedimento o quanto meno la sua sospensione, istanza
rigettata con ordinanza in data 7 novembre 1997”. Evidentemente lei
a p. 13 si è dimenticata di ciò che aveva scritto a p. 6.
INCREDIBILE.
Come
se non bastasse, la disgraziata ordinanza della Marogna è stata
impiegata sia in Tribunale (Aquaro) che da lei per attribuire una
buonafede al liquidatore, considerando l’ordinanza alla stregua di
una sentenza passata in giudicato, come se non vi fosse più rimedio
contro di essa, nonostante non fosse nemmeno una sentenza e perciò
fosse ricorribile al Collegio entro dieci giorni a partire dalla
notifica (20 novembre 1997), prima della quale, in dispregio delle
norme processuali da parte del liquidatore, avvenne il 13
novembre 1997 l’illegittima vendita, cinque giorni dopo il
deposito dell’ordinanza (8 novembre), senza nemmeno attenderne la
notifica (20 novembre). Cosicché mi fu impedito di fare reclamo al
Collegio, reso ormai inutile. Si aggiunga la falsità materiale per avere già il giudice di primo grado salvato l’operato
dell’ex liquidatore attribuendogli gratuitamente una buonafede in
sede processuale anche con il giocare sul termine “definiti”
scrivendo (p. 27) che il liquidatore era “confortato dalla
decisione del Tribunale di revoca in via definitiva
del Melis dalla carica di amministratore” (doc. 28). Falsità
ripetuta da lei in Corte scrivendo (p. 15) che “alla data della
vendita i procedimenti instaurati risultavano definiti
con esito negativo” (doc.29), così
trasformando l’ordinanza della Marogna e una sentenza del Tribunale
(che mi revocava da amministratore, ma annullata in Corte d’Appello
con sentenza 34/2001 (doc.11), con conseguente mia reintegra nella
carica di amministratore da parte del giudice del registro) in
sentenze passate in giudicato. Fatto gravissimo.
Come
può un giudice trasformare una sentenza definitiva (tale in quanto
decide su tutte le domande) in una sentenza passata in giudicato
dando ad intendere che io dopo quella sentenza fossi ormai fuori
gioco e privo di difesa contro la nomina illegittima del liquidatore?
E ciò nonostante che nella mia racc. A.R. del 22 agosto 1997
(doc. 13, qui allegato) avessi avvisato con il promissario acquirente
anche il liquidatore dicendo che non poteva vendere prima di una
sentenza passata in giudicato sulla mia revoca da
amministratore, perché “se la sentenza sarà a me favorevole dovrà
essere ripristinato il mio diritto a tornare ad essere
amministratore, e non di una società che non esiste più”. Essendo
stata la mia revoca (annullata poi dalla Corte con sentenza 34/2001,
est. S. Fundoni, passata in giudicato, e qui allegata) l’unico
motivo per cui era stata richiesta da un socio di minoranza la nomina
di un liquidatore, per interessi (debiti) personali e non societari.
Nella stessa lettera dicevo che avevo rifiutato tre anni prima (1994)
un’offerta di un miliardo e 800 milioni per cessione di quote a
Gesuino Fenu. Come poi documentato dalla sentenza penale, qui
allegata, del 2001 (doc.2) che spiega a mio favore le vere cause di
tale vicenda. Sentenza che certamente lei non
ha mai letto. La legga. Ciò risulta anche
dalla qui allegata sentenza civile 259/2000 (doc.3). Anche da questa
sentenza risulta che i soci di minoranza il 26
ottobre 1994 mi citarono in giudizio dinanzi
al Tribunale per non avere adempiuto ad un contratto “concluso in
data 26 marzo 1993 con la quale tutti i soci si erano obbligati a
cedere le proprie quote della Cinecorallo nel caso in cui si fosse
trovato un acquirente disposto a rilevare la società al prezzo di L.
1.800.000.000” (p. 3). Fui dichiarato inadempiente sia in Tribunale
che in Corte d'Appello ma furono rigettate le domande avversarie di
risarcimento perché i danni non erano stati dimostrati. Furono
interamente compensate le spese. Risultai inadempiente solo perché
in tale sede, contro la mia volontà, non era stata sollevata dai
miei avvocati, che la ritenevano pericolosa, l’accusa di estorsione
di detto contratto. Ma nel 1996 (anno in cui fu nominato il
liquidatore) mi mossi io con denuncia di estorsione. Estorsione che
fu provata con la sentenza penale dell'8 novembre 2001. Infatti con
detta sentenza (giudice Massimo Poddighe) fui assolto dall’accusa
di calunnia dopo che io avevo accusato gli altri soci di avermi
estorto la scrittura privata predetta. Si
evince dalla stessa durata del procedimento civile (ottobre
1994-giugno 2000) e da quella del processo penale (dicembre
1996-novembre 2001) che rifiutai sempre di cedere a terzi la mia
quota di maggioranza (66%) della Cinecorallo.
E
lei, in contrasto con questi due procedimenti, che ha completamente
ignorato, e la cui durata comprende gli anni 1996-97 dello stato di
liquidazione, ha scritto che ero stato acquiescente allo
stato di liquidazione. Non potevo essere acquiescente ad una svendita
per soli un miliardo e mezzo meno la parcella del liquidatore (166
milioni) e con una tassazione della società che non sarebbe esistita
tre anni prima con la cessione di quote per un miliardo e 800
milioni, esente per legge dalla tassazione a cui sarebbe stata
soggetta la vendita tramite liquidazione perché nella cessione di
quote non risulta una plusvalenza, su cui incide una forte
tassazione. Infatti la società Cinecorallo dovette pagare 287
milioni di lire (cfr. ricevuta allegata) a causa della vendita
tramite liquidatore. Sono stato vittima sacrificale di due fratelli
disonesti che volevano costringermi a vendere ad ogni costo per
sanare i loro debiti personali, non societari, giacché la società,
da sempre in attivo, conseguiva pacificamente l’oggetto sociale con
l’affitto a terzi della sala cinematografica, essendo la proprietà
separata dalla gestione. Due fratelli irriconoscenti di una eredità
inaspettata, dovuta unicamente a me. Cfr. anche per questo la citata
sentenza penale. Ma anche quella qui allegata del Tribunale, est. F.
Buttiglione (doc.1). Sono rimasto vittima di una banda di pirati
all’assalto della mia proprietà, conquistatami da solo, dopo una
lunga ed estenuante vicenda giudiziaria ereditata da mio padre,
proprio in sede di giudizio.
E
ciò a parte tutti i vizi di nullità della nomina del liquidatore,
che lei ha voluto salvare anche in questo caso, nonostante la revoca
della sua nomina da parte del presidente del Tribunale in data 11
dicembre 1997. Vendita avvenuta sostituendo furtivamente, cioè a mia
insaputa, e perciò fraudolentemente, il primo preliminare di vendita
dell’1 agosto 1997 con il secondo che anticipava la vendita dal 30
agosto 1998 al 13 novembre 1997 con lo scopo di mettermi di fronte al
fatto compiuto prima che si concludessero i procedimenti in corso con
due sentenze passate in giudicato. Procedimenti
conclusisi a mio favore. Vendita avvenuta precipitosamente due giorni
dopo il deposito della sentenza del Tribunale (11 novembre), senza
attenderne nemmeno la registrazione (20 novembre), e cinque giorni
dopo il deposito dell’ordinanza (8 novembre) senza nemmeno
attenderne la notifica (20 novembre). Cosicché io, a vendita già
avvenuta, rimasi beffato per essere stato costretto a credere che
fosse rimasto valido il primo preliminare di vendita dell’1 agosto
che prevedeva la vendita per il 30 agosto 1998, essendomi stato
sempre tenuto nascosto dal liquidatore, in combutta con il
promissario acquirente, il secondo preliminare dell’8 settembre che
anticipava la vendita al mese di novembre del 1997. Più
malafede di così non si può. Se fossi stato
informato dal liquidatore, come di dovere, del secondo preliminare
sarei piovuto nello studio del notaio Giua Marassi per diffidarlo
dallo stipulare perché vi era una causa in corso volta ad ottenere
la revoca della nomina del liquidatore, revocata l'11 dicembre 1997. Seppi della vendita un
settimana dopo, quando era già avvenuta.
Ho
deciso tutto ciò pur contro la volontà dei miei avvocati, che
pertanto sono tuttora all’oscuro del mio esposto. Attendevo infatti
che si arrivasse prima alla comparsa di replica, cioè alla chiusura
del procedimento a Cagliari.
E
adesso le faccio capire io, come non è stato mai capito in corso di
causa, quale sia stato il vero motivo che portò alla illegittima
nomina di un liquidatore. Non gli asseriti dissidi societari, come
l’hanno bevuta i giudici, lei compresa. La Cinecorallo era da
sempre in attivo e conseguiva il suo oggetto sociale pacificamente,
al di là della volontà dei soci, con i canoni pagati puntualmente
dal gestore, essendo la proprietà separata dalla gestione. E
allora perché la richiesta di un liquidatore da parte del socio di
minoranza Gianluca Melis, morto nel 2003? Ecco la spiegazione. Il 24
giugno 1994 aveva acceso un mutuo presso la banca Cariplo per avere
180 milioni di lire con ipoteca sulla casa a pian terreno a Poggio
dei Pini (costruita in buona parte con i soldi da me regalatigli).
Bella riconoscenza! Vedere una mia visura del 2002 (qui allegata)
della Conservatoria dei Registri immobiliari. In quella casa vi erano
anche i miei soldi regalatigli. Aveva acceso il mutuo convinto di
potermi costringere a vendere anch’io le mie quote con una
scrittura privata estorta (cfr. sentenza penale del 2001 qui allegata
e doc. 3 nell’esposto). Visto il mio rifiuto di vendere sulla base
di una scrittura privata estorta, chiese la nomina di un liquidatore.
Altro che scrivere di dissidi societari! Si trattava di debiti
personali in cui si voleva coinvolgere la società. La casa di Poggio
dei Pini fu persa a causa dei debiti con la banca. E ciò a causa dei
giudici che, dandogli ingiustamente ragione, ne rovinarono la
famiglia, che dovette fare rinuncia all’eredità a causa di una
eredità negativa e della lunghezza della vicenda giudiziaria.
Lo
stesso dicasi dell’altro socio Paolo Melis, anche se i suoi debiti
non posso documentarli. Ma mi disse l’avv. Gavino Massidda, suo
difensore in una delle tante cause intentatemi (cfr. atto di
citazione qui allegato) conclusasi in Corte d’Appello con sentenza
259/2000, qui allegata e doc.3 nell’esposto) – ma poi lo mollò
lasciandolo contumace in Corte d’Appello perché non voleva
proseguire, mi disse, una faida tra fratelli - che il suo cliente
aveva aperto a favore della sua amante (di nascosto dalla moglie) un
negozio di abbigliamento Robe di Kappa in via Orlando (chiuso per
fallimento) e doveva pagare ancora 100 milioni di lire alla Banca
Nazionale del Lavoro per un mutuo acceso per comprare una casa
all’amante. Essi, dopo la sentenza del Tribunale del 1991 (qui
allegata e doc. 1 nell’esposto), avevano diritto ciascuno al 17% di
circa un miliardo liquidato a favore degli eredi Melis. Una eredità
inaspettata, dovuta solo a me, che mi ero occupato da solo (anche
sopportando solo io le spese giudiziarie) della precedente vicenda
giudiziaria ereditata da mio padre e da mia madre, credendo quei due
che la causa fosse ormai persa dopo una sentenza non definitiva
passata in giudicato. Per questo fecero rinuncia all’eredità di
mio padre e la fecero fare anche mia madre. Ma quando seppero che la
vicenda giudiziaria si era conclusa nel 1986 a mio favore in Corte
d’Appello sulla seconda domanda (risarcimento dei danni, cfr.
sentenza allegata del Tribunale 1991, est. F. Buttiglione) non fecero
rinuncia all’eredità di mia madre ed ereditarono ciascuno 1/3
dalla parte di mia madre. Così si spiega il fatto che io abbia
ereditato il 66% dopo avere vinto con la sentenza definitiva (di
risarcimento dei danni). Ma, avvenuta una transazione (qui allegata)
con la cessione di tutte le quote agli eredi Melis a compensazione
del miliardo che i soci precedenti erano stati condannati a pagare,
tutti e due fecero finta di preferire di entrare anch’essi in
società, ma con l’intenzione di lucrare di più costringendomi
subito a cedere anche le mie quote con la scrittura privata estorta,
invece di fare, a termini di legge, domanda di recesso. Avevano
infatti trovato uno (Gesuino Fenu) disposto a rilevare tutte le quote
per un miliardo e 800 milioni. Ecco la vera storia che non appare in
quella giudiziaria. Dunque sono stato vittima di due disonesti in
questa assurda vicenda.
La
mia è una legittima difesa a mani nude contro giudici armati di
sentenze ingiuste.
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