E’ contraddittorio che
ognuno per legittima difesa possa anticipare il suo aggressore armato
uccidendolo, mentre si riconosce allo stesso aggressore che abbia anticipato la
vittima il diritto di continuare a vivere. La legittima difesa presuppone che
nel momento dell’aggressione la vita dell’aggressore non disponga più della
tutela della legge e che esso si ponga in uno stato di natura, ponendo la sua
vita alla mercé dell’aggredito. Non si capisce dunque perché lo Stato
restituisca la tutela alla vita dell’assassino soltanto perché questo è
riuscito ad anticipare la vittima.[1] Vi sono pubblici ministeri, garantisti senza cervello, capaci ormai di
incriminare per omicidio o per eccesso di difesa chi previene un rapinatore
uccidendolo, certamente convinti che l’aggredito debba prima rischiare di farsi
uccidere. La giustizia è in mano anche a questi individui, con la loro cultura
del buonismo che uccide la giustizia. Essi sanno scioperare soltanto contro
qualsiasi controllo di merito del loro operato, non perché la giustizia abbia
tempi brevi e chi la richiede non debba invecchiare o morire prima di una
sentenza.
Se si prendesse spunto dal
pensiero dei filosofi esistenzialisti – che hanno mancato di trattare la
questione della pena di morte – si dovrebbe riconoscere che, essendo l’uomo,
come essi dicono, una possibilità autocostitutiva, come esistenza e non come
essenza (o specie), il valore dell’esistenza umana non è dato dal fatto di
essere umana, ma dal fatto di esprimere una possibile esistenza, da valutare in
relazione ad un progetto che è la stessa singolarità dell’esistenza. Pertanto
il criminale non può essere sottratto alla pena di morte dalla sua essenza
umana, che esiste soltanto biologicamente. Già Pico della Mirandola nell’Oratio de dignitate hominis immaginava
che Dio dicesse all’uomo: “Tu dominerai la tua natura secondo il tuo
arbitrio…non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché
di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella
forma che avresti prescelto”. Sta all’uomo, secondo Pico, scegliere se essere
soltanto un animale o di natura divina. Egli è responsabile del suo progetto di
vita.
[1]Il nostro
ragionamento trova riscontro in Gaetano Filangieri (Scienza della legislazione, 1781-88), che, riprendendo il pensiero
di Locke sullo stato di natura, in cui ognuno ha il diritto di punire i delitti
(II Trattato del governo, II,
11), osserva, contro Beccaria (Dei
delitti e delle pene, 1764), che nello stato di natura si perde il diritto
alla vita quando la si toglie ad altri, perché ognuno ha il diritto di uccidere
il suo ingiusto aggressore, e, se rimane ucciso, il suo diritto si trasferisce
da lui alla società. D’altra parte, non si aggiunge mai che Beccaria continuò a
giustificare la pena di morte per quei delitti che minano l’ordine
sociale. Riferimento odierno potrebbero
essere le organizzazioni a delinquere come la mafia, contro cui si devono usare
leggi di guerra, non di pace, sospendendo le garanzie costituzionali, conservando
le quali si ha soltanto uno Stato imbelle e buffone, se non colluso. Combattere
la mafia (che impiega la pena di morte) con il garantismo delle leggi di pace,
e senza applicare la pena di morte, significa cercare di contrastare un
esercito dotato di artiglieria pesante con un esercito equipaggiato al massimo
con fucili da caccia. Poiché è impossibile estirpare la mafia con metodi
democratici, nell’attuale “democrazia” il sud d’Italia si merita soltanto l’autogoverno
della mafia, senza aiuti economici da parte di altre regioni. Ha scritto
Aristotele (Politica) che ogni popolo
ha il governo che si merita. I capi mafia continuano a comandare dal
carcere ricattando guardie e direttori del carcere. La pena di morte
impedirebbe ai mafiosi di continuare a dare ordini. E’ altrettanto
inconcepibile che non si applichi la pena di morte nei confronti dei
trafficanti di droga, cioè di morte. Ritenere che la loro vita sia degna di
rispetto significa corrompere lo stesso concetto di giustizia. Essi minano
anche l’ordine sociale, per cui, dallo stesso punto di vista di Beccaria,
dovrebbero essere eliminati senza pietà.
Parlando di filosofia: quale è la Sua opinione su un grande filosofo del nostro tempo come Karl Popper?
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RispondiEliminaHo cancellato il mio commento del 7 maggio 2017 18:45 solo perché vi era un errore di battitura nel termine "falsificabilità". Ripeto il commento tale e quale era prima.
RispondiEliminaNon ho mai considerato Karl Popper un grande filosofo nonostante le tante pagine che gli si dedicano nella storia della filosofia contemporanea. Popper è stato un mistificatore. Egli ha sostituito il principio di verificazione con il principio di falsicabilità, nel senso che una teoria scientifica non è mai vera ma VEROSIMILE sino a quando resiste al tentativo di renderla falsa con argomenti contrari. La verità per Popper è solo un ideale a cui deve tendere la conoscenza senza mai poterla raggiungere, come in una curva asintotica (l'esempio è suo) che tende all'infinito verso la linea retta. E così ha introdotto il relativismo della verità nella scienza fisica. Ma non è così. Lo disse lo stesso Einstein, ebreo come Popper, quando scrisse nel libro "Come io vedo il mondo" che la teoria della relatività (ristretta e generale) non falsificava affatto la legge della gravitazione universale di Newton (come riteneva Popper) ma ne estendeva il significato oltre i limiti del sistema solare. Dunque la relatività di Einstein inglobava e non falsificava la legge di Newton. Oggi esistono verità scientifiche nella fisica che non sono più falsificabili, come tutte le leggi fisiche che ancora si studiano nei manuali di fisica. Che la Terra giri intorno al sole, per fare un esempio semplice, è una verità assoluta, come sono rimaste verità assolute le tre leggi di Keplero, senza le quali Newton non sarebbe arrivato alla legge della gravitazione universale. Anche grandi scienziati come Niels Bohr (I quanti e la vita)e Werner Heisenberg (Fisica moderna e pensiero contemporaneo) hanno riconosciuto l'oggettività della conoscenza scientifica. Bohr ha scritto che il linguaggio scientifico è "un raffinamento del linguaggio comune...L'uso dei simboli matematici...assicura la non ambiguità delle definizioni richiesta da ogni descrizione oggetiva". Heisenberg ha scritto che "Le decisioni circa il valore di un determinato lavoro scientifico, su ciò che è giusto o sbagliato nell'opera, non dipendono da nessuna autorità umana...Le questioni verranno decise, e non sarà questo o quest'altro gruppo di scienziati a decidere ma la natura stessa...Le idee scientifiche si diffondono perché sono vere. Esistono criteri oggettivi e decisivi per determinare l'esattezza di una affermazione scientifica".Anche l'evoluzione scientifica, che Popper ha falsamente interpretato a supporto del principio di falsificabilità, come esempio di progresso per tentativi ed errori della conoscenza, non è più una teoria falsificabile, cioè non è più una teoria, ma una verità oggettiva perché verificata da varie discipline scientifiche, come la paleontologia, la genetica,la biologia molecolare, l'embriologia.