domenica 13 agosto 2017

ECCE HOMO. CHI E' GESU' PER LA TRADIZIONE RABBINICA



Nei noti Toledot Yeshu (le storie di Gesù),[1] scritti ebraici arrivanti sino al V secolo, a cui fa riferimento il rabbino capo di Roma,[2] che ne ha curato nel 1985 l’edizione italiana, si dice che Maria era sposata con un certo Jochannàn, della stirpe di Davide, e che un vicino di casa, Josef ben Pandera – notare la perfida precisione ebraica nell’inventare i fatti e i nomi – si introdusse di notte nella casa di Maria mentre il marito era assente. Maria, nel buio, giacque a letto con l’intruso credendo si trattasse del marito, ma contro la sua volontà, trovandosi impura nel periodo delle mestruazioni, che non le impedì, tuttavia, di rimanere incinta. Quando arrivò il marito, che cercò di avere rapporti con Maria, questa protestò dicendo che le sembrava strano che per la prima volta il marito pretendesse di avere rapporti due volte di seguito con lei e per di più nel periodo delle mestruazioni. E così si scoprì l’inganno. Il marito protestò pubblicamente, ma, non avendo testimoni, per non subire l’onta delle corna, si trasferì in Babilonia. E così Maria generò Gesù, figlio delle corna e concepito impuro. Quando divenne adulto Gesù, che si vantava di saper compiere dei prodigi, fu sottoposto ad una prova dai dottori della Legge che lo costrinsero a rivaleggiare con Giuda Iscariota (il buono), che riuscì a volare più in alto rispetto a Gesù, a cui urinò addosso facendolo precipitare a terra. Gesù, incarcerato e liberato dai suoi discepoli, si rifugiò in Egitto, ma, tornato a Gerusalemme, fu arrestato ed impiccato, in accordo con quanto raccontato anche nel Talmud. Un giardiniere ne gettò il corpo in una condotta d’acqua, e i discepoli, non trovandone il cadavere, sparsero la voce che Gesù era risuscitato. Ma un rabbino trovò il cadavere di Gesù dimostrando la falsità della sua resurrezione e i discepoli scapparono disperdendosi tra varie nazioni. Per i Toledot, come tuttora per il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, fiero di averne curato l’edizione italiana, si tratta di un racconto normale, anche se oggi, in clima di pacificazione tra ebrei e cristiani, è considerato scomodo e inopportuno, e causa di imbarazzo nello stesso mondo ebraico. Ma noi l’abbiamo tolto dal dimenticatoio, e sarebbe stato bene ricordarlo quando Giovanni Paolo II entrò nella Sinagoga di Roma per abbracciare l’allora rabbino capo di Roma Toaff dicendo che gli Ebrei erano i frateli maggiori dei cristiani, e sarebbe stato bene che qualcuno l’avesse ricordato all’attuale papa prima dell’omaggio reso all’attuale rabbino capo di Roma che ha curato l’edizione italiana dei Toledot e che, paragonando la nascita di Gesù dalla vergine Maria alla nascita di Minerva dal cervello di Giove,  ha commentato, sottolineando la nascita di Gesù da una relazione extraconiugale di Maria, come se il racconto fosse vero e non dettatto dall’odio giudaico contro i cristiani: “Altro che nascita verginale”.[3]  Il libro dei  Toledot, già condannato nel Medioevo dalla Chiesa, nel Dizionario ecclesiastico del 1958  fu definito blasfemo, calunnioso ed osceno, anche perché i miracoli di Gesù vi vengono rappresentati come magie di natura malefica. Secondo un’altra tradizione rabbinica, tratta dallo scritto Toldos Jeschut, del II secolo, citato da Voltaire (Storia dell'affermazione del cristianesimo, cap. 6), e ripresa dal Talmud [4]– il commentario ebraico ritenuto complemento della Torah - Gesù sarebbe nato, tra i rapporti extraconiugali di Maria, da un rapporto con un centurione romano di nome Joseph Panther, con la chiara intenzione ebraica di trasformare Gesù in un figlio di puttana. Questa è la considerazione che ebrei ebbero di Gesù nella tradizione rabbinica.           

Ma non per questo si può giustificare la falsità storica dell’accusa di deicidio rivolta dai cristiani agli ebrei, che, oltre tutto, se fosse vera, sarebbero stati essi, paradossalmente, chiedendo la morte di Gesù, a permettere la realizzazione del cosiddetto disegno salvifico dell’incarnazione e della salvazione dell’uomo tramite la macellazione del figlio del dio cristiano. Dunque i cristiani se la prendano, piuttosto, con il loro dio, e non con gli ebrei, per quanto riguarda questo tema. Anche se il dio cristiano, in quanto vuole il sacrificio di sangue del figlio, appare, sotto questo aspetto, con la faccia del dio ebraico. Il cristianesimo – e lo dimostreremo – sarebbe stato migliore se non avesse accettato dalla tradizione ebraica l’idea del sacrificio di sangue come mezzo di redenzione. Ma questo è un altro discorso, che svilupperemo ampiamente a suo tempo. Per ora basti dire che la dottrina cristiana è fondata su una teologia che ha assorbito l’influenza della filosofia neoplatonica greca, da cui è stata desunta l’idea della trinità e in cui è stato innestato il dogma del peccato originale, non ricavabile nemmeno esso dai Vangeli, che contengono soltanto un messaggio morale, o dal Vecchio Testamento, artatamente interpretato dal cristianesimo, avendo in ciò ragione gli ebrei credenti. Diversamente sarebbe stato tutto chiaro, e non vi sarebbero state le “eresie” cristiane di Ario e di Pelagio, che negarono la divinità di Gesù. Sino a quando non si riconoscerà la falsità storica dell’accusa degli evangelisti agli ebrei di avere voluto la morte di Gesù, la recente richiesta di perdono da parte di Giovanni Paolo II rimarrà soltanto un atto vuoto di contenuto di verità ed una pura furbizia politica ispirata ad un confusionario ecumenismo che non sradicherà l’antisemitismo religioso.    

Il nostro testo vuol dimostrare che non vi è alcunché di divino nella Torah, e dunque non vi è alcunché di divino nemmeno nei Vangeli, che si presentano illogicamente come completamento della Torah, non avendo il Dio cristiano alcunché a che fare con il dio ebraico. Dal confronto analitico delle origini della filosofia greca con la religione ebraica emergerà in pieno tale contrasto, con la conseguente necessità di escludere la religione ebraica dalle radici storiche dell’Occidente. Abbiamo per questo utilizzato soprattutto, ma non unicamente, la più grande opera di storia della filosofia antica, che va impropriamente sotto i nomi di Edward Zeller (studioso tedesco del XIX secolo) e di Rodolfo Mondolfo, che progettò l’aggiornamento critico-bibliografico della storia di Zeller, facendo in tempo a curare alcuni dei primi volumi di essa, e lasciando ad altri grandi studiosi il completamento dell’opera, che oggi è di 18 volumi (dalle origini presocratiche al neoplatonico Proclo (del V secolo d. C.).

Un ringraziamento alla memoria di Rodolfo Mondolfo, di origine ebraica ma ateo e marxista, considerato in vita il maggiore storico vivente della della filosofia antica, e che le sciagurate leggi razziali fasciste del 1938 costrinsero a lasciare l’Università e l’Italia, dove, finita la guerra, fece ritorno dopo un soggiorno presso alcune Università dell’Argentina, per continuare in Italia la sua infaticabile attività di studioso.             

Ma sciagurati furono anche i decreti altrettanto fascisti del dopo guerra che non restituirono l’insegnamento a chi, ebreo, ne era stato privato ma fu poi accusato di precedente collaborazione con il fascismo. Ricordiamo il grande giurista Giorgio Del Vecchio, uno dei pochi giuristi sostenitori del diritto naturale, e Tullio Terni, professore di anatomia e accademico dei Lincei, che si suicidò poco dopo. Ricordiamo, ma solo a ricordo perpetuo della loro ignominia, il giurista Vincenzo Arangio-Ruiz, che firmò da ministro il decreto contro Del Vecchio, e l’ebreo Levi, che, maestro di Del Vecchio, presiedette la Commissione ministeriale di epurazione.[5]   




[1] Yeshu (Gesù), che è il dispregiativo di Yehoshua (Giosuè), in ebraico è una sigla che sta a significare : “Sia cancellato il suo nome e il suo ricordo”. 

[2] Riccardo Di Segni, Il Vangelo del Ghetto, Roma 1985, pp. 51-52 (Citato dall’ebreo veneziano Riccardo Calimani nel suo documentatissimo Gesu ebreo (Rusconi 1990, pp. 187 e 370 sgg.),

[3] R. Di Segni, op. cit., pp. 119-20 (cit. in R. Calimani, op. cit., p. 143).

[4] Vi sono due Talmud, uno palestinese che si chiude nel IV secolo d. C., l’altro babilonese (della diaspora) che si chiude nel VI secolo. 


[5] Questi fatti sono stati raccontati da Roberto Finzi in Il difficile rientro (Editrice Clueb, pp. 224).

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