Troppa libertà ha la casta dei magistrati. Perché di casta si tratta. Un magistrato entra da giovane in magistratura magari dopo avere superato fortunosamente o per accozzi un concorso. Dopo di che possono anche smettere di studiare perché nel civile in tribunale e nelle Corti di Appello si attaccano al computer per ricopiare sentenze della Cassazione per adattarle al caso specifico. Ma non ci si può fidare nemmeno della Cassazione perché spesso le diverse sezioni arrivano a sentenze contrastanti. Allora debbono, tardivamente, intervenire le Sezioni Unite per cercare di sanare i contrasti. La verità è che anche il Codice di Procedura Civile (risalente, come tutti i Codici, all'epoca fascista, nonostante Mussolini si fosse affidato anche a giuristi non fascisti, come Carnelutti e Calamandrei) è carente e lacunoso in vari punti. E perciò dà luogo ad un guazzabuglio di interpretazioni che non dovrebbero esistere se non vi fossero le lacune e i vari articoli fossero precisi. Faccio un esempio: l'art. 742 c.p.c. presuppone (anche secondo la dottrina maggioritaria) che la revoca di un provvedimento abbia sempre valore retroattivo quando il provvedimento sia inficiato da un vizio di illegittimità. Ma un cervellone della Cassazione nel 2017 ha scritto che non ha valore retroattivo. Che cosa costava all'estensore dell'art. 742 c.p.c. precisare che detto articolo ha valore sempre retroattivo quando il provvedimento sia inficiato da un vizio di illegittimità? Pertanto nella ventennale vicenda che mi riguarda (trattandosi del recupero di una mia proprietà, che è il locale di un grande cinema chiuso dal maggio del 1998, cinema Corallo in Cagliari) nel mio ricorso contro una pazzesca sentenza NON definitiva della Corte d'Appello di Cagliari sono ricorso in Cassazione e un giudice relatore ha scritto che l'art. 742 C.P.C. non ha mai valore retroattivo, mentre tutta la giurisprudenza precedente diceva il contrario. Il
Collegio, sia in Corte d'Appello che in Cassazione, di fatto non esiste perché nessuno dei giudici è
disposto ad impiegare del tempo per occuparsi di cause per cui non è
estensore della sentenza. La legge dovrebbe riformare anche su questo punto la stesura della sentenza prendendo esempio dai concorsi universitari. Ogni componente della Commissione fa la sua relazione e poi le diverse relazioni confluisconio in un giudizio generale che deve rappresentare il giudizio della maggioranza. Dunque anche nell'ambito giudiziario si dovrebbero conoscere i giudizi dei diversi componenti del Collegio, per evitare che il Collegio sia di fatto inesistente e la sentenza venga fatta solo dal giudice estensore, senza che gli altri componenti abbiano alcuna conoscenza della causa, continuando così a perpetuare la menzogna di un Collegio di fatto inesistente.
Nel ricorso contro la sentenza definitiva (un'altra sentenza pazzesca, con sospetto di collusione tra la giudice e il liquidatore) dovrò rivolgermi alle Sezioni Unite in base all'art. 376 del Codice Civile. Ammesso che mi sia data ragione in Cassazione che fine dovrebbero fare i giudici del tribunale e della Corte di Cagliari che hanno convalidato la vendita ritenendo che l'acquirente tramite liquidatore fosse in buonafede mentre era documentatamente in malafede perché vi era un processo in corso volto a chiedere la nullità della nomina del liquidatore? Si trattava infatti di una società in nome collettivo dove io avevo la maggioranza del 66% e i due soci di minoranza, due farabutti di fratelli (uno crepato nel 2003 e l'altro uscito dalla società nel 2007 con la liquidazione del valore della sua quota del 17%). Costoro volevano costringermi a vendere anche la mia quota coinvolgendo la società nei loro debiti personali. Come è risultato anche da una sentenza penale che aveva riconosciuto che io dovevo essere assolto dall'accusa di calunnia perché era vera ("il fatto non sussiste") la mia accusa di essere stato vittima di una estorsione da parte dei fratelli, che da veri farabutti mi avevano accusato di calunnia dopo che io li avevo accusati di estorsione per costringermi a vendere anch'io la mia quota ad un certo Gesuino Fenu, proprietario di una catena di supermarket (GF) che nel 1994 aveva offerto un miliardo e 800 milioni di lire per acquisire tutte le quote della società Cinecorallo, con l'intenzione di trasformare il locale del cinema in un grande market. I fratelli, vista la mia contrarietà a vendere la mia quota, invece di fare domanda di recesso per avere il pagamento della loro quota, si rivolsero ad un presidente del tribunale (Marco Onnis, deceduto molti anni fa). Costui è all'origine di tutti i miei guai. Fuori di testa nominò il liquidatore dandomi come consenziente, mentre dagli atti del giudizio risultava documentatamente che ero contrario. Un presidente del tribunale può nominare un liquidatore solo se TUTTI i soci sono d'accordo sulla liquidazione della società, altrimenti occorre un giudizio contenzioso. La società era da sempre in attivo e conseguiva pacificamente l'oggtto sociale con l'affitto a terzi della sala cinematografica. Pertanto non esisteva nemmeno uno dei motivi previsti dall'art. 2272 del Codice Civile per mettere in liquidazione la società. La proprietà era distinta dalla gestione, e pertanto non potevano esistere dissidi che potessero impedire il conseguimento dell'oggetto sociale. Il liquidatore fu revocato nella sua nomina "DATA LA SUA ABNORMITA") essendo documentato il mio dissenso. Ma sia il liquidatore che il promissario acquirente (il noto costruttore Bruno Cadeddu, rimasto senza i soldi spesi e senza il possesso del locale rimasto a me, ma chiuso dal 1998, in attesa che si stabilisca la proprietà del locale con una sentenza della Cassazione che si pronunci sulla mia domanda di nullità della sentenza della Corte dAppello) non attesero che il tribunale revocasse la nomina del liquidatore e procedettero alla vendita a mia insaputa. La vendita avvenne nel 1997 per un miliardo e mezzo meno la parcella di un disonesto liquidatore che si fece una parcella da 166 milioni di lire. Non basta. Nelle sentenze del tribunale e della Corte si dice, contro l'evidenza, che io risultavo favorevole alla vendita. Come potevo risultare favorevole alla vendita se avevo chiesto e ottenuto la revoca della nomina del liquidatore e tre anni prima avevo rifiutato un'offerta di un miliardo e 800 milioni di lire? Orbene, dei giudici con la testa a posto avrebbero dovuto riconoscere che sia il liquidatore che l'acquirente (da me diffidati con racc. A.R. dal vendere e dall'acquistare in attesa che il tribunale si pronunciasse sulla mia domanda di revoca della nomina del liquidatore) avevano operato in malafede non attendendo il provvedimento di revoca della nomina del liquidatore per mettermi di fronte al fatto compiuto. Più malafede di così non si può. E invece ho trovato dei giudici in tribunale e in Corte che hanno ritenuto che il liquidatore non potesse attendere che il tribunale decidesse sulla sua revoca e che l'acquirente, fidandosi del fatto che ancora non era uscito il provvedimento di revoca della nomina del liquidatore, aveva acquistato in buona fede. Pazzesco. Con puzza di collusione con il liquidatore, curatore fallimentare e perciò ammanigliato con i giudici. Come si vede, si tratta di una vicenda assurda, e questi giudici fuori di testa dovrebbero pagare di tasca propria senza dover fare prima causa allo Stato che interverrebbe solo successivamente in caso di sentenze aberranti rivalendosi poi sugli stipendi dei giudici che abbiano fatto sentenze aberranti. Ma non mi pare che esistano giudici che si siano visti decurtare i loro lauti stipendi. E poi chi può garantire che anche in Cassazione non esistano giudici fuori di testa giacché provengono tutti dalle Corti d'Appello? Non esistono esami e tanto meno concorsi per passare ad un grado superiore della magistratura. Avanzano di grado e di stipendio solo per anzianità. Un giudice può anche passare tutta la vita in tribunale ma, arrivato all'età della pensione, si gode la pensione da consigliere di Cassazione. Assurdo. Non vi è incoraggiamento a migliorare studiando. Pertanto giudici che abbiano commesso guai nelle Corti d'Appello possono continuare a fare guai impunemente anche in Cassazione. Una riforma della giustizia dovrebbe prefigurare che dopo un certo numero di sentenze riformate in Cassazione il giudice del tribunale e della Corte d'Appello debba essere licenziato per provata incapacità. Ma poiché esiste uno spirito chiuso di casta si arriverebbe alla conclusione che in Cassazione le sentenze verrebbero aggiustate per non danneggiare i colleghi dei tribunali e delle Corti d'Appello. E allora quale soluzione? Credo che la giustizia, e ciò vale anche per il penale quando uno abbia subito una ingiusta condanna, soprattutto con il carcere, debba prefigurare una Commissione di giuristi (studiosi del diritto), e non di giudici (manovali del diritto), nominata dal ministero della giustizia, che, avente potere giudicante, stabilisca le colpevolezze dei giudici e in casi estremi il loro licenziamento. Infatti i giuristi, non dipendendo dalla casta dei giudici, che hanno la puzza al naso per i giuristi, ritenuti da essi degli intrusi, sarebbero indipendenti dalla casta. Finirebbe finalmente l'arroganza della magistratura italiana, che si sente padrona e non servitrice della giustizia. Sentirebbe di avere sopra di sé una Commissione giudicante. Una sorta di tribunale di Strasburgo che verrebbe portato in campo nazionale rendendo inutile lo stesso tribunale fatiscente di Strasburgo, comunque composto sempre da giudici e non da giuristi. Si noti come negli Stati Uniti i giudici, pur dirigendo i processi penali nelle udienze, non possano poi determinare la decisione perché, esclusi dalla Camera di Consiglio, la decisione è demandata alla giuria popolare. Perciò non si dica in Italia che le sentenze vengono emesse in nome del popolo italiano. In nome del popolo italiano un cazzo. Dove sta il popolo? Le sentenze vengono emesse in nome di singoli giudici, anche se sono fuori di testa per provata ignoranza e/o incapacità di ragionare.
Nel ricorso contro la sentenza definitiva (un'altra sentenza pazzesca, con sospetto di collusione tra la giudice e il liquidatore) dovrò rivolgermi alle Sezioni Unite in base all'art. 376 del Codice Civile. Ammesso che mi sia data ragione in Cassazione che fine dovrebbero fare i giudici del tribunale e della Corte di Cagliari che hanno convalidato la vendita ritenendo che l'acquirente tramite liquidatore fosse in buonafede mentre era documentatamente in malafede perché vi era un processo in corso volto a chiedere la nullità della nomina del liquidatore? Si trattava infatti di una società in nome collettivo dove io avevo la maggioranza del 66% e i due soci di minoranza, due farabutti di fratelli (uno crepato nel 2003 e l'altro uscito dalla società nel 2007 con la liquidazione del valore della sua quota del 17%). Costoro volevano costringermi a vendere anche la mia quota coinvolgendo la società nei loro debiti personali. Come è risultato anche da una sentenza penale che aveva riconosciuto che io dovevo essere assolto dall'accusa di calunnia perché era vera ("il fatto non sussiste") la mia accusa di essere stato vittima di una estorsione da parte dei fratelli, che da veri farabutti mi avevano accusato di calunnia dopo che io li avevo accusati di estorsione per costringermi a vendere anch'io la mia quota ad un certo Gesuino Fenu, proprietario di una catena di supermarket (GF) che nel 1994 aveva offerto un miliardo e 800 milioni di lire per acquisire tutte le quote della società Cinecorallo, con l'intenzione di trasformare il locale del cinema in un grande market. I fratelli, vista la mia contrarietà a vendere la mia quota, invece di fare domanda di recesso per avere il pagamento della loro quota, si rivolsero ad un presidente del tribunale (Marco Onnis, deceduto molti anni fa). Costui è all'origine di tutti i miei guai. Fuori di testa nominò il liquidatore dandomi come consenziente, mentre dagli atti del giudizio risultava documentatamente che ero contrario. Un presidente del tribunale può nominare un liquidatore solo se TUTTI i soci sono d'accordo sulla liquidazione della società, altrimenti occorre un giudizio contenzioso. La società era da sempre in attivo e conseguiva pacificamente l'oggtto sociale con l'affitto a terzi della sala cinematografica. Pertanto non esisteva nemmeno uno dei motivi previsti dall'art. 2272 del Codice Civile per mettere in liquidazione la società. La proprietà era distinta dalla gestione, e pertanto non potevano esistere dissidi che potessero impedire il conseguimento dell'oggetto sociale. Il liquidatore fu revocato nella sua nomina "DATA LA SUA ABNORMITA") essendo documentato il mio dissenso. Ma sia il liquidatore che il promissario acquirente (il noto costruttore Bruno Cadeddu, rimasto senza i soldi spesi e senza il possesso del locale rimasto a me, ma chiuso dal 1998, in attesa che si stabilisca la proprietà del locale con una sentenza della Cassazione che si pronunci sulla mia domanda di nullità della sentenza della Corte dAppello) non attesero che il tribunale revocasse la nomina del liquidatore e procedettero alla vendita a mia insaputa. La vendita avvenne nel 1997 per un miliardo e mezzo meno la parcella di un disonesto liquidatore che si fece una parcella da 166 milioni di lire. Non basta. Nelle sentenze del tribunale e della Corte si dice, contro l'evidenza, che io risultavo favorevole alla vendita. Come potevo risultare favorevole alla vendita se avevo chiesto e ottenuto la revoca della nomina del liquidatore e tre anni prima avevo rifiutato un'offerta di un miliardo e 800 milioni di lire? Orbene, dei giudici con la testa a posto avrebbero dovuto riconoscere che sia il liquidatore che l'acquirente (da me diffidati con racc. A.R. dal vendere e dall'acquistare in attesa che il tribunale si pronunciasse sulla mia domanda di revoca della nomina del liquidatore) avevano operato in malafede non attendendo il provvedimento di revoca della nomina del liquidatore per mettermi di fronte al fatto compiuto. Più malafede di così non si può. E invece ho trovato dei giudici in tribunale e in Corte che hanno ritenuto che il liquidatore non potesse attendere che il tribunale decidesse sulla sua revoca e che l'acquirente, fidandosi del fatto che ancora non era uscito il provvedimento di revoca della nomina del liquidatore, aveva acquistato in buona fede. Pazzesco. Con puzza di collusione con il liquidatore, curatore fallimentare e perciò ammanigliato con i giudici. Come si vede, si tratta di una vicenda assurda, e questi giudici fuori di testa dovrebbero pagare di tasca propria senza dover fare prima causa allo Stato che interverrebbe solo successivamente in caso di sentenze aberranti rivalendosi poi sugli stipendi dei giudici che abbiano fatto sentenze aberranti. Ma non mi pare che esistano giudici che si siano visti decurtare i loro lauti stipendi. E poi chi può garantire che anche in Cassazione non esistano giudici fuori di testa giacché provengono tutti dalle Corti d'Appello? Non esistono esami e tanto meno concorsi per passare ad un grado superiore della magistratura. Avanzano di grado e di stipendio solo per anzianità. Un giudice può anche passare tutta la vita in tribunale ma, arrivato all'età della pensione, si gode la pensione da consigliere di Cassazione. Assurdo. Non vi è incoraggiamento a migliorare studiando. Pertanto giudici che abbiano commesso guai nelle Corti d'Appello possono continuare a fare guai impunemente anche in Cassazione. Una riforma della giustizia dovrebbe prefigurare che dopo un certo numero di sentenze riformate in Cassazione il giudice del tribunale e della Corte d'Appello debba essere licenziato per provata incapacità. Ma poiché esiste uno spirito chiuso di casta si arriverebbe alla conclusione che in Cassazione le sentenze verrebbero aggiustate per non danneggiare i colleghi dei tribunali e delle Corti d'Appello. E allora quale soluzione? Credo che la giustizia, e ciò vale anche per il penale quando uno abbia subito una ingiusta condanna, soprattutto con il carcere, debba prefigurare una Commissione di giuristi (studiosi del diritto), e non di giudici (manovali del diritto), nominata dal ministero della giustizia, che, avente potere giudicante, stabilisca le colpevolezze dei giudici e in casi estremi il loro licenziamento. Infatti i giuristi, non dipendendo dalla casta dei giudici, che hanno la puzza al naso per i giuristi, ritenuti da essi degli intrusi, sarebbero indipendenti dalla casta. Finirebbe finalmente l'arroganza della magistratura italiana, che si sente padrona e non servitrice della giustizia. Sentirebbe di avere sopra di sé una Commissione giudicante. Una sorta di tribunale di Strasburgo che verrebbe portato in campo nazionale rendendo inutile lo stesso tribunale fatiscente di Strasburgo, comunque composto sempre da giudici e non da giuristi. Si noti come negli Stati Uniti i giudici, pur dirigendo i processi penali nelle udienze, non possano poi determinare la decisione perché, esclusi dalla Camera di Consiglio, la decisione è demandata alla giuria popolare. Perciò non si dica in Italia che le sentenze vengono emesse in nome del popolo italiano. In nome del popolo italiano un cazzo. Dove sta il popolo? Le sentenze vengono emesse in nome di singoli giudici, anche se sono fuori di testa per provata ignoranza e/o incapacità di ragionare.
L'incapacità e la corruzione, la fanno da padroni nella giustizia italiana. Sperare che dei corrotti e per giunta incapaci, facciano qualcosa contro se stessi e a favore del prossimo, è più un sogno che una speranza. Saluti professore, Daniele
RispondiEliminaspecialmente i questi ultimi giorni stanno veramente dando fuori di testa, fra i soldi della lega di bossi e non di salvini e le due mamme "biologiche" del povero, ignaro, disgraziato bebè !!!!!! Non esiste in Natura due paddri, come non esiste due padri ! Una bella class action o meglio azione collettiva contro la stupidità dannosamente perniciosa di questi "giudici" da miss italia, non Giuristi, appunto come dice Lei.
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