martedì 20 novembre 2018

PERCHE' BISOGNA ABOLIRE IL REATO DI VILIPENDIO DI UNA RELIGIONE

Dal mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica. L'Occidente e il diritto naturale. Nelle sue radici greco-romano-cristiane. Non giudaiche e antislamiche.
Gustavo Zagrebelsky, professore emerito di diritto costituzionale all'Università di Torino, ex presidente della Corte Costituzionale, opinionista del quotidiano La Repubblica, è stato relatore (il 20 settembre 2000) di una sentenza scriteriata perché del tutto illogica. 

Egli, partendo “dai principi fondamentali di eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione (art.3 Costituzione) e di eguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose – ma i costituenti , ignoranti, avrebbero dovuto scrivere “religioni” perché le confessioni sono interne ad una religione – aggiungendo che “non può assumere alcuna rilevanza il dato quantitativo della adesione più o meno diffusa a questa o a quella confessione, religiosa”, e precisando che”la posizione di equidistanza e imparzialità è il principio di laicità” dello Stato, “caratterizzato in senso pluralistico”, ha concluso assurdamente, in contrasto con il principio della laicità dello Stato – e senza percepire minimamente la contraddizione – che “il ripristino dell'eguaglianza violata (con l'art.402 del Codice Penale) possa avvenire non solo abolendo del tutto la norma che determina quella violazione, ma anche estendendone la portata per ricomprendervi i casi discriminati”, convinto che “il principio di laicità non implichi indifferenza e astensione dello Stato dinnanzi alle religioni, ma legittimi interventi legislativi a favore della libertà di religione”.

Sulla base di questa scriteriata sentenza, firmata da 15 componenti della Corte, Dio, anche se per gli atei non esiste, è stato trasformato in una pluralità di soggetti giuridici, diverso per ogni religione, e i seguaci di ogni religione sono stati riconosciuti, per dirla con Montesquieu, avvocati di Dio, che in tal modo, nella sua pluralità giuridica, avrebbe bisogno degli uomini per difendersi con denunce. “Il male in questo caso è venuto dall'idea che bisogna vendicare la divinità”, scrive Montesquieu (Lo spirito delle leggi, XII, 4). E ancor prima il giusnaturalista cristiano Samuel Pufendorf separando il diritto naturale dalla teologia morale della religione rivelata, rivendicava il diritto di essere atei e di bestemmiare (De habitu religionis christianae ad vitam civilem, 1686, par. 7).

Zagrebelsky e gli altri 14 scriteriati della Corte Costituzionale non hanno capito che con la loro sentenza anche la setta religiosa più pazza avrebbe diritto ad una tutela penale. D'altra parte i 15 hanno mancato di citare il II comma dell'art. 8 della Costituzione che recita: “Le confessioni religiose diverse da quella cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano”.

Da cui si evince che l'islamismo, non potendo non trarre un suo statuto dai comandamenti del Corano – compresi quelli che, ampiamente citati nel florilegio del cap. 5, sono una patente istigazione a delinquere (art.414 Codice Penale) in quanto predicano la violenza contro gli infedeli sino all'omicidio di massa - avrebbe uno statuto contrario all'ordinamento giuridico italiano. Hanno mai letto il Corano i 15 scriteriati che hanno firmato la sentenza? Se non l' hanno letto sono degli ignoranti che hanno preteso di giudicare su ciò che ignorano. Se l'hanno letto hanno riconosciuto pari dignità ad una religione il cui libro giustifica il terrorismo islamico. Il terribile pasticcio a cui sono pervenuti i 15 scriteriati è causato da due motivi: 1) l'avere contraddetto il principio della laicità dello Stato attribuendo una tutela penale ad ogni religione, mentre avrebbero dovuto ignorarle tutte per quanto riguarda le credenze religiose in senso stretto, non potendo esistere il reato di vilipendio di una religione, anche perché il termine “sacro” non può far parte del linguaggio della politica in uno Stato laico e liberale; 2) l'avere ignorato che ogni religione nei suoi statuti, cioè in quei principi che riguardano, non i dogmi religiosi in senso stretto, ma l'esercizio del culto esterno nell'opera di proselitismo, non deve essere in contrasto con l'ordinamento giuridico.

E' quanto già Spinoza aveva spiegato nel suo Trattato teologico-politico (cap. XVI) distinguendo il culto interno da quello esterno, che deve rimanere sotto il controllo dello Stato, in quanto deve “accordarsi con la pace e la sicurezza dello Stato” (cap. XIX). Se poi si dicesse che la tutela penale riguarderebbe la difesa della sensibilità religiosa di un individuo o di una comunità, sarebbe ancora peggio. Chiunque, a maggior ragione, si sentirebbe in diritto di denunciare chi avesse “offeso” un sentimento soggettivo che deriva, non da un rapporto dell'”offeso” con un altro soggetto giuridico, ma dal rapporto dell'”offeso” con se stesso a causa di una sua particolare e personale credenza, che non può avere maggiore valore solo perché l'”offeso” si ammanta di sacralità , anche quando dietro il “sacro” si riparano credenze che debbono essere ritenute menzogne, o comunque falsità, da un ateo, il quale, al contrario del credente, viene lasciato senza tutela penale nel suo diritto alla dissacrazione, in violazione dell'eguaglianza di fronte alla legge. La dissacrazione è stata l'arma che, facendo valere la libertà di pensiero, ha contribuito alla nascita della concezione laica e liberale dello Stato. D'altra parte, il cristianesimo non si è forse affermato dissacrando le divinità pagane? E se vi fosse qualcuno che dichiarasse – anche se in malafede – di credere ancora negli dei dell'Olimpo? Se offendesse Zeus offenderebbe la sensibilità di chi affermasse di credere in Zeus? Se si obiettasse che soltanto un pazzo potrebbe credere ancora nell'esistenza di Zeus l'ateo potrebbe rispondere che ci vuole una buona dose di pazzia tranquilla per credere in Gesù figlio di Dio, concepito verginalmente con lo Spirito Santo e morto e risorto per essere assunto in cielo con il corpo. E ci vuole una forte pazzia violenta per credere che il Corano sia stato dettato ad un analfabeta (Maometto) da Allah tramite l'arcangelo Gabriele. E si potrebbe aggiungere che il confine tra la sanità e la malattia mentale non è ben definito, trattandosi di questioni di fede. Per coerenza si dovrebbe riconoscere una tutela penale anche alla sensibilità religiosa di chi sia seguace delle sette religiose più pazze, compresa quella dei satanisti. Altrimenti dovrebbe essere la legge a stabilire, entrando in merito al contenuto delle credenze religiose, se una credenza religiosa, in quanto tale, sia buona o cattiva e il relativo sentimento religioso sia degno di una tutela penale. Per tutti questi motivi uno Stato non può riconoscere una tutela penale alle religioni. L'alternativa sarebbe - in contrasto con il citato art. 3 della Costituzione – la discriminazione tra diverse religioni. E' anche evidente che lo Stato non può riconoscere l'8 per mille alle organizzazioni religiose. Altrimenti dovrebbe riconoscerlo anche ai satanisti, se questi si riunissero in un'organizzazione nazionale sulla base di uno statuto i cui principi non comportassero, al contrario del Corano, atti di violenza ma si limitassero ad un culto incruento di Satana. Non basta, chi ateo dà l'8 per mille allo Stato, cioè a tutti – anche a coloro che non lo danno allo Stato – si trova ad essere discriminato rispetto a chi lo dà alle organizzazioni religiose, senza averne alcun ritorno, se non ha la possibilità di tenere per sé l'8 per mille, che pertanto è anticostituzionale.

Tutte queste conseguenze sono sfuggite ai 15 scriteriati della Corte costituzionale .

Zagrebelsky1,vittima del relativismo del multiculturalismo, analizzando il conflitto tra Creonte (tiranno di Tebe) e Antigone (sorella di Polinice), nella tragedia di Sofocle Antigone, offre una grave e confusionaria soluzione al conflitto tra la superiore legge naturale a cui si appella Antigone e la legge dello Stato a cui si appella Creonte, ed affaccia come causa del conflitto una mancanza di dialogo: “essi sono soggetti che...non sono in dialogo con la natura e con la società, e che non tollerano di umiliarsi. Il problema diventa politico e consiste nella domanda: come essi debbano porsi nel reciproco confronto...Occorre assegnare loro non una ragione teoretica ma una ragione pratica che consenta di vivere insieme. Antigone e Creonte, che pur hanno ragione, ognuno per la sua parte, risultano entrambi colpevoli di hibris, di orgoglio smisurato, sono presi dalla pretesa insolente di perseguire la propria solitaria idea di giustizia e si espongono entrambi alle conseguenze della tragedia”.

In sostanza, secondo Zagrebelsky, la soluzione sarebbe dovuta consistere in una “saggezza pratica autentica”, di aristotelica memoria, in un dialogo tra esseri umani immersi nelle circostanze della vita”.

Vuote ed insulse banalità dettate da compromessi politici,, che, proponendo la solita parola magica “dialogo”, oggi di moda, inquinano la giustizia.

Anzitutto Zagrebelsky ha confuso la legge naturale con il diritto naturale, ignorando che il diritto naturale, come diritto dell'individuo, non era stato ancora scoperto, e non poteva essere scoperto, in una concezione etica dello Stato come quella dell'antica Grecia sino ad Aristotele, in cui il collettivo della comunità politica prevaleva sull'individuo, e che il diritto naturale si affaccerà quando la legge naturale con lo stoicismo, superando i confini nazionali e razziali, per volgersi verso l'egualitarismo di una comune ragione universale e trasformando l'individuo da animale politico in animale sociale per un comune senso di appartenenza, prima che ad una organizzazione politica, ad una humanitas, per l'interiore libertà morale dell'individuo, da cui nasce il diritto di natura – si innesterà nel diritto soggettivo del diritto romano e nella dottrina cristiana sulla base del concetto di “persona”, che sottrae l'individuo alla politica, cioè allo Stato. Si tratta delle origini antiche del giusnaturalismo moderno. In secondo luogo la soluzione non poteva consistere nella saggezza quale fu intesa da Aristotele, che distinse la saggezza – come “disposizione naturale accompagnata da ragione verace intorno ai beni umani” (Etica nicomachea, VI, 5) – dalla giustizia, che in senso stretto è per Aristotele giustizia riparatrice (civile penale) e giustizia distributiva (ibid., V, 4-5). La saggezza è per Aristotele una virtù che, riguardando il particolare e non l'universale, non può essere richiesta a tutti, dipendendo essa da due fattori: la disposizione naturale e l'esperienza, insieme con l'esercizio continuo della saggezza, che dura tutta la vita, per cui soltanto nell'età matura si può diventare saggi (ibid., V, 8). Per questo motivo la saggezza deve essere richiesta ai governanti (Politica, III). Ma per Aristotele, al di sopra della saggezza, esiste un “giusto per natura”universale tra gli uomini, che “non dipende dal fatto che qualcosa ad uno sembri buono e ad un altro no” (Etica nicomachea, V, 7). E il giusto per natura è per Aristotele è il presupposto teorico della deliberazione politica, e perciò della saggezza (phronesis) nel giusto legale.

Pertanto la soluzione del conflitto tra legge naturale e legge positiva non poteva consistere nell'accordare ad ogni costo la legge naturale con la legge dello Stato, ma nell'individuare da quale parte stesse la legge naturale, dalla parte di Antigone, che, volendo seppellire entro le mura di Tebe il cadavere del fratello Polinice, voleva far prevalere un suo sentimento, o dalla parte di Creonte, che, di fatto, anche senza esserne cosciente, con il suo divieto di seppellire Polinice entro le mura della città, puniva una precedente violazione della legge naturale da parte dello stesso Polinice, che, alleatosi con lo straniero era un traditore della sua città, e perciò un nemico della legge naturale posta a difesa della vita dei suoi concittadini. Tutto ciò è sfuggito al confusionario Zagrebelsky, che ha proposto un compromesso tra la legge naturale e la legge positiva, snaturando così la legge naturale, che, in quanto tale, deve rimanere al di sopra di ogni legge positiva, considerata quest'ultima soltanto una modalità storica in cui la legge naturale viene applicata (S. Tomaso, Summa thelogiae, II, 1 q.95), per cui anche un'asserita superiorità morale religiosa, secondo S. Tomaso, non può tradursi in una superiorità legale (De regimine principum, I, 1-4).

Non vi è dunque da meravigliarsi che tali e tante confusioni da parte di Zagrebelsky siano state introdotte anche dentro la Corte Costituzionale e si siano manifestate nel grave pasticcio della sentenza che estende la tutela penale a tutte le religioni, nel compromesso del relativismo e del multiculturalismo in cui viviamo, e che contagia anche la Corte Costituzionale, con una paradossale violazione della stessa Costituzione (art. 8, II comma).

Si è così tornati indietro rispetto al giusnaturalismo di S. Tomaso, a quello di Pufendorf e a quello dell'illuminista Montesquieu, nella incredibile conclusione, che, essendo tutte le religioni degne di tutela penale, non si ha più alcun punto di riferimento che valga a stabilire se vi siano principi migliori di altri. E così si mette il cristianesimo allo stesso livello dell'islamismo e del culto della dea Kalì, favorendo una sorta di castrazione dell'Europa nell'impedire che si riconoscano, pur in una concezione laica dello Stato, le radici greco-romano-cristiane dell'Europa, che sono anche le stesse radici della laicità dello Stato.




1 Nomos basileus (Legge sovrana), Rizzoli 2006.

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3 commenti:

  1. Eccellente Professor Melis,
    per limitarmi a un solo punto del tema, già i saggi Romani avevano stabilito che "le offese agli dei" sono materia che riguarda gli dei stessi e non gli uomini, i quali non possono pretendere di diventare -per l'appunto- "avvocati degli dei" ( o di dio al singolare, che è lo stesso ) : dove giammai starebbe la procura con tanto di firma da parte di una divinità a una persona ?? GM

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    1. E poi agli "dei", nn credo che gli serva che l'uomo li difenda, altrimenti che "dei" sarebbero.

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  2. i 5 più 5 più 5...quelli che fanno finta di NON accorgersi delle "leggi" anticostituzionali quando i "geni" le sfornano. Le dichiarano "incostituzionali" SOLO quando hanno fatto DANNI IRREPARABILI a scapito dell'interesse del "Popolo"? Un'accozzaglia di...

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