Mi ricordo che Paolo VI disse ad una bambina che piangeva per la morte del suo cane che l'avrebbe rivisto nell'aldilà. Ecco, io vorrei rivedere i cani e i gatti che mi hanno tutti rattristato l'esistenza ogni volta che la morte mi separava da essi. Dei genitori me ne frego per avermi condannato a morte facendomi nascere senza che io l'avessi chiesto. Qual è la malattia incurabile? E' la vita: ha il 100% di decessi. Meglio non nascere per non essere condannati a morte. Si nasce per sbaglio o per egoismo dei genitori che vogliono una discendenza. E così continua la staffetta della morte. Solo per gli animali non umani la vita ha un senso perché non possono porsi la domanda "che senso ha la vita?". Heidegger distinse tra perire e morire. Gli animali non umani periscono perché la loro vita è un per-ire, cioè un andare per, senza alcuna progettualità dell'esistenza. Gli uomini muoiono (da morior) perché la loro progettualità è un pro-gettare, un gettare di fronte a sé (pro) l'esistenza, che ha come progetto finale la morte. E nel morior è compreso l'orior (il sorgere). Gli uomini autentici vivono pro-gettando la morte, quelli inautentici non la pro-gettano perché vivono nella banalità dei luoghi comuni del "si fa" e del "si dice". Così è un luogo comune il non senso linguistico del dire che "la vita è un bene". Se fosse un bene dovrebbe poter essere donata. Ma la vita non può essere donata perché manca il ricevente. Tranne che assurdamente venga donata ad uno dei milioni di spermatozoi compresi in una eiaculazione, cioè a quello che per primo arriva all'ovulo. Se ne fosse arrivato un altro sarebbe nato un altro individuo. Come si vede, la vita è una lotteria. Nasciamo tutti dal caso, per non dire dal... cazzo. Un aldilà fatto di sole anime umane mi farebbe moralmente schifo. Ma se sopravvivessero anche le anime degli animali non umani, a cominciare da tutti gli animali schiavizzati dagli uomini e uccisi nei mattatoi per arrivare cadaveri nelle mense, dovrebbero sopravvivere anche quelle degli insetti, comprese le pulci, le zanzare, le schifose zecche, etc., etc. E tuttavia vi è un passo (poco conosciuto e mai citato) dell'Epistola ai Romani (8,21) di S. Paolo in cui si dice che "tutte le creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione umana per ottenere la libertà propria dei figli di Dio. Esse, contaminate dall'insulsaggine peccatrice dell'uomo, saranno restituite alla loro essenzialià, ripagate di tutte le sofferenze causate dallo stato di sottomissione forzata, così da estendere la salvezza al mondo infraumano". Frase che ha fatto pensare che S. Paolo credesse nell'immortalità delle anime non umane. Ma mi spaventa anche il pensiero di una sopravvivenza, se pure di eterna beatitudine, fatta di eterna inedia, di eterna noia, priva di progettualità. Mi soccorre una frase di Ludwig Buchner (Forza e materia): E'più spaventoso il pensiero che dopo la morte vi è il nulla o non è più spaventoso il pensiero che, divenendo immortali, non possiamo più morire?
Il filosofo
norvegese Peter Wessel Zapffe (Sul tragico, 1941) capì ciò come nessun
altro. Scrisse che per coerenza non volle figli. Zapffe sostiene che gli uomini
nati con sovrasviluppata capacità di comprensione e di autocoscienza non si
sposano con il disegno della natura. L'umano affaccendarsi per una
giustificazione su questioni come la vita e la morte non possono trovare una
risposta soddisfacente, perciò l'umanità ha un bisogno che la natura non può
soddisfare. La tragedia, seguendo il ragionamento, è che l'uomo impiega tutto
il tempo cercando di non essere umano. Quindi l'essere umano è esso stesso un
paradosso. Esso rimuove il pensiero della morte 1) cercando di non pensarci; 2)
ancorandosi per fede a delle personali certezze; 3) distraendosi (nel senso del
“divertissement” di Pascal); 4) sublimando la vita nell'arte.
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