domenica 4 dicembre 2022

UNA SOLA COSA MI ATTERISCE: L'ETERNITA'

Tra i non pochi libri di mio padre trovai un libro di Ludwig Büchner intitolato Forza e materia. In esso sta scritto (vado a memoria): è più tremendo il pensiero che dopo la morte vi è il nulla o non è più tremendo il pensiero che dopo morti non possiamo più morire? Sono invidioso nei riguardi di coloro che oggi sono neonati o di coloro che nasceranno molti anni dopo la mia morte. Essi vedranno una Terra che io non conoscerò mai. Per conoscerla dovrebbe esistere la sopravvivenza umana. Cosa che scientificamente non si può giustificare. Una breve famosa frase di Parmenide dice: l'essere è e il non essere non è. Frase apparentemente banale. Ma non è così. Essa significa che l'universo è eterno. Nessuno l'ha creato. Così pensava anche Platone (Timeo) che attribuiva l'ordine della natura al Demiurgo. Nel Sofista Platone (che afferma l'immortalità dell'anima sin dalla Repubblica) cerca di dare una definizione del non essere dicendo che tale espresione significa soltanto che una cosa è e non è tante altre cose. E' la conclusione banale che segue all'analisi del pensiero di Parmenide nell'omonimo dialogo Parmenide che nella seconda parte risulta essere il dialogo più difficile di Platone nella sua analisi del rapporto tra uno (dio) e molti (la natura). Bisogna rompersi la testa per seguire Platone nelle sue analitiche distinzioni. E' un dialogo che non conclude affatto circa il rapporto tra essere e non essere. Solo nel successivo dialogo, il Sofista, Platone, come detto, riduce il non essere ad una espressione verbale che non può avere alcun riferimento logico al non essere di Parmenide che lo contrapponeva al nulla, che secondo Parmenide non può nemmeno essere pensato perché il pensiero è pensiero dell'essere. Ma allora come mai esiste l'espressione non essere se il non essere non può essere nemmeno pensato? Da qui la soluzione di Platone. D'altronde, se un Dio l'avesse creato che cosa faceva per un tempo semi infinito prima di crearlo? Sant'Agostino rispose che preparava l'inferno per coloro che si ponevano questa domanda. Ma Parmenide aggiunse che essere e pensare sono la stessa cosa. L'idealista Hegel sfruttò questa frase per affermare che il pensiero è la vera sostanza dell'universo. Estrema espressione di una forma ridicola di antropocentrismo. L'idealismo sfocia nel ridicolo perché considera tutta l'evoluzione dell'universo in funzione dell'apparizione del pensiero umano in questo pianeta chiamato Terra. Come se la Terra fosse l'ombelico dell'universo. E oggi le teorie cosmologiche più avanzate affacciano l'esistenza di un pluriverso, cioè di un universo che si estende oltre quello visibile. La sua enorme, indefinita, grandezza demolisce ogni forma di idealismo. Solo nel vecchio sistema geocentrico (come ancora quello di Dante) si poteva pensare che l'universo fosse finito secondo la tradizione giudaico-cristiana e la Terra fosse il centro di un universo finito limitato dal cerchio delle stesse fisse, così chiamate non perché non si muovessero, perché, anzi, in tale astronomia, conservata sino alla pubblicazione nel 1453 del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico. Tuttavia il sistema copernicano, pur decentrando la Terra, pensava ancora che l'universo fosse finito. Prima di Copernico si pensava che il cerchio delle stesse fisse si muovesse con una completa rotazione di 24 ore ma conservando, in quanto fisse, sempre la loro posizione relativa. Con Copernico il cielo delle stelle fisse non aveva più bisogno di fare una rotazione perché era la Terra che, diventata un pianeta, si muoveva con moto rotatorio diurno e annuale su una orbita circolare avente il sole come centro. Da qui il successivo processo a Galileo, che aveva sostenuto il sistema copernicano. Solo con Keplero si capì che le orbite non erano circolari ma ellitiche. E senza Keplero non vi sarebbe stato nemmeno Newton che capì che le orbite erano tenute da una forza  di gravitazione universale. Ma ancora con Newton l'universo rimaneva finito. E dunque poteva ancora pensare che il nuovo sistema astronomico non fosse del tutto contrario alla religione cristiana. Né l'astronomia successiva, con l'introduzione del Big Bang poteva contrastare il fondamento astronomico della religione cristiana attribuendo  a Dio la nascita dell'universo visibile con il Big Bang. Entro la teoria del Big Bang rientravano le teorie cosmologiche che introducevano l'espansione dell'universo, contro il pensiero di Einstein, che credeva che l'universo fosse stabile e per questo aveva introdotto la forza da lui chiamata Lambda (lettera greca) che esprimeva la forza di repulsione ad evitare che l'universo potesse crollare su se stesso a causa della forza contraria di gravitazione. Tutto diventò diverso quando si incominciò a capire che l'universo visibile, nato dal Big Bang, fosse stato solo un episodio casuale all'interno del pluriverso che esiste oltre l'universo visibile. La religione cristiana non poteva più avere un appiglio nella astronomia, avendo già perso la sua validità in considerazione degli studi sull'evoluzione biologica che dopo Darwin hanno portato a capire quale sia stata casualmente l'origine UNICA di tutte le forme di vita. La scienza demolisce ogni forma di finalismo nella natura, necessario per giustificare religiosamente il primato umano sulla Terra. Racchiudendo tutta l'evoluzione in un anno solare la specie homo appare solo negli ultimi secondi. E questa specie, nonostante ciò, si crede padrona della Terra. Heidegger trovò una soluzione negli scritti successivi a Essere e tempo considerando l'uomo custode e non padrone dell'essere. Paradossalmente il nazismo concordava con il pensiero di Heidegger, che per questo fu accusato ingiustamente di filo nazismo. Mi atterisce il pensiero che con la morte non possiamo nemmeno pensare di essere morti perché non soppravvive il pensiero. Terribile. Come se uno non fosse mai nato. Di fronte a questa considerazione accorrono le religioni per mettere riparo con la sopravvivenza dell'anima. Ma perché dovrebbe sopravvivere solo l'esistenza dell'anima umana se scientificamente questa affermazione è priva di qualsiasi fondamento scientifico essendo unica l'origine di tutte le forme di vita? Allora dovrebbero sopravvivere anche gli insetti, comprese le pulci, i pidocchi e le schifose zecche? Non sopporto l'idea che dopo la morte non debbano sopravvivere anche gli animali (non umani). Essi hanno condotto una vita peggiore di quella dell'uomo se si tratta di animali selvatici soggetti alla legge della catena preda-predatore o degli animali che sono stati sfruttati per finire come cadaveri nelle mense umane (era questo un pensiero del grande filosofo neoplatonico Plutarco). I predatori non uccidono per malvagità come fa l'uomo. E' falso dire che in natura vige la legge del più forte. Vige la legge del diritto naturale, inteso come diritto alla vita. Il predatore non uccide facendo valere il diritto della forza ma il diritto alla sopravvivenza perché se non uccide la preda è costretto a morire. La zanzara ha il diritto di succhiarmi il sangue e io ho il diritto di ucciderla per difendermi da essa. E la zanzara sopravvivrà alla sua morte? Come si vede scientificamente si arriva all'assurdo. Ma rimane la domanda: perché l'essere invece che il nulla? Perché l'universo è eterno pur nella sua evoluzione? Bisogna percorrere altre strade per credere nella sopravvivenza dell'anima umana. Ognuno si attacchi alla corda che preferisce per non cadere nella disperazione. Anche con lo spiritismo. Vi sono stati scienziati (come il naturalista Alfred Russel Wallace e il fisico Oliver Lodge) e grandi filosofi come il pragmatista William James e il maggiore filosofo spiritualista Henri Bergson che hanno coltivato lo spiritismo. Wallace, coscopritore con Darwin, e indipendentemente da lui, dell'evoluzione naturale fondata sull'evoluzione naturale fondata sulla selezione naturale, si era domandato come il cervello umano avesse avuto una evoluzione così breve rispetto alla complessiva evoluzione della specie homo. Egli ritenne che ad un certo punto dell'evoluzione della specie fosse intervenuta una azione divina che ne avrebbe guidato l'ulteriore evoluzione. Conclusione contraddittoria dal punto di vista scientifico se si considera che tutta la precedente evoluzione era dovuta a mutazioni casuali su cui era intervenuta la selezione naturale. La casualità non poteva concordare con il finalismo introdotto per spiegare l'evoluzione del cervello. Infatti Darwin, amareggiato, gli scrisse concludendo: tu hai ucciso il nostro comune figlio (cioè l'evoluzione fondata sulla selezione naturale). Ma mi si dica quale sarebbe una vita eterna dopo la morte. Me la immagino come una vita di inedia ETERNA, di mancanza di interessi, di progettualità. E questa inedia eterna è forse più terribile del nulla dopo la morte. Rimane l'invidia per quelli che conosceranno un mondo che io non conoscerò mai? Ma sino a quando esisteranno dei testimoni di una vita lontana millenni da quella di oggi? Mi sembra che quasi tutta l'umanità viva nel non senso inautentico della vita, per dirla con Heidegger (Essere e tempo, 1927), perché non si pone di fronte alla morte distratta come è dalle banalità, dalle miserie, della vita quotidiana, ove anche le guerre fanno parte della banalità perché in esse la morte viene considerata all'interno degli egoismi umani e non come espressione dell'autenticità della vita umana. Solo l'uomo muore, dice Heidegger (collegando il morior con il suo opposto, orior, sorgere). Gli animali non muoiono ma periscono (dal verbo per-ire), perché la loro vita è un per ire, un andare per senza alcuna progettualità, dove progettare significa pro-gettare, cioè porsi il mondo di fronte (pro) trascendendolo. Gli animali non trascendono il mondo ma vivono nel mondo. Solo con la morte, cioè con il pensiero del nulla, si può trascendere il mondo. Gli animali non vivono ponendosi la morte di fronte a sé. Una vita autentica richiede che tutto ciò che si fa, anche quelle che sono considerate grandi imprese, ricadono nel nulla, e solo questa continua consapevolezza rende la vita umana autentica. Secondo Sartre (L'essere e il nulla) la coscienza umana è un vuoto di essere, un nulla  che tende verso l'essere. I valori umani sono dunque fondati sul nulla. Ne consegue che secondo Sartre "non vi è distinzione tra l'ubbricarsi in solitudine e condurre popoli". Aggiungo che solo pensando che tutto scompare con la morte, come se l'universo si annullasse continuamente con la morte, possiamo cogliere il vero senso del non senso della vita umana, che inautenticamente si pone come assoluta, mentre essa è il risultato di una serie di mutazioni CASUALI che la vita ha avuto sulla Terra, la cui esistenza come luogo di vita è anch'essa casuale perché, se si fosse trovata ad una diversa distanza dal sole e avesse avuto una massa maggiore o minore, sarebbe stata impossibile la vita sulla Terra.                    

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