Due mie vicende personali. Dopo quattro anni fui lasciato. Riuscii a recuperarla dopo averle promesso in malafede il matrimonio a cui mirava. Era stata lei a prendere l'iniziativa in casa di un conoscente in comune. Nell'intervallo soffrii. Ma non sopportavo che nel frattempo avesse conosciuto un tale che era aiuto in chirurgia. Lui era del 1936. Quando seppi che ormai aveva iniziato una relazione seria con il chirurgo mentre io ero refrattatorio al matrimonio mi ritrovai indifferente. E ancor oggi mi domando perché non riuscii a capire subito che mi aveva dato via libera perché non dovessi più nascondere relazioni con altre. Mi sarei rovinato economicamente con il matrimonio perché sarei stato costretto a indebitarmi per acquistare un appartamento nonostante vivessi bene nell'appartamento dei genitori, ben sapendo che avrei continuato a vivere in esso. E poi era più giovane di me di soli 8 anni. La proiettavo già nel futuro. Una seconda lasciò il fidanzato per me. Anche questa durò quattro anni. Era una mia studentessa. Fui da lei circuito attratto da lei fisicamente. Ma capii che non sarebbe stata una buona moglie, nel senso che avrei dovuto guidarla per mano non sapendo sbrigarsela nella vita. Vi era una differenza di età di 24 anni. Rimase nubile certamente perché poteva andar bene sessualmente ma non come compagna di vita. Non fui io a scegliere infine ma fu una sorta di destino a decidere per me la soluzione finale per la futura vecchiaia. Per tutte le storie precedenti all'ultima posso dire che "Credevo fosse amore e invece era un calesse" (titolo di un film di MassimoTroisi ).
La sfortunata Giulia avrebbe dovuto capire subito che il suo futuro assassino era un calesse. Venne nella Facoltà dove insegnavo Francesco Alberoni, fresco del successo del libro Innamoramento e amore per tenere una conferenza. Perché una donna può innamorarsi anche di un delinquente? gli chiesi. Perché, mi rispose, le donne hanno una vocazione materna che le induce a pensare di poter far cambiare il compagno o fidanzato. Gravissimo errore. Schopenhauer (Il fondamento della morale) ha scritto che non si può cambiare il carattere di una persona come non si può cambiare la natura di un serpente velenoso togliendogli il veleno. E' inutile. Il veleno si riforma. Si può dire che il carattere è iscritto nel proprio DNA. Kant molto prima aveva affrontato il problema della responsabilià penale nella Critica della ragion pura. Se il comportamento dipende dal carattere innato di un individuo allora forse viene meno la propria responsabilità, di cui non si è responsabili? La soluzione di Kant mi persuase sempre a metà. Per chi non avesse conoscenze filosofiche dico che per Kant non possiamo avere una conoscenza della realtà in sé ma della realtà come ci appare anche nella conoscenza scientifica, che rimane dunque conoscenza fenomenica. Poiché l'uomo, secondo Kant, appartiene sia al mondo del fenomeno retto dalle leggi fisiche, sia al mondo dello spirito per la sua appartenenza al mondo della morale che ha come presupposto la libertà nell'agire si può dire che, appartenendo al mondo delle leggi della fisica, l'individuo umano ha il carattere che la sua natura fisica l'ha costretto ad avere. Si pensi, per esempio, aggiunge Kant, anche all'ambiente in cui è nato ed vissuto. Sotto questo aspetto manca la responsabilità. Ma dal punto di vista spirituale subentra la responsabilità altrimenti nemmeno gli assassini sarebbero responsabili. Soluzione che non mi ha mai del tutto convinto. Ma non saprei proporne un'altra.
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