Il Dio di Mancuso, non più onnipotente
Un teologo cristiano dissidente si confronta con il problema del male
Di fronte all’interrogativo circa le ragioni per cui trabocca d’ingiustizie e di dolore un mondo creato, secondo la fede cristiana, da un Dio onnipotente e infinitamente buono, la dottrina tradizionale si è sempre trovata in forte difficoltà. A tal proposito Vito Mancuso, teologo di matrice cattolica, ma alquanto eterodosso, denuncia un «invecchiamento irreversibile» della visione del mondo cui si richiama il magistero della Chiesa di Roma. E ne mette in rilievo lacune e contraddizioni (persino una stridente divergenza sul tema del male tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) nel suo nuovo saggio Il principio passione (Garzanti).
Non è questo però l’aspetto più importante di un’opera che non sfida soltanto le autorità ecclesiastiche, ma anche e molto di più il materialismo ateo, poiché si propone di ricavare una concezione religiosa dell’universo dalle attuali conoscenze scientifiche. E al tempo stesso ambisce a spiegare la presenza del male senza rinunciare all’idea di un Creatore che ha con il mondo «un rapporto di comunione, di alleanza, di amore». Il Dio di Mancuso resta infatti quello del Vangelo, anzi lo è più che mai, poiché si tratta di una divinità che, come Gesù sulla croce, «patisce gli stessi patimenti della creazione».
In parole povere, Mancuso ritiene che la convivenza di ordine e disordine, letizia e sofferenza, ragione e follia, insomma logos e caos, sia inerente alla struttura dell’essere. Nello stesso Dio (Realtà primaria) vi è «un fondo oscuro», poiché egli ha immesso nel mondo (realtà secondaria) il caos «quale unica condizione per il darsi della libertà». Se non ci fosse il male, non avremmo la facoltà di scegliere tra di esso e il bene. Non potremmo quindi giungere, attraverso l’amore disinteressato, al grado di perfezione della «mente consapevole e giusta», che è per Mancuso «lo scopo dell’Universo».
Ciò comporta, riconosce l’autore, i tormenti indicibili cui tanti esseri viventi sono sottoposti. Orrori che si possono giustificare, continua, solo a patto «che Dio si assuma le sofferenze del processo cosmico in prima persona». Dunque il Creatore, nel momento in cui crea, rinuncia ad essere assoluto e, scrive Mancuso, «non può essere né onnipotente né onnisciente». Anzi diventa «un Dio che si pone al servizio del mondo», rovesciando la dialettica usuale della dottrina cattolica.
Viene però da domandarsi allora che cosa rimanga di un Dio presentato come «vittima egli stesso del processo storico» di evoluzione del cosmo. Non è il processo in quanto tale che si eleva in tal caso a vero assoluto? Non siamo, in altri termini, dinanzi a una forma di panteismo? Mancuso per la verità parla di «pan-en-teismo», poiché il suo Dio «fa muovere il processo stando sia fuori sia dentro». Ma se di quella dialettica tra logos e caos il Creatore subisce davvero le conseguenze, è evidente che essa si muove in larga misura fuori del suo controllo. E infatti Mancuso ammette che «non è garantito in alcun modo che l’evoluzione raggiunga il suo fine di rendere la realtà secondaria pienamente conforme alla Realtà primaria», cioè il mondo conforme a Dio.
Non è più semplice a questo punto, si chiede ancora l’osservatore laico, fare a meno di Dio e vedere all’opera semplicemente una natura impersonale, impasto di logos e caos, di cui l’uomo è uno dei tanti prodotti, prezioso quanto fragile e provvisorio? Bisogna certo rinunciare anche all’«ottimismo ontologico» di Mancuso e all’idea che il bene sia insito nella logica della creazione, lasciando soltanto all’uomo la terribile responsabilità di definirlo, sceglierlo e perseguirlo. Sembrerebbe tuttavia l’ipotesi più plausibile, nel momento in cui si negano l’onnipotenza e l’onniscienza di Dio.
Vito Mancuso, Il principio passione, Garzanti, pagine 495, € 18,80
Antonio Carioti
Tag:Dio,
fede cristiana,
pietromelis
25 ottobre 2013 - 15:48
23 ottobre 2013 - 23:52
Dio onniscente e non-Dio
Mancuso già in "L'anima e il suo destino" aveva tentato l'impossibile convergenza fra un panteismo sostenuto da una filosofia scientificheggiante e una tradizione creazionista basata sul Dio dotato di personalità e volontà e sulle "verità" della fede cristiana. Scoprire che esiste ed è dilagante il male (in fondo anche Gesù con l'adultera ammise che nessuno fosse senza peccato!), realtà inspiegabile a fronte di un Dio creatore perfetto ed onniscente, spinge Mancuso a includere anche in Dio il caos, espressione aulica ed edulcorata del male. Ha uno scopo il male nel mondo? Sì -ci dice-. Introdurre il caos-male nella creazione è il modo per dare alla creatura umana "consapevole e giusta" la possibilità di scegliere ed elevarsi verso la perfezione. E chi non si eleva? Come può parlarsi di onniscenza e di perfetta giustizia, paradossalmente unita anche a perfetta misericordia, se anche una sola -una sola!- delle creature è destinata ad essere punita per le sue scelte? Qual'è il senso d'una creazione ad opera d'un Dio perfetto che dà origine al creato, stabilendone le regole, se poi constatiamo che la maggior parte delle creature sceglie il male, il non-Dio? A che cosa è servito dunque il meccanismo logico di sapore scientifico secondo cui "la materia è energia, l'energia è divinità diffusa, Dio è in ogni cosa, il mondo si evolve verso la complessità ed il bene" se non a cercar di sedurre il pensiero laico? Credo che Mancuso scriverà ancora altri libri, cercando di affrontare e risolvere le irrazionalità della fede, prima di gettare la spugna nelle sue rielaborazioni teologiche.23 ottobre 2013 - 20:35
Il non-problema