martedì 9 dicembre 2014

CHI E' GESU' NELLA TRADIZIONE EBRAICA

In alcune note di un bel libro di Riccardo Calimani (di origine ebraica), intitolato Gesu ebreo (ed. Rusconi, 1993), si fa riferimento a quello che oggi è il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, entusiasta curatore e commentatore della prima traduzione italiana (nel 1986) di una serie di racconti blasfemi su Gesù (Toledot Ieshu), risalenti ad un periodo che va dall’antichità al Medioevo, ripresi in parte dal Talmud, che, come si sa, è un libro ebraico di commento all’Antico Testamento e che ha la stessa autorità del Pentateuco (o Torah). In questi racconti si dice, per esempio, che Gesù era nato da una relazione extra coniugale di Maria con un vicino di casa. In un altro si dice che nacque da un rapporto mercenario di Maria con un centurione romano di nome Ben Panther, sì da presentare Gesù come un figlio di puttana. Si aggiunge che Gesù faceva miracoli soltanto perché aveva imparato le arti malefiche in Egitto e che, costretto a sfidare un certo Giuda per vedere chi sapesse volare più alto, Giuda vinse la sfida volando più in alto di Gesù quanto bastava per orinargli in testa e farlo precipitare a terra. Allora i rabbini condannarono Gesù a morte e lo fecero impiccare. Il guardiano del cimitero di notte disseppellì il cadavere di Gesù o lo gettò in una cloaca. I discepoli il giorno dopo, vedendo che la tomba di Gesù era vuota, sparsero la voce che era risuscitato. Ma i rabbini ripescarono dalla cloaca il cadavere e lo mostrarono ai discepoli, che fuggirono per sottrarsi all’impiccagione e si sparsero per varie nazioni dicendo che Gesù era figlio di Dio. Tali racconti sono in contrasto, non tanto con i Vangeli – che contengono tante invenzioni, tra cui la resurrezione di Gesù – quanto con la storia, giacché si sa di certo che un Gesù di Nazareth morì sulla croce perché accusato dai romani, e non dagli ebrei, di sedizione. I Romani, pur crudeli, mai avrebbero condannato a morte Gesù se non l’avessero ritenuto – dal loro punto di vista – colpevole. E infatti posero sulla croce il motivo della condanna: I.N.R.I. (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum). Gli storici propendono a credere che Gesù appartenesse al gruppo degli zeloti, uno dei vari gruppi che combattevano contro l’occupazione romana. Tornando ai racconti ebraici su Gesù, ebbene, questi racconti, tradotti con spirito di adesione ad essi e di scherno nei confronti del cristianesimo dal Di Segni – che a proposito di Maria dice: altro che parto verginale! paragonandolo al parto di Minerva dal cervello di Giove – sono nascosti sotto il titolo fuorviante Il Vangelo del Ghetto, ad uso e consumo dei soli ebrei, in modo che possano proseguire nella tradizione della loro impostura, presentando due facce. Una da fanatici nella loro comunità di credenti, dove si coltiva il disprezzo e l'odio contro i non ebrei, con i quali non bisogna contaminarsi, e soprattutto contro i cristiani espressi anche in una loro preghiera, che recitano ritualmente nelle sinagoghe; l’altra da ecumenisti quando fa loro comodo politicamente, tanto da andare ad ossequiare i papi, prima Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI. Ha scritto nel Trattato teologico-politico Spinoza, grande filosofo del ‘600, uno dei maggiori di tutta la storia della filosofia, ebreo ma ateo: “i rabbini delirano”. E se l’ha scritto Spinoza perché mi dovrebbe essere proibito di scrivere che il Di Segni, rabbino, delira? 

Riporto alcuni punti del Talmud che inequivocabilmente parlano da soli:

“Il giudeo che uccide un cristiano offre a Dio un sacrificio accetto” (V. Sepher Or Israel 177 – Ialkut Simoni 245 c.n. 772 – Bamidbar rabba 229 c).

“A chi uccide i cristiani è riserbato il più alto luogo in paradiso” (V. Zohar 1,38b – e39).

“Dopo la ruina del tempio non avvi altro sacrificio che l'esterminio dei cristiani” (Zohar II, 43° - Id. III 227b – Mkdasch Melech ad Zohar fol. 62).

“Niuna solennità deve impedire al giudeo di scannare un cristiano” (Pesachim 49b).

“Se il giudeo ha il dovere di danneggiare il cristiano nella roba e nella persona, a più ragione avrà quello di non aiutarlo ne' suoi bisogni” (Iore dea 158,1).

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