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DAL MIO LIBRO SCONTRO TRA CULTURE E METACULTURA SCIENTIFICA
La legge nazista a protezione degli
animali, pur contraddicendosi, andava oltre il mancato riconoscimento di
diritti naturali all’animale non umano. Essa equiparava al maltrattamento “la
negligenza nell’efficace protezione degli animali contro trattamenti
inadeguati”, come nei sistemi di allevamento.
A questo riguardo la legge nazista – trascurando i tanti dettagli che
qui non possiamo riportare - imponeva, per esempio, al § 2, che le stalle non
fossero “prigioni per animali” non riparate dal freddo, ma fossero abbastanza
ampie in relazione al numero degli animali perché l’anidride carbonica espirata
non fosse maggiore dell’ossigeno, secondo la richiesta “più luce nelle stalle”;
che l’alimentazione non fosse forzata allo scopo di favorirne l’ingrasso,
“perché il forzato afflusso di cibo e il costante sovraccarico degli animali
significano una tortura ininterrotta e lunga settimane”; che un cane, se tenuto
all’aperto, dovesse avere una cuccia sollevata da terra e riparata dal freddo e
non potesse stare alla catena se non a condizione di poter correre liberamente
almeno due ore al giorno; che in orti di 300 mq
animali come i conigli non soffrissero il freddo e non potessero esservi
più di due coniglie con relativa prole e
quattro galline; che gli animali giovani o deboli non potessero essere portati
al pascolo nelle giornate fredde; che il
mandriano non potesse costringere gli animali a camminare forzandoli con il
pungolo o con il bastone; che gli uccelli in gabbia dovessero avere uno spazio
sufficiente; che un animale non potesse essere impiegato oltre le sue capacità
lavorative, dovendo un animale vecchio essere mantenuto per carità o morire di
morte indolore; che gli animali non potessero essere sottoposti a maltrattamenti
negli addestramenti “perché l’ammaestramento richiede comprensione per le
peculiarità e per la psicologia dell’animale e deve essere affidato a persone
che agiscano umanamente, che hanno sensibilità nei confronti dell’animale e
comprensione per le capacità valorizzabili; che cessasse pertanto l’impiego
dell’orso danzante, come ogni spettacolo fatto da ambulanti od ogni tipo di
esposizione di animali in gabbia come spettacolo; che cessasse ogni combattimento
fra animali (compreso quello tra galli). Veniva altresì considerato reato
l’abbandono di animali, a tal punto da ritenere che fosse abbandono il semplice
non curarsi di un cane o un gatto che si avvicinasse ad un uomo, come pure
sopprimere dei cuccioli senza avere prima la certezza che potessero essere
affidati e, in subordine, il non averli portati da un veterinario per
l’eutanasia con il cloroformio.
Non potendo dilungarci oltre
nei dettagli veniamo al punto cruciale che è il sistema di macellazione. Il
commento alla legge nazista fa esplicito riferimento al “rito ebraico-islamico”, che viene fatto rientrare in un caso di grave
maltrattamento degli animali in quanto privati di anestesia prima di essere
abbattuti nei mattatoi. La legge relativa è del 21 aprile 1933 e precede dunque
la legge a protezione degli animali (24 novembre 1933). Viene rifiutata “come
atrocità la macellazione eseguita secondo il rituale ebraico, vale a dire
l’abbattimento degli animali mediante il dissanguamento ottenuto mediante
recisione dei grandi vasi giugulari senza previa anestesia”. Il commento
riporta quanto nel 1910 ebbero a dichiarare 612 veterinari e 41 associazioni
veterinarie tedesche nel Reichstag tedesco: “sono riconducibili al
maltrattamento e estremamente angoscianti per gli animali già gli indispensabili
preparativi, l’immobilizzazione con le corde ed il buttare l’animale a terra,
così come il trasferimento coercitivo del collo nel cappio…è senza dubbio
riconducibile al maltrattamento lo stesso taglio, praticato agli animali mentre
sono in pieno possesso della loro coscienza e della loro sensibilità e che
spesso, come in teoria erroneamente si suppone, non diminuiscono progressivamente
dopo pochi secondi, ma soltanto dopo che per l’animale sono trascorsi atroci
minuti. L’intero atto della macellazione secondo il rituale ebraico ha un
effetto raccapricciante sullo spettatore imparziale ed è atto a provocare un
abbruttimento nella giovane generazione dei macellatori”. Nel 1927 la Protezione Animale fece
un’inchiesta rivolta a tutti i professori di anatomia e fisiologia delle Scuole
Superiori di Veterinaria e delle Facoltà del Reich e 17 dei 20 professori
risposero che il rituale ebraico era da ritenersi un “maltrattamento per
l’animale”, “barbarico”, “orrendo”, “ripugnante”, “una cosa disumana”.
Poiché gli ebrei ortodossi
erano rimasti insoddisfatti anche della proposta dell’uso dell’elettronarcosi,
il governo tedesco volle sentire il parere di scienziati ebrei (il prof.
Jellinek di Vienna e il prof. Lieben di Praga), che attestarono che le
microscopiche modifiche del cervello erano trascurabili e pertanto l’opposizione
degli ebrei ortodossi non era giustificata. La questione venne dibattuta anche
nel 1932 nella Prussia orientale e diversi istituti anatomo-patologici
studiarono anche gli effetti che aveva avuto la corrente elettrica sul cervello
in individui che erano sopravvissuti ad incidenti. Furono riscontrate delle
piccole emorragie visibili al microscopio. Il governo nazista con una circolare
del 21 gennaio 1935 mise al corrente i governi dei Laender di questi risultati.
Dopo di che si ritenne che l’insistenza degli ebrei ortodossi fosse “un masso
sulla via della regolamentazione giuridica della macellazione ed in parte anche
dello viluppo della Protezione Animale in Germania e all’estero. Ma già il
governo della Baviera aveva imposto il 17 maggio 1930 la Legge sulla
macellazione con anestesia. Seguirono altri Stati tedeschi. Ormai il terreno
era pronto per vietare in tutta la Germania il rituale ebraico, e il governo
nazionasocialista ritenne che dovesse attribuirsi maggiore importanza alle
richieste della Protezione Animale piuttosto che a quelle degli ebrei
ortodossi. Era stata la Svizzera la prima nazione a mettere fine alla
macellazione senza anestesia nel 1893. Successivamente la Sassonia nel 1892 e
la Finlandia nel 1913, la Norvegia nel 1929.
In Polonia rimase limitata in alcuni mattatoi con legge del 1937 e nello
stesso anno in Svezia fu vietato il rituale ebraico. Il Congresso
internazionale della Protezione Animali del 1935 a Bruxelles, consigliando una
moderazione nell’uso dell’elettronarcosi e volgendosi contro il rituale
ebraico, per il resto richiese che gli animali venissero prima anestetizzati.
All’ultimo congresso veterinario, tenutosi a Zurigo nel 1938 si consigliò a
tutti i governi di creare disposizioni sull’anestetizzazione degli animali nei
mattatoi.
Le obiezioni degli ebrei ortodossi furono rintuzzate in Germania sulla
base della considerazione che una legge statale generale può porre limiti anche
alla libertà religiosa.
Gli ebrei dell’Alta Slesia ottennero
nel 1934 che fosse riammesso il rituale ebraico in quella regione sulla base di
un accordo del 1922, e scaduto l’accordo nel 1937 nemmeno in Alta Slesia fu più
fatta eccezione per gli ebrei.[1] Fa meraviglia
che il governo nazista abbia rispettato un simile accordo.
Gli ebrei ortodossi hanno
sempre fatto valere la posizione secondo la quale l’atto della macellazione
secondo il rituale ebraico è un doveroso atto religioso; la loro religione
proibirebbe loro il consumo di carni di animali che sono anestetizzati prima
del dissanguamento, e una disposizione che dovesse rendere impossibile la
macellazione secondo il rituale ebraico sarebbe un intervento inammissibile nel
diritto alla pratica libera e indisturbata della religione garantita dalla
costituzione e dalla libertà di coscienza. Lo Stato precedente dimostrò, per
questi desideri del mondo ebraico e per le riflessioni nate dalla dottrina
ebraica, molta più attenzione che non alle pressanti richieste della Protezione
Animali, tanto più che, anche da parte degli ebrei, furono presentate relazioni
che definivano la macellazione secondo il rituale ebraico come non più orrenda
di altri modi di abbattimento. Secondo le spiegazioni di parte
ebraico-ortodossa le leggi alimentari ebraiche, che sarebbero di origine divina
e che troverebbero la loro motivazione nei testi basati sulla Bibbia, dicono
che un animale può essere macellato soltanto se non è in qualche modo ferito
nei suoi organi principali…Sebbene il comandamento fosse evidentemente una
disposizione sanitaria, per fare in modo che animali straziati e già mezzo
morti fossero ancora macellati, dagli ebrei ortodossi anche i chimici per
l’anestetizzazione degli animali (come il cloridrato, il cloroformio, il
cloruro di magnesio, etc.) furono rifiutati con riferimento al fatto che
l’organismo animale non si troverebbe più nella forma datagli da Dio”. Spiegano i commentatori alla legge che gli
ebrei rifiutarono anche l’anestesia tramite elettronarcosi perché anche questo
metodo causerebbe danni agli animali da macello, soprattutto nel cervello. Agli
ebrei fu concesso con circolare del 27 luglio 1933 di importare della carne di
animali macellati secondo il rituale ebraico.
La legge sulla macellazione
con il decreto del 21 aprile fu estesa alle macellazioni casalinghe, nelle
campagne. Pertanto anche gli animali come i conigli e le galline dovevano
essere prima private dei sensi, previa istruzione di coloro che effettuano la
macellazione, sorvegliati da ufficiali veterinari. Anche in tal caso dovevano
essere rispettate le norme che imponevano che la macellazione fosse eseguita
dopo un regolare corso professionale ed avere sostenuto un esame che
rilasciasse apposito certificato. Mentre, da una parte, si risparmiavano
inutili torture, la circolare voleva anche impedire che i bambini e gli
adolescenti subissero un abbruttimento assistendo alla macellazione, che doveva
avvenire al chiuso e fuori dei loro sguardi. Con la circolare del 23 ottobre fu
predisposta una sorveglianza con particolare attenzione alle macellazioni
casalinghe. E lo stesso decreto al § 6 si riservava di ammettere altri metodi
di anestetizzazione. Al § 7 si precisava che “che gli animali dovessero avere
gli occhi bendati perché evitare una loro irrequietezza.
Vi è da riflettere su questo
punto. Come può un uomo avere sensibilità e rispetto per la vita se è capace di
macellare, come in una catena di montaggio, animali di ogni specie? L’atto
dell’uccidere è materialmente identico. Non esiste violenza che non sia tale
soltanto perché non indirizzata contro gli uomini. Se si ritiene che sia diseducativo assistere alla macellazione,
significa che l’educazione è fondata sull’ipocrisia.
Con il successivo decreto
del 14 gennaio 1936 si estendeva la macellazione con anestesia anche ai pesci.
Tale decreto recepiva l’ordinanza del Ministro prussiano per l’agricoltura
dell’11 settembre 1933, che, a sua volta, recepiva, unificandole le ordinanze
di vari Stati tedeschi che avevano già provveduto ad estendere
l’anestetizzazione ai pesci. Questi dovevano giungere vivi ai mercati in
contenitori d’acqua di mare. “Se i pesci che sono tenuti in un contenitore
d’acqua raggiungono in gran numero la superficie dell’acqua, è evidente
che…l’acqua deve essere condotta sufficiente aria fresca; il pescivendolo, il
ristoratore etc. dovrà aggiungere acqua fresca oppure far affluire per altra
via ossigeno all’acqua”. “Il concetto della Protezione Animali, che i pesci
devono essere storditi, anche se l’esecuzione dovesse comportare delle
complicazioni per gli affari del commercio del pesce, è stato messo in primo piano
(nel decreto). Con un po’ di buona volontà il commercio del pesce ammetterà la
necessità di questa disposizione ed osserverà la norma…In caso di macellazione
(del pesce) in casa, l’acquirente, l’albergatore etc. deve eseguire lo
stordimento prima della macellazione…Bisogna ammettere che nel caso dei pesci e
di altri animali di classe inferiore la cosiddetta attività di riflesso
riguarda un ambito molto più ampio rispetto all’attività determinata da
sensazioni consapevoli. Ma, anche se con molta probabilità si potrebbe
contestare loro un sentire spirituale, si deve, comunque, fare in modo che, in
caso di uccisione di questi animali, si agisca nella maniera più delicata
possibile…L’elettronarcosi dei pesci è, di conseguenza, stata ammessa nel
decreto anche per lo stordimento dei pesci”.
Quanto al trasporto degli
animali le norme dell’8 settembre 1938 richiedevano che fossero evitati sforzi
e disagi. I vagoni dovevano essere riparati internamente dal freddo e essere
aerati vicino al soffitto durante l’inverno perché non ristagnasse l’anidride
carbonica e dovevano avere delle porte aperte durante l’estate. La ferrovia
doveva impedire il trasporto di animali infermi o fragili se ritenuti tali dal
veterinario. Gli animali che si fossero ammalati durante il viaggio dovevano
essere curati, se era possibile. Ma non potevano proseguire. I vagoni dovevano
permettere a ciascun animale di avere uno spazio sufficiente. Fu approntata a
tal fine una tabella riportante lo spazio necessario per ogni specie animale
(per il cavallo, per esempio, lo spazio era di mq 1,90 x 2, per il bue di mq
150 x 1,75). Se il trasporto durava almeno 36 ore gli animali, oltre ad avere a
disposizione, in qualsiasi caso, l’abbeveraggio, dovevano avere anche la
nutrizione nelle stazioni di passaggio. Nelle stazioni dove vi era un regolare
traffico di spedizioni animali bisognava approntare dei recinti dove gli
animali potessero sostare per l’abbeveraggio e per il nutrimento. Gli animali
posti in contenitori dovevano avere gabbie spaziose e aerate. Tali disposizioni
dovevano essere rispettate alla frontiera anche per gli animali che provenivano
da altro Stato, e quelli che fossero risultati malati o deboli non avrebbero
potuto continuare ad essere trasportati. Ogni mucca con il suo vitello da latte
doveva essere separata dagli altri animali tramite recinzione e non doveva
sopportare un viaggio più lungo di 18 ore.
Ai cavalli dovevano essere tolti gli zoccoli. Il pavimento dei vagoni doveva
essere ricoperto di sabbia e fieno, terriccio torboso o segatura.
Il commento alla legge
nazista per la protezione degli animali termina con considerazioni molto
interessanti ed attuali. “Nell’ambito della protezione animale è nata in breve
tempo un’opera giuridica speciale di alto significato etico e culturale, della
quale possiamo essere orgogliosi, e che ha avuto risonanza ovunque e che supera
la regolamentazione degli Stati esteri. La Germania nel campo della
legislazione sulla protezione degli animali detiene il comando. Ma anche
nell’impostazione dell’uomo nei confronti dell’animale, e nella posizione
dell’animale stesso nella natura, si è verificato un grande cambiamento.
L’animale non è più una parte della proprietà o un essere senza padrone come un
tempo, con il quale l’uomo può fare ciò che vuole, ma una parte vivente della
natura, nei confronti della quale l’uomo deve mostrare rispetto e compassione
per le sofferenze che potrebbe provare. Adesso l’animale viene protetto di per
se stesso; lo Stato riconosce che, in qualità di essere vivente, esso ha diritto
ad essere protetto da maltrattamenti. Gli animalisti…vedono nella generosa
legislazione sulla protezione degli animali del governo del Reich una
ricompensa per il loro pluriennale, fedele e tenace lavoro. Deve entrare in
gioco l’istruzione del prossimo, ed inoltre la comprensione per gli animali e
l’amore per un essere muto devono essere risvegliati ed insegnati già a scuola,
nonché resi bene comune di tutti i connazionali; gli uomini tedeschi devono
essere educati alla protezione degli animali fin dalla più giovane età. Come ha
detto Hermann Goering, “più importante
delle leggi per la protezione animale è l’educazione degli uomini tedeschi alla
tutela degli animali stessa”. Partendo da questa dichiarazione il Ministro
per la scienza, l’educazione e la formazione del popolo, su richiesta della
Lega del Reich per la protezione degli animali, ha ordinato di spiegare ed
istruire nella maniera adeguata sul significato di "protezione
animale" gli studenti e gli alunni delle scuole professionali e delle
scuole elementari e di fare in modo che in tutte le scuole i programmi
scolastici assicurino il diffondersi dell’effetto educativo della Legge per la
protezione degli animali…La società tedesca di psicologia animale si è data il
compito di esplorare i segni di vita legati allo spirito degli animali e di
illuminare l’uomo sul suo naturale atteggiamento verso gli animali, e vuole
rendere la ricerca sulla psicologia animale utile per la protezione animale;
grazie a ciò essa svolgerà un lavoro preciso, in quanto soltanto un chiaro, ben
fondato atteggiamento dell’uomo nei confronti dell’animale costituisce la base
naturale per la protezione animale a livello dell’uomo nei confronti
dell’animale costituisce la base per la protezione animale a livello
pratico”.
Nonostante non appaia il
concetto di diritto naturale, quest’ultimo passo, nel suo attribuire uno
spirito agli animali, rappresenta un progresso rispetto ad una frase precedente
che, negando si potesse attribuire all’animale un diritto soggettivo,
identificava, si è visto, l’animale con un oggetto avente un padrone, se pur
con il relativo dovere di proteggerlo, inspiegabile in mancanza di un diritto
dell’animale. Siamo di fronte ancora ad una concezione antropocentrica, se pure
caratterizzata dalla sostituzione del termine biblico “dominio” con il termine
“protezione”.