E' passato un mese dal dolore della sua perdita nel giorno della disperazione del 20 aprile, dopo gli ultimi dieci giorni di sofferenza in cui Laika a stento si reggeva sulle gambe (non zampe), e bisognava aiutarla a camminare reggendola in due con un tutore anteriore e un sottopancia di stoffa con due manici per le gambe posteriori, pur dopo avere superato parzialmente, riprendendo una vita quasi normale, spesso anche nel passo, le conseguenze di un ictus con convulsioni nella tremenda notte dell'11 gennaio (con ricovero immediato per 5 giorni in un ambulatorio), ma con peggioramento negli ultimi 10 giorni dopo una febbre improvvisa a 41, sebbene scomparsa dopo due giorni. Negli ultimi dieci giorni voleva continuare ad uscire, pur manifestando un dolore all'inizio quando bisognava aiutarla ad alzarsi sulle gambe posteriori. Mangiò con appetito due ore prima di manifestare la volontà di uscire di casa ma si accasciò fuori casa e fu riportata in braccio a casa dove spirò dopo un quarto d'ora. Ma ora rimpiango la tristezza degli ultimi dieci giorni, minore della sofferenza dovuta alla sua assenza. Sento la casa vuota, mi mancano le abitudini formatesi in 13 anni (sebbene Laika avesse almeno 14 anni per averla incontrata quando era già adulta). Mi sono chiuso in casa da un mese perché ormai, essendo in pensione, uscivo quasi sempre con lei per le rituali passeggiate nel quartiere. E non posso rientrare a casa sapendo che non vi è più Laika ad aspettarmi all'ingresso, quando dovevo uscire senza di lei. Non riesco a metabolizzare il dolore e respingo le solite frasi di circostanza, come "devi fartene una ragione". Io so che questa natura è veramente mal fatta se ha fatto sì che un cane incominci ad invecchiare dopo i dieci anni, anche un po' meno dei gatti. E dunque non può esistere un dio che l'abbia creata. Se esistesse bisognerebbe solo odiarlo. Perché dovrebbe esistere un paradiso per gli uomini e non per Laika? Non so quanto tempo occorrerà perché mi abitui alla sua assenza. Mai più cani nella mia vita. Non voglio più soffrire.
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Mix - © Gabriel Fauré - Requiem (1887-90) - Danmarks Radio Symfoniorkestret - Ivor BoltonYouTubeHo dedicato a Laika, con una sua fotografia a colori il mio ultimo libro, di cui qui non voglio e non debbo fare il titolo. Ho fatto in tempo a terminarlo in dicembre e a correggerne le bozze inviate dall'editore prima degli ultimi dieci giorni di Laika. Che mi importa di tutte le tragedie che ogni giorno capitano nel mondo? Esse non mi appartengono. A ciascuno i suoi dolori.
A te Laika dedico il Requiem di Mozart, che per me è il più bel requiem che sia stato mai scritto. Peccato che sia un requiem religioso, come tutti i requiem, in cui si fa riferimento ad un dio che non può esistere per avere creato una natura completamente sbagliata. Ho voluto aggiungere il Requiem dell'angelico Gabriel Fauré, che pochi conoscono. Questo requiem è privo di drammacità, privo del dies irae, e vorrebbe ispirare, anzi, un senso di serenità, anche se non vi può essere serenità di fronte alla morte. Ascoltare per questo soprattutto la parte che inizia dal minuto 32. Dopo il Requiem di Mozart preferisco però il Requiem tedesco di Brahms, che non riporta i testi tradizionali dei requiem, ma passi biblici scelti dallo stesso Brahms. Si tratta di un Requiem che ha una compostezza classica, come tutta la musica di Brahms, che racchiude in tale compostezza il suo romanticismo. E' la terza grande B della musica dopo Bach e Beethoven.
Effettivamente il bellissimo Requiem di Fauré è eseguito raramente, eppure non sfigura affatto accanto a quelli più famosi di Morzart, Brahms. Quello di Verdi purtroppo è per me troppo teatrale, specie nella drammatizzazione del Dies irae. Un requiem che io ho molte volte ascoltato è quello di Berlioz. Gramde messe des morts, un'opera monumentale (quattro orchestre, 600 coristi nell'esecuzione di Charles Munch). Ci sono tuttavia parti molto liriche e belle, come il Lacrymosa.
RispondiEliminaSia Fauré che Brahms, e anche Schumann hanno rinunciato a mettere in musica il Dies Irae - cosa encomiabile. Questo famoso Dies irae è in effetti una sequenza terribile, per non dire rivoltante: la debole creatura davanti a un giudice giusto, ma implacabile, temendo. Anche le parole del cristiano a giudizio fanno a volte vomitare, per es. nelle terzine:
Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.
Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
Il cristiano è tutto preso dal suo desiderio di salvezza e dei poveri dannati (chiamati caproni) se ne frega. Come sono buoni questi cristiani. Le dirò che il Giudizio universale della Sistina non lo posso più guardare, men che meno ammirare. È la visione corrispondente al Dies irae, ormai inaccettabile. Tanto è vero che il buon Bergoglio non ci fa che parlare della misericordia di Dio. Hans Urs von Balthasar diceva che l'inferno esiste (salvato ill dogma), ma che è probabilmenete vuoto! Che furbo il grande teologo! Persino Origene già nel terzo secolo immaginava che i dannati alla fine sarebbero stati riscattati. Ci sono voluti 17 secoli perché un altro cristiano famoso, l'antipatico Papini, osasse pronunciarsi anche lui nel suo Ii diavolo per il riscatto del diavolo e dei dannati. Papini, il grande reazionario, rischiò di finire all'indice, allora ancora esistente. Il dogma dell'eterna dannazione teneva ancora. Oggi la Chiesa preferisce lasciar cadere un velo di silenzion su questa grande vergogna, l'inferno, con cui ha tormentato l'umanità per due millenni. Persino un santo morente poteva ancora dannarsi (con una bestemma, per esempio).
E tuttavia il Dies irae è sempre suggestivo. E Verdi si è scatenato nel musicarlo! Lode a Fauré e Schumann per avervi rinunciato.
La persona che ci lascia materialmente "vive" ancora per il 50%, nel DNA dei figli. Noi siamo il frutto di tanta materia organica, un accumulo di tantissimi atomi, che vanno ad aggregarsi per formare sistemi sempre più complessi fino alle cellule di cui siamo fatti noi. Se al momento della morte fossimo seppelliti senza bara e sotto terra, pian piano il nostro corpo si decompone divenendo materia organica. La sostanza organica si disgrega e gli atomi tornano liberi in natura per aggregarsi casualmente e creare nuovi sistemi. Partendo prima da sistemi semplici (appartenenti al mondo vegetale come l'erba, per arrivare a far parte di sistemi sempre più complessi) Il cibo che ha mangiato nostra madre durante la gravidanza, per coatruire il feto che aveva nel grembo, è il frutto di milioni di miliardi di atomi appartenenti ad altri organismi che si sono susseguiti nel ciclo della vita e della morte. Il carbonio appartenente alle basi azotate del nostro corredo genetico, chissà in quale altra struttura e di quale organismo è stato prima di far parte del nostro organismo. Quindi il nostro DNA è la vita dopo la morte di chi ci ha lasciato (al 50%) mentre il nostro corpo è il frutto di tantissimi esseri che un tempo erano qualcos'altro.
RispondiElimina"Quindi il nostro DNA è la vita dopo la morte di chi ci ha lasciato (al 50%) mentre il nostro corpo è il frutto di tantissimi esseri che un tempo erano qualcos'altro."
RispondiEliminaSarà pur vero, ma tutto ciò ci consola?
professore,
RispondiEliminanon credo che dopo un lutto si debba "farsene una ragione". non c'è nessuna ragione nella morte ! c'è chi dice che la morte serva perchè se nessun essere vivente morisse saremmo in troppi. questa è una gran cavolata, perché siamo già in troppi ! dunque bisogna vederla in un' altra maniera. la morte pone un fine alle sofferenze. e nel caso degli umani, anche a tutta una serie di problemi che si generano durante la vita. "mors omnia solvit" dicevano i latini. io la vedo così. a volte è il minore dei mali se non la soluzione ad alcuni di essi. se fossi credente probabilmente avrei una visione più possibilista, ma non credo.
saluti,
marco
Ho seguito la triste storia di Laika in silenzio e so benissimo cosa prova. La mia gatta mi ha lasciato dopo 19 anni insieme... Una vita. È dura lo so.... E so bene cosa significa capitare in mano a veterinari incompetenti, una rabbia che poi si trasforma in senso di colpa per non aver capito, e tanti rimpianti. Ci si domanda se con un altro medico sarebbe finita così.... La vita purtroppo dipende anche dalla fortuna e penso, dal destino. Si faccia coraggio, e pensi che Laika è in cielo ed è felice, e di questo io ne sono sicura. E che qui ci sono tanti altri animali che hanno bisogno di aiuto. Prodigarsi per loro può essere di conforto alla nostra esistenza e può salvare la loro vita. Un saluto.
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