La si smetta di presentare la liberazione come dovuta alla guerrglia partigiana. I partigiani furono la causa di tutte le rappresaglie naziste. Essi vengono ancor oggi presentati come liberatori. Falso. Essi "liberarono" varie città, come Genova, Milano, Torino, sparando alla fine del mese di aprile del 1945 sui tedeschi già in fuga dall'Italia di fronte all'avanzata delle armate angloamericane. Liberazione angloamericana fatta bombardando varie città provocando migliaia di morti tra la popolazione civile, come nel quartiere di San Lorenzo a Roma e perfino in una città come Cagliari che non aveva alcuna importanza militare anche per assenza di tedeschi in essa. Che meriti possono accampare i partigiani in fatto di liberazione? Nessuno. Combinarono solo guai provocando altri morti nella popolazione civile. Voglio ricordare qui il libro di Giampaolo Pansa Il sangue dei vinti, una controstoria della Resistenza. E poi distinguiamo tra partigiani comunisti e partigiani non comunisti che furono spesso vittime di quelli comunisti. La cosiddetta guerra di liberazione, in realtà una guerriglia con attentati proditori e spaando alle spalle dei tedeschi in fuga, deve essere ricordata come guerra civile. Mi domando se sia il caso di presentare il 25 aprile come guerra di liberazione come se essa fosse da attribuire ai partigiani. Bisogna riscrivere sui testi di storia gli anni 1943-45. Ecco quanto scrissi sull'argomento in un mio libro.
Una storia metaculturale, non ideologica, dovrà riconoscere un giorno la responsabilità di quei partigiani che, mosche cocchiere della resistenza, fatta in realtà dagli anglo-americani, provocarono le rappresaglie dei nazisti (previste dai trattati internazionali a partire dalla Convenzione dell'Aja del 1907). Ai sensi dell'art. 42 di tale Convenzione “la popolazione ha l'obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi”. E l'art.1 della stessa Convenzione (come ribadito dalla Convenzione di Ginevra del 1929)[1] pone come condizione che i corpi di volontari affianchino gli eserciti regolari, siano riconoscibili in base ad una divisa, rispondano ad un responsabile e portino apertamente le armi. E lo stesso Tribunale di Norimberga al caso 9 disse: “Le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui essi si verificano possono essere giustificati. Ciò in quanto l'avversario colpevole si è comportato a sua volta in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di impedire all'avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro”.Lo stesso Tribunale ritenne equa la proporzione di 10 ad 1. Certamente perché gli stessi alleati tra il 1944 e il 1945 avevano anch'essi, quando pure non attuato, minacciato rappresaglie da una proporzione minima di 1 a 25 ad un massimo di 200 a 1. [2] E nel processo che si svolse a Mestre nel febbraio del 1947 contro Kesserling (conclusosi con sentenza di condanna a morte, commutata in ergastolo e seguita da concessione di libertà dal 1952) la Corte accolse la tesi, formulata dalla stessa pubblica accusa, che la rappresaglia era legittima, ma aggiunse che Kesserling doveva essere accusato del fatto che per errore erano state uccise 335 persone invece di 330. E per quanto riguarda le stragi che furono compiute tra l'agosto e il settembre del '44, culminanti in quella di Marzabotto si riconobbe da parte dello stesso pubblico Ministero che Kesserling si trovò ad affrontare “alcune persone irresponsabili con le quali non poteva negoziare e ai cui capi non poteva dire: controllate i vostri uomini”.[3]
Inoltre, i partigiani non potevano pretendere
di essere rappresentanti del popolo, rimasto pressoché passivo o indifferente
ad essi nell'Italia occupata dai nazisti (come dimostrerà il referendum che
vide prevalere di poco la repubblica sulla monarchia – pur responsabile del
fascismo - soltanto per il sospetto di brogli elettorali). Il cosiddetto
Comitato di Liberazione Nazionale, giuridicamente inesistente, in quanto
costituito da individui che si erano autoinvestiti di un potere politico, non
fu mai ufficialmente riconosciuto dalle forze belligeranti.
Una parte di essi, formata da comunisti,
rifiutò di consegnare agli americani Mussolini, contro la volontà degli
emissari del governo regio di Badoglio, e ordinò che Mussolini fosse fucilato
forse anche per timore che egli potesse rendere pubblico un carteggio con
Churchill, che, facendo il doppio gioco - con la promessa nascosta di Nizza,
della Savoia (a spese dell'alleata Francia) e della Dalmazia all'Italia - pare
avesse indotto Mussolini ad entrare in guerra perché, considerata ormai persa
la guerra – quando gli Stati Uniti non erano ancora intervenuti – moderasse le
pretese della Germania.
Quando verranno tolte le medaglie agli
assassini materiali che, causando anche vittime civili, il 23 marzo del 1944
provocarono, in una strada di Roma (via Rasella) la rappresaglia delle Fosse
ardeatine, perché vigliaccamente rifiutarono di costituirsi, allora finalmente
si inizierà a rendere giustizia alle vittime della rappresaglia, come a quelle
di altre.[4] I
mandanti dell'attacco proditorio, e perciò i maggiori responsabili della
rappresaglia, furono i componenti di una sedicente Giunta militare del
sedicente Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Di tale Giunta erano
responsabili Giorgio Amendola (uno dei futuri capi del P.C.I.), Riccardo Bauer
(Partito d'Azione) e Sandro Pertini (socialista), un fanatico che poi cercò di
scaricare su Amendola la responsabilità dicendo che non era stato informato
della decisione di porre in atto l'attentato terroristico e fu premiato con la
presidenza della Repubblica. E fu principalmente lui a volere ad ogni costo la
morte di Mussolini sovrapponendosi al governo monarchico. I vigliacchi
partigiani (per lo più comunisti) agivano sempre proditoriamente con imboscate
esponendo le popolazioni alle rappresaglie con il rifiuto di presentarsi. Nel
processo contro Kappler (Tribunale Militare di Roma, 20 luglio 1948) – che
riconobbe che l'attentato era da ritenersi illegittimo secondo il diritto
internazionale - il Bentivegna disse di avere ricevuto l'ordine di attaccare il
battaglione di altoatesini e che si sarebbe presentato se fosse stata richiesta
dai tedeschi la presentazione degli attentatori, che, invece, non vi sarebbe
stata perché sarebbe stato deciso dai tedeschi di attuare comunque la
rappresaglia. Ma la stessa accusa riconobbe che già due mesi prima erano stati
affissi dei manifesti preannunciando rappresaglie per gli attentati: Soltanto
il 28 marzo 1974 (settimanale “Panorama”) si fece vivo un testimone (Domenico
Anzaldi) per dire che la sera stessa dell'attentato era stato affisso un
manifesto sui muri di Roma.[5]
Non basta. Questo principale manovale dell'attentato cambiò versione quando si
accodò a quanto Paolo Emilio Taviani, ex partigiano ed esponente dei passati
governi democristiani, dichiarò nel 1977 al quotidiano Il Giornale (del
10 luglio 1997 affacciando la tesi che “l'attentato di via Rasella fu un atto
di guerra compiuto dai partigiani, non per regolamento di conti al loro interno
(questa è un'altra versione, che vorrebbe che i partigiani comunisti volessero
sbarazzarsi di quelli non comunisti o anche di quelli comunisti non affiliati
al P.C,I. che si trovavano già in carcere, in modo da farli finire vittime
della prevedibile rappresaglia – n. d. r.),[6] ma
su richiesta dei comandi alleati. L'azione doveva alleggerire la pressione
delle forze tedesche che impedivano l'avanzata angloamericana verso Roma”.[7] La
tesi apparve a chi non fosse disonesto del tutto insostenibile. Non si era mai
affacciata prima d'allora una simile tesi. Se fosse stata vera la banda degli
attentatori, a incominciare dal Bentivegna, sarebbe stata la prima a dirlo.
Invece la banda tacque di fronte alla tesi di Taviani, smentendo così se
stessa, giacché lo stesso Bentivegna aveva detto che tutto era stato
programmato all'interno della “giunta militare” del CLN, anche se poi,
all'interno di questa asserita giunta, Amendola, come detto, si assunse
inverosimilmente la responsabilità per tutti, non sconfessando Bauer e Pertini,
che, per ridurre al minimo le responsabilità, disse che egli e Bauer erano
ignari della decisione presa da
Amendola.
Per salvare questa banda di assassini si
mosse subito il governo Badoglio (dimentico della sua connivenza con il
fascismo e delle stragi da lui operate in Etiopia) e provvide subito ad una
amnistia con decreto legge n.96 del 5 aprile 1944 e con quello del 12 aprile,
n. 194, riconoscendo retroattivamente questa banda come composta da legittimi
belligeranti, prevedendo che tra essi vi sarebbero stati i futuri governanti.
Se gli attentati fossero stati azioni di guerra non ci sarebbe stato bisogno di
amnistia. Ciò in contrasto con l'ordine che lo stesso Badoglio aveva diramato
di evitare di fare attentati nelle città proprio per evitare prevedibili
rappresaglie.[8]
I parenti delle vittime delle Fosse Ardeatine si videro negato il risarcimento
dei danni nella causa promossa nel 1949, conclusasi negativamente in tre gradi
del giudizio con la sentenza della Cassazione del 9 maggio 1957 che riconosceva
che l'attentato era stato un'azione di guerra condotta da “legittimi
belligeranti”.
Ciò in contrasto con la citata sentenza del
Tribunale militare del 1948 (processo Kappler), a cui si aggiunse la sentenza
del Tribunale Supremo Militare del 26 aprile 1954, che stabiliva che, per
espresso disposto dell'art. 1 del Decreto legge 6 settembre 1946, n.93 i
partigiani non potevano essere considerati belligeranti. [9]
Però la Corte Costituzionale, abrogando
l'art. 270 del codice penale militare, che vietava la presenza di parti civili
in un processo militare, permise che i familiari delle vittime e il Comune di
Roma alla fine degli anni '90 si costituissero parte civile nel processo
militare e civile contro Priebke, ritenuto uno dei responsabili dell'attuazione
della rappresaglia. Così si passò giudiziariamente dalla tragedia alla farsa.
Si immagini che cosa avrebbero potuto avere i familiari delle vittime delle
Fosse Ardeatine da Priebke, a parte l'età ormai avanzata. Lo Stato avrebbe dovuto
pagare il risarcimento dei danni ai parenti. Ma come avrebbe potuto farlo se
non riconoscendo di essere nato dalla complicità con coloro che furono degli
assassini? In alternativa i parenti delle vittime avrebbero dovuto chiedere i
danni allo Stato tedesco, che infatti pagò i danni ai parenti degli ebrei morti
nei lager. Ma per ragioni di amicizia con la nuova Germania lo Stato italiano
non fece nemmeno questo. Oppure agì ipocritamente non sentendosi
giudiziariamente forte nel sostenere di fronte alla Germania che l'attentato
fosse un'azione di guerra. E così preferì scaricare le colpe su chi non avrebbe
potuto pagare. Gli bastò aver trovato un capro espiatorio per salvare la
faccia.[10]
Basta ripercorrere le varie fasi del processo
contro Priebke per accorgersi della confusione ideologica in cui esso si
svolse. Assolto per prescrizione del reato dal Tribunale militare l'1 agosto
1996, la sentenza fu cambiata dal Tribunale in una condanna, prima a 15, poi a
10 anni dopo che la prima sentenza fu annullata dalla Cassazione, sensibile al
tumulto suscitato nella stessa aula alla lettura della prima sentenza e alla
reazione del governo, a sua volta sensibile al tumulto alimentato soprattutto
dalle comunità ebraiche, senza le quali quasi certamente la Cassazione non
sarebbe intervenuta. La Corte d'Appello nel marzo del 1998 condannò Priebke
all'ergastolo, con conferma della Cassazione nel mese di novembre (che
celerità!). Ma poi, a causa dell'età, fu concessa a Priebke la detenzione
domiciliare. Il 12 giugno gli fu concesso di uscire di casa per recarsi nello
studio del suo avvocato. Ma le comunità degli ebrei – che si credono ancora
l'ombelico dell'umanità e che credono di poter vivere di rendita per tutto
l'avvenire a motivo dell'asserito olocausto – ottennero dal magistrato
dell'ufficio di sorveglianza, e poi dalla Cassazione il 3 novembre 2007, che fosse revocato tale permesso. .
Indro Montanelli – che si era visto
sequestrare su querela dei vigliacchi attentatori di via Rasella il volume “L'Italia della guerra civile” (scritto con
Mario Cervi) perché aveva ritenuto gli attentatori responsabili della
rappresaglia – per quieto vivere il 22 marzo 1998 (Corriere della sera)
si limitò a condividere il giudizio di Enzo Forcella secondo cui l'attentato
era privo di rilevanza militare, suggerendo ingiustamente che non si
disseppellissero i cadaveri e non si tenessero ancora aperti i conti con il
processo contro Priebke, che, invece fu condannato. E il 26 marzo aggiunse che
non si poteva tenere aperta un caso giudiziario dopo che 50 anni prima era
passata in giudicato una sentenza di assoluzione che aveva riconosciuto
colpevole Kappler e non i suoi subordinati, come Priebke. Concludeva scrivendo
che non si poteva continuare ad avvelenare il presente compromettendo il
futuro. Ma in sede storica il passato deve essere rivisitato, non per
avvelenare il presente, ma per illuminarlo alla luce della verità. E la verità è scomoda per uno Stato nato
dalla disonestà.
Il Gip Pacioni, affiancato dai familiari delle
vittime nel processo contro Priebke, quando respinse la richiesta di
archiviazione per le responsabilità dei partigiani, fu assalito da tutta la
sinistra, compreso l'attuale capo di
Stato Napolitano, che, insieme con tanti altri del suo partito, definì
“aberrante” la decisione del Gip, che fu sottoposto ad un linciaggio morale e
minacciato, per cui rinunciò all'incarico. Anche l'intellighenzia
giornalistica, ben rappresentata a sinistra dall'ex partigiano Giorgio Bocca (La
Repubblica, 28.6.97), si scatenò contro il Gip cercando di ridicolizzarlo.
L'ineffabile capo dello Stato di allora, Scalfaro, disse che non si poteva
portare la storia in Tribunale dopo 50 anni. Seguì a ruota Prodi con una frase
assai simile. E perché allora dopo 53 anni si portò in giudizio Priebke?
Per contrasto non si può non citare la
luminosa figura del carabiniere Salvo d'Acquisto, che a Palidoro (a pochi km da
Roma), dopo che una bomba - che si
trovava in una cassa di munizioni ispezionata da alcuni componenti del corpo di
S.S. che si era acquartierato in una caserma abbandonata della Guardia di
Finanza - scoppiò uccidendone uno e ferendone due, sacrificò la sua vita per
evitare la fucilazione, per rappresaglia, di 22 ostaggi presi tra la
popolazione civile. Si disse che la
bomba fosse scoppiata accidentalmente. Come mai fu trovata dai nazisti quella
cassa nonostante la caserma fosse stata abbandonata? I finanzieri l'avevano
dimenticata lì? La cosa appare inverosimile. I nazisti sapevano che d'Acquisto
era innocente, ma preferirono evitare la rappresaglia facendo finta che fosse
lui il colpevole, e solo lui. Né si possono dimenticare i carabinieri Vittorio
Marandola, Alberto La Rocca e Fulvio Sbarretti, che anch'essi, a Fiesole, si
sacrificarono per salvare dieci ostaggi innocenti. Questi furono veri patrioti,
non gli scellerati partigiani, soprattutto quelli comunisti, che avevano in
mente non tanto il progetto di combattere contro il nazismo, ma quello di
combattere per una rivoluzione comunista, strumentalizzando i partigiani non
comunisti.
Non voglio e non posso addentrarmi nei
particolari di altre stragi, che furono tali più che rappresaglie, come quella
commessa ai nazisti a Marzabotto. Infatti in questi casi furono uccisi
indiscriminatamente anche dei bambini, e senza alcun preavviso che permettesse
un'alternativa alle stragi. Si disse subito che i morti fossero stati 1800, ma
oggi si sa che furono 750. Ma il minore numero accertato non diminuisce la
gravità della strage. Nonostante ciò, anche in questo caso non si deve
nascondere la verità che fu all'origine della rabbiosa vendetta dei nazisti. La
propaganda ideologica ha voluto tacere di questa verità. Nel settembre del 1944
i nazisti erano ormai in fuga ed avevano già abbandonato la difesa della linea
gotica. Il maresciallo Kesserling volle
assicurarsi almeno che la ritirata potesse compiersi indisturbata, senza
ulteriori attacchi proditori delle bande dei partigiani, che nella zona di
Marzabotto e degli altri paesi ad esso vicini avvenivano soprattutto per le
frequenti incursioni di una brigata di partigiani comunisti chiamata Stella
Rossa. Perciò inviò una delegazione per contrattare la pacifica ritirata del
suo esercito. Ma la delegazione non tornò mai perché i suoi componenti furono
uccisi dai partigiani. Questo fu un atto di pazzia, che contravveniva ad una
delle più antiche tradizioni in tempo di guerra, che voleva che fossero fatte
salve le vite dei componenti di un'ambasceria. La reazione nazista fu feroce,
folle, ma pari alla follia di coloro che l'avevano scatenata. La storia dei
vincitori fa apparire il male solo da una parte, ma la verità storica deve fare
apparire il male da ogni parte. La feroce reazione nazista seguì alla vigliacca
e maramaldesca azione delle bande dei partigiani che nella loro follia volevano
apprestarsi a presentarsi come liberatori. Né si può escludere che
effettivamente una buona parte della
popolazioni di quei luoghi, che nel dopo guerra rappresenteranno la fortezza elettorale del comunismo, fosse connivente
con le bande dei partigiani e avesse dato ad essi rifugio.[11]
Al contrario di quanto avvenne nei confronti dei maggiori responsabili della
rappresaglia delle Fosse Ardeatine, abbandonati a stessi dal governo della
nuova Germania, nei confronti del maggiore responsabile della strage di
Marzabotto, Walter Reder, estradato e condannato all'ergastolo nel 1951, si
mosse il governo austriaco, a tal punto che nel 1985 ottenne perfino la grazia
dal governo italiano. Come è spiegabile ciò pur in presenza di un numero assai maggiore
di morti rispetto a quelli della rappresaglia di Roma? Penso che, nonostante
tutta l'ufficialità della retorica di Stato, si sia voluto ammettere
nascostamente la responsabilità delle azioni maramaldesche dei partigiani che
operavano in quella zona sparando su un esercito in fuga. L'attribuzione della
medaglia d'oro a Marzabotto (il 30 settembre 1945) tradisce scioccamente la
verità nel suo attribuire alla popolazione locale - certamente oltre i limiti della sua vera
azione di fiancheggiamento attivo dei partigiani – il merito – del tutto
inesistente - di avere contribuito alla ritirata dell'esercito tedesco e alla
liberazione dei paesi circostanti, quando, invece, la ritirata era stata già
decisa. Si racconti bene ciò nei libri di storia prima di continuare a
commemorare le vittime di tali stragi, facendole passare tutte per
martiri.
« Incassata fra le scoscesi rupi e le verdi boscaglie
della antica terra etrusca, Marzabotto preferì ferro, fuoco e distruzioni
piuttosto che cedere all'oppressore. Per 14 mesi sopportò la dura prepotenza
delle orde teutoniche che non riuscirono a debellare la fierezza dei suoi figli
arroccati sulle aspre vette di Monte Venere e di Monte Sole sorretti dall'amore
e dall'incitamento dei vecchi, delle donne e dei fanciulli. Gli spietati
massacri degli inermi giovanetti, delle fiorenti spose e dei genitori cadenti
non la domarono ed i suoi 1830 morti riposano sui monti e nelle valli a perenne
monito alle future generazioni di quanto possa l'amore per la Patria.»
E' questa la lapide
commemorativa di una falsità storica che vuole nascondere le responsabilità di
quelli che provocarono la folle reazione nazista. La lapide vuole dare ad
intendere che tutte le popolazioni delle zone partecipassero attivamente alla
resistenza contro i nazisti, non accorgendosi che in tal modo le si rendeva, al
contrario, responsabili delle conseguenti stragi. Ci si dimentica di tutti quei
parrocchiani che si erano rifugiati in chiesa, dove morirono uccisi tre anziani
con il parroco Ubaldo Marchioni, mentre altri 195 (tra cui 50 bambini),
prelevati dalla chiesa, furono uccisi
nel cimitero. Furono uccisi anche altri quattro sacerdoti, che certamente erano
estranei ad azioni di resistenza attiva.
Prima di Marzabotto
vi furono altre stragi, su cui, considerando che esse furono attuate da un
esercito tedesco che si apprestava ad una ritirata, cade il sospetto che, come
per Marzabotto, esse siano state la risposta
ad azioni proditorie dei partigiani. Non si spiega altrimenti il fatto
che gli stessi tedeschi avessero deciso di impiegare Sant'Anna di Stazzema come
“zona bianca” per gli sfollati da altri paesi. Non avrebbe avuto senso una
simile protezione iniziale di quella località per sottrarre la sua popolazione
a teatri di guerriglia partigiana. Ma evidentemente, come verrà riconosciuto,
degli incoscienti irresponsabili approfittarono della calma creatasi a
Sant'Anna per creare dei collegamenti con i partigiani causando la furibonda
reazione tedesca. Ciò è stato taciuto da chi ha voluto ricostruire storicamente
i fatti riguardanti la strage di Sant'Anna di Stazzema.[1]
“Ai primi di agosto
1944 Sant'Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco 'zona
bianca', ossia una località adatta ad accogliere sfollati: per questo la
popolazione in quell’estate aveva superato le mille unità. Inoltre, sempre in
quei giorni, i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto
operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò,
all’alba del 12 agosto '44 tre reparti di SS salirono a Sant’Anna, mentre un
quarto chiudeva ogni via di fuga a valle, sopra il paese di Valdicastello. Alle
sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant’Anna, accompagnati
da fascisti collaborazionisti che fecero da guide, gli uomini del paese si
rifugiarono nei boschi per non essere deportati, mentre donne vecchi e bambini,
sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in quanto civili inermi, restarono
nelle loro case.
La ricostruzione degli avvenimenti,
l’attribuzione delle responsabilità e le motivazioni che hanno originato
l’eccidio sono state possibili grazie al processo svoltosi al Tribunale militare della Spezia e conclusosi nel 2005 con la condanna
all’ergastolo per dieci ex SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in
Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007. Nella prima fase
processuale si è svolto, grazie al Pm Marco de Paolis, un imponente lavoro
investigativo, cui sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di
periti storici e persino di due SS appartenute al battaglione che massacrò
centinaia di persone a Sant’Anna. Fondamentale, nel 1994, anche la scoperta
avvenuta a Roma, negli scantinati di Palazzo Cesi, di un armadio chiuso e
girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi “ Armadio della vergogna”,
poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che sarebbero risultati fondamentali
ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi
nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra. Il 19 agosto, varcate le Apuane,
le SS si spingevano in comune di Fivizzano (Massa Carrara) , seminando la morte
fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca, nella zona di
San Terenzo. Nel giro di cinque giorni uccidevano oltre 340 persone
mitragliate, impiccate, addirittura bruciate con i lanciafiamme. Nella prima metà di settembre, con il massacro di 33 civili a Pioppetti di
Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portavano avanti
la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido venivano
fucilati 108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), e per finire
a Bergiola e a Forno. i nazisti facevano circa 200 vittime. Avrebbero
continuato la strage con il massacro di Marzabotto.”[13]
Di tali stragi fu
considerato colpevole anche Kesserling, comandante delle forze armate tedesche
operanti in Italia. Egli aveva provveduto a rendere pubblico, con manifesti,
con volantinaggio aereo e con comunicato radio che sarebbero stati fucilati
coloro che avessero aiutato e protetto i partigiani. Infine si annunciava:
“ogni villaggio in cui sia provata la presenza di partigiani...o nel quale
siano avvenuti tentativi di sabotaggio a depositi di guerra sia raso al suolo.
Inoltre siano fucilati tutti gli abitanti maschi del villaggio di età superiore
ai 18 anni. Le donne e i bambini saranno internati in campi di lavoro”.Fu la risposta
a quanto il generale Alexander, comandante delle forze alleate in Italia aveva
proclamato rivolgendosi alle bande di partigiani.“Assalite comandi e piccoli
centri militari! Uccidete i germanici alle spalle, in modo da sfuggire alla
reazione per poterne uccidere degli altri”.
Si può dunque dire
che le stragi culminanti in quella di Marzabotto andò oltre i limiti che erano
stati imposti dallo stesso Kesserling, che infatti non poté essere riconosciuto
colpevole degli eccessi compiuti, che non risparmiarono donne e bambini. Ma lo
stesso Diritto Militare Britannico, prevedendo la rappresaglia quale “ritorsione per atti illegittimi di
guerra allo scopo di far osservare in futuro al nemico le riconosciute leggi di
guerra”, prevedeva anche “il ricorso alla rappresaglia contro una località o
una comunità per alcuni atti commessi dai suoi abitanti o membri che non
possano essere identificati”. E anche le regole di guerra degli Stati Uniti
prevedono che “villaggi o case possano essere bruciate per atti ostili commessi
da persone che non possono essere identificate, processate e punite”. Questo
principio, applicato nel Vietnam, portò a bruciare con bombe al napalm interi
villaggi.[14]
D'altra parte, fu forse un'azione di guerra il bombardamento della città di
Dresda,[15]
rasa al suolo tra il 13 e 15 febbraio 1945, quando esso non aveva più nemmeno
il significato di deterrente psicologico, considerando che ormai la guerra
volgeva verso la fine? Vi è anche da considerare che il bombardamento tedesco
della città di Coventry (11 agosto 1940) ebbe da prima obiettivi mirati, cioè
le industrie, al fine di distruggere l'aviazione inglese (e infatti fece solo
176 morti), mentre il secondo bombardamento (14 nov. 1940), con complessivi
1.236 morti, fu una rappresaglia dopo il bombardamento inglese di Monaco di
Baviera (8 nov. 1940), E che significato potevano avere i bombardamenti
americani anche sulla città di Roma e persino sulla Sardegna (in particolare su
Cagliari), dove non vi erano obiettivo militari? Come mai non esistono lapidi
per i nomi di tali vittime? Si dimentica anche che il bombardamento di Tokio
causò più di 83.000 morti e che ben maggiori furono le vittime dei bombardamenti
atomici su Hiroshima e Nagasaki, espressione massima della violazione di ogni
norma del diritto internazionale di guerra. Strana guerra di liberazione quella
attuata da "liberatori" americani che bombardavano città senza alcun
riguardo per la popolazione civile. Valga come esempio per tutti il
bombardamento di Roma (quartiere S.Lorenzo). Si può dire tutto dei nazisti, ma
essi ebbero rispetto per le città e risparmiarono sempre i palazzi. Non vi è
stato un monumento, un'opera d'arte, un museo, che sia stato bombardato dai
nazisti.
Non posso fare a
meno di raccontare la commuovente storia di Fido. Il padrone Carlo Soriani, che
abitava a Luco di Mugello, l'aveva trovato cucciolo e ferito. Ogni mattina Fido
alle 5,30 svegliava il padrone sapendo che a quell'ora doveva alzarsi per
prepararsi e prendere la corriere che l'avrebbe portato al lavoro, essendo
operaio in una fabbrica di Borgo San
Lorenzo. Alle 19 Fido era sempre puntuale alla fermata della corriera in attesa
del ritorno del padrone, che alcune non scendeva dalla corriera e di nascondeva
dietro il sedile per farsi cercare da Fido, che, dopo che tutti gli altri erano
scesi, saliva per andare a scovare il padrone. Ritornavano sempre insieme a
casa. Ma un brutto giorno, il 30 dicembre del 1943, uno dei tanti vigliacchi ed
inutili bombardamenti americani distrusse la fabbrica causando la morte del
Soriani. Per la prima volta quel maledetto giorno Fido attese inutilmente il
padrone. Ma un cane non può capire. Eppure Fido qualcosa si sarà pur domandato.
Perché il mio padrone non scende più dalla corriera? Egli non poteva pensare di
essere stato abbandonato perché continuava a vivere nella casa del padrone.
Dunque doveva essere vivo. Questo soltanto può avere pensato. Qualche causa di
forza maggiore, pensò certamente Fido, deve avere trattenuto altrove il mio
padrone. Prima o dopo tornerà. Perché gli animali non vivono coscientizzando la
morte. Sotto questo aspetto sono più fortunati degli uomini. Ma Fido aspettò
con tenacia il ritorno per 14 anni, andando alla fermata della corriera
cinquemila volte. Fido venne premiato in vita con medaglia d'oro il 9 novembre
1957 durante una cerimonia nel Comune di Borgo San Lorenzo. Sino a quando un
giorno, l' 8 giugno 1958, forse aspettando ancora il ritorno del padrone, fu
trovato senza vita in un podere vicino alla sua casa. Fu sepolto all'esterno
del cimitero di Luco, vicino alla tomba del padrone. Lo scultore Salvatore
Cipolla costruì per lui un monumento raffigurandolo in piedi con la testa
rivolta verso Borgo San Lorenzo. Della morte di Fido diede notizia il
quotidiano la Nazione, ma già alcuni settimanali (tra cui la Domenica del
Corriere con grande disegno di Fido in copertina) tra il 1957 e il 1958 avevano
narrato la storia di Fido. E questo libro è nato quando Billo, “il mio unico
grande affetto” mi accompagnava ancora in vita. E rimango certo che nemmeno un
essere umano è capace di nutrire un amore così grande, perché puro, essendo
disinteressato. Maledetti siano anche per questo i vigliacchi “liberatori”
americani con i loro indiscriminati e vigliacchi bombardamenti. Non si
ritengano per questo migliori dei nazisti.
Sarebbe troppo
lungo riferire di tutte le reciproche rappresaglie avvenute nella R.S.I.,
causate sempre da vili attentati dei partigiani. Basti qui riportarne alcune
come esempio di una follia che nella storia dei vincitori è riuscita a
trasformarsi in eroismo della lotta di “liberazione”. Il mattino del 31 marzo
1944 vengono arrestati nel Duomo di Torino dei componenti del CLN piemontese.
Alle ore 13 dello stesso giorno per ritorsione due gappisti, Sergio Bravin e
Giovanni Pace uccidono nell'androne di casa il direttore della Gazzetta del
Popolo, Alther Capelli. La rappresaglia tedesca porterà alla condanna a morte
di 8 membri del CLN piemontese. In
piazzale Loreto alle ore 9 dell'8 agosto 1944 esplode una bomba posta dai
partigiani sul sedile di un camioncino tedesco. Muoiono sei bambini, una donna
e due padri. Dei 13 feriti ne moriranno altri 6. Il comando tedesco, nonostante
l'opposizione di Mussolini e del cardinale Schuster, procede alla rappresaglia
nella proporzione di 1 a 1 prelevando 15 incarcerati accusati di avere
collegamenti con i partigiani. La rappresaglia dei partigiani seguì con la
fucilazione di 45 prigionieri, 15 tedeschi e 30 fascisti che erano stati
catturati sui treni dai partigiani dell'Ossola, dunque nemmeno in azione di
guerriglia. Il comandante partigiano Batista e 8 suoi compagni furono catturati
e fucilati il 29 settembre 1944, nonostante la Curia torinese avesse convinto
un comando “garibaldino” ad offrire 120 suoi prigionieri (tra cui alcuni
ufficiali tedeschi). Per rappresaglia tutti i 120 prigionieri furono uccisi.
Molte strade sono state dedicate ai 7 fratelli Cervi. Ma essi furono
indirettamente vittime dei comunisti, che non li nascosero, come fecero per i
loro compagni. Dopo il loro arresto fu comunicato dai tedeschi che non si
mettesse in pericolo la vita dei fratelli Cervi con attentati. Non vi fu alcuna
ritorsione dopo l'uccisione del seniore della Milizia fascista Giovanni
Fagioni. Allora il 27 dicembre un gruppo partigiano uccise il segretario
comunale di Bagnasco in Piano, Davide Onfiani. Questa volta la rappresaglia
colpì tutti i fratelli Cervi. Così i comunisti riuscirono a liberarsi di essi,
come risulta da una lettera all'Anpi di Reggio Emilia scritta nel 1980 da un
membro di un asserito Comitato Militare partigiano, Osvaldo Oppi, che disse che
precedentemente non aveva avuto il coraggio di eliminare egli stesso i fratelli
Cervi perché godevano di una “grande statura morale”. Ma i comunisti, al
culmine della disonestà, fecero dei fratelli Cervi un loro emblema.[16]
I partigiani, specialmente i fanatici comunisti,
provocarono solo disastri e i loro asseriti meriti non furono affatto riconosciuti
dalle potenze vincitrici, che non tennero affatto conto di essi quando si
trattò di considerare l'Italia come nazione sconfitta e responsabile della
guerra, al contrario della Francia, di cui fu riconosciuta la resistenza
partigiana. Si dice che i partigiani nel
dicembre 1944 fossero 100.000, ma di questi solo 10.000 combatterono realmente.
I dati ufficiali delle autorità italiane dicono che i morti per mano dei
partigiani furono soltanto 17.322. Ma si calcola che la cifra reale si aggiri
sui 100.000 morti, tra uomini, donne e bambini.[17]
Escludendo gli uccisi nella Venezia Giulia ad opera dei partigiani jugoslavi
(23.000) gli uccisi dal 25 aprile al 31 maggio 1945 furono 42.000.[18]
Torniamo all'attentato di via Rasella. I
parenti delle vittime delle Fosse Ardeatine chiesero il risarcimento danni. Ma
in tre gradi del giudizio (ultimo quello della Cassazione del 9 maggio 1957) si
videro respingere le loro richieste da una magistratura ideologizzata e
connivente con gli assassini con la sconcertante conclusione che quella di via
Rasella dovesse essere considerata un'azione di guerra. Assurdo. Come poteva
essere considerata un'azione di guerra un attentato terroristico in pieno
centro cittadino, che causò anche la morte di alcuni civili?[19]
Come poteva essere stata un'azione di guerra quella svoltasi in una strada dove
stavano giocando a pallone dei ragazzini, che, per confessione dello stesso
Balsamo, furono allontanati dalla strada calciando lontano il loro pallone?
Come potevano essere ritenuti combattenti dei gruppi che non erano militari in
divisa e che agivano disordinatamente senza che vi fosse un comando
giuridicamente giustificato? Si può dire che essi agissero come rivoluzionari,
ma con tutti i rischi che un'azione rivoluzionaria comporta. Compresa quella di
essere considerati dei fuorilegge, almeno sino quando essi, prendendo il
potere, non costituiscano a posteriori una nuova legalità. E così infatti è
successo.
Si trovò
subito la scappatoia “legale” per salvare i partigiani dall'accusa di essere dei
terroristi. Con una serie di decreti legislativi[20]
essi furono riconosciuti come combattenti. Una volta attribuita ad essi questa
assurda veste, ne conseguì anche che la rappresaglia attuata dai nazisti non
poteva più essere considerata tale, e pertanto i familiari delle vittime non
potevano avere diritto ad alcun risarcimento. Ma se i governi italiani fossero
stati coerenti avrebbero dovuto chiedere il risarcimento dei danni alla
Germania.
Eppure, lo stesso tribunale dei vincitori di
Norimberga aveva riconosciuto che “le misure di rappresaglia in guerra sono
atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui si verificano,
possono essere giustificati in quanto l'avversario si è a sua volta comportato
in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di
impedire all'avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro”.La
proporzione ritenuta come equa fu quella di 10 a 1.
Quando si insegnerà finalmente nelle
scuole una storia non ideologizzata che non sia più quella scritta dai vincitori?
[1] V. voce “Leggi di guerra nel XX secolo” nel sito www.cronologia.leonardo.storia.it/guerra03.htm
[2] Quando
fu ucciso il generale americano Rose nel marzo del 1945 furono uccisi per
rappresaglia 110 civili tedeschi. Per le rappresaglie attuate da inglesi ed
americani cfr.
voce “1945 seconda guerra mondiale le RAPPRESAGLIE” nel sito www.cronologia.leonardo.storia.it/storia/a1945s.htm.
[3] www.inilossum.it/comunismo6.html (“La strage di via Rasella:un atto???“eroico”).V. Il
resoconto del processo in
[4] I
principali manovali dell'attacco proditorio, da ritenersi di natura
terroristica e non azione di guerra perché attuato fuori di un'azione di guerra
tra nemici dichiarati sono stati Rosario Bentivegna (che fece esplodere la
bomba posta in un carretto dopo essersi travestito da spazzino), Carla Capponi,
Pasquale Balsamo e Franco Calamandrei.
Gli ultimi tre avevano il compito di segnalare al primo l'arrivo di un
battaglione del reggimento (Bozen) di altoatesini che aveva solo compiti di
polizia e si dice transitasse disarmato (almeno perché avevano l'ordine di
transitare con le armi scariche). Un gruppo di sostegno lanciò altre bombe
sulla coda del battaglione portando i morti a 32. I primi tre ebbero nel 1951
dal presidente della Repubblica, su proposta di De Gasperi, rispettivamente una
medaglia d'argento, d'oro e di bronzo. Evidentemente la Capponi come terrorista
aveva più benemerenze. L'attacco
proditorio fu preparato da Carlo Salinari, che negli anni '60 mi ritrovai come
professore ordinario di letteratura italiana nella Facoltà di Magistero di
Cagliari. Suo è il noto manuale di letteratura italiana adottato in molte
scuole. Di indirizzo marxista, come lo era Giuseppe Petronio, professore di
letteratura italiana, con cui detti l'esame da studente del corso di filosofia
della Facoltà di Lettere e filosofia.
[5] V.
l'articolo citato “La strage di via
Rasella: un atto “eroico”. V. anche (a cura di Reno Bromuro) “L'attentato di
via Rasella”, in www.nonsoloparole.com. (riportante un articolo di Ivaldo Giaquinto
(“L'imboscata di via Rasella. Ma questa era guerra?”, in www.italia-rsi.org.
[6] Tra
i comunisti non appartenenti al P.C.I. vi erano quelli di “Bandiera Rossa”
(formata da troskisti), alcuni dei quali finirono a Regina Coeli e poi alle
Fosse Ardeatine. Alcuni sopravvissuti dissero che la loro presenza in via
Rasella fu voluta dal P.C.I. per farli cadere in una trappola e far ricadere su
di essi le responsabilità. V. di Pierangelo Maurizio “via Rasella, un mistero
che dura sessant'anni” (Il Giornale, 12 agosto 2007).
[7] V. voce “D'Acquisto Salvo (salvatore) 23 settembre 1943 in www.cronologia.leonar-do.it/storia/a1943za.htm.
[8] Per la fonte di tali
notizie v. nota ???
[9] In
questo senso è stato citata la sentenza da Giampaolo Pansa in Sconosciuto
1945 (Sperling&Kupfer 2005, pp.376 sgg.). In realtà il decreto del 6
settembre 1946 riconosceva la qualifica di belligeranti anche ai partigiani,
come confermato dal decreto legislativo 4 marzo 1948, n.137.
[10] V. nota.
[11] V.
la voce “La strage di Marzabotto: le vittime furono 750 e non 1820. Nel sito laperfetta
letizia.blogspot.com (3.7.09). Si tratta di un sito che è la “rivista
giornalistica cattolica di informazione e attualità”.
[12] Paolo
Pezzino, Sant'Anna di Stazzema. Storia di una strage, Il Mulino 2008.
[13] “La
strage di Sant'Anna di Stazzema”, da Wikipedia.
[14] V. di Giuseppe di Bella “Le rappresaglie dei nazisti in Italia:strage annunciata”(4 maggio 2009),sito www.siciliainformazioni.com/giornale/cultura/50915/rappresaglia.
[15]V.“Dresda 1945-Un inutile massacro”(cronologia.leonardo.it/storia/a1945n.htm);“Dresda 1945:la barbarie”.(www.chefare.org/archivcf/cf52/dresda45html);“I crimini dei vincitori-I bombardamenti in Germania”
(ww.controstoria.it).
Il numero dei morti
è oggi valutato sui 40.000. Ma non si tien conto del fatto che Dresda ( che nel
1939 aveva circa 630.000 abitanti) era divenuta rifugio degli sfollati della
Slesia e dell'Europa orientale, non iscritti nei registri anagrafici. Da altri
si è calcolato un numero di circa 200.000.
[16]Ernest Armstrong, Rappresaglie partigiane,www.laltraverita.it/Documenti/rappreaglie_partigiane.htm..
[17] Eric Morris, La
guerra inutile. La campagna d'Italia 1943.45, Longanesi 1993, pp. 14-15 e
p. 456.
[18] Carlo
Mazzantini, I balilla andarono a Salò, Marsilio 2002;pp.168-70.
[19] Oggi
si dice che siano stati solo due, tra cui un bambino di 10 anni. Ma il Messaggero
del 28 marzo scrisse che erano stati sette.
[20] Si
iniziò subito con il D.Lgt 5.4.1945, n.158 (che riconosceva la qualifica di
“patriota combattente”, comportante benefici di ogni genere). Seguirono il
D.Lgt 21.8.45 (che disciplinava “il
riconoscimento delle qualifiche di partigiani e l'esame di proposte di
ricompensa), quello del 6.9.1946 (che, ponendo a carico dello Stato i danni di
guerra causati dalle forze alleate o nemiche, equiparava ad esse le formazioni volontarie) e la legge
21.3. 1958, n. 285 (che ha riconosciuto “come corpo organizzato inquadrato
nelle forze armate dello Stato il “corpo Volontari della libertà”.
Una ricostruzione non ideologica ed assolutamente oggettiva, semplicemente la realtà dei fatti, oltre i rituali stantii della retorica della "Liberazione". Mi sento di ringraziarla per questo contributo alla verità, in una giornata difficile per gli uomini liberi.
RispondiEliminaTra le non poche anomalie dell'Italia, sta il fatto che si celebri -col "25 aprile"- una sconfitta, non certo una vittoria la quale, se vi fu, fu merito di altri... . Giancarlo Matta
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