Incredibile ma vero. Questo papa ha detto una frase che ripete sostanzialmente quanto io ho sempre pensato. Sebbene il papa si sia espresso contraddittoriamente senza accorgersene. Infatti ha detto: "Non serve riempire i luoghi di culto se i nostri cuori sono svuotati
del timore di Dio e della sua presenza - ha affermato -, non serve tanta
religiosità se non è animata da tanta fede e da tanta carità, non serve curare l'apparenza, perché Dio guarda l'anima e il cuore e detesta l'ipocrisia". Questa frase contiene una parte positiva ed un'altra negativa. Quanto alla parte negativa il papa ha detto che il credente deve agire non svuotato del timore di Dio. Ma se è così egli agisce per opportunismo, cioè opera secondo una morale che Kant definisce eterologa e non autonoma. Secondo Kant Dio deve stare fuori della morale che nel suo imperativo categorico, dettato dalla ragione, senza riferimento a Dio, dice: "Agisci in modo da considerare la massima della tua volontà come principio di una legislazione universale". Si ha dunque una falsa morale, dettata da opportunismo, quando essa nasce dal timore di Dio, che invece non dovrebbe esistere nelle opere di carità, perché che non dovrebbero essere dettate solo dal timore di Dio. La fede religiosa annulla il valore dell'azione morale. L'aspetto positivo riguarda il non credente, che si suppone agisca secondo opere di carità senza aspettarsi un premio da Dio, in cui non crede. La morale del credente che agisce secondo carità è opportunistica, mentre la stessa azione di carità del non credente è disinteressata, e dunque dovrebbe essere maggiormente premiata da quel Dio in cui non crede, ma che guardando l'anima del non credente vi vedrebbe la mancanza di ipocrisia del credente. Senza accorgersene questo papa ha invitato a non credere per avere maggiori meriti di fronte a Dio. Ciò può sembrare un paradosso soltanto a quelli che non sappiano usare la logica per non cadere in contraddizione. Ma questo papa non si accorge di essere privo di logica. Ponendomi fuori della morale, che è sempre culturale, anche quando tenda verso l'universale (come nell'imperativo categorico di Kant), sostituisco alla morale della carità le norme del diritto, che sole possono pretendere l'universalità sulla base del principio giusnaturalistico neminem laedere.
Dall'Egitto il monito del Papa:
Questo è il blog del prof. Pietro Melis, autore del testo intitolato "Scontro tra culture e metacultura scientifica: l'occidente e il diritto naturale. Nelle sue radici greco-romano-cristiane. Non giudaiche e antislamiche".
sabato 29 aprile 2017
venerdì 28 aprile 2017
IL DISCORSO DEL PAPA IN EGITTO: UN VUOTO A PERDERE
Egli si è richiamato continuamente a Dio giungendo persino a dire che senza Dio è come se la Terra fosse senza il sole. Grande sciocchezza. Egli è stato un furbastro rispetto al colto ed onesto Benedetto XVI che nel famoso discorso di Ratisbona, che gli creò una rivolta del mondo islamico, citò un dialogo tra l'imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un persiano musulmano. "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai
soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di
diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". Questa era la verità che papa Francesco non ha potuto ripetere per evitare una peggiore guerra degli islamici contro i cristiani. Ma papa Francesco, si noti la furberia, si è riferito solo a Dio, evitando di fare riferimento al Dio cristiano. Si è ben guardato da citare anche una sola frase dei Vangeli. Insomma, un Dio buono per ebrei, cristiani ed islamici. Un bel minestrone. In verità non vi può essere dialogo interreligioso se non per opportunismo anche politico. Vi è un abisso tra i Vangeli e il Corano. Un abisso incolmabile, che soltanto la malafede, tacendo, può coprire. In realtà l'unica soluzione di pace tra le religioni può consistere nello stesso atteggiamento di indifferenza che gli atei-agnostici come me possono avere nei riguardi di una religione. Se ogni religione ignorasse tutte le altre si porrebbero le basi di una vera pace religiosa. Anche perché non vi è bisogno di Dio per essere amanti della giustizia, essendo questa fondata su una antica norma che proviene dal diritto naturale: NEMINEM LAEDERE (secondo la formulazione del giureconsulto romano Ulpiano). Tutto il resto è inutile. E ho sempre pensato che se un Dio esistesse questo premierebbe maggiormente l'ateo che rispetta la giustizia del diritto naturale piuttosto che il credente che prega egoisticamente Dio (tramite la madonna e i santi) per avere dei favori e credendo in questo modo di salvarsi l'anima. Da qui tutta l'inutilità della preghiera, che ci dà l'immagine di un Dio antropomorfico che ha bisogno di essere pregato per fare ciò che deve fare. Un Dio ridicolo che soltanto le religioni potevano inventarsi.
LE ONG E LE INTERCETTAZIONI DELLA PROCURA DI CATANIA
Mi sono sempre domandato da dove traggano i soldi le navi ONG di cui ognuna costa, ho letto, almeno 7000 euro al giorno. Chi comanda queste navi continua a dire che esse usufruiscono di finanziamenti privati a scopo umanitario. Questa è una grande falsità. UNA MENZOGNA. A questa falsità ha risposto il procuratore capo della Procura di Catania Carmelo Zuccaro dicendo chiaramente che è da escludere che possano bastare finanziamenti leciti fatti da privati (chi sarebbero questi folli o cretini? n.d.r.) e che dunque "vi deve essere una collusione tra trafficanti e navi ONG avente come fine la destabilizzazione dell'economia italiana. Un traffico che sta valendo quanto quello della droga". Egli ha aggiunto che "costi così elevati è impossibile che possano venire da fonti di beneficenza". Ma vi è una cosa che continuo a non capire. Si sa che qualsiasi intercettazione telefonica può essere usata ai fini di una indagine, per esempio, sulle cosche mafiose. E allora perché le intercettazioni acquisite dalla Procura di Catania (adesso si stanno muovendo altre Procure) non possono essere acquisite come mezzi di prova contro i traffici illeciti delle ONG? Il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro ha detto che purtroppo queste intercettazioni, essendo state fatte da servizi segreti stranieri, non possono essere acquisite processualmente come prove perché debbono passare attraverso la polizia giudiziaria italiana. Da chi sono state acquisite le intercettazioni tra gli scafisti e le navi ONG? Ma allora perché non potrebbero essere acquisite anche dall'Italia tramite l'interpol in modo che risultino acquisite anche dalla polizia giudiziaria italiana? Il procuratore capo di Catania ha detto che tali intercettazioni possono essere acquisite come strumento di indagine solo se la politica cambia la normativa riguardante le intercettazioni. In che cosa dovrebbe cambiare la politica riguardo alle intercettazioni? Perché non potrebbero servire processulamente anche le intercettazioni fatte dai servizi segreti sranieri perché, cosa assurda, dovrebbero valere solo quelle fatte dalla polizia giudiziaria italiana? Me lo si spieghi. Una volta acquisite le intercettazioni fatte dai servizi segreti stranieri perché si va tanto sul formalismo se tali intercettazioni esistono e dovrebbero avere piena validità processuale? Inoltre, perché le Procure non bloccano queste navi costringendo i loro comandanti a fornire le fonti di finanziamento visto che quelle fatte passare come fatte a scopo umanitario certamente non bastano? Siano documentati i finanziamenti. Questo le Procure dovrebbero fare. E una volta scoperto il finanziamento occulto da parte dei trafficanti perché non si sequestrano le navi come corpi del reato? Perché le navi ONG arrivano anche entro le acque territoriali della Libia? Evidentemente vanno a cercarsi i barconi d'accordo con i trafficanti fungendo da calamita. Aggiungo poi che queste navi straniere sono territorio dello Stato di cui battono bandiera e pertanto non possono avere il diritto di trasferire in Italia la gente salita sulle navi ONG. Queste navi, secondo le leggi del mare, dovrebbero portare la gente dei barconi di cui si sono fatte carico negli Stati di cui battono bandiera. Ma questo nessuno lo dice. Abbiamo uno sgoverno che dà soldi al fantomatico (inesistente) governo filoislamico di Tripoli (con a capo un inesistente el-Serraj) perché controlli le coste di fronte a Tripoli, mentre esso, da una parte non ha la capacità di controllarle, mentre, dall'altra, sembra accertato che questo falso governo di Tripoli sia anch'esso d'accordo con i trafficanti per trarre finanziamenti da essi. Tutto ciò è la conseguenza del fatto che non si è voluto riconoscere come unico governo quello laico di Tobruk avente la sua forza nell'esercito del generale Haftar. Insomma: questo continuo traffico, che ormai è una continua invasione che vuole far perdere l'identità italiana a vantaggio di una maggiore presenza islamica, dipende dall'assenza di una politica, compresa quella dell'UE, completamente assente, che abbia veramente la volontà di contrastare il traffico criminale che proviene dalla Libia.
Quale soluzione? Affondare elettoralmente il PD con tutta la falsa sinistra del buonismo e i suoi alleati. Meriterebbero di essere messi tutti su dei barconi per essere abbandonati di fronte alle coste della Libia. Pagando i trafficanti perché non ce li rimandino in Italia. Il ministro dell'interno Minniti, un parolaio totalmente inetto, prendendo subito le distanze dal procuratore di Catania, pur di fronte all'evidenza, ha replicato al procuratore di Catania dicendo che "bisogna evitare generalizzazioni e giudizi affrettati". Il BOMBA ha detto che bisogna contrastare gli scafisti e non i migranti. Un vero ossimoro. Come se potessero esistere gli scafisti senza i "migranti". Un vero PDota. Capite chi è questo individuo che vorrebbe tornare a fare il capo del governo? Una vera sciagura.
I mondialisti mentono spudoratamente
Ong-scafisti, il pm ha le prove:
Ho lasciato questo commento.
UNA DELLE DUE: se le ONG sono straniere non possono trasferire su navi italiane, ossia su territorio italiano, questi invasori, ma debbono farsene carico esse. Se le ONG sono italiane debbono essere indagate per conoscere i loro finanziamenti. Inoltre i barconi sono da considerare alla stregua di navi pirate perché non battono bandiera di alcun Paese. E poi le intercettazioni straniere potrebbero essere acquisite con una collaborazione tra i servizi segreti stranieri e quelli italiani e tramite l'INTERPOL. Basterebbe questo per rendere processualmente utilizzabili le intercettazioni. Come si fa per le questioni che riguardano il terrorismo. La soluzione è semplice, ma manca la volontà politica di questo sgoverno che è la causa principale dell'invasione.
Quale soluzione? Affondare elettoralmente il PD con tutta la falsa sinistra del buonismo e i suoi alleati. Meriterebbero di essere messi tutti su dei barconi per essere abbandonati di fronte alle coste della Libia. Pagando i trafficanti perché non ce li rimandino in Italia. Il ministro dell'interno Minniti, un parolaio totalmente inetto, prendendo subito le distanze dal procuratore di Catania, pur di fronte all'evidenza, ha replicato al procuratore di Catania dicendo che "bisogna evitare generalizzazioni e giudizi affrettati". Il BOMBA ha detto che bisogna contrastare gli scafisti e non i migranti. Un vero ossimoro. Come se potessero esistere gli scafisti senza i "migranti". Un vero PDota. Capite chi è questo individuo che vorrebbe tornare a fare il capo del governo? Una vera sciagura.
I mondialisti mentono spudoratamente
Ong-scafisti, il pm ha le prove:
ecco perché non può sfruttarle
Ho lasciato questo commento. UNA DELLE DUE: se le ONG sono straniere non possono trasferire su navi italiane, ossia su territorio italiano, questi invasori, ma debbono farsene carico esse. Se le ONG sono italiane debbono essere indagate per conoscere i loro finanziamenti. Inoltre i barconi sono da considerare alla stregua di navi pirate perché non battono bandiera di alcun Paese. E poi le intercettazioni straniere potrebbero essere acquisite con una collaborazione tra i servizi segreti stranieri e quelli italiani e tramite l'INTERPOL. Basterebbe questo per rendere processualmente utilizzabili le intercettazioni. Come si fa per le questioni che riguardano il terrorismo. La soluzione è semplice, ma manca la volontà politica di questo sgoverno che è la causa principale dell'invasione.
giovedì 27 aprile 2017
MARINE LE PEN PER LIBERARSI DALLA TIRANNIA DELL'UE
Macron è diventato milionario facendo il banchiere con i
Rothschild. Per cui si può definirlo “centrista”, “europeista”
o come si vuole, ma in realtà è un uomo di quella destra
finanziaria che da anni domina la politica europea. Con lui
continuerà la relazione con le petro-monarchie del Golfo Persico che
ispirano, organizzano e finanziano il terrorismo scientifico, quello
vero. Nel programma di Macron: assunzione di altri 10 mila
poliziotti, ripristino del poliziotto di quartiere (figura abolita da
Sarkozy), abolizione del divieto di portare il velo almeno
all’Università; e, last but not least, si è dichiarato contrario
al ritiro della nazionalità francese per i cittadini che abbiano
contatti con il terrorismo islamico.Siamo arrivati a questo assurdo, che quella che gli altri partiti chiamano destra (radicale) è la vera sinistra, contro gli interessi della borghesia e della grande finanza nemica dell'economia reale e della classe operaia. Con Marcon sia avrà ancora la globalizzazione dell'economia, con la conseguente delocalizzazione di molte imprese che ne comporta la chiusura con l'aumento della disoccupazione. Se la maggioranza dei francesi non lo capirà si renderà responsabile di un futuro peggiore non solo per la Francia ma anche per gli altri Stati dell'UE, che conviene solo alla Germania, di cui l'UE è suddita. Emmanuel Macron, già ribattezzato
"Micron", che come da copione ha svolto bene il suo
compitino. Et voilà. Poi, a Dio piacendo, verrà tutto il resto.
lunedì 24 aprile 2017
Una speranza nel cuore degli alternativi
Una volta gli alternativi erano chiamati figli dei fiori, fumavano
spinelli e avevano idee utopistiche in fatto di modello di vita
sociale. Oggi gli alternativi secondo me sono persone che si
oppongono ai piani dei padroni del mondo, ovvero alla globalizzazione
in tutte le sue forme, sia che si tratti di merci che di etnie. La
francese Marina dal cognome che ricorda l’organo genitale maschile
(non è colpa sua) ha dato una speranza a tutti noi, a
tutti gli alternativi che non si adeguano al Sistema e che aspirano
alla resa dei conti con il medesimo. Poter vedere la fine del
predominio delle banche, dell’euro, dell’Europa Unita, della
NATO, degli Stati Uniti e di tutte le fottute logge massoniche del
mondo, Vaticano compreso, è il massimo che noi alternativi possiamo
desiderare. Le Pen (il pene) ci ha dato una speranza, come a suo
tempo ci diede il signor Trumpo, per poi mostrarci la sua vera faccia
(da culo?).
Bene! A questo punto abbiamo due scenari: o Marina vince su
Macron e mantiene le promesse, o Marina perde e ci ritroviamo al
punto di partenza. Se Marina vince e mantiene le promesse, la
facciamo finita con questa Europa del cazzo che ci ha dato solo
dispiaceri e che ha portato ad impiccarsi un sacco di persone. Se
Marina vince e non mantiene le promesse, vuol dire che siamo stati
presi per il culo per l’ennesima volta. Stavolta, senza vaselina!
Se vince quell’altro, il burattino dei Rothschild, beh, cosa ci
resta da fare, comprare qualche kalasnikov in liquidazione da qualche
balcanico?
mercoledì 26 aprile 2017
ANCORA SUL 25 APRILE. EFFERATEZZE DI ALCUNI PARTIGIANI
SEMPRE DA UN MIO LIBRO
Ricordiamo
quanto il Peggiore (Togliatti) fece a danno dell'Italia dopo essere tornato dalla sua vera
patria, l'Unione Sovietica. Questo doppiogiochista da una parte aderì al
governo Badoglio su direttiva di Stalin, in un momento storico in cui, sulla
base degli accordi di Yalta, l'Europa era stata già divisa in due, con
l'esclusione dell'Italia dal blocco sovietico, dall'altra nei giorni 12 e 13
settembre 1943 aveva convenuto con il partito comunista croato che l'Istria (compresa
Trieste) dovesse far parte della Croazia, facendo presente che sarebbe stato
utile per la causa comunista che Tito occupasse anche la Venezia Giulia. A tal
fine ritenne opportuno che il movimento partigiano dell'Istria passasse sotto il controllo del partito
comunista croato in cambio del riconoscimento dei comunisti italiani come
rappresentanti della minoranza italiana all'interno della Jugoslavia. Per
questo osteggiò qualsiasi tentativo di pacificazione con i fascisti voluta
dalla maggioranza del CLN e promosse una campagna di attentati terroristici,
rifiutando che i comunisti affiancassero le poche unità regolari rimaste
dell'esercito regio e gli eserciti alleati. Delle due divisioni italiane che
operavano nella Venezia Giulia (la
Osoppo e la Garibaldi Natisone) la seconda (di comunisti) decise di passare
agli ordini del IX Korpus sloveno. Nel contesto di queste direttive dei
comunisti va posta la trappola in cui caddero alcuni partigiani bianchi sul
monte Canizza (al di qua del confine attuale della Venezia Giulia), massacrati
da quelli comunisti comandati da Mario Toffanin, detto Giacca. Gli autori della
carneficina, identificati nel numero di 37, furono condannati dopo la guerra a
800 anni di carcere. Ma sopraggiunse poi l'amnistia voluta dal ministro della
giustizia Togliatti, non tanto per salvare i fascisti, quanto per salvare i
comunisti. Ma Giacca e il suo compagno Vanni, che erano già fuggiti in
Jugoslavia e poi in Cecoslovacchia, furono condannati a 30 anni. Il secondo fu
graziato nel 1959 e il primo, maggiore responsabile, fu graziato nel 1978 da
Pertini, mandante di plurimi assassini.[1]
Erede degno della antitalianità del comunismo
è oggi il capo dello Stato Giorgio Napolitano, che aveva 22 anni nel 1946 e
doveva sapere delle foibe istriane. Ma non se ne poteva parlare allora nemmeno
da parte di altri partiti, facenti parte dei primi governi di coalizione, né se
ne parlò successivamente per evitare di
tenere aperta una ferita cocente, non esasperando il conflitto con i comunisti
ed evitando di compromettere i rapporti di vicinato con la Jugoslavia di Tito,
scomparso il quale venne fuori la verità. In nome dell'unità nazionale dei
partiti non fu contrastata in sede internazionale, subito dopo la guerra, la
cessione dell'Istria alla Jugoslavia, già occupata dalle armate comuniste, e i
300.000 profughi istriani vennero accolti come stranieri in Italia, con
fastidio e sopportazione. Con lacrime da coccodrillo Napolitano si accorse dopo
molti decenni dell'esistenza delle foibe. Ma non si pentì mai di avere
plaudito, insieme con tutta la dirigenza del P.C.I., alla repressione della
rivolta ungherese che causò 20.000 morti.
La mattina stessa della sua elezione a capo
dello Stato gli inviai una racc. A. R. in Senato, scrivendogli: “Lei con soli
543 voti mi rappresenta un cazzo! Lei nel 1956, sentendosi più sovietico che
italiano, plaudiva con Togliatti ai carri armati sovietici a Budapest. Questo
è un marchio di infamia. Il passato non può essere cancellato. Ci si può
redimere nella coscienza, ma non – e per ragioni di opportunismo politico –
come figura pubblica. Si dovrà, comunque, fare la verifica dei voti nulli per
sapere se la Sua nomina sia legittima. Anche per questo, se Lei avesse avuto
dignità, non avrebbe dovuto accettare la nomina. Si consideri, al massimo,
presidente di metà degli italiani”.
Analizzo la sconcertante sentenza della
Cassazione (Sezione I penale, n.1560/99) che è un vero pasticcio di
contraddizioni, scaturenti dal tentativo scoperto di salvare gli assassini,
protetti dal clima politico-ideologico
da cui nacque l'identificazione degli attentati dei partigiani come
azioni di guerra. La sentenza riprende nel 1999 in esame l'attentato di via
Rasella in conseguenza del fatto che i parenti, sia quelli dei civili vittime
dell'attentato di via Rasella, sia quelli delle vittime della rappresaglia,
avevano aperto un procedimento contro i tre principali e citati manovali
dell'attentato. Il P.M aveva presentato richiesta di archiviazione, formulata
sulla base della considerazione che l'attentato ricadeva nell'amnistia disposta
con D.P.R. del 5 aprile 1944 n. 96. Il G.I.P. aveva accolto la richiesta ma
soltanto dopo avere ordinato un supplemento di indagini per cambiare le
motivazioni dell'archiviazione. Non si trattava di applicare l'amnistia ma di
stabilire se l'attentato fosse da ritenere lecito in quanto da considerarsi
come azione di guerra (con la conseguente caduta dell'accusa mossa contro gli
attentatori). Il G.I.P. ritenne che l'attentato
non fosse un'azione di guerra, ma, pur essendo esso condannabile,
ritenne di dover archiviare il procedimento perché esso non era più punibile in
base la Decreto L.vo luogotenenziale n.194 del 1945 che diceva che non erano
punibili “gli atti di sabotaggio, le requisizioni ed ogni altra operazione
compiuta dai patrioti per la necessità di lotta contro i tedeschi ed i fascisti
nel periodo dell'occupazione nemica”. Gli attentatori si salvarono grazie a
provvedimenti successivi agli attentati. Legge ad personas. A questo
punto i tre principali manovali dell'assassinio di via Rasella (i citati
Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Pasquale Balsamo) - non contenti né della
motivazione della richiesta di archiviazione del P.M. (che faceva riferimento
all'amnistia) né di quella che accompagnava la decisione di archiviazione del
G.I.P., che riconosceva implicitamente che essi non fossero dei legittimi
combattenti - per paura di apparire veramente quali essi erano, degli
assassini, impugnarono l'ordinanza di archiviazione nel suo contenuto. La
sentenza della Cassazione, che ho esaminato interamente, appare un cumulo di
affermazioni del tutto illogiche, e perciò disoneste. Partendo dalla premessa
che l'archiviazione poteva essere prevista, non per sopravvenuta amnistia o
sopravvenuta legge (il citato decreto n.194 del 1945), non potendo questa avere
valore retroattivo in sede penale se il reato di strage fosse stato confermato
(secondo la tesi del G.I.P.), la Cassazione non aveva altra via di uscita per
salvare gli attentatori se non quella di considerare l'attentato come una
normale azione di guerra, pur sapendo che nell'attentato erano morti anche dei
civili, tra cui un bambino. Pertanto confermò l'archiviazione del G.I.P. ma ne
cambiò il contenuto considerando che già le Sezioni Unite Civili della
Cassazione (con sentenza 19 luglio 1957,
n. 3053) avevano ritenuto che le organizzazioni partigiane non fossero da
considerarsi clandestine e prive dei requisiti previsti dalla Convenzione
dell'Aja del 18.8.1907 e che pertanto tali organizzazioni fossero riconducibili
allo Stato italiano. Questa cervellotica conclusione partiva dalla premessa che
“il tema della liceità dell'attentato...non poteva essere risolto con
riferimento al decreto luogotenenziale n.194 del 1945, emanato successivamente
alla “rappresaglia” in questione...qualificata con effetto retroattivo 'azione
di guerra'...Ma ciò posto in evidenza non ne deriva affatto la non
riconducibilità allo Stato italiano, per quanto si riferisce al coinvolgimento
nell'attentato anche di vittime civili, dell'azione dei partigiani”. In sostanza, pur essendosi
ritenuta non applicabile con effetto retroattivo il decreto del 1945, tuttavia
gli attentatori non erano punibili perché il Governo legittimo (naturalmente
quello facente capo al fuggiasco governo regio di Brindisi) sin dal 31 ottobre
1943 “aveva incitato gli italiani a ribellarsi e a contrastare con ogni mezzo
l'occupazione tedesca”, e che ciò era stato già rilevato dalla citata sentenza
civile delle Sezioni Unite. A corredo di questa conclusione la sentenza del
1999 in esame faceva riferimento alla sentenza (25.10.1952, n.1711) del
Tribunale Supremo Militare che,
riconoscendo illegittimo l'esercizio della rappresaglia in quanto l'azione di
via Rasella doveva essere qualificata nella sua linearità come “atto di
ostilità a danno delle forze militari occupanti, commesso da persone che hanno
la qualità di legittimi belligeranti”, rovesciava la sentenza (27.7.1948,
n.631) emessa contro Kappler dal Tribunale Militare di Roma che, pur avendo riconosciuto
l'illegittimità della rappresaglia – ma solo per violazione del principio di
proporzionalità (ne erano stati uccisi 15 in più)[2] -
aveva negato la natura di legittimità azione di guerra dell'attentato.
Con ciò la Cassazione non si avvide, o fece
finta di non avvedersi, delle conseguenze aberranti. In primo luogo la
Cassazione si faceva complice dell'allora “governo” italiano nel riconoscere
come teatro di guerra una strada in cui vi furono delle vittime civili. In
secondo luogo si sarebbero dovute addebitare all'inconsistente governo regio
anche tutte le rappresaglie attuate dai partigiani, facendo finta che il
sedicente CLN prendesse ordini dal “governo” regio e che i vari gruppi di
partigiani non operassero anche separatamente tra loro con dei capi che si
erano autoinvestiti del titolo di comandanti delle rispettive bande. Dovrebbe
addebitarsi al “governo” italiano anche la vigliacca uccisione di Giovanni
Gentile, di uno che, pur non avendo mai rinnegato il suo passato di fascista,
si batté sino all'ultimo per una riconciliazione nazionale, osteggiata dai
partigiani comunisti. Gli assassini, appartenenti ai Gap toscani, tenendo dei
libri sottobraccio per essere creduti degli studenti, si avvicinarono all'auto
che era appena arrivata di fronte alla villa di Gentile, che ingenuamente aprì
il finestrino per parlare con essi. E fu ucciso con spietata freddezza. Anche
questa fu un'azione di guerra attuata da legittimi belligeranti? E l'uccisione
di Gentile è soltanto il più illustre esempio di ciò che molte bande partigiane
intendevano come “lotta di liberazione”. La conseguenza fu che anche con questa
sentenza politica fu negato il risarcimento dei danni ai parenti delle vittime
dei partigiani per non dover riconoscere che lo Stato repubblicano, erede di
quello regio, avrebbe dovuto farsi carico di tale risarcimento. Ma avrebbe
dovuto riconoscere di essere nato, non da una guerra di liberazione, ma da una
guerra persa.
La vergognosa sentenza della Cassazione ha
voluto ignorare una sentenza del Tribunale Supremo Militare del 26 aprile 1954,
che, mentre non riconosceva un potere sovrano al pur legittimo governo di
Badoglio, considerando che l'Italia del sud era di fatto sotto il controllo
degli alleati anglo-americani, da cui riceveva gli ordini, riconosceva che il
governo della R.S.I., nonostante il forte inserimento delle forze armate
tedesche, conservava la posizione giuridica di un governo di fatto con le sue
indipendenti istituzioni e con le sue leggi, su cui non aveva giuridicamente
alcun potere il governo del sud Italia. Conseguentemente lo stesso Tribunale
riconosceva la qualità di belligeranti regolari ai combattenti della R.S.I. e a
quelli regolari dipendenti dal governo del sud, mentre non riconosceva la
stessa qualità ai partigiani.
Dice la sentenza del Tribunale Supremo
Militare che i partigiani “non potevano essere trattati da belligeranti, ed
essendo certi che l'avversario - appunto per difetto di tale loro qualità - li
avrebbe spietatamente perseguiti. Infatti, i combattenti delle truppe regolari
italiane, se fatti prigionieri, non subivano le repressioni dei plotoni di
esecuzione; le subivano, invece, i partigiani che non potevano farsi usbergo
della qualifica suddetta...Al riguardo non vale argomentare che i partigiani fiancheggiavano
le truppe regolari italiane, e che facevano capo ai comandi italiani e alleati,
per poi dedurne che avevano dei capi responsabili; è necessario, invece, per
risolvere la questione, riferirsi esclusivamente alle formazioni partigiane,
considerate per se stesse, per quello che erano e per il modo con cui si
manifestarono, senza risalire ai comandanti superiori delle Forze Armate, ben
noti e riconosciuti sotto il loro vero nome".
La sentenza riconosce come legittimi
belligeranti non tutti i partigiani, ma solo quelli che avessero avuto
riconosciuta tale qualifica ai sensi del D.Lgs.C.P.S. 6 settembre 1946, n. 93
(Equiparazione, a tutti gli effetti, dei partigiani combattenti ai militari
volontari che hanno operato con le unità regolari delle Forze armate nella
guerra di liberazione).
Il 28 giugno 1997, pur non avendo ancora
fatto specifiche letture sull'attentato di via Rasella, mi lasciai guidare
dall'evidenza dei fatti, anche sulla base del ricordo del racconto fattomi da
mio padre, e inviai alla Procura presso il Tribunale penale di Roma una mia
denuncia per strage contro Rosario Bentivegna, Pasquale Balsamo e Carla
Capponi. In essa scrivevo: “Non si può nella fattispecie parlare di azione di
guerra, anche perché dalle notizie in mio possesso pare che la pattuglia di
soldati tedeschi fosse disarmata. Trattasi pertanto di azione proditoria che è
all'origine della rappresaglia tedesca prevista nel codice internazionale di
guerra. Rosario Bentivegna, Carla Capponi, Pasquale Balsamo, nonché i loro
complici, sono dunque i veri responsabili della morte di coloro che furono
uccisi alle fosse ardeatine, e la giustizia attende ancora che i veri
responsabili rispondano del loro atto criminale. P.S. La gravità dell'atto
criminale descritto è tanto maggiore in quanto i suoi responsabili non si
costituirono quando il comando tedesco chiese che si presentassero per evitare
la annunciata rappresaglia. A chi indegnamente si fregia di una medaglia d'oro[3]
dovendo avere sulla coscienza la vita di centinaia di innocenti contrappongo la
luminosa figura di Salvo D'Acquisto che si immolò innocente per evitare una
rappresaglia. Non può essere teatro di guerra una strada cittadina dove
rimangono uccisi dei civili e persino un bambino”. Mi fu risposto
negativamente. Ma, non riuscendo a trovare oggi tra le mie carte la risposta,
non posso dire se essa sia stata di archiviazione per prescrizione o per insussistenza del
reato. D'altronde, non sapevo ancora che vi fossero ancora dei procedimenti in
corso contro i soprannominati assassini.
Il quotidiano Il Giornale dovette
subire in 10 anni ben quattro condanne per diffamazione per avere contrastato
la versione dell'attentato di via Rasella come azione di guerra. L'ultima
quella da parte del Tribunale di Monza, sezione di Desio (17 marzo 2009), dopo
la terza condanna del 7 agosto 2007 da parte della Cassazione),[4] e
il quotidiano Il Tempo, su querela della figlia del Bentivegna, subì
anch'esso una condanna (il 22 luglio 2009) da parte della Cassazione per avere
definito “massacratori” i responsabili dell'attentato. Eppure nei primi due
gradi del giudizio il quotidiano romano era stato assolto, e nel settembre del
2006 un altro tribunale aveva stabilito il non luogo a procedere nei confronti
del segretario romano di Fiamma Tricolore Giuliano Castellino per avere
anch'egli definito “massacratore” il Bentivegna.
Questo netto
contrasto tra tribunali civili, tra tribunali penali e gli stessi tribunali
militari dimostra che giustizia non è stata mai fatta per il prevalere di interessi
politici. Sino a quando si continuerà a trattare la storia sul piano di una
asserita superiorità etica (della parte vincitrice), invece che su quello
strettamente giuridico, si continuerà a sostituire la retorica ideologica della
“lotta di liberazione” all'analisi storica dei fatti.
Mi sono voluto addentrare nella
considerazione di questi tragici fatti perché voglio lasciare della mia vita
una testimonianza, se non di verità, almeno di ricerca della verità, perché per
tutta una vita sono stato costretto a subire la retorica del 25 aprile, che non
può più essere considerata una festa se non da coloro che ancora vogliano
partigianamente trovare il male solo da una parte e giustificare la nascita di
una Repubblica che non nacque da una guerra di liberazione, ma da una guerra
persa, al di là del giudizio che di essa possa essere dato, se sia stato meglio
vincerla o perderla.
Due mali si allearono fra loro. Ma la cura contro questi due mali fu la vittoria di un altro male, quello di un'altra dittatura, dell'Unione Sovietica di Stalin. Mali che nascono da governi sorretti da ideologie ispirantisi a certezze che generano opposti fanatismi.
Si può dire che
il nazismo sia stato la rovina del fascismo perché trascinò l'Italia in guerra
pur non essendo essa preparata. E questo dimostra come il fascismo non avesse
più altre aspirazioni di guerra nel 1939. A sua volta proprio l'impreparazione
dell'Italia fu la rovina del nazismo in guerra perché lo costrinse ad
intervenire ogni volta per salvare gli impreparati eserciti italiani che,
mandati allo sbaraglio da Mussolini, causarono l'intervento tedesco prima in
Grecia (dove la Germania dovette intervenire per salvare l'impantanato esercito
italiano pur non avendo in Grecia alcun interesse strategico di guerra) e poi
in Africa, dove scriteriatamente il governo fascista mosse guerra
all'Inghilterra invadendo l'Egitto pur non avendo colà alcun interesse, con la
conseguenza di una distrazione in Africa di un esercito di salvataggio tedesco,
sottratto alle operazioni di guerra in Europa e con la sconfitta evitabile di
El Alamein. Bisogna riconoscere che la Germania non si sottrasse mai ai doveri
di alleanza con l'Italia, pur ricavando da essa soltanto conseguenze negative.
Se l'Italia fosse rimasta neutrale la Germania dopo l'8 settembre non avrebbe
avuto bisogno di aprire un nuovo ed inutile fronte di guerra in Italia, e
soltanto per salvare il fascismo, pessimo alleato.
Due mali si allearono fra loro. Ma la cura contro questi due mali fu la vittoria di un altro male, quello di un'altra dittatura, dell'Unione Sovietica di Stalin. Mali che nascono da governi sorretti da ideologie ispirantisi a certezze che generano opposti fanatismi.
[1] Sulla
politica terroristica del P.C.I cfr. Jack Greene, Il principe nero. J.V.
Borghese e la X mas, Mondadori 2007;
Carlo Mazzantini, I balilla andarono a Salò, op. cit.; Arrigo
Petacco, L'esodo. La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e
Venezia Giulia, Mondadori 2000. Sulla guerra civile cfr. anche Saul Bellow,
La resa dei conti, Mondadori 200; Giorgio Pisanò, La generazione che on
si è arresa, C.D.L. ed. 1993; Marco Picone Chiodo, In nome della resa,
Mursia 1990.
[2] In
origine l'ordine partito da Berlino era di ucciderne 320, ma poi arrivò la
notizia che era deceduto un ferito, che portò il numero delle vittime del
battaglione altoatesino a 33. Dunque con la morte di 335 vittime della
rappresaglia ne erano stati uccisi 5 in
più.
[3] Allora
non sapevo che soltanto la pluriassassina Capponi avesse avuto la medaglia
d'oro in relazione ad altre sue imprese da terrorista.
[4] V.
il giusto commento di Massimo Fini su “Quella disparità di giudizio tra via
Rasella e la strage di Nassyria” (su Opinione del 17 agosto 2007,
riportato in www.ladestra.info. V. inoltre
di Pierangelo Maurizio “Via Rasella. Un mistero che dura sessant'anni” (Il
Giornale, 12.08.2007).