Apollonio di Tiana (I secolo
d. C.), educato a Tarso, non si fece convertire da S. Paolo quando lo incontrò.
Preferì rimanere legato culturalmente all’India, dove era stato, contemperando
la cultura indiana con il pitagorismo. Flavio Filostrato di Lemno, vissuto nel
III secolo, fu invitato da Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio
Severo, a scrivere la biografia di Apollonio. Egli racconta che Apollonio aveva
la fama di essere un mago, di aver fatto molti miracoli e di essere persino
risuscitato per dimostrare che l’anima è immortale, ma aggiunge che non vi era
in ciò alcunché di vero e che Apollonio era solo un sapiente che ancor
giovinetto disse al suo maestro Eusseno di voler diventare pitagorico e gli
spiegò: “ ‘Farò come i medici. La loro prima cura è di purgare: prevengono così
le malattie o le guariscono’. A partire da quel momento non si nutrì più di
carni…si nutrì di verdure e di frutta, dicendo che tutto ciò che dà la terra è
puro…e divenne assistente del medico Esculapio” (Vita di Apollonio, I, 7).
E’
evidente che sarebbe stato preferibile che S. Paolo, invece di cercare di
convertire Apollonio, si fosse fatto convertire da lui. Quanto sarebbe stata
migliore la storia.
Conoscitore dei tesi della religione di
Zarathustra, egli affermò che “nessun sacrificio di animali è da farsi poiché
Dio non ha bisogno di alcunché” e che è preferibile non fare alcuna violenza ad
alcun animale evitando l’uso delle pelli per accrescere il senso della
giustizia. “La terra produce ogni cosa e chi vuole essere in pace con gli
esseri viventi non ha bisogno di alcunché, poiché i suoi frutti si possono
cogliere, e altri coltivare secondo le stagioni, in quanto essa è la nutrice
dei suoi figli: ma la gente, come se non udisse le sue grida, affila le spade
contro gli animali per trarne cibo e vestimento. I Bramani dell’India invece
non approvano tale condotta e istruirono i Ginni dell’Egitto a respingerla: da
costoro Pitagora, che fu il primo dei Greci a frequentare gli Egizi, prese la
sua dottrina che lasciava alla terra gli esseri animali; e affermando che i
suoi prodotti sono puri e adatti a nutrire il corpo e la mente, di questi si
cibava. Sostenendo inoltre che gli abiti che si portano solitamente sono
impuri, in quanto provengono da esseri mortali, si abbigliava di lino; e per la
stessa ragione intrecciava il vimine per farsene calzature” (Flavio Filostrato,
Vita di Apollonio di Tiana).
Apollonio conobbe in Etiopia
l’imperatore Vespasiano, dopo che si allontanò da Roma perché perseguitato
sotto Nerone da Tigellino, ma poi dovette lasciare nuovamente Roma sotto l’imperatore Domiziano,
succeduto al fratello Tito, facendo perdere di sé le tracce sotto l’imperatore
Nerva. Nell’ambiente culturale del I secolo l’arte della retorica veniva
indirizzata verso argomentazioni che dovevano suscitare emozioni e meraviglia
per suscitare grandi pensieri che stessero tra il sublime e il mistero. Si
combatteva così in certi ambienti colti contro il conformismo a favore di alti
ideali. Allo stesso modo si può pensare che S. Paolo, per raccogliere maggior
credito tra le folle, abbia diffuso il racconto della resurrezione di Gesù.
Persino un cristiano come
Eusebio poteva conservare in una sua opera (Preparazione evangelica, IV, 13) il
pensiero di Apollonio in questi termini: “Io credo che si osservi il culto
conveniente alla divinità…se al Dio che diciamo Primo e che è l’Uno e separato
da tutte le cose e che dobbiamo riconoscere superiore a tutti gli altri non si immolino vittime, non si accendano
lampade, non si consacri alcuna delle cose sensibili. Dio non ha bisogno di
alcuna cosa…Con lui adopera solo la parola migliore, cioè quella che non esce
dalle labbra, e da lui, che è il migliore degli esseri, invoca i beni mediante
ciò che in noi v’è di migliore: l’intelletto, che non ha bisogno di alcun
organo”. In una lettera (26) delle molte apocrife si legge: “Se gli dei non
hanno bisogno di vittime, che si dovrà fare per avere i loro favori? Credo si
debba aver l’animo ben disposto a beneficiare gli uomini per quanto è
possibile, secondo i loro meriti”. Apollonio passò alla posterità con la
definizione di “Cristo pagano”. Il che sarebbe da ritenersi una grave offesa
per Apollonio, non per il Cristo di S. Paolo. Giustamente, infatti, Porfirio
oppose la figura di Apollonio a quella di Cristo, ritendo che Apollonio fosse
il vero salvatore. Se si riflette sul fatto che Gesù era un ebreo che non aveva
preso mai le distanze dalla Torah, che egli pretendeva, al contrario, di avere
completato, si può dire che nessuna vera salvazione poteva venire all’umanità
dalla religione ebraica, scuola di macelleria, che portò a ritenere, tramite il
cristianesimo, che il Figlio di Dio dovesse essere macellato in croce per
redimere l’umanità. Fu il neoplatonismo a salvare in
parte il cristianesimo dalla maledizione della Torah, del dio ebraico che maledice
e che sparge sangue. Non si trascuri il fatto che Gesù, cacciando i mercanti
che sostavano fuori, sotto il colonnato del tempio, accusandoli di averne fatto
“una spelonca di ladri”, identificava in realtà la casa di dio con il
tempio-mattatoio ebraico. Rimase ebreo.
Il maggiore filosofo
neoplatonico prima di Plotino fu Plutarco, nato nel 46 d. C. Contro le
argomentazioni degli stoici, secondo cui, se gli animali partecipassero della
ragione naturale, e dunque del diritto, l’umanità perirebbe non potendo
usufruire dei vantaggi provenienti dai “comodi avuti dalle bestie”, Plutarco
ribatte che l’uomo può vivere senza uccidere animali indifesi o divertendosi
con la caccia, che, oltre che ingiustizia, è mancanza di equilibrio della
mente. Plutarco rileva come la concezione stoica giustifichi una forma di
dominio dell’uomo sulla terra. Essa predica l’esistenza di un Logos universale, la virtù, ma poi non
sente il dovere di offendersi di fronte a cadaveri presentati come cibo. Gli
animali non umani sono migliori perché nessun cavallo rende schiavo un altro
cavallo o un leone un altro leone.[1]
Mentre gli altri animali si astengono dal cacciare ogni specie e “fanno la
guerra soltanto per necessità di cibo”, l’uomo è l’unico animale che, cibandosi
di tutto, rimase castigato da molte e lunghe malattie.
In Iside e
Osiride Plutarco dimostra di avere conoscenza di Zarathustra, oltre che di
Platone, e in De esu carnium (Del mangiar
carni) scrive: “Vi state chiedendo perché Pitagora si astenesse dal mangiar
carne? Io, da parte mia, mi domando piuttosto per quale ragione e con quale
animo un uomo, per primo, abbia potuto avvicinare la sua bocca al sangue
coagulato e le sue labbra alla carne di una creatura morta, ponendosi avanti i
serviti, le vivande e il cibo di corpi uccisi…le membra che poco avanti
belavano, mugghiavano, andavano e vedevano? Come poterono soffrire gli occhi di
scorgere l’uccisione degli animali scannati, scorticati, smembrati?…L’uomo non
si nutre certo di leoni e di lupi, per autodifesa…ma al contrario, uccide
creature innocue, mansuete, prive di pungiglioni o di zanne. Per un pezzo di
carne l’uomo le priva del sole, della luce, della durata naturale della vita
alla quale hanno diritto per il fatto di essere nate”. Plutarco vede l’origine di ciò in un tempo in
cui gli uomini, non conoscendo ancora l’agricoltura, soffrirono la fame più
dura, e non nella guerra, come aveva pensato Teofrasto. Da allora essi impararono
a cibarsi di animali morti. Aggiunge Plutarco: “Che orribile vista ci presenta
la mensa dei ricchi, veder adornarla da cuochi e pasticceri di cadaveri e corpi
morti”. Precisa Plutarco – quasi anticipando le stesse considerazioni che
svolgerà Rousseau (Discorso sull’origine
e sui fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini), a cui oggi possiamo
scientificamente arrivare - che il corpo umano non ha nello stomaco la capacità
di “cuocere e smaltire la gravezza della carne”, considerando la delicatezza dei
denti, la piccolezza della bocca. La cosiddetta civiltà è per Plutarco dominata
dalla follia. Si incominciò ad uccidere gli animali selvatici, “fino ad
uccidere il bue, nostro operaio, la pecora che ci veste, il gallo guardiano
della nostra casa, e così a poco a poco, cresciuta l’insaziabile cupidigia si
pervenne al sangue, agli omicidi, alle guerre”. Aggiunge Plutarco che non è
naturale cibarsi di carne, che genera malattie, da cui l’uomo rimane castigato.
Gli animali carnivori cacciano “per necessità di pascersi” e non cacciano ogni
specie, come fa l’uomo.[1]
Plutarco, che viaggiò da Roma (dove fu ben voluto dall’imperatore Vespasiano)
al Medio Oriente, ebbe molte missioni politiche e fu nominato arconte di
Cheronea, cittadino onorario di Atene e sacerdote di Delfi, lasciò un messaggio: “combattete uniti contro
quelli che privano gli animali dell’uso della ragione e del discorso”.
Plutarco, che morì nel 125, visse 79 anni. Egli non pare avere tenuto in
considerazione la religione ebraica, che ancora non era giunta, filtrata dal
cristianesimo, nel mondo greco-romano, se non limitatamente all’opera
dell’ebreo eretico Filone di Alessandria (27 a. C.), che anticipò la concezione
trinitaria di Dio, contro il monoteismo giudaico.
Il neoplatonico Celso -
di cui purtroppo non ci è rimasta l’opera Discorso
di verità (178 d. C), che, anticristiana nel suo affermare che il
cristianesimo non aveva alcunché a che fare con la filosofia a causa del suo
Dio antropomorfico, ci è nota soltanto per le parti riportate da Origene
(184-255) nel suo Contra Celsum -
invitava al riconoscimento di una parentela tra uomini ed animali considerando
che il mondo non è stato fatto solo per l’uomo. Celso demolisce tutti gli
argomenti di Aristotele, degli stoici, dell’ebraismo e del cristianesimo: “Non
si pone alcuna differenza tra il corpo di un pipistrello o di un verme, di una
rana o di un uomo; medesima è infatti la materia e identica ne è anche la
corruttibilità…Nulla è immortale di quel che dalla materia trae origine. Basta
questo riguardo a tale argomento e chi è in grado di udire e di compiere una
ricerca ancor più approfondita comprenderà che le cose che noi vediamo non
sono state donate all’uomo, ma ciascuna nasce e perisce per il bene del tutto”,
e il fatto che gli animali non siano dotati di parola non significa che “il dio
abbia creato tutto in funzione dell’uomo…Non per l’uomo l’universo è stato
creato, ed egualmente nemmeno per il leone, o per l’aquila, o per il delfino,
ma perché questo cosmo si realizzasse come opera totalmente divina e
assolutamente perfetta…E’ dell’universale che il dio ha cura, è questo che la
provvidenza divina non abbandona mai” (IV, 81-99).
Il pagano Porfirio (n. in
Siria nel 233 e m. a Roma nel 305), allievo prediletto di Plotino, [1]
conoscitore del Vecchio e del Nuovo Testamento e della lingua ebraica, fu autore
di un’opera intitolata Contro i cristiani,
giunta mutila. In essa Porfirio aveva attaccato S. Paolo che nella I lettera ai Corinzi aveva scritto che i
cristiani non dovevano farsi scrupolo di mangiare tutto ciò che usciva dai
mattatoi. In Sull’astinenza dalle carni
riprendeva la tradizione neopitagorica e neoplatonica della giustizia cosmica
come mezzo del ritorno del mondo a Dio. Secondo Porfirio fu il massacro degli animali
a predisporre gli uomini, ormai avvezzi ad uccidere, ad uccidersi tra loro in
guerra, perché identiche furono le armi. La guerra nacque per la bramosia di
possedere di più estendendo agli uomini l’ingiustizia già commessa nei confronti
degli animali. Le guerre nacquero dopo la fase dell’agricoltura e coincisero
con la fase successiva dell’allevamento, che portò ad impadronirsi contemporaneamente
degli animali e delle terre altrui. Così si è formata la civiltà del dolore.
Uomini ed animali fanno parte
di uno stesso ordine naturale che comporta misura e giustizia. Pertanto
uccidere glianimali per divorarne le carni, il condurli al macello smaschera
l’ordine umano e la sua pretesa superiorità rivelandone tutto
l’orrore. E’ possibile superare un un universo di dolore inutile. Scrive
Porfirio: “Sicuramente Dio non ha fatto in modo che ci fosse impossibile
assicurare la nostra salvaguardia senza fare del male ad altri; ciò sarebbe
stato in effetti darci la nostra natura come principio di ingiustizia” (III,
12). Capovolgendo il testo biblico, Porfirio scrive che la violazione originaria
della vita degli animali da parte degli ebrei fu compiuta da un sacerdote, che
poi diede in pasto della carne alla compagna.
Contrapponendosi a S. Paolo,
Porfirio riporta un passo della Prima Epistola
ai Corinzi (10, 28): “Mangiate di tutto quello che si vende al macello,
senza preoccuparvi di niente per scrupolo di coscienza; perché di Dio è la
terra e tutto quanto essa contiene. Se un pagano vi invita e vi piace andare, mangiate
pure di tutto quello che vi è posto davanti, senza preoccuparvi di niente per
scrupolo di coscienza”. Purtroppo il cristianesimo iniziava così per bocca del
suo fondatore.
Secondo Porfirio la carne è il veicolo dei
demoni malvagi, che allontanano l’uomo dalla perfezione divina. Da ciò le colpe
degli ebrei (allora confusi insieme con i cristiani), contro cui devono ergersi
i filosofi per liberare gli uomini dall’orrore del togliere la vita agli
animali, capaci anche di un “discorso interiore” perché più vive sono le
sensazioni e più sensati sono gli animali, i quali sono “ragionevoli per
natura”, non nascendo la loro ragione principalmente dall’apprendimento, come
quella degli uomini. Uccidere gli animali per divorarli significa soprapporre
un ordinamento umano a quello divino, riempiendo la terra di dolore
inutile.
L’imperatore Costantino
emanò contro Porfirio la seguente disposizione: “Porfirio, il nemico della
religione, ebbe quel che meritava, sicché il suo nome sarà nei tempi avvenire
nome di ignominia ricolmo d’infamia, mentre i suoi empi scritti sono stati
distrutti…Chi verrà sorpreso con opere di Porfirio sarà immediatamente
condannato alla pena capitale” La stessa disposizione fu presa dai successori
Teodosio II e Valentiniano III.
Né bisogna tacere che furono
i cristiani ad incendiare nel 391 la grande Biblioteca di Alessandria d’Egitto,
facendoci perdere enormi tesori di sapere.
[1] Platone nelle Leggi (849d)
scrive che “i macellai potranno vendere la carne solo a stranieri, artigiani ed
ai loro servi”. Ma per Platone artigiani potevano essere soltanto gli stranieri,
non potendo i cittadini, occupati nella difesa dello Stato, nella politica e
nell’istruzione, impiegare il loro tempo quotidiano nel lavoro artigianale
(846d). Vengono, invece, permessi nelle Leggi
(849a, 917b-c, 919e-920a-c) gli scambi commerciali tra cittadini e tra
cittadini estranieri, se pur rigorosamente regolamentati dallo Stato.
Precedentemente
(842e) aveva scritto: “i nuovi cittadini invece dovranno trarre il nutrimento
solo dalla terra”. Platone, inoltre, sembra glorificare il tempo mitico in cui
“non si osava nutrirsi nemmeno della carne di bue, non si sacrificavano animali
agli dei, ma invece focacce, e frutti melati e ogni altra offerta incruenta e
si astenevano dalla carne perché ritenevano sacrilegio mangiarne e macchiare di
sangue gli altari degli dei; questi uomini allora vivevano secondo i principi
orfici, nutrendosi di esseri inanimati, astenendosi da tutto ciò che ha vita
animale”. Vi è in questo passo, certamente, un riferimento alla tradizione
della scuola pitagorica, che faceva divieto di mangiare carne anche sulla base
della dottrina della metempsicosi. Da
qui, come da altri passi del Politico
e del Timeo, si può dedurre che
Platone richiedesse una dieta vegetariana. Ma purtroppo nemmeno Platone seppe
sottrarsi alla tradizione religiosa dei sacrifici degli animali, ritenendo,
evidentemente, che essa fosse da conservare per rafforzare esteriormente la
credenza nelle divinità, nel contesto di una religione astrale che egli,
contraddittoriamente, poneva a fondamento di una giustizia cosmica (Leggi, X).
www.repubblica.it/vaticano/2016/05/14/news/papa_non_va_essere_attaccati_a_cani_e_gatti_e_ignorare_vicini_-139768014/amp/
RispondiEliminaPersonalmente, mi ero perso un discutibile intervento di Bergoglio. Dato che la pasqua cristiana si avvicina, è utile ricordare che, nel maggio 2016, Bergoglio disse: "Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti ai cani, e poi lasciano senza aiuto la fame del vicino e della vicina". "La pietà - ha, poi, aggiunto - non va confusa con la compassione per gli animali che vivono con noi, accade infatti che a volte si provi verso animali e si rimanga indifferenti di fronte alle sofferenze dei fratelli".
"Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti ai cani che poi lascia sola e affamata la vicina. No, per favore no!". Papa Francesco, nell'udienza giubilare in piazza San Pietro, rimprovera l'indifferenza e la superficialità verso i fratelli che sono in difficoltà. E per farlo, paragona l'attaccamento evidente che spesso si manifesta nei confronti degli animali alla poca attenzione verso le persone meno fortunate.
Secondo Bergoglio, cosa dovremmo fare? Abbandonare cani e gatti e rimpiazzarli con i nigeriani?
Una persona civile non dà schiaffoni a nessuno, tanto meno a una persona anziana e malferma in salute; non è con questi "argomenti" che si difende la causa degli animali.
RispondiEliminaQuesto papa è anche un delinquente per essere stato alleato della feroce dittatura del criminale Videla, che caricava gli oppositori su un aereo per buttarli in mare. Infatti è l'unico papa straniero che nei suoi viaggi (al contrario di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI) non è mai tornato nella sua terra d'origine. Ha paura di di dimostrazioni a lui contrarie. Come minimo. E per non fare brutte figure non è mai tornato in Argentina questo impostore perché non venga ripescato il suo lurido passato.
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