Debbo scegliere uno tra gli editori che hanno risposto alla mia proposta di pubblicazione del testo il cui titolo ho riportato in alto. In allegato ho inviato il testo completo.
Inoltre l'originario saggio
introduttivo aveva lo scopo di rendere più facile la
lettura del testo rilevandone i punti essenziali e
aggiungendo alcuni altri temi, cercando di impiegare un
linguaggio accessibile ad una persona mediamente colta
che non abbia fatto studi specifici di filosofia. Tale
saggio ha assunto l'attuale dimensione, che potrebbe
raccomandarsi anche ad un lettore che non appartenga
all’ambito universitario, che diversamente sarebbe
destinato, come tutti i testi di filosofia scritti da
professori universitari, a finire nelle secche
dell’Università, senza alcun riflesso sulla società.
Poiché, invece, il mio scopo è anche quello di avere un
pubblico che non sia ristretto, come quello accademico,
per poter suscitare un dibattito oltre l’ambiente
asettico dell’Università, ho pensato di pubblicare a parte
il saggio molto più ampio intitolato Geometria del
diritto naturale. La morale come oblio della
giustizia. Dall'antichità ad oggi, da cui ho
ripreso alcuni temi nel presente testo, sfrondando molte
parti, tra cui quella che riguarda la filosofia antica.
Ho affrontato i temi più attuali e più scottanti di oggi alla luce della riproposizione del diritto naturale, le cui radici vanno ricercate nel concetto di giustizia cosmica espresso nell’antichità presocratica e in Platone, oltre che nello stoicismo. Ho documentato, tra l’altro, come l’eclisse del diritto naturale avvenga dopo il ‘700 con il rinchiudersi della filosofia dentro le Università. Sino all’800 non si trova alcun filosofo che appartenga alla cultura universitaria (eccetto Kant, con cui inizia la perdita di connessione della filosofia con la società civile). Ciò è dovuto anche al trasformarsi del linguaggio filosofico in un linguaggio per iniziati. Sino al ‘700 una persona mediamente colta era capace di affrontare la lettura dei più importanti testi filosofici, che avevano pertanto una diffusione che permetteva ad essi di avere dei riflessi sulla società. Le rivoluzioni del ‘600 e del ‘700 trovarono un terreno fertile nelle idee preparatorie dei filosofi dell’epoca.
Nel ‘600 è accaduto, tuttavia, che la separazione cartesiana tra natura e spirito abbia posto capo ad una concezione antropocentrica del diritto naturale. Tuttavia, pur in questo contesto, venivano nettamente distinti i doveri giuridici (neminem laedere) da quelli morali. La tradizione del diritto naturale è stata conservata nella filosofia cristiana, soprattutto di S. Tomaso, che, armonizzando il pensiero di Platone con quello di Aristotele, si affacciò ad una concezione naturalistica della giustizia che superava i limiti di una concezione cristiano-medievale, e perciò antropocentrica (ma meno di quella moderna), del diritto naturale.
Successivamente la filosofia ha soltanto alimentato se stessa, nell’immagine da me proposta di una fontana a circuito chiuso. Ma ancora nell’800 vi furono filosofi come Schopenhauer, Bentham e Stuart Mill che rimasero estranei alla cultura universitaria. Non è un caso che essi furono nell’800 gli unici ad affrontare il tema dei diritti degli animali almeno come riflesso dei doveri che l’uomo ha nei loro riguardi. Un capitolo è interamente dedicato alla posizione che tennero i maggiori filosofi nei riguardi degli animali. Il tema dei diritti degli animali scompare per quasi tutto il XX secolo, affacciandosi soltanto negli ultimi decenni nei pochi filosofi che, in quanto animalisti, hanno fatto di questo tema il loro principale interesse. Un’eccezione, tra i maggiori filosofi della seconda metà del XX secolo, è Robert Nozick, le cui coerenti argomentazioni, in opposizione alla teoria contrattualistica di Rawls, sono fondate su una ripresa del diritto naturale.
La filosofia della prima metà del ‘900 offre una serie di “poemi metafisici” che, volendo essere espressione di una ragione forte, sono soltanto costruzioni morali fondate su una concezione finalistica, e perciò antropocentrica, dell’evoluzione biologica, in contrasto con la concezione scientifica di Darwin fondata sulla casualità delle mutazioni genetiche e sulla selezione naturale. La ragione forte dell’antropocentrismo è trasversale alla molteplicità di indirizzi (idealismo, spiritualismo, realismo, pragmatismo, esistenzialismo).
Quasi per reazione all’ottimismo antropocentrico nella seconda metà del ‘900 si sostituisce una ragione debole che mette in discussione il valore teoretico della conoscenza scientifica. All’origine del soggettivismo e del relativismo della filosofia della seconda metà del XX secolo ho individuato la connessione Nietzsche-Heidegger-Wittgenstein-Gadamer. Del pensiero rapsodico e intimamente contraddittorio di Nietzsche offro un’ampia disamina. Egli, più di ogni altro, ha contribuito ad una concezione del diritto inteso come convenzione ed equilibrio tra forze, in contraddizione con la volontà di potenza, in cui si esprime, secondo Nietzsche, la vita.
La stessa Chiesa cattolica, dopo il Concilio vaticano II, ha messo in ombra il potenziale rivoluzionario del diritto naturale espresso dal pensiero di S. Tomaso, che avrebbe potuto avere il riconoscimento di una sua attualità alla luce di una concezione cosmocentrica, e non antropocentrica, della natura. E’ prevalso, invece, un indirizzo teologico che con Rahner ha voluto riprendere i temi della filosofia antropocentrica di Heidegger, quasi per seguire una moda.
Il mio principale obiettivo è quello di rilevare la costante confusione tra morale e diritto in cui vive il linguaggio politico – basti pensare all’uso continuo del termine “solidarietà”, che ha un significato morale - e quello della filosofia morale accademica, incomprensibile per il suo tecnicismo accessibile ai pochi addetti ai lavori e connotata da una povertà intrinseca che la rende inutilizzabile alla luce dei temi più inquietanti del nostro tempo, che non possono essere affrontati sul piano morale, che contrasta con quello giuridico. Il libro prende in esame la contraddizione intrinseca al giuspositivismo. Prendo in esame, per esempio, il giuspositivismo di Hans Kelsen, di Benedetto Croce e di Norberto Bobbio, che non si accorsero nemmeno di non poter giustificare la loro scelta per la democrazia se la fonte della legge è lo Stato.
Le conclusioni potranno suscitare vigorose reazioni da parte di coloro che appartengono all’area della filosofia del dialogo, meglio espressa dalla Teoria dell’agire comunicativo di Habermas, che pretende di ricavare il diritto dal confronto tra diverse culture, offrendo tale confronto come panacea della corsa verso il soggettivismo e il relativismo della conoscenza, e confermando il perdurare della scissione tra filosofia e scienza,. che documento ponendo a confronto il pensiero degli scienziati con quello dei maggiori filosofi contemporanei sul tema dell’obiettività della conoscenza scientifica.
Ho svolto anche studi di biologia evoluzionistica per illustrare la mancanza di un progetto finalistico nella natura, ed ho pubblicato nel 1999 un testo di 518 pagine (Biologia e filosofia. Origine della vita ed evoluzione biologica. Casualità e necessità).
Alla luce del diritto naturale tratto i temi che riguardano la globalizzazione (che vede il movimento antiglobalizzazione e anche molti economisti navigare senza bussola nella confusione tra morale e diritto, in una permanente concezione morale dei diritti che si esprime nell’agitare, contraddittoriamente, la bandiera dei diritti umani senza porsi la domanda su che cosa siano fondati). Affronto anche il tema del confronto con l’Islam, totalmente estraneo al tema dei diritti umani, perché estraneo alla tradizione occidentale del diritto naturale, che sopravvive di fatto nelle istituzioni politiche nonostante la sua perdurante eclissi nella filosofia odierna.
Anche gli odierni problemi di bioetica sono viziati dalla confusione tra morale e diritto nella presunzione di sapere ciò che è bene, mentre, al contrario, si dovrebbe rispondere, in relazione a ciò che è giusto, alla domanda che cosa sia male, cioè chi si danneggi.
L’eclisse delle ideologie ha portato maggiore confusione, invece che maggiore chiarezza, per una sorta di ecumenismo dei sentimenti di bene che va a danno della ricerca dell’obiettività.
Oggi,
sulla base dell'ormai acquisita verità scientifica -
metaculturale - della comune origine di tutte le forme di vita
e della mancanza di finalismo nell'evoluzione biologica, che
esclude un progetto divino della natura, si impone la
necessità di non concepire più il diritto naturale come
diritto della sola natura umana, ma come riflesso di una legge
naturale quale fu concepita dai presocratici (tra cui
Anassimandro, Pitagora, Parmenide, Eraclito, Empedocle e
Democrito), e poi da Platone e dai neoplatonici. Pertanto è
necessario arrivare ad una rivoluzione copernicana nell'ambito
del diritto per superare la retorica umanistica e
antropocentrica, cioè antiscientifica, del discorso sui valori
morali, che hanno fatto il loro tempo, non potendo essere la
morale fondamento del diritto. Le concezioni morali, tutte
culturali, appartengono alla sfera privata del sentimento -
religioso o non - tollerabili quando non siano in contrasto
con il diritto naturale, metaculturale. Se si nega il diritto
naturale - che, in quanto naturale, non può non essere
anche il diritto di tutti gli animali - l'alternativa è
il convenzionalismo degli stessi principi costituzionali di
uno Stato liberale, che avrebbero fondamento unicamente sullo
Stato. In tal caso non si può dire che esistano "crimini
contro l'umanità", essendo anche la loro condanna una pura
convenzione. Il limite del diritto naturale di uno è il
diritto naturale di un altro alla sua autoconservazione. Se si
nega il diritto naturale si è nichilisti, se lo si limita alla
specie umana si è antropocentrici, cioè antiscientifici. I
guasti ambientali hanno la loro causa determinante
nell'antropocentrismo, che "fa violenza alla terra e la
trascina nell'esaustione", per porla "sotto il dominio della
volontà di volontà che rende manifesta l'insensatezza
dell'agire umano posto come assoluto" (Heidegger, Saggi e
discorsi).
TITOLI
DEI CAPITOLI
1. La filosofia fuori delle Università. Egemonia del diritto naturale
2. Il dominio della filosofia universitaria tra il XIX secolo e la prima metà del XX secolo.. Interpretazione finalistica della natura. Spiritualismo, idealismo, pragmatismo e realismo. Eclisse del diritto naturale: convenzionalismo giuridico
3. Soggettivismo, convenzionalismo e relativismo nella filosofia della seconda metà del XX secolo: filosofia analitica, ermeneutica e postfilosofia. Influenza di Nietzsche, di Heidegger e di Wittgenstein. Il multiculturalismo di Habermas
4. Soggettivismo, costruttivismo e relativismo
nell’epistemologia della seconda
metà del XX secolo. Scissione tra filosofia e scienza
5. Un’oasi nel deserto della filosofia odierna: Robert Nozick, distinzione tra morale e diritto naturale
6. L’antropocentrismo alle origini della perdita del diritto naturale.
7. Confusione tra morale e diritto, tra economia
e morale
8. Confusioni filosofiche su globalizzazione e
Islam. Disarmo culturale dell’Occidente
9. Questioni giuridiche di vita e di morte alla luce del diritto naturale
10. Il diritto naturale come diritto di tutti gli animali. Excursus storico
11. L’antropocentrismo teologico. Inutilità e contraddizioni di ogni religione salvifica.
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