lunedì 22 febbraio 2021

GIULIO CESARE VANINI VITTIMA DELLA CRUDELTA' DELLA CHIESA CATTOLICA

 La mattina del 9 febbraio del 1619 un lugubre corteo attraversò le vie di Tolosa, in Francia, per dirigersi verso la Place du Salin. Sul sagrato della Chiesa di Santo Stefano da un carro trainato da tre cavalli fu fatto scendere in maniera spiccia un uomo vestito con la tunica da penitente e con appeso al collo un vistoso cartello recante la scritta “ateo e bestemmiatore”.
Dopo averlo costretto ad inginocchiarsi reggendo in mano una torcia, a capo scoperto e piedi nudi, il Commissario del locale Parlamento lo invitò a chiedere perdono a Dio, al Re e alla Giustizia per i crimini di ateismo, blasfemia ed empietà, solo per sentirsi opporre un fiero rifiuto al grido di: “Non esiste un Dio, né un diavolo, perché se ci fosse un Dio gli chiederei di scagliare un fulmine sul vostro iniquo Parlamento e se ci fosse un diavolo gli chiederei di inghiottirlo sotto terra. Ma non essendoci né un Dio, né un diavolo, non farò nulla!”.
Quella reazione stizzita indispettì il pubblico ufficiale il quale, temendo una reazione della folla, ordinò di riprendere il macabro rituale accelerando i tempi. Allora il boia, che lo aveva scortato fino a lì sentendosi dire da quell’uomo “Andiamo a morire allegramente, da filosofi!”, gli chiese di tirare fuori la lingua e al suo diniego, con l’aiuto di due aguzzini, gli spalancò la bocca per strappargli con le tenaglie l’organo che aveva offeso Dio e il Re, appendendo poi il suo corpo martoriato ad una forca issata su un rogo al quale fu subito appiccato il fuoco, affinché delle sue spoglie mortali non restasse che un mucchietto di cenere da disperdere nella acque della Garonna, il fiume cittadino.
Questa fu la tragica fine del filoso e pensatore Giulio Cesare Vanini, nato nel 1585 a Taurisano, nel Leccese, da un funzionario statale e una nobildonna spagnola. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Napoli fu temporaneamente costretto ad abbandonare gli studi per mancanza di mezzi di sostentamento dopo la precoce morte del padre, principale motivo che lo spinse ad entrare nell’Ordine Carmelitano dove, come Fra Gabriele, si laureò in “Utroque iure”.
Trasferitosi in un monastero di Padova, città appartenente alla Serenissima Repubblica a quei tempi invischiata in un’accesa disputa diplomatica con lo Stato Pontificio di Papa Paolo V, sulla scia delle posizioni prese dal celebre Fra Paolo Sarpi il nostro si schierò subito dalla parte di Venezia. Quando l’Ordine Carmelitano gl’impose di ritrattare, l’ormai ex-Fra Gabriele preferì chiedere asilo in Inghilterra insieme ad un confratello per abiurarvi pubblicamente, alla presenza del filosofo Francesco Bacone, la fede cattolica in favore di quella anglicana.
Ben presto però le prediche di quei due Italiani risultarono troppo poco ortodosse anche per gli Inglesi, tanto da richiamare l’attenzione delle autorità che iniziarono a guardarli con sospetto, incarcerandoli con la convinzione che si trattasse di spioni al soldo di qualche potenza straniera.
Riparato a Parigi dopo una fuga rocambolesca, Vanini fu qui riaccolto in seno al Cattolicesimo dopo aver ancora una volta abiurato e fatto ammenda, venendo inizialmente ricevuto con grande favore dall’aristocrazia francese, soprattutto di sesso femminile visto che era pur sempre un gran bel giovane, per le sue doti di brillante oratore e conversatore.
Proprio nella capitale francese fra il 1615 ed il 1616 scrisse le uniche opere che di lui ci sono pervenute: l’”Amphiteatrum aeternae Providentiae divino-magicum” e il “De admirandis naturae reginae deaeque mortaliumarcanis”. Qui in forma dialogica fra un “divulgatore del sapere” (lui stesso) ed un immaginario ascoltatore di nome Alessandro, illustrò i misteri della natura attaccando il dogma della creazione, sostituendo l’azione di Dio con quella della natura e infine bollando le religioni col marchio della “falsità e superstizione”.
Tuttavia, nella Francia del giovane Re Luigi XIII, un bigotto impregnato del concetto della derivazione divina della sua autorità, la negazione di Dio costituiva, oltreché un orribile peccato, un crimine di lesa maestà, tanto che su Vanini non tardarono ad appuntarsi gli strali della Facoltà di Teologia della Sorbona, che lo indussero a cambiare prudentemente aria.
Trasferitosi a Tolosa sotto falso nome, dopo alcuni mesi di silenzio nell’agosto del 1618 fu arrestato dagli agenti di polizia del locale “Capitoul” (il Parlamento cittadino), i cui magistrati dovettero però ricorrere alla falsa testimonianza di un notabile per incastrarlo e rilegarlo su quel carro, con la necessità di far presto perché si sarebbe subito dovuta ripulire la piazza dalle ceneri di quel rogo per festeggiare il matrimonio programmato per l’indomani, proprio nella Chiesa di Santo Stefano, fra la principessa Maria Cristina di Borbone, figlia di Enrico IV di Francia, ed il futuro Duca Vittorio Amedeo I di Savoia.
Accompagna questo scritto il “Busto di Giulio Cesare Vanini”, di Eugenio Maccagnani, 1886, Villa Garibaldi, Lecce.
Giulio Cesare Vanini (1548 - 1619)

Giulio Cesare Vanini (1585 – 1619)



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