mercoledì 29 novembre 2023

LA VIGLIACCATA TERRORISTICA DI VIA RASELLA

Scrivo in occasione della trasmissione su La7 condotta da Aldo Cazzullo in merito al vigliacco attentato dei criminali partigiani che seminarono inutili morti pur sapendo che, anche in base alle leggi internazionali di guerra, vi sarebbe stata una rappresaglia. Si è detto che i gappisti fossero convinti che vi sarebbe stata una rivolta degli abitanti di Roma contro l'occupazione tedesca, che invece rimase passiva anche perché la tragica notizia si ebbe molto tardi. E questo doveva essere previsto dai terroristi dei gap (gruppo di azione partigiana). Nella Facoltà dove insegnavo insegnava Letteratura italiana Carlo Salinari, autore anche di una nota Storia della letteratura italiana. Costui fu uno dei programmatori dell'atto terroristico. Se l'avessi saputo avrei avuto il coraggio di gridargli in faccia assassino in una Facoltà quasi tutta spostata a sinistra.

Alla fine della trasmissione furono fatti da noti personaggi che si alternavano nella lettura i nomi con le loro professioni di tutti gli assassinati. Prevalevano gli impiegati genericamente, i commercianti e gli agricoltori e non sfuggirono i nomi di 5 macellai, per i quali, purtroppo, e me ne rammarico, non ho potuto avere commozione. Hitler comandò che per ogni ucciso dall'atto terroristico venissero uccisi 50 italiani. Kappler, che comandava gli SS che avevano occupato Roma, riuscì a ridurre la rappresaglia con il rapporto di 10 a uno. Per sbaglio ne furono uccisi 5 in più, che non furono risparmiati perché non facessero da testimoni. Come se poi non potessero essere individuati nella fossa tutti gli uccisi. Molti componenti degli SS chiesero del vino per potersi ubriacare e superare così lo stato d'animo che impediva loro di sparare portando a termine la feroce rappresaglia, che durò dalle ore 16 alle ore 22. Riporto quanto ho scritto nel mio libro intitolato Io non volevo nascere del 2010 (edit. Bastogi). 

Quando verranno tolte le medaglie agli assassini materiali che, causando anche vittime civili, il 23 marzo del 1944 provocarono, in una strada di Roma (via Rasella) la rappresaglia delle Fosse ardeatine, perché vigliaccamente rifiutarono di costituirsi, allora finalmente si inizierà a rendere giustizia alle vittime della rappresaglia, come a quelle di altre.[1] I mandanti dell'attacco proditorio, e perciò i maggiori responsabili della rappresaglia, furono i componenti di una sedicente Giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Di tale Giunta erano responsabili Giorgio Amendola (uno dei futuri capi del P.C.I.), Riccardo Bauer (Partito d'Azione) e Sandro Pertini (socialista), un fanatico che poi cercò di scaricare su Amendola la responsabilità dicendo che non era stato informato della decisione di porre in atto l'attentato terroristico e fu premiato con la presidenza della Repubblica. E fu principalmente lui a volere ad ogni costo la morte di Mussolini sovrapponendosi al governo monarchico (riconosciuto dagli alleati) e impedendo che Mussolini, tramite l'accordo cercato con il cardinale Schuster, si consegnasse agli americani, come da essi richiesto in quanto veri legittimati a chiederne la consegna, e non i cosiddetti partigiani, che, pur privi di qualsiasi autonoma legittimazione politica, volevano acquisirla decidendo, con la loro ala oltranzista, di passare per le armi tutti  i gerarchi della Repubblica Sociale, senza alcun processo, come si fece, invece, a Norimberga. Fu assassinato dai comunisti persino Nicola Bombacci, che, uomo mite, teorizzatore della socializzazione delle imprese, era stato prima segretario del partito socialista e poi cofondatore nel 1921 del partito comunista, delegato a Mosca dei comunisti italiani nel 1920 ed amico di Lenin, ma espulso nel 1923 dai miopi del suo partito quando alla Camera propose un'alleanza tra fascismo e comunismo sovietico, capendo l'affinità tra le origini socialiste del fascismo e il comunismo sovietico sino a quando condannò la svolta staliniana. Nella Repubblica sociale, dove fu consigliere economico di Mussolini, continuava a chiamare “compagni” gli operai. Morì gridando:”Viva il socialismo”.  Mussolini, anche contro la volontà di quei partigiani che l'avevano arrestato nella sua fuga verso la Svizzera, disposti a consegnarlo agli americani, fu sottratto ad essi da una banda di assassini che, al comando di una cupola di fanatici (in prevalenza formata da comunisti, ma tra cui si trovava anche Pertini), furono inviati da Milano a Dongo per anticipare l'arrivo a Milano degli americani e permettere a questi fanatici vigliacchi di fregiarsi di fronte ai vincitori di un'autorità che non avevano  e di dare poi in pasto ad una folla scatenata la visione dei cadaveri appesi a testa in giù in piazzale Loreto.  Quella stessa folla che, come commentò con disprezzo lo stesso Leo Valiani, leader del Partito d'Azione (e uno dei mandanti dell'assassinio di Mussolini), non era mai stata antifascista. E ora saltava indegnamente sul carro dei vincitori. E poi si parla di guerra di liberazione. Come se fosse stata una guerra di popolo.  

  I vigliacchi partigiani (per lo più comunisti) agivano sempre proditoriamente con imboscate esponendo le popolazioni alle rappresaglie con il rifiuto di presentarsi. Nel processo contro Kappler (Tribunale Militare di Roma, 20 luglio 1948) – che riconobbe che l'attentato era da ritenersi illegittimo secondo il diritto internazionale - il Bentivegna disse di avere ricevuto l'ordine di attaccare il battaglione di altoatesini e che si sarebbe presentato se fosse stata richiesta dai tedeschi la presentazione degli attentatori, che, invece, non vi sarebbe stata perché sarebbe stato deciso dai tedeschi di attuare comunque la rappresaglia. Ma la stessa accusa riconobbe che già due mesi prima erano stati affissi dei manifesti preannunciando rappresaglie per gli attentati: Soltanto il 28 marzo 1974 (settimanale “Panorama”) si fece vivo un testimone (Domenico Anzaldi) per dire che la sera stessa dell'attentato era stato affisso un manifesto sui muri di Roma.[2] Non basta. Questo principale manovale dell'attentato cambiò versione quando si accodò a quanto Paolo Emilio Taviani, ex partigiano ed esponente dei passati governi democristiani, dichiarò nel 1977 al quotidiano Il Giornale (del 10 luglio 1997 affacciando la tesi che “l'attentato di via Rasella fu un atto di guerra compiuto dai partigiani, non per regolamento di conti al loro interno (questa è un'altra versione, che vorrebbe che i partigiani comunisti volessero sbarazzarsi di quelli non comunisti o anche di quelli comunisti non affiliati al P.C,I. che si trovavano già in carcere, in modo da farli finire vittime della prevedibile rappresaglia – n. d. r.),[3] ma su richiesta dei comandi alleati. L'azione doveva alleggerire la pressione delle forze tedesche che impedivano l'avanzata angloamericana verso Roma”.[4] La tesi apparve a chi non fosse disonesto del tutto insostenibile. Non si era mai affacciata prima d'allora una simile tesi. Se fosse stata vera la banda degli attentatori, a incominciare dal Bentivegna, sarebbe stata la prima a dirlo. Invece la banda tacque di fronte alla tesi di Taviani, smentendo così se stessa, giacché lo stesso Bentivegna aveva detto che tutto era stato programmato all'interno della “giunta militare” del CLN, anche se poi, all'interno di questa asserita giunta, Amendola, come detto, si assunse inverosimilmente la responsabilità per tutti, non sconfessando Bauer e Pertini, che, per ridurre al minimo le responsabilità, disse che egli e Bauer erano ignari della decisione presa  da Amendola.                  

  Per salvare questa banda di assassini si mosse subito il governo Badoglio (dimentico della sua connivenza con il fascismo e delle stragi da lui operate in Etiopia) e provvide subito ad una amnistia con decreto legge n.96 del 5 aprile 1944 e con quello del 12 aprile, n. 194, riconoscendo retroattivamente questa banda come composta da legittimi belligeranti. Era infatti già incalzato dai partiti antifascisti, che sarebbero entrati organicamente nel II governo Badoglio il 22 aprile, con Togliatti vicepresidente del Consiglio. Se gli attentati fossero stati azioni di guerra non ci sarebbe stato bisogno di amnistia. Ciò in contrasto con l'ordine che lo stesso Badoglio aveva diramato di evitare di fare attentati nelle città proprio per evitare prevedibili rappresaglie.[5]   

   I parenti delle vittime delle Fosse  Ardeatine si videro negato il risarcimento dei danni nella causa promossa nel 1949, conclusasi negativamente in tre gradi del giudizio con la sentenza della Cassazione del 9 maggio 1957 che riconosceva che l'attentato era stato un'azione di guerra condotta da “legittimi belligeranti”.

  Ciò in contrasto con la citata sentenza del Tribunale militare del 1948 (processo Kappler), a cui si aggiunse la sentenza del Tribunale Supremo Militare del 26 aprile 1954, che stabiliva che, per espresso disposto dell'art. 1 del Decreto legge 6 settembre 1946, n.93 i partigiani non potevano essere considerati belligeranti. [6] 

.  Però la Corte Costituzionale, abrogando l'art. 270 del codice penale militare, che vietava la presenza di parti civili in un processo militare, permise che i familiari delle vittime e il Comune di Roma alla fine degli anni '90 si costituissero parte civile nel processo militare e civile contro Priebke, ritenuto uno dei responsabili dell'attuazione della rappresaglia. Così si passò giudiziariamente dalla tragedia alla farsa. Si immagini che cosa avrebbero potuto avere i familiari delle vittime delle Fosse Ardeatine da Priebke, a parte l'età ormai avanzata. Lo Stato avrebbe dovuto pagare il risarcimento dei danni ai parenti. Ma come avrebbe potuto farlo se non riconoscendo di essere nato dalla complicità con coloro che furono degli assassini? In alternativa i parenti delle vittime avrebbero dovuto chiedere i danni allo Stato tedesco, che infatti pagò i danni ai parenti degli ebrei morti nei lager. Ma per ragioni di amicizia con la nuova Germania lo Stato italiano non fece nemmeno questo. Oppure agì ipocritamente non sentendosi giudiziariamente forte nel sostenere di fronte alla Germania che l'attentato fosse un'azione di guerra. E così preferì scaricare le colpe su chi non avrebbe potuto pagare. Gli bastò aver trovato un capro espiatorio per salvare la faccia.[7]

  Basta ripercorrere le varie fasi del processo contro Priebke per accorgersi della confusione ideologica in cui esso si svolse. Assolto per prescrizione del reato dal Tribunale militare di Roma l'1 agosto 1996, la sentenza fu cambiata dal Tribunale in una condanna, prima a 15, poi a 10 anni dopo che la prima sentenza fu annullata dalla Cassazione, sensibile al tumulto suscitato nella stessa aula alla lettura della prima sentenza e alla reazione del governo, a sua volta sensibile al tumulto alimentato soprattutto dalle comunità ebraiche, senza le quali quasi certamente la Cassazione non sarebbe intervenuta. Da notare che Kappler nel 1948 era stato condannato all'ergastolo solo per il fatto di essere stato responsabile per sbaglio di cinque vittime in più alle Fosse Ardeatine e di averne aggiunto altre dieci dopo la morte in ospedale di un altro soldato rimasto ferito in via Rasella, mentre Priebke fu riconosciuto colpevole della morte di tutte le 335 vittime. La Corte d'Appello nel marzo del 1998 condannò Priebke all'ergastolo, con conferma della Cassazione nel mese di novembre (che celerità!). Ma poi, a causa dell'età, fu concessa a Priebke la detenzione domiciliare. Il 12 giugno gli fu concesso di uscire di casa per recarsi nello studio del suo avvocato. Ma le comunità degli ebrei – che si credono ancora l'ombelico dell'umanità e che credono di poter vivere di rendita per tutto l'avvenire a motivo dell'asserito olocausto – ottennero dal magistrato dell'ufficio di sorveglianza, e poi dalla Cassazione il 3 novembre 2007,  che fosse revocato tale permesso.          

  Indro Montanelli – che si era visto sequestrare su querela dei vigliacchi attentatori di via Rasella il volume  “L'Italia della guerra civile” (scritto con Mario Cervi) perché aveva ritenuto gli attentatori responsabili della rappresaglia – per quieto vivere il 22 marzo 1998 (Corriere della sera) si limitò a condividere il giudizio di Enzo Forcella secondo cui l'attentato era privo di rilevanza militare, suggerendo ingiustamente che non si disseppellissero i cadaveri e non si tenessero ancora aperti i conti con il processo contro Priebke, che, invece fu condannato. E il 26 marzo aggiunse che non si poteva tenere aperta un caso giudiziario dopo che 50 anni prima era passata in giudicato una sentenza di assoluzione che aveva riconosciuto colpevole Kappler e non i suoi subordinati, come Priebke. Concludeva scrivendo che non si poteva continuare ad avvelenare il presente compromettendo il futuro. Ma in sede storica il passato deve essere rivisitato, non per avvelenare il presente, ma per illuminarlo alla luce della verità.  E la verità è scomoda per uno Stato nato dalla disonestà.  

Il Gip Pacioni, affiancato dai familiari delle vittime nel processo contro Priebke, quando respinse la richiesta di archiviazione per le responsabilità dei partigiani, fu assalito da tutta la sinistra, compreso l'attuale  capo di Stato Napolitano, che, insieme con tanti altri del suo partito, definì “aberrante” la decisione del Gip, che fu sottoposto ad un linciaggio morale e minacciato, per cui rinunciò all'incarico. Anche l'intellighenzia giornalistica, ben rappresentata a sinistra dall'ex partigiano Giorgio Bocca (La Repubblica, 28.6.97), si scatenò contro il Gip cercando di ridicolizzarlo. L'ineffabile capo dello Stato di allora, Scalfaro, disse che non si poteva portare la storia in Tribunale dopo 50 anni. Seguì a ruota Prodi con una frase assai simile. E perché allora dopo 53 anni si portò in giudizio Priebke?       

   Per contrasto non si può non citare la luminosa figura del carabiniere Salvo d'Acquisto, che a Palidoro (a pochi km da Roma), dopo che  una bomba - che si trovava in una cassa di munizioni ispezionata da alcuni componenti del corpo di S.S. che si era acquartierato in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza - scoppiò uccidendone uno e ferendone due, sacrificò la sua vita per evitare la fucilazione, per rappresaglia, di 22 ostaggi presi tra la popolazione civile.  Si disse che la bomba fosse scoppiata accidentalmente. Come mai fu trovata dai nazisti quella cassa nonostante la caserma fosse stata abbandonata? I finanzieri l'avevano dimenticata lì? La cosa appare inverosimile. I nazisti sapevano che d'Acquisto era innocente, ma preferirono evitare la rappresaglia facendo finta che fosse lui il colpevole, e solo lui. Né si possono dimenticare i carabinieri Vittorio Marandola, Alberto La Rocca e Fulvio Sbarretti, che anch'essi, a Fiesole, si sacrificarono per salvare dieci ostaggi innocenti. Questi furono veri patrioti, non gli scellerati partigiani, soprattutto quelli comunisti, che avevano in mente non tanto il progetto di combattere contro il nazismo, ma quello di combattere per una rivoluzione comunista, strumentalizzando i partigiani non comunisti.[8]          

  


[1]  I principali manovali dell'attacco proditorio, da ritenersi di natura terroristica e non azione di guerra perché attuato fuori di un'azione di guerra tra nemici dichiarati sono stati Rosario Bentivegna (che fece esplodere la bomba posta in un carretto dopo essersi travestito da spazzino), Carla Capponi, Pasquale Balsamo e Franco Calamandrei.  Gli ultimi tre avevano il compito di segnalare al primo l'arrivo di un battaglione del reggimento (Bozen) di altoatesini che aveva solo compiti di polizia e si dice transitasse disarmato (almeno perché avevano l'ordine di transitare con le armi scariche). Un gruppo di sostegno lanciò altre bombe sulla coda del battaglione portando i morti a 32. I primi tre ebbero nel 1951 dal presidente della Repubblica, su proposta di De Gasperi, rispettivamente una medaglia d'argento, d'oro e di bronzo. Evidentemente la Capponi come terrorista aveva più benemerenze.  L'attacco proditorio fu preparato da Carlo Salinari, che negli anni '60 mi ritrovai come professore ordinario di letteratura italiana nella Facoltà di Magistero di Cagliari. Suo è il noto manuale di letteratura italiana adottato in molte scuole. Di indirizzo marxista, come lo era Giuseppe Petronio, professore di letteratura italiana, con cui detti l'esame da studente del corso di filosofia della Facoltà di Lettere e filosofia.           

[2] V. l'articolo citato  “La strage di via Rasella: un atto “eroico”. V. anche (a cura di Reno Bromuro) “L'attentato di via Rasella”, in www.nonsoloparole.com. (riportante un articolo di Ivaldo Giaquinto (“L'imboscata di via Rasella. Ma questa era guerra?”, in www.italia-rsi.org. 

[3]  Tra i comunisti non appartenenti al P.C.I. vi erano quelli di “Bandiera Rossa” (formata da troskisti), alcuni dei quali finirono a Regina Coeli e poi alle Fosse Ardeatine. Alcuni sopravvissuti dissero che la loro presenza in via Rasella fu voluta dal P.C.I. per farli cadere in una trappola e far ricadere su di essi le responsabilità. V. di Pierangelo Maurizio “via Rasella, un mistero che dura sessant'anni” (Il Giornale, 12 agosto 2007), in www.mascellaro.it/taxonomy/term/35.

[4] V. voce “D'Acquisto Salvo (salvatore) 23 settembre 1943 in www.cronologia.leonardo.it/storia/a1943za.htm.

[5]  V. cronologia.leonardo.it/storia/a1945s. Le rappresaglie. V. anche nota 103.

[6] In questo senso è stato citata la sentenza da Giampaolo Pansa in Sconosciuto 1945 (Sperling&Kupfer 2005, pp.376 sgg.). In realtà il decreto del 6 settembre 1946 riconosceva la qualifica di belligeranti anche ai partigiani, come confermato dal decreto legislativo 4 marzo 1948, n.137. Una rassegna faziosa di processi a vari comandanti nazisti (tra cui Kapler, Priebke, Haas, Stommel, Reder) è volta a condannare la rappresaglia a posteriori, dopo  la guerra, secondo il diritto internazionale delle Nazioni Unite (www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Proces cessi/HeinrichNordhom.17.La rappresaglia). 

[7] Per tali notizie v. Salvo D'acquisto e la strage di via Rasella, compreso nell'articolo citato nella nota 89.  

[8]  V. D'Acquisto Salvo-23 settembre 1943, art. cit. (nota 89).

lunedì 27 novembre 2023

I MERITI DI EINSTEIN DOVEVANO ESSERE RICONOSCIUTI ANCHE AD ALTRI

Newton fece dimostrazione di umiltà  dicendo che si era limitato a sedersi sulle spalle dei giganti. Egli si riferiva soprattutto a Keplero, senza le cui tre famose leggi che abbiamo studiato nel manuele di fisica nelle scuole medie superiori non vi sarebbe stata l'opera di Newon intitolata Philosophiae naturalis principia mathematica. Vi fu chi precedette Einstein nella formulazione della legge della relatività ristretta, da cui potevasi ricavare la famosissima legge che equiparava l'Energia alla massa per il quadrato della velocità della luce E=MC2. Scusate ma non riesco a mettere 2 in alto in elevato a potenza rimanendo affiancato a C, che indica la velocità della luce. Einstein rivendicò sempre e solo per sé questa legge perché, seduto su una panchina, avendo a fianco una sua compagna di studi all'Università, le spiegò che un giorno gli venne una illuminazione domandandosi con un esperimento puramente mentale che cosa sarebbe successo se avesse cavalcato un raggio di luce viaggiando dunque a 300 mila km al secondo e portandosi con sé uno specchietto. Nessuno vi aveva pensato prima. La conclusione sarebbe stata che non avrebbe potuto vedersi nello specchietto perché la luce avrebbe dovuto raggiungere lo specchietto e poi riflettersi su di lui. Ma questo sarebbe stato possibile solo se la luce avesse avuto una velocità maggiore. Il che era impossibile perché contraddittorio se egli stava viaggiando sul raggio di luce. Per salvare la possibilità di vedersi nello specchietto doveva ammettere che la velocità della luce fosse costante indipendentemente dal sistema di osservazione, sia che questo osservatore fosse in movimento e sia che fosse fermo. Einstein disse che arrivò a concepire questo esperimento ideale ancor prima che l'inglese Michelson e l'americano statunitense Morley facessero indipendentemente nel 1887 lo stesso esperimento. Essi infatti con sofisticati apparecchi riuscirono a dimostrare sperimentalmente che la velocità della luce non variava affatto sia che la Terra si allontanasse dal sole e sia che si avvicinasse. Se la Terra si allontanava dal sole la velocità della luce sarebbe dovuta risultare minore e maggiore nel caso in cui la Terra si fosse avvicinata nel suo moto di rivoluzione intorno al sole con le famose ellissi di Keplero. Dagli esperimenti suddetti furono tratte le equazioni dette trasformazioni di Hendrik Lorentz che potevano sembrare dei paradossi solo per il senso comune, tra cui il seguente paradosso: contro la fisica di Newton che considerava immutabile la massa di un corpo sia che si muovesse e sia che rimanesse fermo la massa di un corpo in movimento aumentava in proporzione alla sua velocità rispetto a quella della luce. Einstein fece proprie le conclusioni matematiche che Lorentz ricavò dagli esperimenti di Michelson e di Morley. La massa di un corpo varia in relazione a questa formula: al numeratore di una frazione si pone il valore della massa in stato di quiete e al denominatore di pone la radice quadrata di 1 meno una frazione che ha per numeratore il quadrato della velocità del corpo (chiamiamola V) e per denominatore il quadrato della velocità della luce C. Ora immaginiamo che la velocità di un corpo sia pari a quella della luce, e percio che V sia eguale a C. Sotto radice quadrata avremmo 0. Infatti sotto la radice quadrata avremo che V al quadrato è eguale a C al quadrato. Poiché ogni quantita divisa per zero dà come valore infinito, la massa in stato di quiete divisa per zero darà come risultato una massa infinita. Il che è assudo. Ciò indica l'impossibilità di raggiungere la velocità della luce. E ora passiamo alla relatività generale. Einstein era un fisico e non un matematico. L'espressione della relatività generale dice che da ogni corpo emana una forza di gravità e questa forza fa incurvare lo spazio secondo una curva che rispetta la geometria dello spazio curvo di Riemann. Maggiore è la massa di un corpo e maggiore è la curvatura dello spazio. La relatività generale fu enunciata da Einstein nel 1916. Il fisico astronomo Eddington verificò la relatività generale perché in occasione di un eclisse di sole vide che il raggio di sole non arrivava diritto sulla Terra ma vi arrivava seguendo una curvatura quando si approssimava al sole. Non basta. Poiché, ripeto, Einstein non era un matematico ma un fisico teorico si trovò in seria difficoltà nell'esprimere matematicamente la legge della relatività generale. Fu fortunato perché gli venne in soccorso un grande matematico, un altro ebreo, ma italiano: Levi Civita, che gli offrì il calcolo tensoriale. Confesso che io non so che cosa sia il calcolo tensoriale non essendo un matematico. Ma sono in grado di dire che la relatività generale ha una paternità italiana giacché Levi Civita era italiano e mio padre, laureato a Roma in ingegneria industriale,  ebbe la fortuna di seguire anche le lezioni di Levi Civita, di cui conservo nel suo studio una dispensa ad uso degli studenti. La scellerata legge fascista del 1938 aveva escluso dall'insegnamento i professori ebrei. E' anche il caso di un altro grande matematico italiano che fu Federico Enriquez, anch'egli professore nell'Università di Roma. E a causa delle leggi razziali (in realtà solo contro gli ebrei) l'Italia dovette rinunciare a Enrico Fermi che dopo essere volato a Stoccolma per ricevere il premio Nobel non rientrò più in Italia trasferendosi negli USA perché la moglie era ebrea. Sulle semplici formule indicanti la relatività ristretta non possono esserci difficoltà se le può capire chiunque. E infatti qualche volta le spiegai agli studenti per sfatare la conclusione degli ignoranti che tutto fosse relativo, come errando si suol dire nel linguaggio comune, ma anche in filosofia dai filosofi ignoranti di cultura letteraria. Diverso è il caso della relatività generale anche se non è necessario conoscere il calcolo tensoriale per capire che cosa significhi. Basta capire che la relatività generale impiega la geometria dello spazio curvo di Bernhard Rieman (in cui, per esempio, un triangolo ha più di 180 gradi) e che la forza di gravità di Newton si esprime nella curvatura dello spazio. Mai Newton avrebbe pensato che anche la luce dovesse rispettare la forza di gravità. Ma errò il famoso filosofo della scienza Karl Popper (ebreo anche lui) nel ritenere che Einstein avesse falsificato la fisica di Newton. Io non sono passato e non passerò alla storia ma per onestà sono in grado di dire che Karl Popper ha gravemente errato dicendo ciò perché la relatività generale non ha falsificato affatto la fisica di Newton ma l'ha confermata per tutti i corpi che si muovano con velocità trascurabili rispetto alla velocità della luce. Einstein sembrava avere errato nel proporre un suo modello cosmologico che considerava l'Universo stazionario introducendo la costante Lambda (lettera greca) per spiegare la forza di repulsione contrastante la forza di gravità altrimenti l'Universo sarebbe collassato su stesso. Immaginò dunque che alla forza di gravità si opponesse una forza di repulsione e che perciò l'Universo fosse stazionario. Quando però a causa dello spostamento della luce verso il rosso nello suo spettro venne affermata prima dall'astronomo Georges Lemaitre (un prete belga) e poi sperimentalmente da Edwin Hubble, e ciò significava che l'Universo era in continua espansione, Einstein cadde in crisi con il suo modello dell'Universo stazionario. Questo è stato il mio grande errore, commentò Einstein. Ma il suo errore si tramutò in una vittoria quando si scoprì che esisteva una accelerazione nell'espansione dell'Universo, nonostante venisse frenata dalla forza di gravità, sempre minore nell'aumentare la distanza, e che comunque la forza di repulsione avrebbe impedito una implosione dell'Universo su se stesso con il Big Crunch, la grande implosione. Il russo Aleksandr Fridman, pur partendo dal modello dell'Universo stazionario di Einstein, lo variò in considerazione del rapporto tra forza di espansione e forza di gravità.  Subito dopo il Big Bang prevale la forza espansione dell'Universo, ma questa forza si esaurisce al massimo dell'espansione facendo da allora prevalere la forza di attrazione o di gravità portando l'Universo, con inversione di rotta, ad una implosione su se stesso nel Big Crunch, per poi ricominciare con l'espansione dell'Universo. Si ha così il modello dell'Universo oscillante. Oggi la forza di repulsione viene chiamata energia oscura che sarebbe la causa dell'espansione dell'Universo. Da notare come Lemaitre, pur essendo un prete cattolico, potesse conciliare l'espansione dell'Universo con la sua religione poiché comunque l'espansione dell'Universo avrebbe avuto origine dal Big Bang, utilizzato dai teologi per giustificare un inizio assoluto dell'Universo e la sua identificazione con la creazione. Tuttavia la teoria del Big Bang è oggi superata dall'ipotesi che esistano più Universi  facenti parte di una pluralità di Universi in un Pluriverso o Universi paralleli, anche se in questo caso il termine Universo dovrebbe apparire superato perché privo di significato in un Pluriverso, non potendo più dirsi che l'Universo sia un vero Universo se è da ricomprendere in un Pluriverso in cui casualmente si formano delle bolle o concentrati di energia che poi esplodono come nel Big Bang. Il nostro falso Universo, quello visibile, farebbe parte di un Pluriverso. Vero è comunque che la cosmologia, di cui mi sono sempre occupato anche da ragazzo, pone la scienza ai limiti della conoscenza umana non essendoci un modello cosmologico che possa ritenersi vero e non più confutabile.            

                            

martedì 21 novembre 2023

"A ME MI HANNO ROVINATO LE DONNE: TROPPO POCHE" (STEFANO BENNI)

Vivevo nell'abbondanza e certamente mi sarebbe passata inosservata perché fisicamente trascurabile. Colleghe di studio con camere in affitto mi invitavano a preparare insieme l'esame. Rispondevo secco: sono abituato a studiare da solo. Ma non percepivo allora che era una scusa per altro. Il feroce assassino belloccio di Giulia avrebbe potuto avere di meglio. Non è stato capace di proiettarsi nel futuro non potendo seriamente a circa vent'anni incastrarsi in un matrimonio. Sono superficiale nel considerare solo l'aspetto fisico? Lo ammetto. Ma è proprio quello che mi ha salvato dalla trappola del matrimonio in giovane età e dal rovinarmi economicamente. Mi ha salvato la superficialità. In un mio libro per metà autobiografico e per l'altra metà storico e filosofico ho dedicato un intero capitolo ai miei trascorsi sessuali. Ho detto sessuali e non amorosi perché scindendo il sesso dall'amore mi sono sempre salvato da sofferenze da lasciato. Nel libro mi sono domandato se nel mio piccolo mi fossi sentito Don Giovanni o Casanova. Il primo è un personaggio romanzesco mentre il secondo, si sa, esistette realmente. Don Giovanni godeva solo nel cercare la conquista e non nella conquista, passata la quale passava ad un'altra non lasciandosi invischiare in una relazione, e nel Don Giovanni di Mozart il servo Leporello nella sua bellissima aria snocciola il numero delle conquiste del suo padrone precisando: "non si picca se sia brutta o se sia bella, purché abbia la gonnella voi sapete quel che fa". Don Giovanni è un personaggio complesso perché per lui il piacere riguardava più la conquista dell'anima che il corpo della donna. E' per questo che non badava tanto alla bellezza. Casanova era invece un individuo superficiale perché tralasciava l'anima bastandogli il corpo. Io, sempre nel mio piccolo, ho scritto che mi trovavo a metà tra Don Giovanni e Casanova. Mi trovai ad avere tre "fidanzate" contemporaneamente giungendo ad uno stress psicofisico dovendo nascondere ad una le altre due. Durò solo pochi mesi e giocai a farmi lasciare perché ritenevo ingiusto rifiutare gli apprezzamenti di ognuna. Mi sembrava di far loro un torto e preferivo trovare delle scuse per essere lasciato. Le ringrazio tuttora tutte perché mi distraevano già allora dal pensiero della morte. Non ho più da molti anni queste distrazioni né mi è possibile averle ancora. Ho trovato, senza cercarla, colei che da molti anni è il bastone della mia vecchiaia avendo aspettato che mi stancassi delle altre. Facevo parte di una cricca che a fine settimana organizzava una uscita insieme con ragazze. In quelle occasioni mi dovevo spogliare della mia persona per poi riprenderla rientrando a casa nel duro ma più piacevole lavoro del mondo (e pagato per esso) che è lo studio, a cui ho rubato un bel po' di tempo sapendo che l'avrei potuto recuperare andando avanti negli anni, mentre, partitasi la giovinezza e dintorno, non avrei più avuto altre possibilità fuori dello studio. E' la mancanza della capacità di sapersi proiettare nel futuro che ha fatto sì che il terribile e orribile assassino di Giulia si sia condannato, per di più da imbecille, a passare molta parte del resto della vita, e quella migliore della giovinezza, in un carcere. In mancanza di una giusta pena di morte. Sono stati degli impostori coloro che hanno steso o approvato l'art. 27 della Costituzione che considera il carcere con la finalità di rieducare il carcerato. Una condanna all'ergastolo (che di fatto in Italia non esiste più perché dopo un certo numero di anni con buona condotta viena concessa la libertà o semilibertà) può avere solo valore punitivo. Cesare Beccaria nel suo famoso Dei delitti e delle pene (ma pare che il vero autore fosse Pietro Verri con il fratello Alessandro) richiedeva l'abolizione della pena di morte ma prefigurava un carcere così duro, con le catene e la palla di ferro al piede, che un condannato all'ergastolo avrebbe preferito la condanna a morte, e tuttavia Beccaria, che condannava la delazione comprata dallo Stato per avere i nomi degli affiliati ad organizzazioni criminali, richiedeva la pena di morte per quelle organizzazioni a delinquere che volevano sovvertire le istituzioni dello Stato. Seguendo il pensiero di Beccaria si sarebbe dovuto conservare la pena di morte per i gravi delitti di mafia.            

Recensione del libro “Io non volevo nascere” di Pietro Melis

13 nov 2012Io non volevo nascere” è un libro che parte da alcune domande fondamentali sull'esistenza, in cui lo scrittore spesso contrappone il proprio .

Io non volevo nascere, autobiografia di Pietro Melis

22 apr 2013Io non volevo nascere. Un mondo senza certezze e senza giustizia. Filosofi odierni alla berlina (su Ibs.it a 25,50 euro) è l'autobiografia ..

lunedì 20 novembre 2023

IMMANUEL KANT: PER LA PENA DI MORTE

Riporto dal mio libro Scienza, filosofia e teologia. Che cos'è veramente il diritto naturale le seguenti pagine tratte  da un capitolo che espone il pensiero dei maggiori filosofi dall'antichità ad oggi riguardo alla pena di morte. 

Sul principio di autoresponsabilità legata al diritto naturale, come aveva pensato l’illuminista Kant,[1] risiede la giustificazione della pena di morte, entro una concezione retributiva.

  E' lo stesso diritto naturale che richiede che tale diritto venga tolto a chi responsabilmente e non per legittima difesa o per consensuale sfida l’ha tolto ad altri innocente. Diversamente chi uccide avrebbe un diritto naturale maggiore, che è una contraddizione, con un ingiusto vantaggio su chi è stato ucciso. L’opposizione alla pena di morte è una conseguenza della confusione della morale con il diritto, dei doveri perfetti (fondati sulla ragione), che comandano di non fare il male, con i doveri imperfetti (fondati sul sentimento), che comandano di fare il bene, che non è compito dello Stato di attuare. Oppure è la conseguenza del diritto naturale inteso come diritto della forza, che in tal modo verrebbe premiato dallo Stato. Anche i laici, purtroppo, hanno subìto l’influenza di una concezione religiosa recente, che, in contrasto con la storia delle dottrine dello stesso cristianesimo, afferma che l’uomo non può togliere all’uomo quella vita che Dio gli ha dato. Scrive Kant (Metafisica dei costumi, parte II, sez. I, nota): “Se poi egli ha ucciso, deve morire. Qui non esiste alcun altro surrogato che possa soddisfare la giustizia. Non c’è alcuna omogeneità tra una vita per quanto penosa e la morte; e di conseguenza non esiste altra eguaglianza fra il delitto e la punizione, fuorché nella morte giuridicamente inflitta al criminale”. Se i filosofi esistenzialisti fossero stati coerenti avrebbero capito che, essendo l’uomo, come essi affermano, una possibilità autocostitutiva, cioè esistenza (come singolo) e non essenza (come specie animale), il valore di ciascuna esistenza non è data dal fatto di appartenere all’essenza umana, ma dal fatto di essere una singolarità. Pertanto il criminale non può essere sottratto alla pena di morte dalla sua essenza umana, che esiste soltanto biologicamente.

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domenica 19 novembre 2023

NON ERA AMORE MA ORGOGLIO OFFESO. ERA UN CALESSE

Due mie vicende personali. Dopo quattro anni fui lasciato. Riuscii a recuperarla dopo averle promesso in malafede il matrimonio a cui mirava. Era stata lei a prendere l'iniziativa in casa di un conoscente in comune. Nell'intervallo soffrii. Ma non sopportavo che nel frattempo avesse conosciuto un tale che era aiuto in chirurgia. Lui era del 1936. Quando seppi che ormai aveva iniziato una relazione seria con il chirurgo mentre io ero refrattatorio al matrimonio mi ritrovai indifferente. E ancor oggi mi domando perché non riuscii a capire subito che mi aveva dato via libera perché non dovessi più nascondere relazioni con altre. Mi sarei rovinato economicamente con il matrimonio perché sarei stato costretto a indebitarmi per acquistare un appartamento nonostante vivessi bene nell'appartamento dei genitori, ben sapendo che avrei continuato a vivere in esso. E poi era più giovane di me di soli 8 anni. La proiettavo già nel futuro. Una seconda lasciò il fidanzato per me. Anche questa durò quattro anni. Era una mia studentessa. Fui da lei circuito attratto da lei fisicamente. Ma capii che non sarebbe stata una buona moglie, nel senso che avrei dovuto guidarla per mano non sapendo sbrigarsela nella vita. Vi era una differenza di età di 24 anni. Rimase nubile certamente perché poteva andar bene sessualmente ma non come compagna di vita. Non fui io a scegliere infine ma fu una sorta di destino a decidere per me la soluzione finale per la futura vecchiaia. Per tutte le storie precedenti all'ultima posso dire che "Credevo fosse amore e invece era un calesse" (titolo di un film di MassimoTroisi ). 

La sfortunata Giulia avrebbe dovuto capire subito che il suo futuro assassino era un calesse. Venne nella Facoltà dove insegnavo Francesco Alberoni, fresco del successo del libro Innamoramento e amore per tenere una conferenza. Perché una donna può innamorarsi anche di un delinquente? gli chiesi. Perché, mi rispose, le donne hanno una vocazione materna che le induce a pensare di poter far cambiare il compagno o fidanzato. Gravissimo errore. Schopenhauer (Il fondamento della morale) ha scritto che non si può cambiare il carattere di una persona come non si può cambiare la natura di un serpente velenoso togliendogli il veleno. E' inutile. Il veleno si riforma. Si può dire che il carattere è iscritto nel proprio DNA. Kant molto prima aveva affrontato il problema della responsabilià penale nella Critica della ragion pura. Se il comportamento dipende dal carattere innato di un individuo allora forse viene meno la propria responsabilità, di cui non si è responsabili? La soluzione di Kant mi persuase sempre a metà. Per chi non avesse conoscenze filosofiche dico che per Kant non possiamo avere una conoscenza della realtà in sé ma della realtà come ci appare anche nella conoscenza scientifica, che rimane dunque conoscenza fenomenica. Poiché l'uomo, secondo Kant, appartiene sia al mondo del fenomeno retto dalle leggi fisiche, sia al mondo dello spirito per la sua appartenenza al mondo della morale che ha come presupposto la libertà nell'agire si può dire che, appartenendo al mondo delle leggi della fisica, l'individuo umano ha il carattere che la sua natura fisica l'ha costretto ad avere. Si pensi, per esempio, aggiunge Kant, anche all'ambiente in cui è nato ed vissuto. Sotto questo aspetto manca la responsabilità. Ma dal punto di vista spirituale subentra la responsabilità altrimenti nemmeno gli assassini sarebbero responsabili. Soluzione che non mi ha mai del tutto convinto. Ma non saprei proporne un'altra.                

sabato 18 novembre 2023

EINSTEIN E MARILYN MONROE

Si racconta che un giorno, incontrando Einstein, Marilyn Monroe gli disse: "Tu ed io potremmo avere un figlio: avrebbe la mia bellezza e la tua intelligenza".

Lui, non molto elegantemente, le rispose: "Potrei andarmene con la mia bellezza e la tua intelligenza".

In quei giorni, i test di intelligenza non erano ancora in voga. Anni dopo si scoprì che il QI di Marilyn era 165, cinque punti più alto di quello di Einstein. Il suo QI è ancora oggetto di dibattito oggi perché da quel che so, quei test non esistevano allora, ma internet adora il dramma e decise di farle fare un test del QI.

Marilyn Monroe (Norma Jean Baker, 1926-1962) era un'avida lettrice. A casa aveva una biblioteca ben fornita con oltre mille libri. Passava molte ore a leggere letteratura, poesia, teatro e filosofia.

giovedì 16 novembre 2023

LA LEGGE VIETA LA PROPAGANDA DI UN PARTITO NAZIONALSOCIALISTA



 

E allora perché permette la propaganda del Corano che è peggio del Mein Kampf di Hitler? 

La Digos di Enna e del Servizio Antiterrorismo Interno hanno portato nel 2019 a 19 perquisizioni in tutta Italia nei confronti di altrettanti estremisti di destra che volevano ricostituire un movimento d'ispirazione apertamente filonazista, xenofoba ed antisemita denominato "Partito Nazionalsocialista Italiano dei Lavoratori". L'art. 293-bis del codice penale, che non c'entra con la legge Scelba, concerne il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. A questo si aggiunge la legge 205 del 1993 (Mancino) che punisce chiunque (art. 1): a) propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico.