Inviato a posta@associazionemagistrati.it
Capiti quel che capiti considerando la mia esasperazione a cui sono stato costretto. Che reagiscano pure, dando dunque pubblicità alla mia vicenda. Ma dopo che ne avrà conoscenza il ministro Nordio
ministro@giustiziacert.it
callcenter@giustizia.it
Premetto: da inviare all'Associazione nazionale dei magistrati in occasione del loro congresso nel teatro Massimo di Palermo. Loro complice Mattarella, che secondo la Costituzione è nominalmente presidente del CSM, mentre di fatto è il vicepresidente che presiede alle sedute del CSM. Bisogna separare la magistratura inquirente (procuratori della Repubblica) da quella dei giudici istituendo due diversi CSM. Nordio vuole introdurre un'Alta Corte di giustizia che giudichi i magistrati. Non so ancora da chi sarebbe composta questa Corte. Non dovrebbe essere composta da giudici togati (manovali della giustizia) ma da giuristi (studiosi del diritto). Questa Corte sarebbe una rivoluzione perché finalmente i giudici sarebbero colpevolizzati per le loro sentenze aberranti. Oltre tutto renderebbe inutile la straniera Corte di Strasburgo dei diritti dell'uomo che può intervenire sulle sentenze della Cassazione. Chiedo che mi si dimostri che sia falso il mio sospetto che vi sia stata una collusione dei giudici con il liquidatore, nonostante sia stato falsamente nominato facendomi passare come acquiescente mentre dagli atti del giudizio risultavo assolutamente contrario con la mia opposizione di socio al 66%. Sono stati fatti prevalere gli interessi di due soci di minoranza (due pseudo fratelli farabutti) che volevano costringermi a vendere per sanare i loro debiti PERSONALI, mentre la società era da sempre in attivo e conseguiva pacificamente il suo oggetto sociale. In base all'art. 2272 del Codice Civile non sussisteva alcun motivo per mettere in liquidazione la società. Per legge occorreva l'unanimità e dunque sono stato fatto passare come acquiescente. Pazzesco. Una massa di disonesti. In 25 anni non sono riuscito a far decadere la nomina del liquitatore, nominato illegalmente. Aberranti sono le sentenze che io ho subito in sede civile per 25 anni. Sto per inviare un Esposto previsto a termini di legge al Ministro della giustizia. Chiedo un'indagine sulla mia incredibile vicenda che mi ha dissanguato economicamente. Giudici che fanno carriera per sola anzianità risultando una farsa gli esami che debbono sostenere ogni quattro anni. Tutti promossi. Della commissione fa parte un avvocato, ma può solo parlare perché non ha diritto di voto. Un giudice può rimanere tutta la vita in Tribunale, senza passare in Corte d'Appello perché per anzianità andrà in pensione con la retribuzione di un giudice della Cassazione. Dopo avere superato un concorso per l'ingresso in magistratura, comportante anche la conoscenza della dottrina, questa viene poi bellamente ignorata perché ritenuta una intrusione nella giurisprudenza, e dunque i giudici possono anche smettere di studiare, attaccandosi con il computer, come macchine, alla giurisprudenza della Cassazione, dietro cui si riparano per esaminare casi simili. Bisogna istituire il licenziamento. Quella dei giudici è l'unica categoria che si sottrae ad un risarcimento dei danni quando facciano sentenze aberranti. Sono la categoria degli intoccabili con la scusa dell'indipendenza della magistratura. E' preferibile un giudice ignorante ad un giudice sragionante perché in molti casi, come il mio, è evidente chi ha torto e chi ha ragione. Basta sapere ragionare. Ma un giudice sragionante rimarrà sempre sragionante. Ed ora espongo uno schema di 10 pagine del mio Esposto in 62 pagine in modo che lo schema possa indurre alla lettura di 62 pagine.
Al Ministro Nordio
Ho sempre pensato
che occorresse un’Alta Corte di giustizia formata da giuristi e non da giudici
togati che avesse il potere di giudicare i giudici che facciano sentenze
aberranti rovinando la vita di chi ne subisce le conseguenze. La mia storia è
talmente allucinante da costringermi a pensare che i giudici per cui sono
passato siano del tutto immeritevoli della carica che ricoprono e meritevoli
persino di licenziamento. Un’alta Corte di giustizia eviterebbe il Ricorso ad
una Corte straniera quale è la Corte di Strasburgo a cui sono stato costretto a
ricorrere contro la sentenza della Cassazione che ha rigettato il mio Ricorso
recependo sragionando le sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Cagliari senza
considerare le tremende contraddizioni e le falsità materiali in cui sono
incorsi i giudici di Cagliari. Se non si tratta di collusione dei giudici di Cagliari con
il liquidatore nominato contro la mia volontà pur sapendosi che il liquidatore di una società di persone
può essere nominato solo con l’unanimità dei soci. Nel mio caso si trattava di una società da
sempre in attivo che conseguiva pacificamente l’oggetto sociale. Una vicenda
durata 25 anni che mi ha dissanguato economicamente.
Ho ereditato da
mio padre morto nel 1977 una causa promossa dai miei genitori contro i due
gruppi di soci (che erano anche costruttori) perché avevano ridotto da 25
milioni a circa 13 milioni di lire il valore del loro apporto di immobili nella
società Cinecorallo (nel 1961 risultante S.p.A.) attribuendo ad essi i lavori
che erano stati fatti necessariamente a vantaggio del cinema e non a vantaggio
del bar tabacchi di proprietà dei miei genitori e confinante con il cinema, facendo un unico ingresso nelle ore di proiezione. Come risultante da
una sentenza della Corte d’Appello. Risultò inoltre gonfiato il costo della costruzione con una perizia di
ufficio per cui i miei genitori non aderirono all'aumento del capitale, dopo il
quale ogni gruppo di soci avrebbe dovuto conservare 1/3 del capitale sociale. I
miei genitori persero sulla prima domanda riguardante la nullità o annullamento
del conferimento dei loro immobili (terreno e magazzini) alla società intestati
a mia madre. I miei genitori persero sulla prima domanda perché i giudici in
Tribunale e in Corte d'Appello ritennero vera l’affermazione contraria dell’attribuzione
ai miei genitori dei 25 milioni da tradurre in azioni della società omettendo
di controllare i bilanci. I due fratelli, ritenendo che la causa fosse ormai
persa anche sulla seconda domanda (domanda di risarcimento dei danni), credendo
fosse collegata alla prima, per non essere coinvolti nelle spese giudiziarie
fecero rinuncia all'eredità di mio padre e la fecero fare anche a mia madre
essendo tutti gli altri immobili intestati a mia madre. Continuai io solo sulla
seconda domanda: risarcimento dei danni per avere gonfiato il costo della
costruzione e conseguentemente l'aumento del capitale che doveva comprendere
anche il valore della costruzione del cinema. Vinsi da solo contro i due gruppi
di soci che furono riconosciuti colpevoli di avere gonfiato il costo della
costruzione del cinema. Venne così giustificato il rifiuto dei miei genitori di
aderire all'aumento del capitale e il valore del loro conferimento pari a 25
milioni di lire fu quantificato dal Tribunale nel 1991 in circa un miliardo di
lire dopo la mia vittoria anche in Cassazione come controricorrente. I due
gruppi di soci preferirono cedere agli eredi Melis (essendo mia madre morta nel
1983) tutte le quote sociali della Cinecorallo (divenuta nel 1974 S.N.C.) a
compensazione del miliardo di lire. Divenni titolare del 66% delle quote
sociali perché ereditai il 50% dalla parte di mio padre e 1/3 dalla parte di
mia madre, mentre i due fratelli ereditarono ciascuno 1/3 da parte di mia
madre, cioè il 17%. Questa era la situazione quando i due fratelli, prima di
aderire all'atto di transizione con i soci dei miei genitori, vollero
costringermi a firmare una scrittura privata con cui io mi obbligavo a cedere a
terzi anche il mio 66% se si fosse presentato un acquirente disposto ad
acquisire tutte le quote della Cinecorallo, lasciando a me la libertà di
stabilire il prezzo. Dovevo firmare questa scrittura privata altrimenti non
sarebbero andati anch'essi dal notaio per cedere agli eredi Melis tutte le
quote della Cinecorallo. Io stabilii il prezzo di un miliardo e 800 milioni
di lire credendo che per questa cifra nessuno si sarebbe presentato per acquisire tutte
le quote della Cinecorallo. E invece si presentò un tale, Gesuino Fenu,
disposto ad acquisire tutte le quote della Cinecorallo avendo in progetto di trasformare
il Cinema in un grande supermarket. Io firmai la scrittura privata solo perché
dopo 13 anni di una pesante vicenda giudiziaria avevo fretta di concludere.
Avendo rifiutato di cedere anche il mio 66% i due fratelli mi fecero causa per
inadempimento alla scrittura privata, ma la persero perché i danni non erano
stati dimostrati. Infatti il cinema continuava a conseguire il suo oggetto
sociale con l'affitto a terzi della sala cinematografica, essendo disgiunta la
proprietà dal possesso del gestore che pagava regolarmente l'affitto con
pagamento trimestrale. Accusai i due fratelli di avermi estorto la scrittura
privata nonostante essi avessero solo il diritto ad avere il 34% del miliardo
liquidato dal Tribunale. La mia accusa di estorsione si trasformò in malafede
da parte dei due fratelli in accusa di calunnia, da cui fui assolto nel 2001
"perché il fatto non sussiste" risultando che la scrittura privata mi
era stata estorta. L'accanimento giudiziario dei due fratelli contro di me si
capisce quando si consideri che essi volevano coinvolgere la Cinecorallo nei
loro debiti personali. L'uno doveva pagare ancora 100 milioni di lire alla BNL
per avere acquistato una casa per l'amante mentre l'altro aveva ottenuto un
mutuo di 180 milioni di lire dalla banca Cariplo ipotecando la casa posta in un
terreno di 1200 mq in una località residenziale chiamata Poggio dei
Pini, la cui costruzione a piano terreno era stata terminata con il mio
contributo di 14 milioni di lire ancor prima che si definisse vittoriosamente
la vertenza giudiziaria della Cinecorallo. A questo punto i due fratelli,
invece di chiedere la liquidazione del valore della loro quota, come avrebbero
dovuto fare a termini di legge, ottennero con speciosi motivi, accampando dissidi extra societari,
la mia sospensione dalla amministratore inaudita altera parte e il 29 gennaio
1996 ottennero la nomina di un curatore speciale. Non bastando per essi il
curatore speciale (che poteva andar bene anche per me) chiesero la nomina di un
liquidatore nonostante risultasse dai verbali che avevano rifiutato di fare
essi gli amministratori al mio posto. Il racconto della storia di questa
precedente vicenda giudiziaria era necessario per dimostrare come tutta la
successiva vicenda giudiziaria durata incredibilmente 25 anni fosse nata da motivazioni
extra giudiziarie che i giudici non sono riusciti a percepire o non hanno
voluto percepire. Ciò che segue è una esposizione sintetica di tutti i gravi
errori in cui sono incorsi i giudici nel ritenere valida la nomina del
liquidatore. Errori così gravi da giustificare una loro grave colpevolezza.
L'11 marzo 1996
viene nominato il liquidatore da parte del presidente del Tribunale Marco Onnis, defunto molti anni fa, che mi
diede come consenziente alla nomina del liquidatore estrapolando una frase dal
contesto della Memoria di costituzione e risposta del mio avvocato che concludeva comunque con la domanda di
RIGETTO della domanda avversaria di nomina del liquidatore. Per 25 anni
non sono mai riuscito a salvarmi dall'avermi fatto apparire come consenziente
alla nomina del liquidatore. Nonostante il successivo presidente del Tribunale
l'11 dicembre 1997 avesse revocato la nomina del liquidatore "Data la sua
abnormità" essendo documentata la mia opposizione.
E ora espongo i
gravi errori dei vari giudici per cui sono passato. Tutti i giudici hanno
mancato di osservare che tutta la vicenda di 25 anni avrebbe dovuto essere
dichiarata nulla sin dall'inizio perché la Cinecorallo risultava assente in
giudizio e pertanto nessun provvedimento poteva essere dichiarato valido nei
suoi confronti, risultando essa litisconsorte necessaria. Infatti già di fronte
al presidente del Tribunale la Cinecorallo risultava assente pur essendo stato
nominato il 29 gennaio il curatore speciale come rappresentante della società,
che però risultò assente in giudizio. Il fatto che fossero presenti tutti i
soci (Cfr. i Verbali di udienza da cui risulta anche che i due soci di
minoranza rifiutarono di fare essi gli amministratori al mio posto come da me
richiesto per rendere inesistenti gli asseriti dissidi tra i soci) non poteva
significare che fosse presente la società Cinecorallo, perché la presenza in giudizio di tutti i soci
vale come presenza della società solo se non vi sono dissidi tra i soci.
Come affermato dalla sentenza della Corte d'Appello 34/2001 di Cagliari, che,
riprendendo una sentenza della Cassazione, dichiarò nulla la sentenza 11
novembre 1997 che mi aveva revocato dalla nomina di amministratore. Con la
conseguenza che anche per questo
motivo doveva dichiararsi nulla la nomina del liquidatore, non potendo
sussistere insieme amministratore e liquidatore. Motivo saltato
completamente anche dal giudice relatore della Cassazione. E in effetti sin
dall'atto di citazione 11 giugno 1998 con cui richiedevo l'annullamento della
vendita i giudici avrebbero dovuto riconoscere la necessità della nomina di un
curatore speciale perché, rimanendo io ancora revocato dalla nomina di
amministratore alla data dell'atto di citazione 11 giugno 1998, la Cinecorallo
risultava priva di amministratore. Paradossalmente
proprio le parti avversarie avevano ragione nel richiedere che non io non
potessi rappresentare la società in giudizio e che dunque non fosse proponibile
l'atto di citazione in mancanza della nomina di un curatore . E
tuttavia la vicenda giudiziaria proseguì per 25 anni in assenza in giudizio
della Cinecorallo, pur essendo essa litisconsorte necessaria. Io ridivenni
amministratore con la citata sentenza 34/2001 che dichiarò nulla la sentenza 11
novembre 1997 che mi aveva revocato dalla carica di amministratore. E
pertanto fui reintegrato nella carica di amministratore, ma solo nel 2001,
quando ormai la vicenda giudiziaria aveva portato alla vendita tramite
liquidatore il 13 novembre 1997.
In Tribunale il
giudice Mario Farina ritenne valida la notifica del bilancio finale del
liquidatore in data 20 febbraio 1998 e il successivo decreto ingiuntivo del
giugno 1998 nonostante il liquidatore l'11 dicembre 1997 fosse stato privato
della sua nomina perché il
liquidatore, secondo il Farina, dopo la revoca della sua nomina credeva
"in buona fede" di essere ancora liquidatore. Incredibile ma vero. Come
può esistere un giudice che, se in buona fede, sia capace di sragionare sino a
tal punto?
In Tribunale il
giudice Vincenzo Aquaro (oggi in pensione dopo essere rimasto sempre in Tribunale) convalida la vendita messa in atto dal liquidatore il
13 novembre 1997 perché era "confortato" (sic!) dal fatto che io
risultavo revocato dalla nomina di amministratore con sentenza 11 novembre
1997. Trasformando così una sentenza del Tribunale in una sentenza passata in
giudicato. Non tenne conto che la Corte d'Appello dichiarò nulla tale
sentenza. Con la conseguenza, ripeto, che io ero stato sempre
amministratore e che era nulla anche la nomina del liquidatore. Tutta
questa vicenda è segnata dalla trasformazione di 1) una ordinanza 7 novembre
1997 della giudice Tiziana Marogna risultata errata e di 2) una sentenza 11
novembre 1997 dichiarata poi nulla con la citata sentenza della Corte d’Appello
34/2001.
La maggiore
colpevole in questa vicenda è la giudice in Corte d'Appello Donatella Aru per
le sue aberranti due sentenze che contengono un cumulo di falsità materiali e di
incredibili contraddizioni, giungendo a citare contro di me sentenze della
Cassazione che invece erano favorevoli a me. Come, soprattutto, la sentenza della Cassazione a Sezioni
Unite 11104/2002 che mi aveva dato ragione dicendo che il Ricorso volto alla
mia domanda di revoca della nomina del liquidatore doveva essere indirizzata al
Tribunale e non alla Cassazione, come invece decise la giudice Tiziana Marogna
in Tribunale con l'ordinanza 7 novembre 1997 di mero rito che rigettava la mia
domanda di revoca della nomina del liquidatore scrivendo che mi sarei dovuto
rivolgere alla Cassazione. E la Aru, pur di salvare la sua collega (facente poi
irritualmente parte dello stesso Collegio della Aru pur avendo già giudicato la
vicenda, e in un punto determinante di essa) ha scritto che il liquidatore era
confortato anche da questa ordinanza (oltre che dalla citata sentenza 11
novembre 1997, ma poi dichiarata nulla dalla Corte d'Appello) e che pertanto
era valida la vendita messa in atto 5 giorni dopo senza nemmeno attenderne la
notifica del 20 novembre. La Aru recepì come vera l’ordinanza della
Marogna scrivendo che all’epoca dell’ordinanza era stata superata la
giurisprudenza che prevedeva il Ricorso al Tribunale. FALSO! Era vero tutto il contrario perché la citata
sentenza della Cassazione a Sezioni Unite aveva cancellato la giurisprudenza
minoritaria che prevedeva il Ricorso in Cassazione. Il colmo è che la Aru ha
citato a lungo contro di me tale
sentenza mentre era favorevole a me. La Marogna ignorò l’ultima sentenza al
riguardo prima della sua ordinanza del 7 novembre 1997. Si trattava della
sentenza 2 dicembre 1996 n. 10718 appartenente alla giurisprudenza
maggioritaria che prevedeva il Ricorso al Tribunale, e non alla Cassazione. Questo gravissimo errore della Marogna,
recepito in Corte d’Appello dalla Aru, è il secondo gravissimo errore dopo
quello della nomina del liquidatore.
La Aru ha
invertito l'ordine logico-giuridico tra sentenza non definitiva e sentenza
definitiva iniziando dal decreto ingiuntivo del liquidatore per metterlo subito
al riparo.
1) A p. 6 della
sentenza falsamente definitiva ha scritto che avevo promosso un giudizio
ordinario per chiedere la revoca della nomna del liquidatore. Ma a p. 16 dice tutto il contrario rimproverandomi di non avere promosso un giudizio ordinario per chiedere la revoca
della nomina del liquidatore. Incredibile.
2) Ha scritto che il liquidatore era
confortato dal fatto che con l'ordinanza 7 novembre 1997 era stata rigettata la
mia domanda di revoca della nomina del liquidatore. E 5 giorni dopo avvenne la vendita del
13 novembre. Più gravemente e paradossalmente la Aru ha citato contro
di me la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 11104/2002 che ha cancellato
la giurisprudenza minoritaria dando ragione a me. La Aru non ha nemmeno
considerato che l'ordinanza fu notificata il 20 novembre e che da quella data
avevo 10 giorni di tempo per ricorrere al Collegio, così trasformando
l'ordinanza in una sentenza passata in giudicato. La Aru non è voluta andare
contro la collega (poi passata in Corte d'Appello e facente parte dello stesso
Collegio a cui fu attribuita la mia causa, mentre la Marogna non avrebbe dovuto
essere compresa in tale Collegio avendo giudicato la stessa causa in
Tribunale).
3) La Aru ha
scritto che il liquidatore era confortato dal fatto che con sentenza 11
novembre 1997 ero stato revocato dalla carica di amministratore. Il liquidatore
non attese nemmeno la notifica della sentenza in data 20 novembre e due giorni
dopo avvenne la vendita. La Aru ha
citato la sentenza della Corte d'Appello 34/2001 scrivendo che era stata
dichiarata nulla la sentenza 11 novembre 1997 . Ma non ne ha mai tenuto conto.
Anzi, scrisse che la sentenza del Tribunale 11 novembre 1997 era stata un
motivo in più per giustificare la vendita il 13 novembre 1997. Anche in questo
caso trasformando la sentenza del Tribunale in una sentenza passata in
giudicato. Mentre passò in giudicato la sentenza della Corte d'Appello 34/2001
che aveva dichiarato nulla la sentenza 11 novembre 1997 che mi aveva revocato
dalla carica di amministratore. Con
la conseguenza che io ero stato sempre amministratore (reintegrato infatti dal
giudice del Registro Vincenzo Amato). E non potevano coesistere insieme
amministratore e liquidatore. In sostanza, la Aru ha colpevolmente trasformato
un'ordinanza (errata) e una sentenza (dichiarata poi nulla) in due sentenze
passate in giudicato. Così favorendo illecitamente la nomina e l'operato del
liquidatore.
4) La Aru ha scritto che io, pur avendo il
66% delle quote sociali, non potevo ostacolare l'operato del liquidatore, se pur nominato per volontà dei due soci di minoranza. Incredibile!
5) La Aru ha
creduto di poter giudicare la vicenda sulla base dell'art. 742 cpc respingendo
l'actio nullitatis pur dovendo
sapere che la causa non poteva essere conclusa con un articolo che appartiene
alla volontaria giurisdizione, che non dà mai luogo a un giudicato perché tale
articolo dice che il provvedimento può essere REVOCATO IN OGNI TEMPO. Occorreva
dunque fare riferimento all'actio
nullitatis per avere una sentenza passata in giudicato.
6) La Aru, con lo
scopo di rendere inefficace la revoca della nomina del liquidatore decisa con
decreto del presidente del Tribunale in data 11 dicembre 1997 “data la sua abnormità” essendo
documentata la mia opposizione alla nomina del liquidatore, ha scritto incredibilmente che “abnorme”
non significa illegittimo e che fosse soltanto “un vizio nel merito” (p.32
della sentenza definitiva). Incredibile!
7) La Aru ha
voluto difendere capra e cavolo, cioè la validità della nomina del liquidatore
e la buona fede dell’acquirente non accorgendosi della enorme contraddizione.
Infatti in base all’art. 742 cpc la verifica
della buona fede presuppone l’illegittimità del provvedimento di nomina del
liquidatore altrimenti non avrebbe senso la verifica della buona fede
dei terzi. E tuttavia la Aru ha sempre ritenuto valida la nomina del
liquidatore. Peraltro il promissario acquirente non poteva ritenersi in buona fede perché con racc. 22 agosto 1997 l'avevo diffidato dall'acquistare spiegandogli che il liquidatore era stato nominato illegalmente perché contro la mia volontà, occorrendo per legge l'uninimità dei soci. Inoltre vi era in corso una causa riguardante la mia revoca dalla nomina del liquidatore, e pertanto sarebbe stato necessario attendere che vi fosse su questo punto una sentenza passata in giudicato. Ma il liquidatore, in combutta con il promissario acquirente procedettero alla vendita il 13 novembre 1997 con la complicità dei giudici che non attesero che si formasse un giudicato sulla mia revoca dalla nomina dell'amministratore. La vendita avvenne 2 giorni dopo la sentenza 11 novembre 1997 che mi revocava da tale nomina. Ma la Corte d'Appello dichiarò NULLA tale sentenza con la sentenza 34/2001, con la conseguenza che io risultavo essere stato sempre amministratore, e non potevano sussistere insieme liquidatore e amministratore. Fui dunque posto di fronte al fatto compiuto il 13 novembre 1997. Con la complicità dei giudici del Tribunale Vincenzo Aquaro e della giudice dela Corte d'Appello Donatella Aru. Nonostante che la nullità della nomina del liquidatore discendesse ANCHE dalla sentenza 34/2001.
8) In base all’art. 2272 C.C. non vi
era alcun motivo per giustificare lo scioglimento della società. Infatti la Cinecorallo conseguiva pacificamente il suo oggetto sociale al
di là degli asseriti dissidi sociali perché la proprietà era distinta dalla
gestione, che pagava regolarmente l’affitto con pagamento trimestrale. I
giudici non hanno voluto percepire che i dissidi sociali erano di natura extra
societaria, come dimostrato dalla sentenza penale del 2001, che mandava assolto
Pietro Melis dall’accusa di calunnia “perché il fatto non sussiste”. Con tale sentenza veniva riconosciuta
l’estorsione di una scrittura privata con cui il socio di maggioranza si
obbligava a cedere anche lui la sua quota del 66% a fronte di una offerta di un
miliardo e 800 milioni (fatta da Gesuino Fenu, pur non nominato nella sentenza
perché dovevasi giudicare se fosse vera o falsa l’estorsione della scrittura
privata). E dalla sentenza penale risultava vera l’estorsione. Questa sentenza
documentava l’opposizione del socio di maggioranza alla cessione della sua
quota di maggioranza (66%). E tuttavia la Aru ha ritenuto che fosse
"inconferente" tale opposizione valendo la nomina del liquidatore. Pertanto si evidenzia una gravissima
contraddizione per avere la Aru ritenuto valida la nomina del liquidatore, che
presumeva l’acquiescenza del Pietro Melis alla nomina del liquidatore, mentre
dai verbali di udienza e dalla Memoria di costituzione in giudizio risultava
l’opposizione di Pietro Melis alla nomina del liquidatore. E nonostante che anche
in sede penale risultasse la mia avversione alla cessione ad altri della mia
quota del 66%. Ne conseguiva che
ancor meno potevo essere acquiescente alla cessione della sua quota tramite
liquidatore, che avrebbe comportato comunque un ricavo assai inferiore 1) a causa della
stratosferica parcella del liquidatore di 166 milioni di lire, ottenuta contabilizzando sempre al massimo della tariffa le voci della parcella con l'avallo dei giudici, 2) e a parte il fatto che con il liquidatore avveniva la
vendita del locale e non la cessione delle quote sociali avente una fiscalità ridotta. E per
di più avveniva una vendita per il prezzo di un miliardo e 500 milioni di lire,
assai inferiore all’offerta di un miliardo e 800 milioni di lire da parte del citato Gesuino Fenu tramite cessione delle
quote con fiscalità ridotta. Che la parcella del liquidatore sia stata del tutto gonfiata risulta anche dal fatto che la Aru in Corte d'Appello ha persino riconosciuto al liquidatore, a danno della Cinecorallo, 37 milioni di lire per asserita mediazione nella vendita pur essendo documentato che la mediazione fu condotta da una agenzia immobiliare chiamata STELUMA a cui si erano rivolti i soci di minoranza, come risulta da ricevuta fiscale da cui risulta che l'acquirente pagò a detta agenzia 34 milioni di lire. Persino meno di quanto il liquidatore si attribuì per asserita, ma del tutto falsa, mediazione da lui condotta con detta agenzia nella trattativa di vendita. Se non bastassero tutti gli argomenti precedentemente espressi basterebbe questa duplicazione di costi per far ritenere fondato il sospetto di collusione dei giudici con il liquidatore.
Chiedo che si svolga una indagine su questa vicenda che evidenzia la gravità della colpevolezza dei giudici per cui sono passato. E che mi ha costretto a ricorrere alla Corte Europea.