Sulla mia base dei miei studi di biologia evoluzionistica non si può giustigicare la resurrezione. Aveva l'erectus 200.000 anni fa una coscienza morale senza la quale non avrebbe avuto alcuna responsabilità? Se è unica l'origine di tutte le forme di vita come la si può attribuitre solo a cominciare sapiens sapens, 100.000 nni fa. Tutti noi, se non siamo farneticanti. Qualche teologo ha supposto che il peccato ebbe origine quandò peccò una intera comunità con il peccato che si trasmise per comunione di specie a tutta l'umanità. Fantasia che galoppa. Ogni tanto penso a "Il migliore dei mondi possibili" di Leibniz, che riteneva non potesse esistere un mondo migliore perché Dio non sarrebbe stato il migliore creando il migliore dei mondi possibili. Leibniz, una dele menti più alte sia che nella matematica che nella filosofia, pensò che l'anima immortale fosse stata infusa nella mente umana ad un certo grado dell'evoluzione. Leibniz usa il termine "folgorazione". Ma ne conseguirebbe una contraddizione:i genitori non avrebbero avuto l'anima immortale quando fosse stata infusa in un determinato momento perché i genitori già morti non avrebbero avuto l'anim immortale pur avendola avuta i figli. Ma può il migliore dei mondi possibili essere pieno di insetti quali zanzare, pulci, zecché pidocchi, e posso andare oltre? Si dice che anche questi insetti abbiano una funzione alimentare per molti uccelli carnivori nella catena alimentare. Ma possibile che un Onnipotente non avrebbe potuto far di meglio?
sabato 13 luglio 2024
ESISTE O NON LA RESURREZIONE DOPOLA MORTE?
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4 commenti:
Gent. prof. Melis,
certamente è arduo accettare la resurrezione - e anche altri contenuti di fede - in termini razionali e alla luce dell'evoluzione. Negava l'esistenza di un Creatore, ad esempio, Stephen Hawking. Altri scienziati, invece, come Zichichi, accettano la fede conciliandola anche in termini razionali, ma è evidente che ciò non risulta così immediato. Personalmente, nel mio piccolo, vedo i due aspetti su piani diversi; non opposti, ma diversi. Noi siamo calati in una realtà che possiamo cercare di comprendere ma che non ci soddisfa fino in fondo, e non può riuscirvi, perché contiene troppe componenti di ingiustizia, sopraffazione, malvagità, e, non ultima, la morte. Quello che comprendiamo di questa realtà potrà aumentare grazie ai progressi delle scienze ma non potrà mai soddisfarci. La fede offre le risposte, ma in modo non immediatamente dimostrabile; le offre alla nostra interiorità, su una dimensione diversa. Bisogna aprire il proprio cuore per accettarlo, non nel senso di diventare degli illusi creduloni, ma in modo da rivolgersi a ciò che veramente conta, e che non è visibile con gli occhi. Non è detto che quello in cui viviamo sia il migliore dei mondi possibili, poiché contiene il male. Deve esistere, perciò, una dimensione del bene - su un altro piano - alla quale attingere. Con cordiali saluti. Elisabetta
"deve esistere, perciò, una dimensione del bene -su un altro piano- alla quale attingere" È quel "deve esistere" che mi fa sorridere : in base a quali prove Elisabetta afferma ciò ? attendo chiarimenti...
GianCarlo Matta
Gent. Giancarlo e gent. Prof. Melis, su richiesta di Giancarlo invio alcune riflessioni sul “deve esistere” (ma non sono “prove” matematico-scientifiche, poiché queste stanno su un piano diverso).
Parto da una premessa: la nostra mente è senziente. Su questo non vi è dubbio. Possiamo concepire il bene e il male, e agire di conseguenza in un senso o nell’altro; abbiamo, quindi, una coscienza morale, che sia laica o meno. Parallelamente, avvertiamo un senso di incompletezza; ciò che abbiamo non ci basta. Cos’è, quindi, il male? In senso morale, è appunto ciò che, se fatto, rimorde alla nostra coscienza; in senso esistenziale, è ciò che ci manca anche quando ci sembra di avere tutto ciò che ci serve, eppure desideriamo ancora qualcosa (se non erro e se ho ben capito, questo è ciò che Leibniz definisce come il male metafisico); in senso oggettivo, è male tutto ciò che ci turba. S. Agostino scelse di definire il male in senso negativo, come assenza di bene, anziché come un ente. In ogni caso, comunque lo identifichiamo, con esso dobbiamo confrontarci.
Ora, stante l’indubitabile presenza del male (con i suoi nefasti effetti), la domanda è: è possibile che esista un bene assoluto? O, piuttosto: è possibile che NON esista un Bene assoluto, fondativo, non complementare al male, bensì immensamente sovrastante l’inesorabile incompletezza che percepisco? La mia mente, che definisce il bene e il male e l’assoluto (anche se non sa immaginarlo), che concepisce l’essere, può essere destinata alla sua negazione, ovvero al nulla?
Diceva Pascal che l’uomo è una “canna pensante”, debolissimo e vulnerabile, ma, in quanto senziente, infinitamente superiore all’uragano che lo travolge.
Se posso formulare il concetto di un bene assoluto, e se questo pensiero si apre alla fiducia (fede), ecco che, allora, non automaticamente ma in tempi e modi a me ignoti, il bene che inizialmente cercavo si concretizza in esperienza, unica e personale (ad esempio, quella della “notte di fuoco” di Pascal). E a questa dimensione del bene posso “attingere”, perché vi entro in relazione percependo le trasformazioni che essa opera sulla mia interiorità.
Riassumendo: l’esperienza del Bene (successiva alla ricerca puramente speculativa del medesimo) porta a conoscerlo. Prima, mi affanno, ricerco, arrivo a sperare e dico “deve esistere”; dopo, dico che è molto più probabile che esista piuttosto che non esista, avendolo conosciuto. La “prova” di cui si diceva, quindi, è essenzialmente un’esperienza, agìta però non solo tramite i sensi, ma anche e soprattutto per mezzo di un “senso specifico” riferibile all’ambito della propria coscienza. (“Intimior intimo meo”, diceva S. Agostino.)
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