Italia
Quei due gol per mamma Silvia
La vera donna della vita di SuperMario
L'abbraccio di Balotelli,
interminabile, alla madre adottiva allo stadio di Varsavia, ha fatto
capire a tutti che il 'bad boy' del calcio mondiale ha un cuore d'oro.
La storia di un fenomeno del pallone che può giocare, vincere, e fare le
bizze ovunque ma il cui universo è sempre nella villetta del Bresciano,
con i genitori, i fratelli e gli amici
di STEFANO SCACCHI
di STEFANO SCACCHI
MILANO - Non ci voleva molto a
capire che lo spaccone più forte del calcio mondiale, come tutti gli
sbruffoni di genio, avesse un cuore d'oro, nascosto da mille
smargiassate. Ieri Mario Balotelli lo ha spiegato all'Europa andando ad
abbracciare la madre adottiva per decine di interminabili secondi: loro
due, viso a viso e stretti in una gioia senza parole, lui in campo, lei
nella prima fila della tribuna dello stadio Nazionale di Varsavia. "La
gioia più bella è stata abbracciare mamma Silvia. Per lei ho fatto due
gol", ha detto Mario a fine partita.
Lei è la donna che ha cercato in tutti questi anni di restituire a Balotelli l'affetto perduto nei primi difficilissimi anni di vita dell'attaccante che ha portato l'Italia alla finale di Kiev. Lei e papà Franco hanno adottato (tecnicamente, fino ai 18 anni, lo hanno ottenuto in affido perché è sempre mancato il consenso all'adozione da parte della famiglia originaria) il piccolissimo Mario, abbandonato dai genitori naturali, i ghanesi Thomas e Rose Barwuah, immigrati nel nostro Paese, che l'avevano messo al mondo il 12 agosto 1990 a Palermo e poi erano andati a vivere a Bagnolo Mella in provincia di Brescia. Contrariamente a quanto molti pensano, non è stata la povertà della famiglia naturale, che aveva già una figlia, a impedire di crescere anche Mario. E' stata una malformazione intestinale che richiedeva cure molto delicate e particolare attenzione nel badare al neonato, due cose che Thomas e Rose Barwuah hanno avuto difficoltà
a garantire. Successivamente i Barwuah, che Mario Balotelli
fatica a perdonare per l'abbandono, hanno avuto altri due figli, ai
quali il fuoriclasse azzurro è molto legato (il fratello Enoch in questi
giorni era con lui in Polonia).
Mamma Silvia e papà Franco si fanno carico di queste cure e chiedono l'affido di Mario che, a due anni, va a vivere con loro a Concesio, alle porte di Brescia, insieme ai fratelli adottivi Cristina, Corrado e Giovanni. Da quel momento, il legame con mamma Silvia diventa sempre più forte. Lei preferirebbe che lui giocasse a basket per l'altezza e perché lo ritiene uno sport più conciliabile con lo studio. Ma, per fortuna dell'Italia, Super Mario ama il calcio. Inizia a giocare all'oratorio di Mompiano, il quartiere dove sorge lo stadio di Brescia, la squadra alla quale vuole tantissimo bene ma dove paradossalmente non giocherà nemmeno un minuto nelle giovanili. Tutti i club di Lombardia e Veneto lo notano, a parte qualcuno che lo giudica forte fisicamente ma poco tecnico (incredibile a dirsi adesso, ma sotto i 14 anni si possono prendere cantonate bestiali a livello giovanile). Mario inizia a girare come una trottola per la Pianura Padana da un provino all'altro. Con lui in macchina ci sono sempre Giovanni Valenti, il suo primo tecnico, poi passato alle giovanili del Milan, e mamma Silvia che approfitta di ogni viaggio per far studiare Mario: le tabelline, la storia, la geografia. Ogni provino è preceduto da una lezione itinerante perché mamma Silvia non vuole che il figlio perda il passo con la scuola.
Nel frattempo tutti vogliono Mario, ma nessuno lo prende perché il suo carattere viene già considerato piuttosto bizzoso. Alla fine il Lumezzane, la società in provincia di Brescia dove Balotelli compie la trafila nel vivaio, lo fa debuttare in Serie C1 a meno di 16 anni, un evento talmente raro da rendere necessaria una deroga medica speciale. E allora diventa impossibile non muoversi: lo scatto decisivo lo fa l'Inter. Mario inizia a diventare un fuoriclasse, ma i confini del suo vero mondo restano sempre quelli. Appena può, torna nella villetta di Concesio per stare vicino ai genitori e ai fratelli. Corrado e Giovanni gli fanno da agenti, prima di cedere il testimone a Mino Raiola. Una volta la settimana mamma Silvia va a Milano, nel condominio in zona Niguarda dove vive Mario (vicino al campo di Interello, il campo della Primavera nerazzurra) a mettere in ordine l'appartamento. E, dopo il passaggio al City, ripete il rito, ovviamente con una frequenza minore, a Manchester, approfittando per seguire qualche partita del figlio dal vivo.
Sono tutti commossi il 12 agosto 2008, quando al compimento del 18° anno di età, Super Mario riceve la cittadinanza italiana al Municipio di Concesio. Una vicenda che mette a nudo l'assurdità delle leggi italiane che costringono un ragazzo nato e cresciuto nel nostro Paese ad aspettare fino alla maggiore età per essere italiano, solo perché i genitori naturali non hanno la nostra cittadinanza. Per Balotelli, che diventa una bandiera di chi lotta contro questa ingiustizia, è una liberazione. Come dimostrano le esultanze dopo i gol in questi Europei, è la maglia azzurra la divisa alla quale è più legato. Anche per questo motivo gli fanno terribilmente male gli odiosi cori che gli riservano molte curve italiane. Slogan da vomito che fanno emergere i rigurgiti più beceri di un Paese che, in molte sue componenti, fatica a integrare. Fin dai primi minuti da giocatore professionista, sul terreno del Padova in C1 nella primavera 2006, Mario deve convivere con questo odio. Una circostanza che mette a tacere chi giustifica certi insulti con i comportamenti irrequieti del giocatore: ma chi lo conosceva Balotelli a Padova quella domenica pomeriggio ai suoi primi secondi da calciatore vero? Nessuno poteva sapere niente di lui, ma alcuni spettatori si erano comunque scagliati contro il colore della sua pelle.
Adesso invece tutti sanno chi è Mario Balotelli. Dopo la doppietta alla Germania, nessuno può dubitare che si tratti di uno dei primi dieci (a essere poco generosi) calciatori del mondo, quelli che si accendono nelle serate che contano. Ma il suo universo è sempre lì: la villetta di Concesio, le pizze con gli amici a Brescia, le puntate al Rigamonti, quel suo peregrinare tra le città della Pianura Padana dove ha sempre qualcuno da andare a trovare, la fuoriserie parcheggiata davanti all'ingresso degli autogrill dell'A4 quando torna in Italia da Manchester. "Mi mancano casa mia, la mia famiglia e i miei amici", aveva detto la scorsa estate dopo la prima stagione al City. Ma ieri sera Mario ha scoperto che tutto può trasferirsi in due fila della tribuna d'onore di uno stadio polacco. Che casa, famiglia e amici possono essere ovunque. Basta andare a parlare con loro per qualche minuto durante il sopralluogo sul terreno di gioco, come raramente un calciatore aveva fatto prima di una partita così importante. Poi segnare due gol che valgono una carriera, capolavori con i quali in pochi secondi un ragazzo di 21 anni ha fuso Gigi Riva e Gianluca Vialli. E poi tornare in tribuna ad abbracciare mamma Silvia, la vera donna della sua vita in mezzo alle fidanzate da copertina che si sono alternate in questi anni: "Questi gol sono per lei", dice Balotelli commosso prima di sterzare nella sua risata spesso nascosta: "In finale viene anche papà Franco. Allora di gol ne farò quattro". E a quel punto quell'angolo di pianura, che lui riesce a raccontare meglio di tanti altri perché gli ha restituito l'affetto perduto, potrà davvero sognare di salire sul tetto d'Europa.
Lei è la donna che ha cercato in tutti questi anni di restituire a Balotelli l'affetto perduto nei primi difficilissimi anni di vita dell'attaccante che ha portato l'Italia alla finale di Kiev. Lei e papà Franco hanno adottato (tecnicamente, fino ai 18 anni, lo hanno ottenuto in affido perché è sempre mancato il consenso all'adozione da parte della famiglia originaria) il piccolissimo Mario, abbandonato dai genitori naturali, i ghanesi Thomas e Rose Barwuah, immigrati nel nostro Paese, che l'avevano messo al mondo il 12 agosto 1990 a Palermo e poi erano andati a vivere a Bagnolo Mella in provincia di Brescia. Contrariamente a quanto molti pensano, non è stata la povertà della famiglia naturale, che aveva già una figlia, a impedire di crescere anche Mario. E' stata una malformazione intestinale che richiedeva cure molto delicate e particolare attenzione nel badare al neonato, due cose che Thomas e Rose Barwuah hanno avuto difficoltà
Mamma Silvia e papà Franco si fanno carico di queste cure e chiedono l'affido di Mario che, a due anni, va a vivere con loro a Concesio, alle porte di Brescia, insieme ai fratelli adottivi Cristina, Corrado e Giovanni. Da quel momento, il legame con mamma Silvia diventa sempre più forte. Lei preferirebbe che lui giocasse a basket per l'altezza e perché lo ritiene uno sport più conciliabile con lo studio. Ma, per fortuna dell'Italia, Super Mario ama il calcio. Inizia a giocare all'oratorio di Mompiano, il quartiere dove sorge lo stadio di Brescia, la squadra alla quale vuole tantissimo bene ma dove paradossalmente non giocherà nemmeno un minuto nelle giovanili. Tutti i club di Lombardia e Veneto lo notano, a parte qualcuno che lo giudica forte fisicamente ma poco tecnico (incredibile a dirsi adesso, ma sotto i 14 anni si possono prendere cantonate bestiali a livello giovanile). Mario inizia a girare come una trottola per la Pianura Padana da un provino all'altro. Con lui in macchina ci sono sempre Giovanni Valenti, il suo primo tecnico, poi passato alle giovanili del Milan, e mamma Silvia che approfitta di ogni viaggio per far studiare Mario: le tabelline, la storia, la geografia. Ogni provino è preceduto da una lezione itinerante perché mamma Silvia non vuole che il figlio perda il passo con la scuola.
Nel frattempo tutti vogliono Mario, ma nessuno lo prende perché il suo carattere viene già considerato piuttosto bizzoso. Alla fine il Lumezzane, la società in provincia di Brescia dove Balotelli compie la trafila nel vivaio, lo fa debuttare in Serie C1 a meno di 16 anni, un evento talmente raro da rendere necessaria una deroga medica speciale. E allora diventa impossibile non muoversi: lo scatto decisivo lo fa l'Inter. Mario inizia a diventare un fuoriclasse, ma i confini del suo vero mondo restano sempre quelli. Appena può, torna nella villetta di Concesio per stare vicino ai genitori e ai fratelli. Corrado e Giovanni gli fanno da agenti, prima di cedere il testimone a Mino Raiola. Una volta la settimana mamma Silvia va a Milano, nel condominio in zona Niguarda dove vive Mario (vicino al campo di Interello, il campo della Primavera nerazzurra) a mettere in ordine l'appartamento. E, dopo il passaggio al City, ripete il rito, ovviamente con una frequenza minore, a Manchester, approfittando per seguire qualche partita del figlio dal vivo.
Sono tutti commossi il 12 agosto 2008, quando al compimento del 18° anno di età, Super Mario riceve la cittadinanza italiana al Municipio di Concesio. Una vicenda che mette a nudo l'assurdità delle leggi italiane che costringono un ragazzo nato e cresciuto nel nostro Paese ad aspettare fino alla maggiore età per essere italiano, solo perché i genitori naturali non hanno la nostra cittadinanza. Per Balotelli, che diventa una bandiera di chi lotta contro questa ingiustizia, è una liberazione. Come dimostrano le esultanze dopo i gol in questi Europei, è la maglia azzurra la divisa alla quale è più legato. Anche per questo motivo gli fanno terribilmente male gli odiosi cori che gli riservano molte curve italiane. Slogan da vomito che fanno emergere i rigurgiti più beceri di un Paese che, in molte sue componenti, fatica a integrare. Fin dai primi minuti da giocatore professionista, sul terreno del Padova in C1 nella primavera 2006, Mario deve convivere con questo odio. Una circostanza che mette a tacere chi giustifica certi insulti con i comportamenti irrequieti del giocatore: ma chi lo conosceva Balotelli a Padova quella domenica pomeriggio ai suoi primi secondi da calciatore vero? Nessuno poteva sapere niente di lui, ma alcuni spettatori si erano comunque scagliati contro il colore della sua pelle.
Adesso invece tutti sanno chi è Mario Balotelli. Dopo la doppietta alla Germania, nessuno può dubitare che si tratti di uno dei primi dieci (a essere poco generosi) calciatori del mondo, quelli che si accendono nelle serate che contano. Ma il suo universo è sempre lì: la villetta di Concesio, le pizze con gli amici a Brescia, le puntate al Rigamonti, quel suo peregrinare tra le città della Pianura Padana dove ha sempre qualcuno da andare a trovare, la fuoriserie parcheggiata davanti all'ingresso degli autogrill dell'A4 quando torna in Italia da Manchester. "Mi mancano casa mia, la mia famiglia e i miei amici", aveva detto la scorsa estate dopo la prima stagione al City. Ma ieri sera Mario ha scoperto che tutto può trasferirsi in due fila della tribuna d'onore di uno stadio polacco. Che casa, famiglia e amici possono essere ovunque. Basta andare a parlare con loro per qualche minuto durante il sopralluogo sul terreno di gioco, come raramente un calciatore aveva fatto prima di una partita così importante. Poi segnare due gol che valgono una carriera, capolavori con i quali in pochi secondi un ragazzo di 21 anni ha fuso Gigi Riva e Gianluca Vialli. E poi tornare in tribuna ad abbracciare mamma Silvia, la vera donna della sua vita in mezzo alle fidanzate da copertina che si sono alternate in questi anni: "Questi gol sono per lei", dice Balotelli commosso prima di sterzare nella sua risata spesso nascosta: "In finale viene anche papà Franco. Allora di gol ne farò quattro". E a quel punto quell'angolo di pianura, che lui riesce a raccontare meglio di tanti altri perché gli ha restituito l'affetto perduto, potrà davvero sognare di salire sul tetto d'Europa.