Ritengo che sia stato il più grande scrittore di tutti i tempi. L'ho citato in un mio libro intitolato E giustizia infine fu fatta. Sette giudici uccisi in sette giorni. Ho tratto il nome Petix, protagonista del mio romanzo giallo e filosofico, dalla novella di Pirandello La distruzione dell'uomo. E' la fine che dovrebbero fare molti giudici, resi sempre incolpevoli dalla legge delle loro gravi colpe nei confronti degli innocenti.
Ma chi è stato l'autore della strage? Questo, come in ogni racconto thriller, non può essere anticipato.
titolo: "E giustizia infine fu fatta - Sette giudici uccisi in sette giorni." collana: temalibero autore: Pietro Melis ISBN 978-88- 97424-72-7
Ed anche per
questa grave carenza il cristianesimo, sin dalle sue origini, rimane per me
privo di qualsiasi credibilità, oltre che scientifica, anche morale. Nei
Vangeli non vi è un solo passo a difesa della vita degli animali non umani.
D'altronde, almeno sotto questo aspetto, Gesù rimase un ebreo. Nessun senso
della vita ho potuto trarre dal cristianesimo, nonostante la sua pretesa di
assegnarne uno solo agli uomini. E nessun senso della vita si può trarre dalla
conoscenza scientifica. Anzi, essa congiura contro di esso. Bisogna percorrere
altre vie, diverse da quelle delle religioni cosiddette rivelate.
E quali vie
lei crede che esistano oltre la fede religiosa? Lei non crede nemmeno nei
miracoli, disse il cappellano.
E infatti è
così, disse il professor Petix. Ma mi sono lasciato una porta socchiusa verso
l'aldilà. Ho letto racconti di fenomeni paranormali. A causa della mia
educazione scientifica sono costretto a credere solo in ciò che obiettivamente
appare e che non si possa negare nella sua obiettività pur non potendo essere
spiegato sulla base di leggi fisiche. Non nego a priori che esista qualcosa che
la scienza non possa spiegare. So, per esempio, di noti psichiatri che con
l'uso dell'ipnosi riescono a far regredire nel tempo un soggetto sino a fargli
ricordare e descrivere fatti ed episodi, poi verificati, che sarebbero stati
vissuti in vite precedenti. Ed in tale stato il soggetto è capace di parlare
lingue a lui sconosciute in stato di
veglia. Da cui si trarrebbe la prova della reincarnazione. Allora avevano
ragione Pitagora e Platone? Non lo so. Ma da tutti questi racconti, come da
racconti di voci di defunti registrate su nastri, si trae l'impressione che vi
sia un aldilà senza Dio, senza un supremo giudice creatore dell'universo.
Tranne che qualcuno chiami Dio un'energia a noi sconosciuta che sarebbe il
serbatoio di vite oltre la morte del corpo. Come vede, se tutto ciò avesse una
parvenza di verità, anche per questo il cristianesimo sarebbe una grossa
falsità in quanto esclude la reincarnazione e prevede la fine del mondo. Debbo
confessare che questi racconti mi hanno
sempre affascinato. Sin da bambino immaginavo di vivere in un vecchio castello
tenebroso frequentato da fantasmi.
Mi sembra che
lei, senza volerlo ammettere, cammini su due diversi binari, disse il
cappellano. Lei pone la fede in contrasto con la scienza e poi non esclude che
esista qualcosa che la scienza non possa spiegare.
Non è così,
disse il professor Petix. Non non vuole o non può intendermi perché a causa del
suo cristianesimo non riesce a capire un possibile aldilà diverso da quello a
cui lei è costretto a credere. Io non ho mai creduto in un aldilà per fede
religiosa. E' impossibile. Ma non escludo che certi fenomeni, come raccontati da sperimentatori seri, non da ciarlatani,
possano essere la porta, che io chiamo socchiusa, verso un mondo che le leggi
fisiche non possono spiegare. E in ciò non trovo alcun contrasto con la
scienza, se determinati fenomeni, pur inspiegabili scientifica-mente, appaiono
nella loro fisicità. Perché è la fisicità, controllabile empiricamente, ciò che
conta. I miracoli, invece, non sono
verificabili fisicamente, come le apparizioni di madonne, di santi, che
sarebbero ristrette solo a pochi, che fanno nascere il sospetto fondato che
siano degli allucinati in stato di misticismo.
E certe
guarigioni che la scienza medica non può spiegare a lei dicono nulla? osservò
il cappellano.
Non mi parli
di miracoli in fatto di guarigioni. La medicina non è una scienza esatta.
Crederei in un miracolo se finalmente uno resuscitasse dopo morte accertata,
magari bussando da dentro la bara mentre in chiesa gli stanno facendo il
funerale. E perché tutti gli asseriti miracoli avvengono sempre in regioni
cattoliche? Come mai i cristiani protestanti non beneficiano mai di miracoli?
Perché non vi
credono e non ne chiedono, disse il cappellano.
Ma si rende
conto di ciò che ha detto? Replico stizzosamente il professor Petix? Il suo Dio
è così antropomorfico da fare ridere. Un Dio che ha bisogno di essere pregato.
Ma la smetta per favore. Io credo che nella mia vita più di ogni altro soggetto
avrei meritato di assistere ad un
miracolo. Anche senza trarne per me alcun beneficio. Ma almeno come testimonianza
di un aldilà. Sono vissuto sempre nei dubbi, nella mancanza di certezze, negli
scoramenti, e perciò nel sentimento oscuro di una mancanza di senso della vita
non avendo mai avuto prove dirette che essa avesse un senso oltre la morte.
Ma un senso,
se pur contingente, alla mia vita sono riuscito infine a darlo facendomi
precedere nella morte da sette nemici della giustizia. La settimana più bella
della mia vita.
Il cappellano
rimase scosso nella sua delusione. Aveva capito che nel professor Petix non vi
era alcun pentimento e che, anzi, gioiva per la strage che aveva organizzato,
che egli considerava come attuazione di una giustizia terrena. Eppure tentò di
fargli capire che agli errori umani non si doveva porre rimedio con la violenza
e che il professor Petix aveva organizzato quella strage preso da un delirio di
onnipotenza.
Se lei
credesse in Dio, gli disse il cappellano, si sarebbe astenuto dal voler fare
ciò che ha fatto. Lei ha mai letto I fratelli Karamazov di Dostoeskij?
Sì, rispose
Petix. E con ciò che vuol dire?
Si ricordi quella
frase in cui si dice che, se Dio non esiste, tutto è permesso e non ha più
senso nemmeno la pratica del bene. L'uomo può diventare anche assassino senza
avere alcun rimorso di coscienza. E lei ne è una dimostrazione. Non ha alcun
rimorso di ciò che ha fatto. Ecco le conseguenze avutesi dopo Nietzsche, che
lei ha citato, e che disse: Dio è morto. Lei è allievo di Nietzsche.
Il professor
Petix ebbe una reazione violenta, prima nell'espressione del volto e poi nel
tono di voce. Dostoevskij, disse, era un cristiano a modo suo perché condannava
le istituzione storiche della Chiesa, specialmente quella cattolica, che aveva
ritenuto di dover privare l'uomo della sua libertà di coscienza e di doverlo
assoggettare ad un potere ecclesiastico perché convinta che solo sentendo un
potere coercitivo esterno l'uomo avrebbe potuto frenare la sua natura peggiore.
Ma ciò contrastava con il vero pensiero cristiano dei Vangeli, dove ad ognuno
viene assegnata una responsabilità di coscienza personale nel rispetto della sua
libertà individuale. E comunque Dostoeskij, nonostante avesse letto Kant nella
sua prigionia, aveva capito un bel nulla. Non aveva capito che se Dio esiste,
ogni azione morale del credente non ha alcun merito di fronte a Dio. La sua
morale, direbbe Kant, è eteronoma, non autonoma, perché dettata da motivazioni
esterne, da opportunismo, dal volersi salvare l'anima. La conseguenza sarebbe
che nessun uomo che non fosse credente sarebbe capace di un'azione giusta, non
dico morale, giacché bisogna distinguere la morale, che vuole la pratica del
bene, un oggetto rimasto sempre misterioso nell'impossibilità di definirlo,
come si accorse già Platone, che infatti non seppe mai darne una definizione,
dalla giustizia, che vuole che nessuno faccia del male agli altri. E mentre
ognuno vede il bene solo con i propri occhi, sino ad uccidere credendo di fare
del bene, come spesso è capitato nella storia, e capita tuttora, specialmente
per fanatismo religioso, il male può essere visto oggettivamente bastando la
vecchia norma della giurisprudenza romana neminem laedere, non danneggiare
alcuno. La morale è pericolosa perché richiede l'avvicinarsi nel voler fare del
bene. La giustizia, al contrario, richiede il rispetto, che significa distanza.
E chi rimane distante non uccide. Un'arma da fuoco abolisce la distanza. Meglio
l'indifferenza. E' meno pericolosa che
il voler imporre una certa concezione del bene, che dipende sempre da valori
morali, appartenenti sempre a certe tradizioni culturali, quando non sono i
valori dei vincitori.
Tutto questo
suo discorso, anzi questa sua breve lezione di filosofia non porta ad alcun
risultato positivo, commentò il cappellano. Se lei si fosse sentito vincolato
da una norma che lei chiama esterna, mentre si tratta di una norma divina, che
dovrebbe essere interiorizzata nella coscienza, non avrebbe fatto ciò che ha
fatto. Io ripeto che lei è un allievo di Nietzsche per il suo aver voluto
pensare : Dio è morto. Allora tutto è possibile. Ognuno si fa giustizia da sé.
Il professor Petix ebbe uno scatto d'ira. Io non sono affatto allievo di
Nietzsche e della sua teoria del superuomo. Se Nietzsche avesse riflettuto sul
Diritto Naturale, che non è il diritto del più forte, ma il diritto alla vita,
come anche nella catena preda-predatore, dove il predatore uccide non per
crudeltà, come fa l'uomo per motivi culturali, ma per il suo diritto alla
sopravvivenza, non avrebbe confuso il Diritto Naturale con il diritto della
forza. E quello stesso diritto che, in quanto naturale, non può essere della
sola natura umana, data l'evoluzione biologica da una comune origine di tutte
le forme di vita, è l'unico fondamento della giustizia nella sua norma neminem
laedere, dove il limite del Diritto Naturale di uno è il Diritto Naturale di un
altro, come nella stessa catena
preda-predatore, che non è una negazione del Diritto Naturale, bensì una
conferma di esso. E il Diritto Naturale è meta-culturale perché indipendente
dai valori morali. Lei, invece, disse il professor Petix al cappellano, ha il
cervello tarato dai Vangeli e dalla legge morale del perdono, che uccide la
giustizia...
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