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Se lei mangia carne anche lei
è un impostore perché sfrutta il lavoro sporco dei macellatori
credendo di avere le mani monde di sangue, mentre, come tutti gli
uomini carnivori, le ha sporche come quelle dei macellatori, di
cui i mangiatori dei cadaveri sono i mandanti. Lei considera solo la crudeltà
degli allevamenti intensivi, e non anche la crudeltà e l'impostura del
mangiare cadaveri, essendo gli umani carnivori i mandanti dei
macellatori nei mattatoi. Chi mangia carne (come suppongo lo stesso Grillo) dovrebbe essere capace una volta nella vita di ricavarsi da sé la bistecca uccidendo, dissanguando, spellando e squartando l'animale, godendosi poi l'orrido "spettacolo" del mattatoio.
Vi è da sperare che gli israeliani facciano in fretta nelle loro ricerche per sostituire la carne di animali uccisi con carne (non vegetale) ricavata industrialmente da cellule di animali. Così si acconterebbe il palato dei mangiatori di cadaveri senza più uccidere animali. Perché si sa che è solo una questione di palato. Le consiglio la lettura di Plutarco (De esu carnium) e di Porfirio (De abstinentia carnibus).
Ma se queste carni fossero ricavate da cellelule umane?
18 lug 2019 - La carne viene sintetizzata in laboratorio: ridurre gli allevamenti intensivi ... La carne viene ricavata dalle cellule estratte dalle mucche e, come ...
Gli animali sono le maggiori vittime della storia e il trattamento degli animali da allevamento è forse il peggior crimine.
La marcia del progresso umano è costellata di animali morti. Decine di
migliaia di anni fa i nostri antenati dell’età della pietra erano già
responsabili di una serie di disastri ecologici. Quando i primi esseri
umani raggiunsero l’Australia, circa 45.000 anni fa, portarono
velocemente all’estinzione il 90% dei grandi animali che abitavano
quella terra. Questo fu il primo significativo impatto che l’Homo
Sapiens ebbe sull’ecosistema del Pianeta. Non fu l’ultimo.
Circa 15.000 anni fa,
gli umani colonizzarono l’America, facendo pulizia di circa il 75% dei
suoi grandi mammiferi. Numerose altre specie scomparvero dall’Africa,
dall’Eurasia e dalle miriadi di isole attorno alle loro coste. I reperti
archeologici, di paese in paese, raccontano la stessa triste storia. La
tragedia si apre con una scena che mostra una ricca e varia popolazione
di grandi animali, senza alcuna traccia di Homo Sapiens. Nella seconda
scena appaiono gli esseri umani, e ciò viene mostrato tramite un fossile
d’osso, una lancia o un accampamento attorno al fuoco. La terza scena
segue velocemente, in essa uomini e donne occupano il centro del palco e
molti dei grandi e piccoli animali scompaiono.
Tutti insieme, i Sapiens hanno portato all’estinzione circa il 50% di
tutti i grandi mammiferi terrestri del Pianeta ancor prima di aver
piantato il primo campo di frumento, dato vita al primo strumento di
metallo, scritto il primo testo o coniato la prima moneta.
La successiva pietra miliare nella relazione uomo-animale fu la rivoluzione agricola:
il processo con cui passammo da nomadi cacciatori-raccoglitori ad
agricoltori sedentari. Ciò implicò l’apparizione di una nuova forma di
vita sulla Terra: gli animali addomesticati.
Inizialmente, questo sviluppo potrebbe sembrare di minor importanza,
poiché gli umani riuscirono ad addomesticare meno di 20 specie fra
mammiferi ed uccelli, una cifra esigua se comparata alle centinaia di
specie che rimasero “selvatiche”. Tuttavia, con il passare dei secoli,
questo stile di vita divenne la norma. Oggi, più del 90% di tutti i
grandi animali è addomesticato (per “grandi” si intendono tutti gli
animali che pesano almeno pochi chili). Consideriamo il pollo, per
esempio. Diecimila anni fa era un uccello raro, la cui vita era
confinata a piccole nicchie del sud dell’Asia. Oggi, milioni di polli
vivono su quasi tutti i continenti e le isole, escluso l’Antartico. Il
pollo addomesticato è probabilmente l’uccello più diffuso negli annali
del pianeta Terra. Se misuriamo il successo in termini di numeri, polli,
vacche e maiali sono gli animali che in assoluto hanno avuto più
successo. Ahimè, le specie addomesticate pagano il loro imparagonabile
successo biologico con una sofferenza individuale senza precedenti. Il regno degli animali ha conosciuto molti tipi di dolore e di miseria per milioni di anni. Tuttavia, la rivoluzione agricola creò un tipo di sofferenza completamente nuova che peggiora con il trascorrere delle generazioni.
A prima vista, la vita degli animali
addomesticati potrebbe sembrare migliore di quella dei loro cugini ed
antenati selvatici. I bufali selvatici trascorrono la loro giornata in
cerca di cibo, acqua e rifugio e sono costantemente minacciati da leoni,
parassiti, inondazioni e siccità. Il bestiame domestico, invece, gode
della cura e della protezione degli umani. Gli uomini assicurano a
vacche e vitelli cibo, acqua ed un rifugio, curano i loro malanni, li
proteggono dai predatori e dai disastri naturali. E molte vacche e
vitelli prima o poi si ritrovano in un macello. Ci chiediamo: ciò rende
il loro destino peggiore di quello dei bufali selvatici? È meglio essere
divorato da un leone o macellato da un uomo? I denti di un coccodrillo
sono più gentili di una lama d’acciaio?
Ciò che rende la vita degli
animali da allevamento particolarmente crudele non è solo il modo in cui
muoiono, ma sopratutto il modo in cui vivono. Due fattori
hanno modellato le condizioni di vita degli animali da allevamento: da
un lato, gli umani vogliono carne, latte, uova, pelle, la forza
muscolare degli animali e il divertimento; dall’altro, essi devono
garantire la sopravvivenza a lungo termine e la riproduzione degli
animali che allevano. Teoricamente, questo dovrebbe proteggere gli
animali dalle crudeltà più estreme. Se un contadino munge la propria
vacca senza averle dato cibo ed acqua, la produzione del latte si
ridurrà, e la vacca stessa morirà presto. Sfortunatamente, gli esseri
umani possono provocare tremende sofferenze agli animali in altri modi,
anche se provvedono alla loro sopravvivenza e riproduzione.
La radice del problema è che gli animali
addomesticati hanno ereditato dai loro antenati selvatici molti bisogni
fisici, emotivi e sociali che sono superflui negli allevamenti. Gli
agricoltori ignorano quotidianamente questi bisogni poiché non hanno
nessun ritorno economico. Rinchiudono gli animali in piccole gabbie,
mutilano le loro corna e le loro code, separano le madri dalla prole e
allevano in modo selettivo. Gli animali soffrono moltissimo, eppure
continuano a vivere e a moltiplicarsi. Questo non contraddice forse il
basilare principio dell’evoluzionismo darwiniano? La teoria
dell’evoluzione sostiene che tutti gli istinti e le pulsioni si sono
evoluti nell’interesse della sopravvivenza e della riproduzione. Se è
così, la continua riproduzione degli animali negli allevamenti non prova
forse che tutti i loro bisogni sono soddisfatti? Come può una vacca
continuare ad avere un “bisogno” che non è essenziale per la
sopravvivenza e la riproduzione?
Al fine di sopravvivere e riprodursi,
gli antichi bovini selvatici dovevano comunicare, cooperare e competere
efficacemente. È certamente vero che tutti gli istinti e le pulsioni
evolvono al fine di soddisfare la pressione evolutiva alla sopravvivenza
e alla riproduzione. Comunque, quando queste pressioni esterne
scompaiono gli istinti e gli impulsi che sono stati da esse modellati
non evaporano all’istante. Anche se non sono più strumenti di
sopravvivenza e riproduzione, gli istinti continuano a dar forma alla
soggettività dell’animale. I bisogni fisici, emotivi e sociali delle
odierne vacche, dei cani e degli umani non rispecchiano la loro
situazione attuale ma, piuttosto, le pressioni evolutive che i loro
antenati subirono decine di migliaia di anni fa. Perché le persone oggi
amano così tanto i dolci? Non certo perché nel ventunesimo secolo
dobbiamo ingozzarci di gelato e cioccolato per sopravvivere. Piuttosto, è
perché se i nostri antenati dell’età della pietra s’imbattevano in un
frutto dolce e maturo, la cosa più sensata che dovevano fare era
mangiarne il più possibile ed il più velocemente possibile. Perché i
giovani oggi guidano in modo pericoloso, si fanno coinvolgere in risse e
violano siti internet confidenziali? Perché stanno obbedendo ad un
antico decreto genetico. Settantamila anni fa, un giovane cacciatore,
che rischiò la sua vita rincorrendo un mammut, vinse tutti i suoi
avversari ed ebbe la mano della bellezza locale – e oggi noi siamo
condizionati dai suoi geni “da macho.”
La stessa logica modella la vita delle
vacche e dei vitelli nei nostri allevamenti intensivi. Gli antichi
bovini selvatici erano animali sociali. Al fine di sopravvivere e
riprodursi, avevano bisogno di comunicare, cooperare e competere in modo
efficace. Come tutti i mammiferi sociali, i bovini selvatici impararono
le abilità sociali necessarie attraverso il gioco. Cuccioli di cane e
di gatto, vitellini e bambini: tutti amano giocare perché l’evoluzione
ha impiantato in loro questo desiderio. Allo stato selvatico
hanno bisogno di giocare. Se non lo fanno, non acquisiranno mai quelle
capacità sociali vitali per la sopravvivenza e la riproduzione. Se un
gattino o un vitello nascesse con una rara mutazione, tale da renderlo
indifferente al gioco, egli avrebbe meno probabilità di sopravvivere e
riprodursi, così come non esisterebbero loro stessi se i loro
progenitori non avessero acquistato quelle capacità.
Analogamente, l’evoluzione ha impiantato
nei cuccioli di mammifero e nei bambini un travolgente desiderio di
legarsi alla madre. Una mutazione che indeboliva il legame madre-figlio
era una sentenza di morte.
Cosa succede oggi, quando un contadino
prende una giovane vitella, la separa dalla madre, la mette in una
gabbia stretta, la vaccina, le somministra cibo ed acqua e poi, quando è
il momento, la insemina artificialmente con lo sperma del toro? Da una
prospettiva oggettiva, questa vitellina non necessita più né del legame
parentale né di compagni di gioco per sopravvivere e riprodursi. Tutti i
suoi bisogni sono soddisfatti dalla cura del suo padrone umano. Ma da
una prospettiva soggettiva, la vitellina ancora sente il forte bisogno
di un legame materno e di giocare con gli altri vitelli. Se queste
necessità non sono rispettate, la vitellina soffre moltissimo. Questa è
la lezione base della psicologia evolutiva: un bisogno formatosi
migliaia di generazioni precedenti continua ad essere sentito in modo
soggettivo, anche se esso, nella contemporaneità, non è più necessario
al fine della sopravvivenza e della riproduzione.
Tragicamente, la rivoluzione agricola
diede agli umani il potere di assicurare la sopravvivenza e la
riproduzione degli animali da allevamento pur ignorandone i bisogni
soggettivi. Ne consegue questo: come specie, gli animali da allevamento sono quelli che hanno avuto il maggior successo biologico nella storia ma, allo stesso tempo se presi individualmente, sono gli animali più infelici mai esistiti sulla Terra.
La situazione non ha fatto che peggiorare negli ultimi secoli, durante i
quali l’agricoltura tradizionale ha lasciato spazio a quella
industriale. Nelle società tradizionali come quelle dell’antico Egitto,
dell’Impero Romano o della Cina medievale, gli esseri umani avevano una
conoscenza molto parziale della biochimica, della genetica, della
zoologia e dell’epidemiologia. Conseguentemente, il loro potere
manipolatorio era limitato. Nei villaggi medievali, i polli correvano
liberi fra le case, beccavano semi e vermi dai mucchi di rifiuti e
costruivano i loro nidi nel fienile. Se un contadino ambizioso avesse
cercato di rinchiudere 1.000 polli dentro un pollaio affollato, il
risultato sarebbe stato molto probabilmente un’epidemia d’influenza
aviaria che avrebbe decimato polli e paesani. Nessun prete, sciamano o
strega avrebbero potuto impedirla. Ma una volta che la scienza moderna
ha potuto decifrare il segreto degli uccelli, dei virus e degli
antibiotici, gli umani hanno iniziato ad assoggettare gli animali a
condizioni di vita estreme. Con l’aiuto di vaccinazioni, medicazioni,
ormoni, pesticidi, sistema centralizzato d’aria condizionata e
mangiatoie automatizzate, è ora possibile stipare decine di migliaia di
polli dentro piccoli pollai e produrre carne e uova con un’efficienza
che non ha precedenti.
Il destino degli animali allevati in
tali condizioni è diventato uno dei temi etici più urgenti del nostro
tempo, certamente anche in relazione al numero di membri coinvolti.
Oggigiorno, la maggior parte dei grandi animali vivono negli allevamenti
industriali. Noi immaginiamo che il nostro pianeta sia popolato da
leoni, elefanti, balene e pinguini. Ciò può essere vero sul canale di
National Geographic, nei film della Disney e nelle fiabe per bambini, ma
non è più la verità del mondo reale. Nel mondo ci sono 40.000 leoni
contro quasi 1 miliardo di maiali da allevamento; 500.000 elefanti e 1.5
miliardi di vacche da allevamento; 50 milioni di pinguini e 20 miliardi
di polli. Nel 2009, c’erano 1.6 miliardi di uccelli selvatici in
Europa, contando tutte le specie. Quello stesso anno, l’industria
europea della carne e delle uova allevò 1.9 miliardi di soli polli.
Tutti insieme, gli animali da allevamento di tutti il mondo pesano 700m
di tonnellate, mentre gli umani pesano 300m tonnellate e meno di 100m
tonnellate il gruppo di tutti gli altri grandi animali selvatici.
Questo è il motivo per cui il destino
degli animali da allevamento non è una questione etica secondaria. Essa
riguarda la maggior parte dei grandi viventi della Terra: decine di
miliardi di esseri senzienti, ognuno con un complesso mondo di
sensazioni ed emozioni, ma ognuno che vive e muore all’interno di una
catena di produzione industriale. Quarant’anni fa, il filosofo morale
Peter Singer pubblicò il suo famoso libro Liberazione Animale, testo che ha contribuito molto a cambiare la prospettiva su questi temi. Singer sostiene che l’allevamento industriale ha creato più dolore e sofferenza di tutte le guerre della storia messe insieme.
Lo studio scientifico degli animali ha giocato un triste ruolo in questa tragedia. La
comunità scientifica ha utilizzato le crescenti conoscenze sugli
animali sopratutto per manipolarne efficacemente la vita al servizio
dell’industria. Però, questa stessa conoscenza, ha dimostrato
sopra ogni dubbio che gli animali da allevamento sono esseri senzienti,
con relazioni sociali intricate e sofisticati schemi psicologici. Essi
non saranno intelligenti quanto noi, ma conoscono certamente il dolore, la paura e la solitudine. Anche loro possono soffrire, e anche loro possono essere felici.
È giunto il momento di prendere a cuore queste scoperte scientifiche,
poiché con il crescere del potere umano, cresce anche la nostra capacità
di danneggiare o portare benessere agli altri animali.
Per 4 miliardi di anni, la vita sulla
Terra era governata dalla selezione naturale. Ora è sempre più governata
dal “disegno intelligente” dell’uomo. Biotecnologia, nanotecnologia e
intelligenza artificiale renderanno presto gli umani capaci di
rimodellare gli esseri viventi in modi radicalmente nuovi che
ridefiniranno il significato della vita. Quando giungeremo a disegnare
questo nuovo mondo, dovremo essere capaci di considerare il benessere di
tutti gli esseri senzienti, e non solo quello dell’Homo Sapiens.
Traduzione di Marta Frana pubblicata su: https://intellettualeorganico.blogspot.co