Il dilemma dell'onnivoro
Gianfranco Ravasi
Il «Fermoposta» di domenica 29 gennaio sull'uccisione degli animali a finalità commestibile ha generato uno sciame di reazioni disparate, ora pacate ora eccitate. E proprio perché – come allora scrivevo – la questione è ben più complessa di quanto immaginano gli animalisti estremi o gli "umanisti" radicali, abbiamo pensato di ritornare sull'argomento in modo più generale, anche se non esaustivo, naturalmente secondo la prospettiva culturale cristiana. Quest'ultima, infatti, ha elaborato una sua concezione della natura, originale rispetto alle altre civiltà e per secoli dominante in Occidente. Essa potrebbe essere riassunta in due asserti principali.
Da un lato, la tradizione ebraico-cristiana ha demitologizzato la natura che non è perciò né una divinità né frutto di una generazione divina (così accadeva nelle cosmogonie orientali e nello stesso panteismo stoico o indiano), ma è il risultato di un atto creatore e quindi è una realtà finita e limitata. D'altro lato, pur riconoscendo un legame tra uomo e animali attraverso la vita (rûah o "spirito" vitale), ha affermato una netta distinzione qualitativa tra i due, attraverso l'introduzione di un particolare statuto umano variamente descritto in alcuni passi della Genesi: si pensi al simbolismo dell'«immagine e somiglianza divina» (1,27), alla dotazione della coscienza morale nella «conoscenza del bene e del male» (cc. 2-3) e alla funzione di «governo» delegato, di «nomina» e di «custodia e coltivazione» del creato da parte dell'uomo e della donna (1,26 e 2,15-20). L'accettazione della teoria scientifica dell'evoluzione biologica non è incompatibile con l'affermazione teologica e metafisica della specificità umana, variamente declinata (anima, spiritualità, simbolicità, estetica e così via).
In questa prospettiva non si contesta l'uso nutritivo delle carni animali, sia pure con vincoli di taglio igienico-folclorico-sacrale (ad esempio, le norme di purità rituale che escludono alcuni animali dall'essere commestibili, norme superate però dal cristianesimo, come appare nella visione di san Pietro descritta nel c. 10 degli Atti degli Apostoli). Lapidario è il precetto successivo al diluvio: «Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà da cibo, come le verdi erbe» (Genesi 9,3). Gesù stesso si nutre di pesce e persino lo cuoce per i suoi discepoli, così come è implicito che abbia consumato l'agnello pasquale.
Tutto questo, però, non impedisce che si sia consapevoli del peccato dell'uomo quando prevarica sul creato in modo tirannico e devastante. È, così, sorto un movimento ambientalista e animalista (talora strettamente vegetariano) cristiano che ha inteso richiamare la meta ideale a cui la stessa Bibbia vorrebbe condurre l'umanità e che è dipinta, ad esempio, dal profeta Isaia con sette coppie di esseri viventi, animali e umani che coesistono in perfetta parità e armonia (11,6-8). In questa creazione perfetta ed "escatologica" – nella quale anche gli animali sono coinvolti – la dieta sarà necessariamente vegetariana: «Ecco, io vi do erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero fruttifero: saranno il vostro cibo» (Genesi 1,29).
A una rinnovata sensibilità cosmica, sminuita nella storia del cristianesimo dal l'influsso spiritualistico greco, ha contribuito la figura di san Francesco, anche se la sua era una visione non tanto ecologista ma nettamente teologica, come è attestato dal suo Cantico delle creature: alieno da una concezione panteistica, egli considera il creato come dono di Dio, come segno di bellezza trascendente, come simbolo che conduce al Creatore, sulla scia di quanto si legge nel libro biblico della Sapienza: «Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore» (13,5). Questa ecologia cristiana sorge intorno agli anni Sessanta del secolo scorso in ambito protestante (in particolare con il teologo americano Joseph Sittler e col Faith-Man-Nature Group del Consiglio delle Chiese protestanti d'America).
Ben presto anche il mondo cattolico vi si associa e, tra i tanti passi dei testi magisteriali ufficiali di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sul tema, ricordiamo soprattutto il messaggio del 1° gennaio 1990 di Papa Wojtyla Pace con Dio Creatore, pace con tutto il creato, ove si denuncia la crisi ecologica come questione morale, evocando una nuova solidarietà dell'uomo con le altre creature e il creato. Intanto, però, si stavano affermando anche concezioni ambientaliste e animaliste radicali che si alimentavano a religioni e filosofie orientali di stampo immanentistico e reincazionistico. Si trattava di impostazioni spesso sincretistiche dagli esiti più disparati: tanto per fare un esempio ormai famoso, si pensi al saggio Il Tao della Fisica (Adelphi 1982) del fisico nucleare Fritjof Capra che cercava di conciliare la fisica teoretica col misticismo orientale. Oppure all'altrettanto nota e vasta opera Liberazione animale (Mondadori 1991) del filosofo australiano Peter Singer, incline ad assegnare al mondo animale una superiorità rispetto a quello umano.
In America, anche su impulso della rivalutazione del pensiero degli Indiani aborigeni per i quali tutte le forme di vita sono uguali e appartenenti a un'unica comunità, si è registrato un grande successo (ora, però, in crisi) del movimento New Age che, tra l'altro, propugnava un'ecologia "olistica" di stampo pan-spiritualistico. In questa linea si debordava, anche in ambito cristiano, dalla prospettiva sopra descritta e si adottavano definizioni e descrizioni antropomorfiche per gli animali: anch'essi, ad esempio, avrebbero una coscienza etica, percepirebbero il trascendente e pregherebbero (si veda Michel Damien, Un paradiso per gli animali. L'animale, l'uomo e Dio, Piemme 1987). Un capitolo a sé è quello della sofferenza degli animali, definita un po' enfaticamente «un mistero ancor maggiore rispetto al dolore umano» dalla Teologia degli animali di Paolo De Benedetti (Morcelliana 2007).
Certo è che la sensibilizzazione su quest'ultimo tema è significativa e ha generato, ad esempio, la «Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali» dell'Unesco (1978), così come a Münster ha aperto da tempo i battenti l'«Institut für theologische Zoologie», un'istituzione cattolica ed ecumenica annessa alla locale facoltà di Teologia e Filosofia. Si contrasta, così, giustamente ogni brutalità e ogni prevaricazione nei confronti delle creature viventi. La solitudine nell'anonimato delle moderne metropoli ha, poi, generato rapporti di condivisione familiare e di affetto con animali domestici, modellati sulle dinamiche che intercorrono tra esseri umani, tanto da rendere talora cani o gatti beneficiari di lasciati testamentari. Victor Hugo scriveva: «A chi è solo, Dio dona un cane. Il cane è la virtù che, non potendo farsi uomo, si è fatta animale». Anche al Lazzaro miserabile della parabola evangelica del ricco epulone «erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe».
Detto questo si può, però, pervenire all'eccesso opposto per cui le persone umane, ultime e diseredate, piccole, deboli e affamate, sono meno considerate e tutelate nelle società ricche e occidentali di quanto lo siano gli animali. Così come paradossali sono anche alcune nuove attitudini culturali: una recente statistica dimostrava che solo il 40% dei tedeschi crede in Dio, ma l'80% è convinto che i loro cani e gatti abbiano un'anima! Tuttavia, è curioso notare che la Bibbia – pur netta nelle sue distinzioni di specie e genere tra esseri umani e animali – è forse il testo sacro più affollato da uno straordinario bestiario che va dal mastodontico cammello fino al tarlo nascosto nel legno e alla pulce, e che ascende al simbolismo spirituale più alto con l'agnello emblema dello stesso Cristo o con la colomba che incarna lo Spirito Santo, ma che discende fino ai mostri apocalittici e al serpente tentatore. La funzione primaziale dell'uomo e la sua diversa natura intima non escludono una sua solidarietà con le altre creature viventi, anche perché – come canta il Salmista – «buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature… Uomini e bestie tu salvi, Signore» (145,9; 36,7).
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il dibattito
La lettera del veterinario sull'uccisione degli animali a fini alimentari e la conseguente risposta di monsignor Gianfranco Ravasi sono stati pubblicati sulla «Domenica» del 29 gennaio scorso
D'accordo, Cristo era carnivoro. Ma succedeva tanto tempo fa...
Caro Monsignor Ravasi, non si può prendere per oro colato tutto quello che il vecchio testamento ci riporta essendo tale racconto solo la storia del popolo ebraico. E neanche la presunta parola del Creatore che in molti casi interpretata a nostra somiglianza giustifica i peggiori desideri dell'uomo. Gesù infatti si fa agnello per una nuova alleanza e per questo entra subito in conflitto con il potere temporale e spirituale del tempo dopodichè viene sacrificato nel modo che ben conosciamo. Sul permesso che Gesù concede al popolo che lo seguiva di mangiare il pesce consideriamo il tempo in cui si viveva, ma ora la coscienza si è evoluta; però certo necessiterà molto tempo prima che gli animali siano davvero considerati liberi e fino a quel momento non ci sarà vera pace sulla Terra.
Pastore protestante e storico del cristianesimo
Anche le formiche nel loro piccolo hanno un'anima (peraltro immortale)
Eminenza, la Sua risposta al veterinario F.M. di Bergamo aggira la questione posta e lascia le cose come stanno. Ella trascura il fatto che dal 1996 con un documento della Chiesa è stata riconosciuta la verità scientifica dell'evoluzione biologica da una comune origine di tutte le forme di vita, anche se interpretata finalisticamente (cioè antiscientificamente) come indirizzata verso la formazione della specie homo. I teologi, già alcuni decenni prima (e cito solo il paleontologo Teilhard de Chardin) hanno cercato di superare tutte le difficoltà dottrinali conseguenti a incominciare da quella del peccato originale, senza il quale cade tutta la cristologia.
Poiché vi sono alcune interpretazioni teologiche che attribuiscono l'immortalità dell'anima anche agli animali non umani, mi domando se questa sia da attribuire a tutti gli animali, compresi gli insetti come pulci, zecche, zanzare, e perfino ai batteri. Oppure la sopravvivenza è limitata solo agli animal dotati di coscienza? Già il filosofo dei diritti degli animali Tom Regan aveva sospeso il giudizio sulla presenza di coscienza perfino per animali come le galline. Figuriamoci per gli insetti. Chi siamo noi per poter escludere scientificamente uno stato di coscienza per insetti, molluschi e crostacei (per esempio)? Ma vengo alla questione principale, che mi sta soprattutto a cuore. Io rimprovero alla Chiesa di continuare a considerare il diritto naturale come diritto della sola natura umana e di avere ereditato un concetto di diritto naturale che è quello stesso che nell'età moderna fu sostenuto da Grozio, Pufendorf, Locke, Leibniz, Montesquieu, Kant e altri, cioè come diritto della ragione. Ma allora non si tratta di giusnaturalismo bensì di giusrazionalismo. Fatta questa lunga premessa rilevo che ancor oggi assurdamente la Chiesa non ritiene peccato di cui bisogna confessarsi ciò che per la legge (almeno sulla carta) è reato: il maltrattamento degli animali. E questo è assai grave da parte della Chiesa, che, inoltre, continua a conservare un complice silenzio sulla maggiore crudeltà della macellazione ebraico-islamica. Eminenza, i cristiani vegetariani o comunque sensibili alle sofferenze degli animali non umani (odio il termine «bestie») non si sentono rappresentati dalla Chiesa e le chiese si stanno svuotando sempre di più anche per questo. I vegetariani in Italia hanno superato i 6 milioni e sono in crescita costante. Io, che ho studiato sempre in istituti religiosi dalle elementari, sono agnostico dall'età di 20 anni e vegetariano dall'età di 10 anni, e ne ho 72. Sono in pensione da due anni come professore universitario di storia della filosofia. È in corso di stampa un mio dialogo teologico intitolato Addio a Dio. I diritti d'autore sono devoluti ad una associazione animalistica. Pietro Melis
Il dolore e la sofferenza delle bestie al macello
Eminenza, premesso che da tanti anni leggo sempre con interesse e viva partecipazione quanto scrive su argomenti che riguardano la "mia" religione, confesso di essere rimasto un po' insoddisfatto per la Sua risposta al Sig. F.M.
È ben vero che Ella all'inizio conferma che la questione è molto complessa e avrebbe potuto affrontarne solo qualche aspetto, ma mi perdoni, mi aspettavo che si pure di sfuggita Ella affrontasse due aspetti che a mio avviso sono molto importanti.
Primo, le sofferenze alla quali sono molto spesso sottoposti gli animali destinati al macello. Anni fa, per lavoro, ebbi occasione di visitare uno dei più grandi e attrezzati macelli d'Italia, ed è ben vero che potei constatare come venivano uccisi con un colpo solo, ma le povere bestie già prima avevano perfettamente capito tutto, ed erano chiaramente terrorizzate. Il dolore non è soltanto fisico, ma anche psicologico, e gli animali soffrono, godono, si rallegrano, hanno paura, e quant'altro esattamente come noi.
Secondo. Io mangio carne e pesce, lo confesso. Noi uomini siamo l'ultimo anello della catena alimentare e quando uccidiamo un animale per soddisfare un'esigenza alimentare rientriamo in un meccanismo "naturale", non c'è dubbio. Ma uccidere per divertimento no, questo non è ammissibile per un cristiano, e il mancato riferimento alla caccia e alla pesca sportiva confesso che mi lascia perplesso.