Dal mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica.
Il tema del rapporto tra identità e diversità nasce da un problema mal posto, cioè da un falso problema. Si rapporta l’identità ad una particolare cultura pretendendo di sanare i conflitti che nascono tra diverse culture con l’appello alla apertura verso l’altro. In realtà non può che esistere una sola identità, quella della specie umana, che, riprendendo il pensiero di Aristotele (Etica nicomachea, X, 7), si dovrebbe distinguere dalle altre specie per la capacità di avere una conoscenza razionale, esprimentesi nelle virtù dianoetiche – cioè nel linguaggio scientifico, che è l’unico linguaggio privo di identità culturale, essendo metaculturale - e nel “giusto naturale…di cui non importa se le sue origini sian tali o tal’altre” (ibid., V, 7). “Vi è infatti un giusto e un ingiusto per natura di cui tutti hanno come un’intuizione e che è a tutti comune, anche se non vi è nessuna comunanza reciproca e neppure un patto così come sembra dire l’Antigone di Soflocle, che cioè è giusto seppellire, contro le disposizioni, Polinice, perché ciò è giusto per natura” (Retorica, I, 13).
Il tema del rapporto tra identità e diversità nasce da un problema mal posto, cioè da un falso problema. Si rapporta l’identità ad una particolare cultura pretendendo di sanare i conflitti che nascono tra diverse culture con l’appello alla apertura verso l’altro. In realtà non può che esistere una sola identità, quella della specie umana, che, riprendendo il pensiero di Aristotele (Etica nicomachea, X, 7), si dovrebbe distinguere dalle altre specie per la capacità di avere una conoscenza razionale, esprimentesi nelle virtù dianoetiche – cioè nel linguaggio scientifico, che è l’unico linguaggio privo di identità culturale, essendo metaculturale - e nel “giusto naturale…di cui non importa se le sue origini sian tali o tal’altre” (ibid., V, 7). “Vi è infatti un giusto e un ingiusto per natura di cui tutti hanno come un’intuizione e che è a tutti comune, anche se non vi è nessuna comunanza reciproca e neppure un patto così come sembra dire l’Antigone di Soflocle, che cioè è giusto seppellire, contro le disposizioni, Polinice, perché ciò è giusto per natura” (Retorica, I, 13).
I
conflitti nascono dal mancato riconoscimento dell’esistenza di un
solo linguaggio universale, che è quello della conoscenza
scientifica della natura e del diritto naturale, rispetto al quale
gli altri sono espressione di contingenze storiche, miseri detriti
dell’antropologia culturale. Ogni diversità che non sia
contrastante con una concezione scientifica del mondo e con il
diritto naturale diviene del tutto inessenziale e trascurabile.
Se,
invece di continuare a blaterare di rispetto dell’identità
dell’altro, la pedagogia filosofica richiedesse in tutte le scuole,
pubbliche e private, l’insegnamento della biologia evoluzionistica
e della storia delle religioni come insegnamenti obbligatori
(il secondo in sostituzione, in Italia, dell’insegnamento
facoltativo di religione), allora si preparerebbero le nuove
generazioni alla comprensione, rispettivamente, di ciò che è
verità scientifica e di ciò che è soltanto
espressione di relativismo culturale e che pretende, al contrario, di
porsi come assoluto in un linguaggio ispirato. Né sarebbe da
escludere, anche se può sembrare contraddittorio – mentre,
per ciò che abbiamo già detto, non lo è - il
crocifisso come simbolo dello Stato laico. Invece in Italia vi è stata un ministro della pubblica istruzione (Letizia Moratti), che, vergognosamente, voleva addirittura che scomparisse il
nome di Darwin dal manuale di scienze della scuola media inferiore,
e ha permesso, dopo una rivolta di scienziati, che venisse fatto appena
il nome di Darwin. In questo modo si fa un favore alla Chiesa che
approfitta della mancanza di capacità critica di un bambino
per corromperlo riempendogli la testa delle frottole della Bibbia in
modo che cresca in uno stato di schizofrenia quando nella scuola
superiore apprenderà le nozioni scientifiche circa l’origine
vera dell’uomo.
L’elevazione
a 16 anni della scuola dell’obbligo, suggerita da una concezione
morale dell’egualitarismo, che vuole imporre dispoticamente il
proseguimento degli studi oltre la scuola media inferiore, invece di
offrire, dopo questa, una scuola professionale, può avere come
duplice risultato soltanto il declassamento degli studi – derivante
dalla pratica necessità di promuovere tutti – nonché
il danno che subiscono gli studenti migliori, che nello svolgimento
del programma sono costretti a stare al passo dei peggiori, con la
scusa che questi ultimi debbono essere aiutati a causa del loro
deficit
mentale.
Si ritiene che "mentre è giusto aiutare i più deboli, non è giusto che i più bravi segnino il passo per attendere i più deboli a raggiungere lo stesso traguardo. Lo stereotipo, anche tra il personale della scuola, è che è superfluo aiutare chi è già bravo di per sé perché non ha biogno di aiuto. Sfugge che il più bravo ha anch'esso bisogno di aiuto; ma si tratta di un aiuto di altro genere: di un aiuto a raggiungere traguardi superiori, per i quali ha propensioni e potenzialità...Non può sorptendere, allora, che la scuola pubblica diventi sinonimo di appiattimento in cui si annullano tutte le differenze e tutte le diversità dei soggetti reali. Esiste un intreccio perverso dove l'egualitarismo (quello italiano tende soprattutto ad impedire che la competizione faccia del male a qualcuno o addirittura si svolga) ha trovato, nell'ambito scolastico, giustificazione ideologica in una versione maldigerita del don-milanismo, per cui ogni selezione è repressione classista...Non esistono nelle Università e nelle scuole strumenti per attrarre e valorizzare gli studenti migliori...Il titolo rilasciato dalle migliori Università vale quanto quello rilasciato dalle peggiori. La stessa didattica, sotto la spinta di rivendicazioni politiche e sindacali, è sempre meno ambiziosa, si accontenta del rendimento medio, e lascia al suo destino chi aspira all'eccellenza" (F. Ferraresi, Università, élites, classe dirigente: in Giancarlo Bosetti, a cura di, Tutti a scuola, Donzelli 1996, pp. 110.11).
E’ pertanto auspicabile che la scuola pubblica, divenuta ormai un cesso pubblico, ricettacolo della demagogia, venga integrata, con finanziamento statale, dalla scuola privata, dove l’occhio vigile del padrone impedisce gli scioperi e dove agli studenti peggiori e turbolenti può essere negata l’iscrizione, in modo che essa diventi la scuola dei migliori, indipendentemente dall’appartenenza al ceto sociale, in base al principio della salvaguardia delle pari opportunità. Meglio la scuola dei preti, ma con programmi ministeriali che prevedano l’esclusione dell’insegnamento della religione cattolica, da sostituirsi con l’insegnamento di storia delle religioni. Lo stesso discorso vale per le Università, dove, superato un concorso, il docente può anche smettere di studiare, divenendo inamovibile. Soltanto le Università private, finanziate dallo Stato, permetterebbero la selezione dei professori e degli studenti migliori.
Si ritiene che "mentre è giusto aiutare i più deboli, non è giusto che i più bravi segnino il passo per attendere i più deboli a raggiungere lo stesso traguardo. Lo stereotipo, anche tra il personale della scuola, è che è superfluo aiutare chi è già bravo di per sé perché non ha biogno di aiuto. Sfugge che il più bravo ha anch'esso bisogno di aiuto; ma si tratta di un aiuto di altro genere: di un aiuto a raggiungere traguardi superiori, per i quali ha propensioni e potenzialità...Non può sorptendere, allora, che la scuola pubblica diventi sinonimo di appiattimento in cui si annullano tutte le differenze e tutte le diversità dei soggetti reali. Esiste un intreccio perverso dove l'egualitarismo (quello italiano tende soprattutto ad impedire che la competizione faccia del male a qualcuno o addirittura si svolga) ha trovato, nell'ambito scolastico, giustificazione ideologica in una versione maldigerita del don-milanismo, per cui ogni selezione è repressione classista...Non esistono nelle Università e nelle scuole strumenti per attrarre e valorizzare gli studenti migliori...Il titolo rilasciato dalle migliori Università vale quanto quello rilasciato dalle peggiori. La stessa didattica, sotto la spinta di rivendicazioni politiche e sindacali, è sempre meno ambiziosa, si accontenta del rendimento medio, e lascia al suo destino chi aspira all'eccellenza" (F. Ferraresi, Università, élites, classe dirigente: in Giancarlo Bosetti, a cura di, Tutti a scuola, Donzelli 1996, pp. 110.11).
E’ pertanto auspicabile che la scuola pubblica, divenuta ormai un cesso pubblico, ricettacolo della demagogia, venga integrata, con finanziamento statale, dalla scuola privata, dove l’occhio vigile del padrone impedisce gli scioperi e dove agli studenti peggiori e turbolenti può essere negata l’iscrizione, in modo che essa diventi la scuola dei migliori, indipendentemente dall’appartenenza al ceto sociale, in base al principio della salvaguardia delle pari opportunità. Meglio la scuola dei preti, ma con programmi ministeriali che prevedano l’esclusione dell’insegnamento della religione cattolica, da sostituirsi con l’insegnamento di storia delle religioni. Lo stesso discorso vale per le Università, dove, superato un concorso, il docente può anche smettere di studiare, divenendo inamovibile. Soltanto le Università private, finanziate dallo Stato, permetterebbero la selezione dei professori e degli studenti migliori.
Si
aggiunga che oggi la scuola media, inferiore e superiore, non può
dare economicamente dignità sociale ad un professore, per cui
essa è ormai, per il 90%, costituita da un corpo di insegnanti
donne. E valgono su questo punto le considerazioni che faceva
Schopenhauer sul carattere femminile. “Le donne, data la debolezza
della loro ragione nel comprendere i principi universali,
nell’attenervisi e nel prenderli come norma, sono molto meno capaci
degli uomini nella virtù della giustizia…; superano invece
gli uomini nella virtù dell’amore del prossimo, perché
la spinta in questo caso è per lo più concreta e parla
direttamente alla compassione, alla quale le donne sono decisamente
più accessibili…La giustizia è una virtù
piuttosto maschile, l’amore del prossimo piuttosto femminile” (Il fondamento della morale). Se
così è, si può dire che
la
scuola in Italia è dominata dalla compassione piuttosto che
dal merito.
Ha
scritto Einstein, non riconoscendosi in alcuna identità
culturale: “In contrasto col mio senso ardente di giustizia e di
dovere sociale, non ho mai sentito la necessità di avvicinarmi
agli uomini e alla società in generale. Sono un cavallo che
vuol tirare da solo; mai mi sono dato pienamente né allo Stato
né alla terra natale, né agli amici e neppure ai
congiunti più prossimi; anzi ho sempre avuto di fronte a
questi legami la sensazione netta di essere un estraneo…Un uomo di
questo carattere ci guadagna una larga indipendenza rispetto alle
opinioni, abitudini e giudizi dei suoi simili; né sarà
tentato di stabilire il suo equilibrio su basi così
malferme”.1
Se Einstein avesse riflettuto sul diritto naturale, anche
considerando che diventò vegetariano, avrebbe riconosciuto, non un
contrasto, ma un accordo tra la sua non identità culturale e
la giustizia.
In
questo senso l’ebreo ateo Einstein rimane il migliore esempio di
uomo senza identità, cioè senza cultura, essendo stato metaculturale.
3 commenti:
Professore, sono d'accordo sul discorso della scuola privata ma c'è un passaggio su cui dissento, quello per cui siccome il 90 per cento del mondo insegnanti è femmina, esse sono più portate par la compassione che per la giustizia.
Lei dimostra di essere un uomo di grande levatura, ma quando tocca il mondo femminile è decisamente pieno di pregiudizi.
E' sicuro che le donne siano così?
Indubbiamente il carattere femminile è diverso in alcune cosse da quello maschile (non per nulla esistono due sessi e bene sarebbe che tali rimanessero), ma ognuno dei due ha peculiarità che possono essere negative o positive.
Da come scrive lei, basandosi su un pensiero di Schopenhauer, sembra che le donne siano degli esserini senza capacità di giudizio che non siano in grado di riconoscere "il giusto".
Qua si parla di scuola...le dirò, avendo avuto parecchie professoresse donne, che sono molto più in grado di riconoscere meriti nello studio che non i maschi, spesso allupati dalle gambe delle studentesse.
Poi sul resto e sul fatto che la scuola pubblica di oggi sia un cesso e sia meglio la privata sono d'accordo.
Cecilia.
Se veramente oggi la scuola si decidesse ad accogliere "cani e porci" la scuola sarebbe assai migliore.
Essendo uno studente di un liceo scientifico mi rendo conto che è in corso una secolarizzazione che porta, come ha detto lei, ad un appiattimento del linguaggio e della cultura in generale. Ne ha parlato molto nel suo libro "Scontro tra culture e metacultura scientifica", che sto leggendo: esiste un solo linguaggio "metaculturale" perché libero, incondizionato. Oggi, invece, complice la cultura del multiculturalismo e di un solito ecumenismo interreligioso si cerca di imporre il rispetto delle diversità religiose, culturali, fino ad ammettere abusi in evidente contrasto con il proprio ordinamento giuridico laico. Non esistono le identità: esiste la specie umana (razza umana per Einstein, anche se un po' erroneamente).
D'accordo con Cecilia. Le posso assicurare, prof., che solo le donne sono state finora i miei migliori insegnanti. Può essere vero quello che dice lei, ma non mi piacciono le generalizzazioni, dipende molto dall'individualità di ciascuno.
Marcus
Vengo criticato per avere citato Schopenhauer riguardo alle donne. Io ho circoscritto il pensiero di Schopenhauer alla scuola. Non ho voluto dire che una donna sia meno capace di insegnare rispetto ad un uomo. Ho voluto dire che, se si tratta poi di valutare o meno il caso di bocciatura, nella donna può prevalere il sentimento sul merito. Volevo inoltre rilevare che la scuola pubblica è declassata per il fatto che l'insegnante ha un basso stipendio che rende l'uomo socialmente poco qualificato. Mi immagino un dialogo tra due donne.
Che fa suo marito? domanda una delle due. Lavora in banca. E suo marito? Insegna in una scuola, risponde l'altra.
Poveretto (pensa l'altra ma non lo dice per non offendere l'altra donna). Una scuola privata che diventasse scuola d'eccellenza darebbe stipendi superiori riqualificando l'insegnante socialmente. Come in Francia.
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