Dal mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica. L'Occidente e il diritto naturale. Nelle sue radici greco-romano-cristiane. Non giudaiche e antislamiche.
Gustavo Zagrebelsky, professore emerito di diritto costituzionale all'Università di Torino, ex presidente della Corte Costituzionale, opinionista del quotidiano La Repubblica, è stato relatore (il 20 settembre 2000) di una sentenza scriteriata perché del tutto illogica.
Gustavo Zagrebelsky, professore emerito di diritto costituzionale all'Università di Torino, ex presidente della Corte Costituzionale, opinionista del quotidiano La Repubblica, è stato relatore (il 20 settembre 2000) di una sentenza scriteriata perché del tutto illogica.
Egli, partendo “dai principi fondamentali di
eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione (art.3
Costituzione) e di eguale libertà davanti alla legge di tutte le
confessioni religiose – ma i costituenti , ignoranti, avrebbero
dovuto scrivere “religioni” perché le confessioni sono interne
ad una religione – aggiungendo che “non può assumere alcuna
rilevanza il dato quantitativo della adesione più o meno diffusa
a
questa o a quella confessione, religiosa”, e precisando che”la
posizione di equidistanza e imparzialità è il principio di
laicità”
dello Stato, “caratterizzato in senso pluralistico”, ha concluso
assurdamente, in contrasto con il principio della laicità dello
Stato – e senza percepire minimamente la contraddizione – che
“il
ripristino dell'eguaglianza violata (con l'art.402 del Codice
Penale)
possa avvenire non solo abolendo del tutto la norma che
determina
quella violazione, ma anche estendendone la portata per
ricomprendervi i casi discriminati”, convinto che “il principio
di laicità non implichi indifferenza e astensione dello Stato
dinnanzi alle religioni, ma legittimi interventi legislativi a
favore della libertà di religione”.
Sulla base di questa scriteriata sentenza, firmata
da 15
componenti della Corte, Dio, anche se per gli atei non esiste, è stato
trasformato
in una pluralità di soggetti giuridici, diverso per ogni
religione,
e i seguaci di ogni religione sono stati riconosciuti, per dirla
con
Montesquieu, avvocati di Dio, che in tal modo, nella sua
pluralità
giuridica, avrebbe bisogno degli uomini per difendersi con
denunce.
“Il male in questo caso è venuto dall'idea che bisogna vendicare
la divinità”, scrive Montesquieu (Lo spirito delle leggi,
XII, 4). E ancor prima il giusnaturalista cristiano Samuel
Pufendorf
separando il diritto naturale dalla teologia morale della
religione
rivelata, rivendicava il diritto di essere atei e di bestemmiare
(De
habitu religionis christianae ad vitam civilem, 1686, par.
7).
Zagrebelsky e gli altri 14 scriteriati della Corte
Costituzionale non hanno capito che con la loro sentenza anche
la
setta religiosa più pazza avrebbe diritto ad una tutela penale.
D'altra parte i 15 hanno mancato di citare il II comma dell'art.
8
della Costituzione che recita: “Le confessioni religiose diverse
da
quella cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i
propri
statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico
italiano”.
Da cui si evince che l'islamismo, non potendo non
trarre un suo statuto dai comandamenti del Corano – compresi
quelli che,
ampiamente citati nel florilegio del cap. 5, sono una patente
istigazione a delinquere (art.414 Codice Penale) in quanto
predicano
la violenza contro gli infedeli sino all'omicidio di massa -
avrebbe
uno statuto contrario all'ordinamento giuridico italiano. Hanno
mai
letto il Corano i 15 scriteriati che hanno firmato la sentenza?
Se
non l' hanno letto sono degli ignoranti che hanno preteso di
giudicare su ciò che ignorano. Se l'hanno letto hanno
riconosciuto
pari dignità ad una religione il cui libro giustifica il
terrorismo
islamico. Il terribile pasticcio a cui sono pervenuti i 15
scriteriati è causato da due motivi: 1) l'avere contraddetto il
principio della laicità dello Stato attribuendo una tutela
penale
ad ogni religione, mentre avrebbero dovuto ignorarle tutte per
quanto riguarda le credenze religiose in senso stretto, non
potendo
esistere il reato di vilipendio di una religione, anche perché
il
termine “sacro” non può far parte del linguaggio della politica
in uno Stato laico e liberale; 2) l'avere ignorato che ogni
religione
nei suoi statuti, cioè in quei principi che riguardano, non i
dogmi
religiosi in senso stretto, ma l'esercizio del culto esterno
nell'opera di proselitismo, non deve essere in contrasto con
l'ordinamento giuridico.
E' quanto già Spinoza aveva spiegato nel suo Trattato
teologico-politico (cap. XVI) distinguendo il culto
interno da
quello esterno, che deve rimanere sotto il controllo dello
Stato, in
quanto deve “accordarsi con la pace e la sicurezza dello Stato”
(cap. XIX). Se poi si dicesse che la tutela penale riguarderebbe
la
difesa della sensibilità religiosa di un individuo o di una
comunità, sarebbe ancora peggio. Chiunque, a maggior ragione, si
sentirebbe in diritto di denunciare chi avesse “offeso” un
sentimento soggettivo che deriva, non da un rapporto
dell'”offeso”
con un altro soggetto giuridico, ma dal rapporto dell'”offeso”
con se stesso a causa di una sua particolare e personale
credenza,
che non può avere maggiore valore solo perché l'”offeso” si
ammanta di sacralità , anche quando dietro il “sacro” si
riparano credenze che debbono essere ritenute menzogne, o
comunque
falsità, da un ateo, il quale, al contrario del credente, viene
lasciato senza tutela penale nel suo diritto alla dissacrazione,
in
violazione dell'eguaglianza di fronte alla legge. La
dissacrazione è
stata l'arma che, facendo valere la libertà di pensiero, ha
contribuito alla nascita della concezione laica e liberale dello
Stato. D'altra parte, il cristianesimo non si è forse affermato
dissacrando le divinità pagane? E se vi fosse qualcuno che
dichiarasse – anche se in malafede – di credere ancora negli dei
dell'Olimpo? Se offendesse Zeus offenderebbe la sensibilità di
chi
affermasse di credere in Zeus? Se si obiettasse che soltanto un
pazzo
potrebbe credere ancora nell'esistenza di Zeus l'ateo potrebbe
rispondere che ci vuole una buona dose di pazzia tranquilla per
credere in Gesù figlio di Dio, concepito verginalmente con lo
Spirito Santo e morto e risorto per essere assunto in cielo con
il
corpo. E ci vuole una forte pazzia violenta per credere che il
Corano
sia stato dettato ad un analfabeta (Maometto) da Allah tramite
l'arcangelo Gabriele. E si potrebbe aggiungere che il confine tra
la
sanità e la malattia mentale non è ben definito, trattandosi di
questioni di fede. Per coerenza si dovrebbe riconoscere una
tutela
penale anche alla sensibilità religiosa di chi sia seguace delle
sette religiose più pazze, compresa quella dei satanisti.
Altrimenti
dovrebbe essere la legge a stabilire, entrando in merito al
contenuto
delle credenze religiose, se una credenza religiosa, in quanto
tale,
sia buona o cattiva e il relativo sentimento religioso sia degno
di
una tutela penale. Per tutti questi motivi uno Stato non può
riconoscere una tutela penale alle religioni. L'alternativa
sarebbe -
in contrasto con il citato art. 3 della Costituzione – la
discriminazione tra diverse religioni. E' anche evidente che lo
Stato
non può riconoscere l'8 per mille alle organizzazioni religiose.
Altrimenti dovrebbe riconoscerlo anche ai satanisti, se questi
si
riunissero in un'organizzazione nazionale sulla base di uno
statuto i
cui principi non comportassero, al contrario del Corano,
atti
di violenza ma si limitassero ad un culto incruento di Satana.
Non
basta, chi ateo dà l'8 per mille allo Stato, cioè a tutti –
anche
a coloro che non lo danno allo Stato – si trova ad essere
discriminato rispetto a chi lo dà alle organizzazioni religiose,
senza averne alcun ritorno, se non ha la possibilità di tenere
per
sé l'8 per mille, che pertanto è anticostituzionale.
Tutte queste conseguenze sono sfuggite ai 15
scriteriati
della Corte costituzionale .
Zagrebelsky1,vittima
del relativismo del multiculturalismo, analizzando il conflitto
tra
Creonte (tiranno di Tebe) e Antigone (sorella di Polinice),
nella
tragedia di Sofocle Antigone,
offre una grave e confusionaria soluzione al conflitto tra la
superiore legge naturale a cui si appella Antigone e la legge
dello
Stato a cui si appella Creonte, ed affaccia come causa del
conflitto
una mancanza di dialogo: “essi sono soggetti che...non sono in
dialogo con la natura e con la società, e che non tollerano di
umiliarsi. Il problema diventa politico e consiste nella
domanda:
come essi debbano porsi nel reciproco confronto...Occorre
assegnare
loro non una ragione teoretica ma una ragione
pratica che consenta di vivere
insieme.
Antigone e Creonte, che pur hanno ragione, ognuno per la sua
parte,
risultano entrambi colpevoli di hibris,
di orgoglio smisurato, sono presi dalla pretesa insolente di
perseguire la propria solitaria idea di giustizia e si espongono
entrambi alle conseguenze della tragedia”.
In sostanza, secondo Zagrebelsky, la soluzione
sarebbe
dovuta consistere in una “saggezza pratica autentica”, di
aristotelica memoria, in un dialogo tra esseri umani immersi
nelle
circostanze della vita”.
Vuote ed insulse banalità dettate da compromessi
politici,, che, proponendo la solita parola magica “dialogo”,
oggi di moda, inquinano la giustizia.
Anzitutto Zagrebelsky ha confuso la legge naturale
con
il diritto naturale, ignorando che il diritto naturale, come
diritto
dell'individuo, non era stato ancora scoperto, e non poteva
essere
scoperto, in una concezione etica dello Stato come quella
dell'antica
Grecia sino ad Aristotele, in cui il collettivo della comunità
politica prevaleva sull'individuo, e che il diritto naturale si
affaccerà quando la legge naturale con lo stoicismo, superando i
confini nazionali e razziali, per volgersi verso l'egualitarismo
di
una comune ragione universale e trasformando l'individuo da
animale
politico in animale sociale per un comune senso di appartenenza,
prima che ad una organizzazione politica, ad una humanitas,
per l'interiore libertà morale dell'individuo, da cui nasce il
diritto di natura – si innesterà nel diritto soggettivo del
diritto romano e nella dottrina cristiana sulla base del
concetto di
“persona”, che sottrae l'individuo alla politica, cioè allo
Stato. Si tratta delle origini antiche del giusnaturalismo
moderno.
In secondo luogo la soluzione non poteva consistere nella
saggezza
quale fu intesa da Aristotele, che distinse la saggezza – come
“disposizione naturale accompagnata da ragione verace intorno ai
beni umani” (Etica nicomachea, VI, 5) – dalla giustizia,
che in senso stretto è per Aristotele giustizia riparatrice
(civile
penale) e giustizia distributiva (ibid., V, 4-5). La saggezza è
per
Aristotele una virtù che, riguardando il particolare e non
l'universale, non può essere richiesta a tutti, dipendendo essa
da
due fattori: la disposizione naturale e l'esperienza, insieme
con
l'esercizio continuo della saggezza, che dura tutta la vita, per
cui
soltanto nell'età matura si può diventare saggi (ibid., V, 8).
Per
questo motivo la saggezza deve essere richiesta ai governanti
(Politica, III). Ma per Aristotele, al di sopra della
saggezza, esiste un “giusto per natura”universale tra gli
uomini,
che “non dipende dal fatto che qualcosa ad uno sembri buono e ad
un
altro no” (Etica nicomachea, V, 7). E il giusto per
natura è
per Aristotele è il presupposto teorico della deliberazione
politica, e perciò della saggezza (phronesis) nel giusto
legale.
Pertanto la soluzione del conflitto tra legge
naturale e
legge positiva non poteva consistere nell'accordare ad ogni
costo la
legge naturale con la legge dello Stato, ma nell'individuare da
quale
parte stesse la legge naturale, dalla parte di Antigone, che,
volendo
seppellire entro le mura di Tebe il cadavere del fratello
Polinice,
voleva far prevalere un suo sentimento, o dalla parte di
Creonte,
che, di fatto, anche senza esserne cosciente, con il suo divieto
di
seppellire Polinice entro le mura della città, puniva una
precedente
violazione della legge naturale da parte dello stesso Polinice,
che,
alleatosi con lo straniero era un traditore della sua città, e
perciò un nemico della legge naturale posta a difesa della vita
dei
suoi concittadini. Tutto ciò è sfuggito al confusionario
Zagrebelsky, che ha proposto un compromesso tra la legge
naturale e
la legge positiva, snaturando così la legge naturale, che, in
quanto
tale, deve rimanere al di sopra di ogni legge positiva,
considerata
quest'ultima soltanto una modalità storica in cui la legge
naturale
viene applicata (S. Tomaso, Summa thelogiae, II, 1
q.95), per
cui anche un'asserita superiorità morale religiosa, secondo S.
Tomaso, non può tradursi in una superiorità legale (De
regimine
principum, I, 1-4).
Non vi è dunque da meravigliarsi che tali e tante
confusioni da parte di Zagrebelsky siano state introdotte anche
dentro la Corte Costituzionale e si siano manifestate nel grave
pasticcio della sentenza che estende la tutela penale a tutte le
religioni, nel compromesso del relativismo e del
multiculturalismo in
cui viviamo, e che contagia anche la Corte Costituzionale, con
una
paradossale violazione della stessa Costituzione (art. 8, II
comma).
Si è così tornati indietro rispetto al
giusnaturalismo
di S. Tomaso, a quello di Pufendorf e a quello dell'illuminista
Montesquieu, nella incredibile conclusione, che, essendo tutte
le
religioni degne di tutela penale, non si ha più alcun punto di
riferimento che valga a stabilire se vi siano principi migliori
di
altri. E così si mette il cristianesimo allo stesso livello
dell'islamismo e del culto della dea Kalì, favorendo una sorta
di
castrazione dell'Europa nell'impedire che si riconoscano, pur in
una
concezione laica dello Stato, le radici
greco-romano-cristiane
dell'Europa, che sono anche le stesse radici della laicità dello
Stato.
1 Nomos basileus (Legge sovrana), Rizzoli 2006.
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“Per capire chi vi comanda basta scoprire chi non vi è permesso criticare”
17 giu 2017 - di Filippo Facci. Il Consiglio di disciplina dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia mi ha sospeso per due mesi dalla professione e dallo ...
3 commenti:
Eccellente Professor Melis,
per limitarmi a un solo punto del tema, già i saggi Romani avevano stabilito che "le offese agli dei" sono materia che riguarda gli dei stessi e non gli uomini, i quali non possono pretendere di diventare -per l'appunto- "avvocati degli dei" ( o di dio al singolare, che è lo stesso ) : dove giammai starebbe la procura con tanto di firma da parte di una divinità a una persona ?? GM
E poi agli "dei", nn credo che gli serva che l'uomo li difenda, altrimenti che "dei" sarebbero.
i 5 più 5 più 5...quelli che fanno finta di NON accorgersi delle "leggi" anticostituzionali quando i "geni" le sfornano. Le dichiarano "incostituzionali" SOLO quando hanno fatto DANNI IRREPARABILI a scapito dell'interesse del "Popolo"? Un'accozzaglia di...
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