I cacciatori sono dei subanimali. Infatti i predatori non uccidono per divertimento ma per motivi di sopravvivenza. I cacciatori sono peggio dei macellatori perché nemmeno questi si divertono uccidendo. Godo ogni volta che ho notizia che qualcuno di questi subanimali è crepato per incidente di caccia. Sono anche vigliacchi perché usano una rosa di pallini che non lasciano scampo alla povera vittima di questi subanimali, la cui vita vale meno di quella delle loro innocenti vittime. Se non esistesse la galera a difesa della vitaccia di questi subanimali ....
Richiami vivi, il governo ci condanna all'infrazione - Beppe ...
www.beppegrillo.it/movimento/parlamento/agricoltura/2014/06/richiami..
IL PD SPACCATO IN DUE
PETIZIONE
https://www.change.org/petitions/stop-tortura-piccoli-uccelli-per-farne-richiami-vivi?utm_source=action_alert&utm_medium=email&utm_campaign=97325&
Dal mio libro IO NON VOLEVO NASCERE
Dal mio libro IO NON VOLEVO NASCERE
Gli
uomini possono essere distinti in cinque categorie. 1) veri uomini;
2) uomini veri; 3)uomini comuni; 4) semiuomini; 5)falsi uomini
(subanimali).Le prime tre categorie possono comunicare tra loro, non
esistendo alcuna cesura fra esse.
Sono veri uomini coloro che
arrivano ad avere una concezione tragica dell’esistenza,
consapevoli che essa è nulla, non esistendo risposte alla
domanda sul significato della vita. I veri uomini non danno mai
troppa importanza a ciò che fanno, anche quando siano uomini
di grandi imprese nella conoscenza scientifica, che non può
dare alcuna risposta circa il senso della vita. Essi vivono
un’esistenza autentica. Si potrebbe portare come esempio massimo la
grande figura di Marc’Aurelio, che, pur essendo imperatore e
condottiero di eserciti – e come tale si sentiva portatore di una
missione storica nel difendere i confini dell’Impero – tuttavia
percepiva che anche la sua vita non aveva alcun significato. Il suo
stoicismo ruppe le dighe del rassegnato ottimismo di Epitteto,
confortato da una prospettiva razionale del mondo, per dilagare in un
pessimismo cosmico a causa delle infiltrazioni di un epicureismo che
funse da alimento di una interiorità divenuta riparo da una
visione delle cose del mondo considerato privo di scopo e di senso.
Egli si conquistò tale interiorità pur combattendo
vittoriosamente contro i Germani che avevano superato i confini
dell’Impero e ristabilendo l’ordine delle armi in Oriente. Il
sentimento della caducità e della precarietà della
condizione umana gli derivava anche dal ritenere, al contrario di
Epitteto, che valutava l’importanza della logica, che tutto fosse
opinione: “Tutto è opinione…Il tempo dell’umana vita è
un punto; la sua materiale sostanza un perenne fluire; la sensazione
tenebra; l’organismo corruzione; il principio vitale l’aggirarsi
di una trottola; la fortuna non si può indagare; la gloria è
cieca…sogno e vanità” (Ricordi,
II,15). “Tutto dura un giorno…” (IV, 35). “La totalità
dei tempi è …corrente che a forza travolge… Le singole
cose, appena venute, già sono trasportate via” (IV, 43).
“Nulla di nuovo: ogni cosa, sempre quella; e ogni cosa rapidamente
trapassa” (VII, 1).Ma se il mondo non ha senso, Marc’Aurelio lo
trova come proiezione di un atteggiamento ispirato al dovere di
sentirsi responsabili all’interno dei rapporti umani: “Ogni uomo
è un mio affine, non certo per identità di sangue o di
seme, ma in quanto partecipe di una mente e di una funzione che è
divina, cui spetta il sovrano dominio”. Da qui la missione da lui
sentita “di un governo in cui la legge abbia vigore per tutti;
governo informato a eguaglianza e a libertà di parola, un
regno capace di rispettare per suprema ragione la libertà dei
sudditi” (I, 14). La fede in una provvidenza nella storia viene
intaccata dal dubbio ispirato dalla concezione epicurea che vede
nella natura formata da atomi il dominio della casualità (XII,
14). E allora basta accontentarsi della ragione che è in noi e
vivere nel presente senza aspettarsi un premio nell’aldilà.
(VII, 73). “Cerca di mettere a profitto il presente con giusta
ragione e con giustizia” (IV, 26).
Sono uomini veri (cioè di
verità) coloro che contribuiscono al miglioramento della vita
portando avanti l’impresa scientifica. Esempio di tale categoria è
Einstein, che potrebbe appartenere anche alla prima se avesse
coerentemente ed apertamente detto che nemmeno la relatività
generale e il modello cosmologico dell’universo stazionario
potevano dare una risposta alla domanda circa l’origine
dell’universo, il significato dell’esistenza umana o di qualsiasi
forma di vita intelligente nell’universo. Quando seppe che Hubble
nel 1929 aveva scoperto che l’universo non era stazionario ma in
espansione, cadde in crisi e ritenne che il suo modello cosmologico
fosse il grande errore della sua vita. Errore che si trasformò
in una grande vittoria quando recentemente fu scoperta l'energia del
vuoto (o energia oscura), che è la forza di espansione
dell'universo visibile e che contrasta la forza di gravitazione. Ma
il suo trascurare ogni interesse per una vita comune, fatta di
banalità quotidiane (si sposò due volte soltanto per
scaricare sulle mogli i fastidi di una vita materiale), il suo
sentirsi non appartenente ad alcuno Stato, il suo pacifismo che lo
portò a rinunciare alla cittadinanza tedesca, ancor prima
della salita al potere del nazismo, per assumere poi quella svizzera
al fine di sottrarsi al servizio militare, il suo stesso non sentirsi
nemmeno ebreo, se questo significava credere nelle idiozie della
Bibbia, tutto ciò lo può porre anche nella categoria
dei veri uomini. Ma non basta essere grandi scienziati (cioè
uomini veri, che sono tali perché mettono a frutto la
razionalità che distingue l’uomo dagli altri animali -
essendo, come disse già Aristotele, il fine maggiore
dell’esistenza umana la conoscenza scientifica - per essere anche
veri uomini. Includerei in questa categoria anche i grandi artisti,
sebbene oggi sia per me difficile, se non impossibile, credere che ve
ne siano ancora se si arriva persino a delle aberrazioni che
consentono di esporre come arte una “merda d’artista”. La
musica, non quella leggera, che non è arte – facendo parte
del costume - è arrivata ad un punto di crisi tale da far
pensare che non si tratti più di musica ma di sperimentazione
cacofonica.
Appartengono
alla terza categoria (uomini comuni) tutti coloro che appartengono al
mondo del lavoro manuale e dei servizi che sono necessari per la vita
animale e sociale. Essi vivono nella banalità quotidiana.
Hanno il peso di un’esistenza intesa come ricerca della
sopravvivenza materiale, pur essendo benemeriti per il lavoro che
fanno. Che tuttavia li priva- perché immersi nel quotidiano
della routine della vita, con tutte le sue miserie - della capacità
di elevarsi ad un livello superiore nella coscienza. A questa
categoria appartiene quasi tutta l’umanità. Dai contadini,
ai commercianti, agli impiegati dei vari uffici. Ma sono da
includervi anche giudici ed avvocati, che vivono una vita
spiritualmente miserevole, costretti a dedicare il tempo, non allo
studio, ma alle scartoffie dei fascicoli di causa che esprimono
quanto di più di miserevole vi sia nella vita, quella che si
svolge nei Tribunali. Vi includerei anche i medici quando siano
soltanto degli operatori (anche chirurgici) che non partecipino con
lo studio al progresso della conoscenza nella medicina. Da
aggiungervi anche tutti i professori universitari che sfornano
nozioni ed erudizione esponendo le idee degli altri, incapaci di
averne delle proprie perché privi di originalità di
pensiero ed incapaci di far avanzare la ricerca scientifica. Vi
includerei anche tutti i filosofi, se essi non dovessero essere
inclusi in una categoria peggiore per il loro continuare a
rimasticare concezioni morali dietro il paravento di un’erudizione
e di un linguaggio per iniziati che nasconde la loro povertà
di pensiero ed il danno che essi costituiscono nel loro perpetuare
una concezione antropocentrica, e perciò antiscientifica, del
mondo. Si vedrà ciò nell'ultimo capitolo, limitandomi
ad analizzare la miseria della filosofia in Italia, portata da coloro
che nei mass media
si ritengono, o sono ritenuti, maestri di pensiero, mentre in realtà
sono dei falliti incoscienti di esserlo.
Appartengono
alla quarta categoria (dei semiuomini) tutti coloro che vivono da
parassiti nel mondo effimero dello spettacolo da intrattenimento, che
non si eleva al livello dell’arte, che è creatività.
A questa categoria appartiene anche quasi tutto il mondo del cinema,
che produce ormai roba da buttar via e che non rimarrà
certamente nella storia del cinema. Vi appartiene anche il mondo
della musica leggera (quando non raggiunga il livello di una arte
minore, ammesso che si possa parlare d’arte, se pur minore, e non
di artigianato, nel campo della musica leggera) con tutti i suoi
falsi miti, che riescono a radunare masse di ebeti urlanti ed
applaudenti, che si annoierebbero a morte ascoltando Bach o Wagner.
Di questa gente bisogna avere un assoluto disprezzo. Vi appartengono
anche i calciatori (parassiti che si arricchiscono grazie agli
imbecilli che pagano per vedere una partita sul campo o alla TV.),
come anche quelli dediti ad altre discipline sportive, che si
rovinano la giovinezza e la salute sottoponendosi a sforzi muscolari
che sono innaturali. Le Olimpiadi sono il pietoso spettacolo di una
umanità inutile dedita alla ricerca di primati del corpo, e
non della mente. Le discipline sportive non apportano certamente
alcun contributo al miglioramento spirituale e materiale della vita
umana. Includo nella stessa categoria anche il mondo della moda, che
pretende di essere creatività, mentre è soltanto
superficialità dedita all’arricchimento. Vi includo anche
tutti coloro che vivono per arricchirsi, compresi i grandi
industriali, che apparentemente sono dei benemeriti quando siano
stati capaci di creare una grande impresa creando posti di lavoro. Ma
il loro fine è l’arricchimento e la ricerca di potere, non
certamente quello di migliorare la condizione sociale dei lavoratori.
Essi, inoltre, sfruttano le idee altrui (scientifiche e tecnologiche)
per il miglioramento della produzione. In generale, con poche
eccezioni, non si arricchiscono coloro che hanno idee, ma coloro che
hanno capitali per acquistarle. Vi appartengono anche quasi tutti i
politici che formano la palude dei parlamenti, a cui arrivano per
sete di poltrone e non per capacità, essendo marionette
manovrate dai capi dei partiti, pronte a votare secondo disposizioni
che vengono dall’alto, senza nemmeno conoscere i testi delle leggi
che stanno votando. Ma non sono da escludere nemmeno quelli che, per
esempio in Italia, hanno il reale potere, e che si possono contare
non andando oltre le dita di due mani. Sono le solite facce che
appaiono alla TV. Non vi è uno tra essi che abbia la statura
di vero uomo di Stato, libero dalle beghe di partito e considerante
la politica un servizio piuttosto che manifestazione di potere. Per
questo ormai dal 1994 appartengo al partito dei non votanti.
Bisognerebbe diminuire il numero degli eletti in proporzione al
numero dei non votanti, fatta salva una fascia fisiologica (10-15%)
di non votanti. Bastano 50.000 firme per una legge di iniziativa
popolare. Ma poi dovrebbe essere il parlamento ad approvarla. E i
raccattatori di voti si opporrebbero all'approvazione di una legge
che minacciasse il loro potere. In alternativa bisognerebbe mutare la
Costituzione per permettere che una legge di iniziativa popolare
fosse approvata direttamente dagli elettori con un referendum
propositivo, che si aggiungesse a quello abrogativo di una legge
votata dal parlamento. Ma per mutare la Costituzione si dovrebbe
trovare un gruppo di parlamentari, anche minoritario, capace di
formulare un disegno di riforma costituzionale da sottoporre
all'approvazione della maggioranza degli elettori. Allora i parassiti
della politica verrebbero messi con le spalle al muro e non non
avrebbero più l'arroganza di chi sa di avere la poltrona
assicurata indipendentemente dal numero dei votanti. Senza questa
riforma non vi potrà essere mai vera democrazia. Rousseau l'ha
insegnato concependo una volontà popolare che si possa
esprimere direttamente senza passare attraverso le strettoie e le
pastoie di una democrazia cosiddetta rappresentativa, dove l'eletto
non ha alcun vincolo di mandato.
Ha
scritto Aristotele (Politica,
VIII) che ogni popolo ha il governo che si merita. Io aggiungo che
ogni governo ha il popolo che si merita. Un governo che vuole
combattere l’evasione fiscale dissipando esso stesso il danaro
pubblico per alimentare le clientele e per mantenere milioni di
individui che vivono di politica – non volendo dimezzare, almeno,
il numero dei parlamentari, non volendo abolire le inutili regioni e province né accorpare i piccoli
Comuni in un unico Comune (bastando negli altri un ufficio per
rilasciare certificati) – si merita un popolo di evasori fiscali.
L'istituzione delle regioni con poteri legislativi, invece che solo
amministrativi, ha causato una pletora di leggi regionali che,
confliggendo spesso con quelle statali per sovrapposizione ad esse,
ha portato ad una parcellizzazione del potere centrale a beneficio di
interessi locali, anche mafiosi, volti ad una aggressione del
territorio. Si è così identificato il decentramento
amministrativo con quello legislativo. Si potrebbero aumentare con il
risparmio sulla politica almeno le pensioni minime.
Appartengono
alla quinta categoria (dei subanimali) tutti gli assassini,
specialmente coloro che tolgono la vita agli innocenti. Per essi,
come disse già Platone (Leggi,
IX), “la pena è la morte, il minore dei mali, esempio utile
a tutti gli altri, che senza onore lo vedranno annientato”. Coloro
che appartengono alle organizzazioni a delinquere sono la specie
peggiore nella categoria degli assassini. Essi si identificano il più
delle volte con i trafficanti di droga. Anche Beccaria era favorevole
alla pena di morte per costoro, sebbene nessuno lo dica per ignoranza
o disonestà intellettuale e politica. Beccaria, come Rousseau,
li considerava nemici dello Stato, non più cittadini. E’
bene che essi periscano, dice Rousseau (Contratto
sociale), se non
vuole perire lo Stato. Costoro non possono nemmeno essere considerati
uomini. Debbono essere annientati come subanimali. Oltre che
criminali sono anche stronzi, perché vivono o nascosti, perché
ricercati, o con la paura di essere eliminati nella guerra tra bande.
Dunque non possono nemmeno godersi la grande massa di danaro che
manovrano, comandando anche dal carcere, ricattando guardie
carcerarie, direttori delle carceri e anche giudici. Se fossero
soltanto animali non umani, sarebbero certamente migliori, perché
gli animali non umani non uccidono mai per crudeltà ma per
ragioni di sopravvivenza alimentare. Soltanto la pena di morte ci
libererebbe per sempre da questi schifosi subanimali.
Sono
da includere nella quinta categoria anche tutti i cacciatori, che
reputano uno sport l’uccidere, i macellatori e i macellai, come
pure quelli che, pur non essendo assassini di uomini, tuttavia sono
di una insensibilità che arriva al piacere della crudeltà,
sia nei riguardi degli uomini che degli animali non umani. Sono dei
subanimali tutti gli ebrei osservanti del kosher e gli islamici
osservanti della halal, cioè della “macellazione rituale”,
perché credono che il povero animale che finisce in un
mattatoio sia impuro se non viene macellato in stato di coscienza,
con crudele e lenta morte per dissanguamento mentre, legato per
terra dagli ebrei osservanti, si divincola tremendamente per
sottrarsi agli spasmi della morte.1
Alla
stessa categoria appartengono i fanatici religiosi che uccidono
convinti di diventare martiri e guadagnarsi così dei meriti
presso un dio nato da menti farneticanti. Sino a quando non si capirà
che molti uomini sono tali soltanto biologicamente, mentre essi vanno
considerati sotto il livello dell’animalità, si continuerà
a blaterare anche in filosofia della “dignità della persona
umana”.
Ho
un tale odio per questa umanità subanimale, che di fronte a
notizie di atti di crudeltà degli uomini nei confronti degli
animali non umani, veri innocenti della Terra, anche quando sono
predatori, ma per ragioni di sopravvivenza, godrei nell'essere un
boia nei confronti di questi subanimali. Con quale gioia metterei il
cappio al loro collo e manovrare una leva per aprire la botola e
vederli scendere impiccati. Mi fanno più impressione gli atti
di crudeltà nei confronti degli animali non umani che quelli
commessi nei confronti degli uomini. Forse perché questi
rientrano, anche se innocenti, nel concetto di umanità, almeno
intesa come specie. Come, purtroppo, anche i subanimali della mafia.
Un bel cappio al collo e questa feccia sparirebbe per sempre. Buffone
o connivente (e perciò corrotto) lo Stato che crede di
combattere la mafia democraticamente, quando è la stessa
“democrazia” il terreno di coltura della mafia. Basterebbe 1/3 di
Hitler riveduto e corretto (senza antisemitismo) per estirpare la
mafia nel tempo di un mese. Mi viene il vomito a sentire i soliti
discorsi inconcludenti contro la mafia, pensando che possa essere
eliminata educando la società “civile”, a iniziare dalla
scuola, o cambiando il clima culturale con libri (come Gomorra)
o film (come la Piovra)
contro la mafia, che, invece, la rendono più forte, quando è
la stessa società, volente o non volente, ad essere permeata
dalla mafia. Il fascismo riuscì soltanto ad addormentare la
mafia con il prefetto Mori, con un sostanziale accordo con essa.
Si
dice spesso, di chi abbia commesso un efferato delitto, che egli ha
avuto un comportamento “bestiale”. Niente di più errato.
Quest'individuo sarebbe stato migliore se fosse stato “bestiale”.
Il termine dispregiativo “bestia” (che dovrebbe essere sostituito
dall'espressione “animale non umano”) nasce da una tradizione
antropocentrica. In realtà le cosiddette bestie sono migliori
dei subanimali umani perché esse non uccidono mai per crudeltà
ma per la necessità di sopravvivere nella catena alimentare
preda-predatore, essendo normale che non si uccidano tra loro animali
appartenenti alla stessa specie.
Dovrei
aggiungere una sesta categoria, trasversale, in cui includere tutti
coloro che, da ipocriti e da impostori, mangiano carne ma non
avrebbero mai il coraggio di andare almeno una volta nella vita in un
mattatoio per ricavarsi da sé la carne che mangiano. Essi non
devono ritenersi migliori dei macellatori.
Mi
rimangono dei dubbi circa il collocamento di uomini come i buddisti e
tutti coloro che vivono in monasteri dediti alla meditazione
religiosa senza avere contatti con la realtà sociale, o perché
economicamente indipendenti, come i monasteri cristiani, o perché
viventi di aiuti esterni (soprattutto elemosine), come i monasteri
buddisti. Vi è infatti da domandarsi se questo sia un ideale
di vita. Nonostante tutte le simpatie che si possano avere per il
Dalai Lama, mi domando che contributo i buddisti possano dare al
miglioramento della vita materiale, dovuta unicamente alla ricerca
scientifica. Lo stesso vale per i frati dei monasteri, nonostante
debba confessare di avere avuto sempre una forte attrazione per gli
edifici monastici, luoghi di silenzio lontani dal caos della vita
“normale” ed un tempo in Europa unico rifugio del sapere. Luoghi
di silenzio, quasi fuori di questo mondo che odio. Avrei desiderato
trascorrere una vacanza ospite di un monastero. Pur non partecipando
alla vita monastica di preghiere. Avrei avuto piacere di discutere
soprattutto con dei domenicani, nelle loro vesti bianche, ieratiche,
per metterli a confronto con tutti i miei pensieri, di fronte alle
loro stronzate. Non ne avrei certamente tratto alcuna consolazione.
Ma mi sarei preso il gusto di metterli in crisi. Non “credo
ut intelligam”
(S.Agostino), ma intelligo
ne credam. Non
“credo per comprendere”, ma comprendo per non credere.
Non
posso che nutrire un profondo disprezzo per quasi tutta l’umanità.
Quando mi accorgerò che sto per lasciare la vita mi consolerà
almeno il pensiero di abbandonare un’umanità quasi tutta
ributtante.
Ho
lasciato questo messaggio come mio testamento, con tutto il
pessimismo necessario di chi vive sapendo di dover soffrire sino al
mio ultimo giorno di una grande solitudine di fronte ad una umanità
sorda, muta e cieca perché malata della malattia più
grave e più diffusa sulla Terra: l’antropocentrismo.
Vorrei
che, per un improvviso forte aumento o decadimento dell'energia
solare, la vita sparisse dalla Terra insieme con me. Così non
continuerei a vivere nutrito di invidia per coloro che continueranno
a vivere dopo di me. Tanto, prima o dopo, la vita sparirà
sulla Terra, e non rimarrà alcuna traccia di essa. “La fine
dell'umanità non sarebbe una tragedia, ma la fine di una
tragedia”.2
Che finisca oggi o dopo qualche milione di anni che differenza fa?
Dal sistema solare non si potrà mai uscire. Siamo tutti in una
gabbia. La stella più vicina è l'alfa del centauro, che
non ha pianeti. Per raggiungerla occorrerebbero 4 anni e mezzo
viaggiando alla velocità della luce. La stella più
vicina che ha un pianeta simile alla Terra dista 500 anni luce.
Questo significa che eventuali esseri intelligenti che vivessero su
tale pianeta avrebbero oggi notizie di noi vecchie di 500 anni. Ma
nessun messaggio ci è provenuto da tale pianeta. Siamo soli su
questa Terra. Isolati dal resto dell'universo. Morremo tutti senza
mai avere certezze, nemmeno scientifiche. Aggrappatevi pure, o
uomini, alle religioni. Sono state tutte inventate in epoche di
ignoranza.
1
La descrizione impressionante di
tale crudeltà è descritta da un documento
dell'associazione dei veterinari di Torino.
2
Peter Wessel Zapffe, Sul tragico, op. cit.
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