Inviato a posta@associazionemagistrati.it
Capiti quel che capiti considerando la mia esasperazione a cui sono stato costretto. Che reagiscano pure, dando dunque pubblicità alla mia vicenda. Ma dopo che ne avrà conoscenza il ministro Nordio
ministro@giustiziacert.it
callcenter@giustizia.it
Premetto: da inviare all'Associazione nazionale dei magistrati in occasione del loro congresso nel teatro Massimo di Palermo. Loro complice Mattarella, che secondo la Costituzione è nominalmente presidente del CSM, mentre di fatto è il vicepresidente che presiede alle sedute del CSM. Bisogna separare la magistratura inquirente (procuratori della Repubblica) da quella dei giudici istituendo due diversi CSM. Nordio vuole introdurre un'Alta Corte di giustizia che giudichi i magistrati. Non so ancora da chi sarebbe composta questa Corte. Non dovrebbe essere composta da giudici togati (manovali della giustizia) ma da giuristi (studiosi del diritto). Questa Corte sarebbe una rivoluzione perché finalmente i giudici sarebbero colpevolizzati per le loro sentenze aberranti. Oltre tutto renderebbe inutile la straniera Corte di Strasburgo dei diritti dell'uomo che può intervenire sulle sentenze della Cassazione. Chiedo che mi si dimostri che sia falso il mio sospetto che vi sia stata una collusione dei giudici con il liquidatore, nonostante sia stato falsamente nominato facendomi passare come acquiescente mentre dagli atti del giudizio risultavo assolutamente contrario con la mia opposizione di socio al 66%. Sono stati fatti prevalere gli interessi di due soci di minoranza (due pseudo fratelli farabutti) che volevano costringermi a vendere per sanare i loro debiti PERSONALI, mentre la società era da sempre in attivo e conseguiva pacificamente il suo oggetto sociale. In base all'art. 2272 del Codice Civile non sussisteva alcun motivo per mettere in liquidazione la società. Per legge occorreva l'unanimità e dunque sono stato fatto passare come acquiescente. Pazzesco. Una massa di disonesti. In 25 anni non sono riuscito a far decadere la nomina del liquitatore, nominato illegalmente. Aberranti sono le sentenze che io ho subito in sede civile per 25 anni. Sto per inviare un Esposto previsto a termini di legge al Ministro della giustizia. Chiedo un'indagine sulla mia incredibile vicenda che mi ha dissanguato economicamente. Giudici che fanno carriera per sola anzianità risultando una farsa gli esami che debbono sostenere ogni quattro anni. Tutti promossi. Della commissione fa parte un avvocato, ma può solo parlare perché non ha diritto di voto. Un giudice può rimanere tutta la vita in Tribunale, senza passare in Corte d'Appello perché per anzianità andrà in pensione con la retribuzione di un giudice della Cassazione. Dopo avere superato un concorso per l'ingresso in magistratura, comportante anche la conoscenza della dottrina, questa viene poi bellamente ignorata perché ritenuta una intrusione nella giurisprudenza, e dunque i giudici possono anche smettere di studiare, attaccandosi con il computer, come macchine, alla giurisprudenza della Cassazione, dietro cui si riparano per esaminare casi simili. Bisogna istituire il licenziamento. Quella dei giudici è l'unica categoria che si sottrae ad un risarcimento dei danni quando facciano sentenze aberranti. Sono la categoria degli intoccabili con la scusa dell'indipendenza della magistratura. E' preferibile un giudice ignorante ad un giudice sragionante perché in molti casi, come il mio, è evidente chi ha torto e chi ha ragione. Basta sapere ragionare. Ma un giudice sragionante rimarrà sempre sragionante. Ed ora espongo uno schema di 10 pagine del mio Esposto in 62 pagine in modo che lo schema possa indurre alla lettura di 62 pagine.
Al Ministro Nordio
Ho sempre pensato che occorresse un’Alta Corte di giustizia formata da giuristi e non da giudici togati che avesse il potere di giudicare i giudici che facciano sentenze aberranti rovinando la vita di chi ne subisce le conseguenze. La mia storia è talmente allucinante da costringermi a pensare che i giudici per cui sono passato siano del tutto immeritevoli della carica che ricoprono e meritevoli persino di licenziamento. Un’alta Corte di giustizia eviterebbe il Ricorso ad una Corte straniera quale è la Corte di Strasburgo a cui sono stato costretto a ricorrere contro la sentenza della Cassazione che ha rigettato il mio Ricorso recependo sragionando le sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Cagliari senza considerare le tremende contraddizioni e le falsità materiali in cui sono incorsi i giudici di Cagliari. Se non si tratta di collusione dei giudici di Cagliari con il liquidatore nominato contro la mia volontà pur sapendosi che il liquidatore di una società di persone può essere nominato solo con l’unanimità dei soci. Nel mio caso si trattava di una società da sempre in attivo che conseguiva pacificamente l’oggetto sociale. Una vicenda durata 25 anni che mi ha dissanguato economicamente.
Ho ereditato da mio padre morto nel 1977 una causa promossa dai miei genitori contro i due gruppi di soci (che erano anche costruttori) perché avevano ridotto da 25 milioni a circa 13 milioni di lire il valore del loro apporto di immobili nella società Cinecorallo (nel 1961 risultante S.p.A.) attribuendo ad essi i lavori che erano stati fatti necessariamente a vantaggio del cinema e non a vantaggio del bar tabacchi di proprietà dei miei genitori e confinante con il cinema, facendo un unico ingresso nelle ore di proiezione. Come risultante da una sentenza della Corte d’Appello. Risultò inoltre gonfiato il costo della costruzione con una perizia di ufficio per cui i miei genitori non aderirono all'aumento del capitale, dopo il quale ogni gruppo di soci avrebbe dovuto conservare 1/3 del capitale sociale. I miei genitori persero sulla prima domanda riguardante la nullità o annullamento del conferimento dei loro immobili (terreno e magazzini) alla società intestati a mia madre. I miei genitori persero sulla prima domanda perché i giudici in Tribunale e in Corte d'Appello ritennero vera l’affermazione contraria dell’attribuzione ai miei genitori dei 25 milioni da tradurre in azioni della società omettendo di controllare i bilanci. I due fratelli, ritenendo che la causa fosse ormai persa anche sulla seconda domanda (domanda di risarcimento dei danni), credendo fosse collegata alla prima, per non essere coinvolti nelle spese giudiziarie fecero rinuncia all'eredità di mio padre e la fecero fare anche a mia madre essendo tutti gli altri immobili intestati a mia madre. Continuai io solo sulla seconda domanda: risarcimento dei danni per avere gonfiato il costo della costruzione e conseguentemente l'aumento del capitale che doveva comprendere anche il valore della costruzione del cinema. Vinsi da solo contro i due gruppi di soci che furono riconosciuti colpevoli di avere gonfiato il costo della costruzione del cinema. Venne così giustificato il rifiuto dei miei genitori di aderire all'aumento del capitale e il valore del loro conferimento pari a 25 milioni di lire fu quantificato dal Tribunale nel 1991 in circa un miliardo di lire dopo la mia vittoria anche in Cassazione come controricorrente. I due gruppi di soci preferirono cedere agli eredi Melis (essendo mia madre morta nel 1983) tutte le quote sociali della Cinecorallo (divenuta nel 1974 S.N.C.) a compensazione del miliardo di lire. Divenni titolare del 66% delle quote sociali perché ereditai il 50% dalla parte di mio padre e 1/3 dalla parte di mia madre, mentre i due fratelli ereditarono ciascuno 1/3 da parte di mia madre, cioè il 17%. Questa era la situazione quando i due fratelli, prima di aderire all'atto di transizione con i soci dei miei genitori, vollero costringermi a firmare una scrittura privata con cui io mi obbligavo a cedere a terzi anche il mio 66% se si fosse presentato un acquirente disposto ad acquisire tutte le quote della Cinecorallo, lasciando a me la libertà di stabilire il prezzo. Dovevo firmare questa scrittura privata altrimenti non sarebbero andati anch'essi dal notaio per cedere agli eredi Melis tutte le quote della Cinecorallo. Io stabilii il prezzo di un miliardo e 800 milioni di lire credendo che per questa cifra nessuno si sarebbe presentato per acquisire tutte le quote della Cinecorallo. E invece si presentò un tale, Gesuino Fenu, disposto ad acquisire tutte le quote della Cinecorallo avendo in progetto di trasformare il Cinema in un grande supermarket. Io firmai la scrittura privata solo perché dopo 13 anni di una pesante vicenda giudiziaria avevo fretta di concludere. Avendo rifiutato di cedere anche il mio 66% i due fratelli mi fecero causa per inadempimento alla scrittura privata, ma la persero perché i danni non erano stati dimostrati. Infatti il cinema continuava a conseguire il suo oggetto sociale con l'affitto a terzi della sala cinematografica, essendo disgiunta la proprietà dal possesso del gestore che pagava regolarmente l'affitto con pagamento trimestrale. Accusai i due fratelli di avermi estorto la scrittura privata nonostante essi avessero solo il diritto ad avere il 34% del miliardo liquidato dal Tribunale. La mia accusa di estorsione si trasformò in malafede da parte dei due fratelli in accusa di calunnia, da cui fui assolto nel 2001 "perché il fatto non sussiste" risultando che la scrittura privata mi era stata estorta. L'accanimento giudiziario dei due fratelli contro di me si capisce quando si consideri che essi volevano coinvolgere la Cinecorallo nei loro debiti personali. L'uno doveva pagare ancora 100 milioni di lire alla BNL per avere acquistato una casa per l'amante mentre l'altro aveva ottenuto un mutuo di 180 milioni di lire dalla banca Cariplo ipotecando la casa posta in un terreno di 1200 mq in una località residenziale chiamata Poggio dei Pini, la cui costruzione a piano terreno era stata terminata con il mio contributo di 14 milioni di lire ancor prima che si definisse vittoriosamente la vertenza giudiziaria della Cinecorallo. A questo punto i due fratelli, invece di chiedere la liquidazione del valore della loro quota, come avrebbero dovuto fare a termini di legge, ottennero con speciosi motivi, accampando dissidi extra societari, la mia sospensione dalla amministratore inaudita altera parte e il 29 gennaio 1996 ottennero la nomina di un curatore speciale. Non bastando per essi il curatore speciale (che poteva andar bene anche per me) chiesero la nomina di un liquidatore nonostante risultasse dai verbali che avevano rifiutato di fare essi gli amministratori al mio posto. Il racconto della storia di questa precedente vicenda giudiziaria era necessario per dimostrare come tutta la successiva vicenda giudiziaria durata incredibilmente 25 anni fosse nata da motivazioni extra giudiziarie che i giudici non sono riusciti a percepire o non hanno voluto percepire. Ciò che segue è una esposizione sintetica di tutti i gravi errori in cui sono incorsi i giudici nel ritenere valida la nomina del liquidatore. Errori così gravi da giustificare una loro grave colpevolezza.
L'11 marzo 1996 viene nominato il liquidatore da parte del presidente del Tribunale Marco Onnis, defunto molti anni fa, che mi diede come consenziente alla nomina del liquidatore estrapolando una frase dal contesto della Memoria di costituzione e risposta del mio avvocato che concludeva comunque con la domanda di RIGETTO della domanda avversaria di nomina del liquidatore. Per 25 anni non sono mai riuscito a salvarmi dall'avermi fatto apparire come consenziente alla nomina del liquidatore. Nonostante il successivo presidente del Tribunale l'11 dicembre 1997 avesse revocato la nomina del liquidatore "Data la sua abnormità" essendo documentata la mia opposizione.
E ora espongo i gravi errori dei vari giudici per cui sono passato. Tutti i giudici hanno mancato di osservare che tutta la vicenda di 25 anni avrebbe dovuto essere dichiarata nulla sin dall'inizio perché la Cinecorallo risultava assente in giudizio e pertanto nessun provvedimento poteva essere dichiarato valido nei suoi confronti, risultando essa litisconsorte necessaria. Infatti già di fronte al presidente del Tribunale la Cinecorallo risultava assente pur essendo stato nominato il 29 gennaio il curatore speciale come rappresentante della società, che però risultò assente in giudizio. Il fatto che fossero presenti tutti i soci (Cfr. i Verbali di udienza da cui risulta anche che i due soci di minoranza rifiutarono di fare essi gli amministratori al mio posto come da me richiesto per rendere inesistenti gli asseriti dissidi tra i soci) non poteva significare che fosse presente la società Cinecorallo, perché la presenza in giudizio di tutti i soci vale come presenza della società solo se non vi sono dissidi tra i soci. Come affermato dalla sentenza della Corte d'Appello 34/2001 di Cagliari, che, riprendendo una sentenza della Cassazione, dichiarò nulla la sentenza 11 novembre 1997 che mi aveva revocato dalla nomina di amministratore. Con la conseguenza che anche per questo motivo doveva dichiararsi nulla la nomina del liquidatore, non potendo sussistere insieme amministratore e liquidatore. Motivo saltato completamente anche dal giudice relatore della Cassazione. E in effetti sin dall'atto di citazione 11 giugno 1998 con cui richiedevo l'annullamento della vendita i giudici avrebbero dovuto riconoscere la necessità della nomina di un curatore speciale perché, rimanendo io ancora revocato dalla nomina di amministratore alla data dell'atto di citazione 11 giugno 1998, la Cinecorallo risultava priva di amministratore. Paradossalmente proprio le parti avversarie avevano ragione nel richiedere che non io non potessi rappresentare la società in giudizio e che dunque non fosse proponibile l'atto di citazione in mancanza della nomina di un curatore . E tuttavia la vicenda giudiziaria proseguì per 25 anni in assenza in giudizio della Cinecorallo, pur essendo essa litisconsorte necessaria. Io ridivenni amministratore con la citata sentenza 34/2001 che dichiarò nulla la sentenza 11 novembre 1997 che mi aveva revocato dalla carica di amministratore. E pertanto fui reintegrato nella carica di amministratore, ma solo nel 2001, quando ormai la vicenda giudiziaria aveva portato alla vendita tramite liquidatore il 13 novembre 1997.
In Tribunale il giudice Mario Farina ritenne valida la notifica del bilancio finale del liquidatore in data 20 febbraio 1998 e il successivo decreto ingiuntivo del giugno 1998 nonostante il liquidatore l'11 dicembre 1997 fosse stato privato della sua nomina perché il liquidatore, secondo il Farina, dopo la revoca della sua nomina credeva "in buona fede" di essere ancora liquidatore. Incredibile ma vero. Come può esistere un giudice che, se in buona fede, sia capace di sragionare sino a tal punto?
In Tribunale il giudice Vincenzo Aquaro (oggi in pensione dopo essere rimasto sempre in Tribunale) convalida la vendita messa in atto dal liquidatore il 13 novembre 1997 perché era "confortato" (sic!) dal fatto che io risultavo revocato dalla nomina di amministratore con sentenza 11 novembre 1997. Trasformando così una sentenza del Tribunale in una sentenza passata in giudicato. Non tenne conto che la Corte d'Appello dichiarò nulla tale sentenza. Con la conseguenza, ripeto, che io ero stato sempre amministratore e che era nulla anche la nomina del liquidatore. Tutta questa vicenda è segnata dalla trasformazione di 1) una ordinanza 7 novembre 1997 della giudice Tiziana Marogna risultata errata e di 2) una sentenza 11 novembre 1997 dichiarata poi nulla con la citata sentenza della Corte d’Appello 34/2001.
La maggiore colpevole in questa vicenda è la giudice in Corte d'Appello Donatella Aru per le sue aberranti due sentenze che contengono un cumulo di falsità materiali e di incredibili contraddizioni, giungendo a citare contro di me sentenze della Cassazione che invece erano favorevoli a me. Come, soprattutto, la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 11104/2002 che mi aveva dato ragione dicendo che il Ricorso volto alla mia domanda di revoca della nomina del liquidatore doveva essere indirizzata al Tribunale e non alla Cassazione, come invece decise la giudice Tiziana Marogna in Tribunale con l'ordinanza 7 novembre 1997 di mero rito che rigettava la mia domanda di revoca della nomina del liquidatore scrivendo che mi sarei dovuto rivolgere alla Cassazione. E la Aru, pur di salvare la sua collega (facente poi irritualmente parte dello stesso Collegio della Aru pur avendo già giudicato la vicenda, e in un punto determinante di essa) ha scritto che il liquidatore era confortato anche da questa ordinanza (oltre che dalla citata sentenza 11 novembre 1997, ma poi dichiarata nulla dalla Corte d'Appello) e che pertanto era valida la vendita messa in atto 5 giorni dopo senza nemmeno attenderne la notifica del 20 novembre. La Aru recepì come vera l’ordinanza della Marogna scrivendo che all’epoca dell’ordinanza era stata superata la giurisprudenza che prevedeva il Ricorso al Tribunale. FALSO! Era vero tutto il contrario perché la citata sentenza della Cassazione a Sezioni Unite aveva cancellato la giurisprudenza minoritaria che prevedeva il Ricorso in Cassazione. Il colmo è che la Aru ha citato a lungo contro di me tale sentenza mentre era favorevole a me. La Marogna ignorò l’ultima sentenza al riguardo prima della sua ordinanza del 7 novembre 1997. Si trattava della sentenza 2 dicembre 1996 n. 10718 appartenente alla giurisprudenza maggioritaria che prevedeva il Ricorso al Tribunale, e non alla Cassazione. Questo gravissimo errore della Marogna, recepito in Corte d’Appello dalla Aru, è il secondo gravissimo errore dopo quello della nomina del liquidatore.
La Aru ha invertito l'ordine logico-giuridico tra sentenza non definitiva e sentenza definitiva iniziando dal decreto ingiuntivo del liquidatore per metterlo subito al riparo.
1) A p. 6 della
sentenza falsamente definitiva ha scritto che avevo promosso un giudizio
ordinario per chiedere la revoca della nomna del liquidatore. Ma a p. 16 dice tutto il contrario rimproverandomi di non avere promosso un giudizio ordinario per chiedere la revoca
della nomina del liquidatore. Incredibile.
2) Ha scritto che il liquidatore era confortato dal fatto che con l'ordinanza 7 novembre 1997 era stata rigettata la mia domanda di revoca della nomina del liquidatore. E 5 giorni dopo avvenne la vendita del 13 novembre. Più gravemente e paradossalmente la Aru ha citato contro di me la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 11104/2002 che ha cancellato la giurisprudenza minoritaria dando ragione a me. La Aru non ha nemmeno considerato che l'ordinanza fu notificata il 20 novembre e che da quella data avevo 10 giorni di tempo per ricorrere al Collegio, così trasformando l'ordinanza in una sentenza passata in giudicato. La Aru non è voluta andare contro la collega (poi passata in Corte d'Appello e facente parte dello stesso Collegio a cui fu attribuita la mia causa, mentre la Marogna non avrebbe dovuto essere compresa in tale Collegio avendo giudicato la stessa causa in Tribunale).
3) La Aru ha scritto che il liquidatore era confortato dal fatto che con sentenza 11 novembre 1997 ero stato revocato dalla carica di amministratore. Il liquidatore non attese nemmeno la notifica della sentenza in data 20 novembre e due giorni dopo avvenne la vendita. La Aru ha citato la sentenza della Corte d'Appello 34/2001 scrivendo che era stata dichiarata nulla la sentenza 11 novembre 1997 . Ma non ne ha mai tenuto conto. Anzi, scrisse che la sentenza del Tribunale 11 novembre 1997 era stata un motivo in più per giustificare la vendita il 13 novembre 1997. Anche in questo caso trasformando la sentenza del Tribunale in una sentenza passata in giudicato. Mentre passò in giudicato la sentenza della Corte d'Appello 34/2001 che aveva dichiarato nulla la sentenza 11 novembre 1997 che mi aveva revocato dalla carica di amministratore. Con la conseguenza che io ero stato sempre amministratore (reintegrato infatti dal giudice del Registro Vincenzo Amato). E non potevano coesistere insieme amministratore e liquidatore. In sostanza, la Aru ha colpevolmente trasformato un'ordinanza (errata) e una sentenza (dichiarata poi nulla) in due sentenze passate in giudicato. Così favorendo illecitamente la nomina e l'operato del liquidatore.
4) La Aru ha scritto che io, pur avendo il 66% delle quote sociali, non potevo ostacolare l'operato del liquidatore, se pur nominato per volontà dei due soci di minoranza. Incredibile!
5) La Aru ha creduto di poter giudicare la vicenda sulla base dell'art. 742 cpc respingendo l'actio nullitatis pur dovendo sapere che la causa non poteva essere conclusa con un articolo che appartiene alla volontaria giurisdizione, che non dà mai luogo a un giudicato perché tale articolo dice che il provvedimento può essere REVOCATO IN OGNI TEMPO. Occorreva dunque fare riferimento all'actio nullitatis per avere una sentenza passata in giudicato.
6) La Aru, con lo scopo di rendere inefficace la revoca della nomina del liquidatore decisa con decreto del presidente del Tribunale in data 11 dicembre 1997 “data la sua abnormità” essendo documentata la mia opposizione alla nomina del liquidatore, ha scritto incredibilmente che “abnorme” non significa illegittimo e che fosse soltanto “un vizio nel merito” (p.32 della sentenza definitiva). Incredibile!
7) La Aru ha
voluto difendere capra e cavolo, cioè la validità della nomina del liquidatore
e la buona fede dell’acquirente non accorgendosi della enorme contraddizione.
Infatti in base all’art. 742 cpc la verifica
della buona fede presuppone l’illegittimità del provvedimento di nomina del
liquidatore altrimenti non avrebbe senso la verifica della buona fede
dei terzi. E tuttavia la Aru ha sempre ritenuto valida la nomina del
liquidatore. Peraltro il promissario acquirente non poteva ritenersi in buona fede perché con racc. 22 agosto 1997 l'avevo diffidato dall'acquistare spiegandogli che il liquidatore era stato nominato illegalmente perché contro la mia volontà, occorrendo per legge l'uninimità dei soci. Inoltre vi era in corso una causa riguardante la mia revoca dalla nomina del liquidatore, e pertanto sarebbe stato necessario attendere che vi fosse su questo punto una sentenza passata in giudicato. Ma il liquidatore, in combutta con il promissario acquirente procedettero alla vendita il 13 novembre 1997 con la complicità dei giudici che non attesero che si formasse un giudicato sulla mia revoca dalla nomina dell'amministratore. La vendita avvenne 2 giorni dopo la sentenza 11 novembre 1997 che mi revocava da tale nomina. Ma la Corte d'Appello dichiarò NULLA tale sentenza con la sentenza 34/2001, con la conseguenza che io risultavo essere stato sempre amministratore, e non potevano sussistere insieme liquidatore e amministratore. Fui dunque posto di fronte al fatto compiuto il 13 novembre 1997. Con la complicità dei giudici del Tribunale Vincenzo Aquaro e della giudice dela Corte d'Appello Donatella Aru. Nonostante che la nullità della nomina del liquidatore discendesse ANCHE dalla sentenza 34/2001.
8) In base all’art. 2272 C.C. non vi era alcun motivo per giustificare lo scioglimento della società. Infatti la Cinecorallo conseguiva pacificamente il suo oggetto sociale al di là degli asseriti dissidi sociali perché la proprietà era distinta dalla gestione, che pagava regolarmente l’affitto con pagamento trimestrale. I giudici non hanno voluto percepire che i dissidi sociali erano di natura extra societaria, come dimostrato dalla sentenza penale del 2001, che mandava assolto Pietro Melis dall’accusa di calunnia “perché il fatto non sussiste”. Con tale sentenza veniva riconosciuta l’estorsione di una scrittura privata con cui il socio di maggioranza si obbligava a cedere anche lui la sua quota del 66% a fronte di una offerta di un miliardo e 800 milioni (fatta da Gesuino Fenu, pur non nominato nella sentenza perché dovevasi giudicare se fosse vera o falsa l’estorsione della scrittura privata). E dalla sentenza penale risultava vera l’estorsione. Questa sentenza documentava l’opposizione del socio di maggioranza alla cessione della sua quota di maggioranza (66%). E tuttavia la Aru ha ritenuto che fosse "inconferente" tale opposizione valendo la nomina del liquidatore. Pertanto si evidenzia una gravissima contraddizione per avere la Aru ritenuto valida la nomina del liquidatore, che presumeva l’acquiescenza del Pietro Melis alla nomina del liquidatore, mentre dai verbali di udienza e dalla Memoria di costituzione in giudizio risultava l’opposizione di Pietro Melis alla nomina del liquidatore. E nonostante che anche in sede penale risultasse la mia avversione alla cessione ad altri della mia quota del 66%. Ne conseguiva che ancor meno potevo essere acquiescente alla cessione della sua quota tramite liquidatore, che avrebbe comportato comunque un ricavo assai inferiore 1) a causa della stratosferica parcella del liquidatore di 166 milioni di lire, ottenuta contabilizzando sempre al massimo della tariffa le voci della parcella con l'avallo dei giudici, 2) e a parte il fatto che con il liquidatore avveniva la vendita del locale e non la cessione delle quote sociali avente una fiscalità ridotta. E per di più avveniva una vendita per il prezzo di un miliardo e 500 milioni di lire, assai inferiore all’offerta di un miliardo e 800 milioni di lire da parte del citato Gesuino Fenu tramite cessione delle quote con fiscalità ridotta. Che la parcella del liquidatore sia stata del tutto gonfiata risulta anche dal fatto che la Aru in Corte d'Appello ha persino riconosciuto al liquidatore, a danno della Cinecorallo, 37 milioni di lire per asserita mediazione nella vendita pur essendo documentato che la mediazione fu condotta da una agenzia immobiliare chiamata STELUMA a cui si erano rivolti i soci di minoranza, come risulta da ricevuta fiscale da cui risulta che l'acquirente pagò a detta agenzia 34 milioni di lire. Persino meno di quanto il liquidatore si attribuì per asserita, ma del tutto falsa, mediazione da lui condotta con detta agenzia nella trattativa di vendita. Se non bastassero tutti gli argomenti precedentemente espressi basterebbe questa duplicazione di costi per far ritenere fondato il sospetto di collusione dei giudici con il liquidatore.
Nessun commento:
Posta un commento