Dal mio libro Io non volevo nascere traggo parte di un capitolo riguardante la storia degli anni 1943-45 con particolare riferimento a tutti gli attentati terroristici dei partigiani, che provocarono le rappresaglie naziste, come quella di Marzabotto e altre, che qui tralascio. Tralascio di riportare qui anche la vera storia della strage di Cefalonia.
Quando verranno tolte le medaglie agli assassini materiali che, causando anche vittime civili, il 23 marzo del 1944 provocarono, in una strada di Roma (via Rasella) la rappresaglia delle Fosse ardeatine, perché vigliaccamente rifiutarono di costituirsi, allora finalmente si inizierà a rendere giustizia alle vittime della rappresaglia, come a quelle di altre.1 I mandanti dell'attacco proditorio, e perciò i maggiori responsabili della rappresaglia, furono i componenti di una sedicente Giunta militare del sedicente Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Di tale Giunta erano responsabili Giorgio Amendola (uno dei futuri capi del P.C.I.), Riccardo Bauer (Partito d'Azione) e Sandro Pertini (socialista), un fanatico che poi cercò di scaricare su Amendola la responsabilità dicendo che non era stato informato della decisione di porre in atto l'attentato terroristico e fu premiato con la presidenza della Repubblica. E fu principalmente lui a volere ad ogni costo la morte di Mussolini sovrapponendosi al governo monarchico (riconosciuto dagli alleati) e impedendo che Mussolini, tramite l'accordo cercato con il cardinale Schuster, si consegnasse agli americani, come da essi richiesto in quanto veri legittimati a chiederne la consegna, e non i cosiddetti partigiani, che, pur privi di qualsiasi autonoma legittimazione politica, volevano acquisirla decidendo, con la loro ala oltranzista, di passare per le armi tutti i gerarchi della Repubblica Sociale, senza alcun processo, come si fece, invece, a Norimberga. Fu assassinato dai comunisti persino Nicola Bombacci, che, uomo mite, teorizzatore della socializzazione delle imprese, era stato prima segretario del partito socialista e poi cofondatore nel 1921 del partito comunista, delegato a Mosca dei comunisti italiani nel 1920 ed amico di Lenin, ma espulso nel 1923 dai miopi del suo partito quando alla Camera propose un'alleanza tra fascismo e comunismo sovietico, capendo l'affinità tra le origini socialiste del fascismo e il comunismo sovietico sino a quando condannò la svolta staliniana. Nella Repubblica sociale, dove fu consigliere economico di Mussolini, continuava a chiamare “compagni” gli operai. Morì gridando:”Viva il socialismo”. Mussolini, anche contro la volontà di quei partigiani che l'avevano arrestato nella sua fuga verso la Svizzera, disposti a consegnarlo agli americani, fu sottratto ad essi da una banda di assassini che, al comando di una cupola di fanatici (in prevalenza formata da comunisti, ma tra cui si trovava anche Pertini), furono inviati da Milano a Dongo per anticipare l'arrivo a Milano degli americani e permettere a questi fanatici vigliacchi di fregiarsi di fronte ai vincitori di un'autorità che non avevano e di dare poi in pasto ad una folla scatenata la visione dei cadaveri appesi a testa in giù in piazzale Loreto. Quella stessa folla che, come commentò con disprezzo lo stesso Leo Valiani, leader del Partito d'Azione (e uno dei mandanti dell'assassinio di Mussolini), non era mai stata antifascista. E ora saltava indegnamente sul carro dei vincitori. E poi si parla di guerra di liberazione. Come se fosse stata una guerra di popolo.
Quando verranno tolte le medaglie agli assassini materiali che, causando anche vittime civili, il 23 marzo del 1944 provocarono, in una strada di Roma (via Rasella) la rappresaglia delle Fosse ardeatine, perché vigliaccamente rifiutarono di costituirsi, allora finalmente si inizierà a rendere giustizia alle vittime della rappresaglia, come a quelle di altre.1 I mandanti dell'attacco proditorio, e perciò i maggiori responsabili della rappresaglia, furono i componenti di una sedicente Giunta militare del sedicente Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Di tale Giunta erano responsabili Giorgio Amendola (uno dei futuri capi del P.C.I.), Riccardo Bauer (Partito d'Azione) e Sandro Pertini (socialista), un fanatico che poi cercò di scaricare su Amendola la responsabilità dicendo che non era stato informato della decisione di porre in atto l'attentato terroristico e fu premiato con la presidenza della Repubblica. E fu principalmente lui a volere ad ogni costo la morte di Mussolini sovrapponendosi al governo monarchico (riconosciuto dagli alleati) e impedendo che Mussolini, tramite l'accordo cercato con il cardinale Schuster, si consegnasse agli americani, come da essi richiesto in quanto veri legittimati a chiederne la consegna, e non i cosiddetti partigiani, che, pur privi di qualsiasi autonoma legittimazione politica, volevano acquisirla decidendo, con la loro ala oltranzista, di passare per le armi tutti i gerarchi della Repubblica Sociale, senza alcun processo, come si fece, invece, a Norimberga. Fu assassinato dai comunisti persino Nicola Bombacci, che, uomo mite, teorizzatore della socializzazione delle imprese, era stato prima segretario del partito socialista e poi cofondatore nel 1921 del partito comunista, delegato a Mosca dei comunisti italiani nel 1920 ed amico di Lenin, ma espulso nel 1923 dai miopi del suo partito quando alla Camera propose un'alleanza tra fascismo e comunismo sovietico, capendo l'affinità tra le origini socialiste del fascismo e il comunismo sovietico sino a quando condannò la svolta staliniana. Nella Repubblica sociale, dove fu consigliere economico di Mussolini, continuava a chiamare “compagni” gli operai. Morì gridando:”Viva il socialismo”. Mussolini, anche contro la volontà di quei partigiani che l'avevano arrestato nella sua fuga verso la Svizzera, disposti a consegnarlo agli americani, fu sottratto ad essi da una banda di assassini che, al comando di una cupola di fanatici (in prevalenza formata da comunisti, ma tra cui si trovava anche Pertini), furono inviati da Milano a Dongo per anticipare l'arrivo a Milano degli americani e permettere a questi fanatici vigliacchi di fregiarsi di fronte ai vincitori di un'autorità che non avevano e di dare poi in pasto ad una folla scatenata la visione dei cadaveri appesi a testa in giù in piazzale Loreto. Quella stessa folla che, come commentò con disprezzo lo stesso Leo Valiani, leader del Partito d'Azione (e uno dei mandanti dell'assassinio di Mussolini), non era mai stata antifascista. E ora saltava indegnamente sul carro dei vincitori. E poi si parla di guerra di liberazione. Come se fosse stata una guerra di popolo.
I
vigliacchi partigiani (per lo più comunisti) agivano sempre
proditoriamente con imboscate esponendo le popolazioni alle
rappresaglie con il rifiuto di presentarsi. Nel processo contro
Kappler (Tribunale Militare di Roma, 20 luglio 1948) – che
riconobbe che l'attentato era da ritenersi illegittimo secondo il
diritto internazionale - il Bentivegna disse di avere ricevuto
l'ordine di attaccare il battaglione di altoatesini e che si sarebbe
presentato se fosse stata richiesta dai tedeschi la presentazione
degli attentatori, che, invece, non vi sarebbe stata perché
sarebbe stato deciso dai tedeschi di attuare comunque la
rappresaglia. Ma la stessa accusa riconobbe che già due mesi
prima erano stati affissi dei manifesti preannunciando rappresaglie
per gli attentati: Soltanto il 28 marzo 1974 (settimanale “Panorama”)
si fece vivo un testimone (Domenico Anzaldi) per dire che la sera
stessa dell'attentato era stato affisso un manifesto sui muri di
Roma.2
Non basta. Questo principale manovale dell'attentato cambiò
versione quando si accodò a quanto Paolo Emilio Taviani, ex
partigiano ed esponente dei passati governi democristiani, dichiarò
nel 1977 al quotidiano Il
Giornale (del 10
luglio 1997 affacciando la tesi che “l'attentato di via Rasella fu
un atto di guerra compiuto dai partigiani, non per regolamento di
conti al loro interno (questa è un'altra versione, che
vorrebbe che i partigiani comunisti volessero sbarazzarsi di quelli
non comunisti o anche di quelli comunisti non affiliati al P.C,I. che
si trovavano già in carcere, in modo da farli finire vittime
della prevedibile rappresaglia – n. d. r.),3
ma su richiesta dei comandi alleati. L'azione doveva alleggerire la
pressione delle forze tedesche che impedivano l'avanzata
angloamericana verso Roma”.4
La tesi apparve a chi non fosse disonesto del tutto insostenibile.
Non si era mai affacciata prima d'allora una simile tesi. Se fosse
stata vera la banda degli attentatori, a incominciare dal Bentivegna,
sarebbe stata la prima a dirlo. Invece la banda tacque di fronte alla
tesi di Taviani, smentendo così se stessa, giacché lo
stesso Bentivegna aveva detto che tutto era stato programmato
all'interno della “giunta militare” del CLN, anche se poi,
all'interno di questa asserita giunta, Amendola, come detto, si
assunse inverosimilmente la responsabilità per tutti, non
sconfessando Bauer e Pertini, che, per ridurre al minimo le
responsabilità, disse che egli e Bauer erano ignari della
decisione presa da Amendola.
Per
salvare questa banda di assassini si mosse subito il governo Badoglio
(dimentico della sua connivenza con il fascismo e delle stragi da lui
operate in Etiopia) e provvide subito ad una amnistia con decreto
legge n.96 del 5 aprile 1944 e con quello del 12 aprile, n. 194,
riconoscendo retroattivamente questa banda come composta da legittimi
belligeranti. Era infatti già incalzato dai partiti
antifascisti, che sarebbero entrati organicamente nel II governo
Badoglio il 22 aprile, con Togliatti vicepresidente del Consiglio. Se
gli attentati fossero stati azioni di guerra non ci sarebbe stato
bisogno di amnistia. Ciò in contrasto con l'ordine che lo
stesso Badoglio aveva diramato di evitare di fare attentati nelle
città proprio per evitare prevedibili rappresaglie.5
I
parenti delle vittime delle Fosse Ardeatine si videro negato il
risarcimento dei danni nella causa promossa nel 1949, conclusasi
negativamente in tre gradi del giudizio con la sentenza della
Cassazione del 9 maggio 1957 che riconosceva che l'attentato era
stato un'azione di guerra condotta da “legittimi belligeranti”.
Ciò
in contrasto con la citata sentenza del Tribunale militare del 1948
(processo Kappler), a cui si aggiunse la sentenza del Tribunale
Supremo Militare del 26 aprile 1954, che stabiliva che, per espresso
disposto dell'art. 1 del Decreto legge 6 settembre 1946, n.93 i
partigiani non potevano essere considerati belligeranti. 6
.
Però la Corte Costituzionale, abrogando l'art. 270 del codice
penale militare, che vietava la presenza di parti civili in un
processo militare, permise che i familiari delle vittime e il Comune
di Roma alla fine degli anni '90 si costituissero parte civile nel
processo militare e civile contro Priebke, ritenuto uno dei
responsabili dell'attuazione della rappresaglia. Così si passò
giudiziariamente dalla tragedia alla farsa. Si immagini che cosa
avrebbero potuto avere i familiari delle vittime delle Fosse
Ardeatine da Priebke, a parte l'età ormai avanzata. Lo Stato
avrebbe dovuto pagare il risarcimento dei danni ai parenti. Ma come
avrebbe potuto farlo se non riconoscendo di essere nato dalla
complicità con coloro che furono degli assassini? In
alternativa i parenti delle vittime avrebbero dovuto chiedere i danni
allo Stato tedesco, che infatti pagò i danni ai parenti degli
ebrei morti nei lager. Ma per ragioni di amicizia con la nuova
Germania lo Stato italiano non fece nemmeno questo. Oppure agì
ipocritamente non sentendosi giudiziariamente forte nel sostenere di
fronte alla Germania che l'attentato fosse un'azione di guerra. E
così preferì scaricare le colpe su chi non avrebbe
potuto pagare. Gli bastò aver trovato un capro espiatorio per
salvare la faccia.7
Basta
ripercorrere le varie fasi del processo contro Priebke per accorgersi
della confusione ideologica in cui esso si svolse. Assolto per
prescrizione del reato dal Tribunale militare di Roma l'1 agosto
1996, la sentenza fu cambiata dal Tribunale in una condanna, prima a
15, poi a 10 anni dopo che la prima sentenza fu annullata dalla
Cassazione, sensibile al tumulto suscitato nella stessa aula alla
lettura della prima sentenza e alla reazione del governo, a sua volta
sensibile al tumulto alimentato soprattutto dalle comunità
ebraiche, senza le quali quasi certamente la Cassazione non sarebbe
intervenuta. Da notare che Kappler nel 1948 era stato condannato
all'ergastolo solo per il fatto di essere stato responsabile per
sbaglio di cinque vittime in più alle Fosse Ardeatine e di
averne aggiunto altre dieci dopo la morte in ospedale di un altro
soldato rimasto ferito in via Rasella, mentre Priebke fu riconosciuto
colpevole della morte di tutte le 335 vittime. La Corte d'Appello nel
marzo del 1998 condannò Priebke all'ergastolo, con conferma
della Cassazione nel mese di novembre (che celerità!). Ma poi,
a causa dell'età, fu concessa a Priebke la detenzione
domiciliare. Il 12 giugno gli fu concesso di uscire di casa per
recarsi nello studio del suo avvocato. Ma le comunità degli
ebrei – che si credono ancora l'ombelico dell'umanità e che
credono di poter vivere di rendita per tutto l'avvenire a motivo
dell'asserito olocausto – ottennero dal magistrato dell'ufficio di
sorveglianza, e poi dalla Cassazione il 3 novembre 2007, che fosse
revocato tale permesso.
Indro
Montanelli – che si era visto sequestrare su querela dei vigliacchi
attentatori di via Rasella il volume “L'Italia della guerra
civile” (scritto con Mario Cervi) perché aveva ritenuto gli
attentatori responsabili della rappresaglia – per quieto vivere il
22 marzo 1998 (Corriere
della sera) si limitò
a condividere il giudizio di Enzo Forcella secondo cui l'attentato
era privo di rilevanza militare, suggerendo ingiustamente che non si
disseppellissero i cadaveri e non si tenessero ancora aperti i conti
con il processo contro Priebke, che, invece fu condannato. E il 26
marzo aggiunse che non si poteva tenere aperta un caso giudiziario
dopo che 50 anni prima era passata in giudicato una sentenza di
assoluzione che aveva riconosciuto colpevole Kappler e non i suoi
subordinati, come Priebke. Concludeva scrivendo che non si poteva
continuare ad avvelenare il presente compromettendo il futuro. Ma in
sede storica il passato deve essere rivisitato, non per avvelenare il
presente, ma per illuminarlo alla luce della verità. E la
verità è scomoda per uno Stato nato dalla disonestà.
Il
Gip Pacioni, affiancato dai familiari delle vittime nel processo
contro Priebke, quando respinse la richiesta di archiviazione per le
responsabilità dei partigiani, fu assalito da tutta la
sinistra, compreso l'attuale capo di Stato Napolitano, che, insieme
con tanti altri del suo partito, definì “aberrante” la
decisione del Gip, che fu sottoposto ad un linciaggio morale e
minacciato, per cui rinunciò all'incarico. Anche
l'intellighenzia giornalistica, ben rappresentata a sinistra dall'ex
partigiano Giorgio Bocca (La
Repubblica, 28.6.97),
si scatenò contro il Gip cercando di ridicolizzarlo.
L'ineffabile capo dello Stato di allora, Scalfaro, disse che non si
poteva portare la storia in Tribunale dopo 50 anni. Seguì a
ruota Prodi con una frase assai simile. E perché allora dopo
53 anni si portò in giudizio Priebke?
1I
principali manovali dell'attacco proditorio, da ritenersi di natura
terroristica e non azione di guerra perché attuato fuori di
un'azione di guerra tra nemici dichiarati sono stati Rosario
Bentivegna (che fece esplodere la bomba posta in un carretto dopo
essersi travestito da spazzino), Carla Capponi, Pasquale Balsamo e
Franco Calamandrei. Gli ultimi tre avevano il compito di segnalare
al primo l'arrivo di un battaglione del reggimento (Bozen) di
altoatesini che aveva solo compiti di polizia e si dice transitasse
disarmato (almeno perché avevano l'ordine di transitare con
le armi scariche). Un gruppo di sostegno lanciò altre bombe
sulla coda del battaglione portando i morti a 32. I primi tre ebbero
nel 1951 dal presidente della Repubblica, su proposta di De Gasperi,
rispettivamente una medaglia d'argento, d'oro e di bronzo.
Evidentemente la Capponi come terrorista aveva più
benemerenze. L'attacco proditorio fu preparato da Carlo Salinari,
che negli anni '60 mi ritrovai come professore ordinario di
letteratura italiana nella Facoltà di Magistero di Cagliari.
Suo è il noto manuale di letteratura italiana adottato in
molte scuole. Di indirizzo marxista, come lo era Giuseppe Petronio,
professore di letteratura italiana, con cui detti l'esame da
studente del corso di filosofia della Facoltà di Lettere e
filosofia.
2V.
l'articolo citato “La strage di via Rasella: un atto “eroico”.
V. anche (a cura di Reno Bromuro) “L'attentato di via Rasella”,
in www.nonsoloparole.com.
(riportante un articolo di Ivaldo Giaquinto (“L'imboscata di via
Rasella. Ma questa era guerra?”, in www.italia-rsi.org.
3Tra
i comunisti non appartenenti al P.C.I. vi erano quelli di “Bandiera
Rossa” (formata da troskisti), alcuni dei quali finirono a Regina
Coeli e poi alle Fosse Ardeatine. Alcuni sopravvissuti dissero che
la loro presenza in via Rasella fu voluta dal P.C.I. per farli
cadere in una trappola e far ricadere su di essi le responsabilità.
V. di Pierangelo Maurizio “via Rasella, un mistero che dura
sessant'anni” (Il
Giornale, 12 agosto
2007), in www.mascellaro.it/taxonomy/term/35.
4 V. voce “D'Acquisto Salvo (salvatore) 23 settembre 1943 in www.cronologia.leonardo.it/storia/a1943za.htm.
5
V. cronologia.leonardo.it/storia/a1945s. Le rappresaglie. V. anche
nota 103.
6In
questo senso è stato citata la sentenza da Giampaolo Pansa in
Sconosciuto 1945
(Sperling&Kupfer 2005, pp.376 sgg.). In realtà il decreto
del 6 settembre 1946 riconosceva la qualifica di belligeranti anche
ai partigiani, come confermato dal decreto legislativo 4 marzo 1948,
n.137. Una rassegna faziosa di processi a vari comandanti nazisti
(tra cui Kapler, Priebke, Haas, Stommel, Reder) è volta a
condannare la rappresaglia a posteriori, dopo la guerra, secondo
il diritto internazionale delle Nazioni Unite (www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Proces
cessi/HeinrichNordhom.17.La rappresaglia).
7
Per tali notizie v. Salvo
D'acquisto e la strage di via Rasella, compreso nell'articolo citato
nella nota 89.
I
parenti delle vittime delle Fosse Ardeatine chiesero il risarcimento
danni. Ma in tre gradi del giudizio (ultimo quello della Cassazione
del 9 maggio 1957) si videro respingere le loro richieste da una
magistratura ideologizzata e connivente con gli assassini con la
sconcertante conclusione che quella di via Rasella dovesse essere
considerata un'azione di guerra. Assurdo. Come poteva essere
considerata un'azione di guerra un attentato terroristico in pieno
centro cittadino, che causò anche la morte di alcuni civili?1
Come poteva essere stata un'azione di guerra quella svoltasi in una
strada dove stavano giocando a pallone dei ragazzini, che, per
confessione dello stesso Balsamo, furono allontanati dalla strada
calciando lontano il loro pallone? Come potevano essere ritenuti
combattenti dei gruppi che non erano militari in divisa e che agivano
disordinatamente senza che vi fosse un comando giuridicamente
giustificato? Si può dire che essi agissero come
rivoluzionari, ma con tutti i rischi che un'azione rivoluzionaria
comporta. Compresa quella di essere considerati dei fuorilegge,
almeno sino quando essi, prendendo il potere, non costituiscano a
posteriori una nuova legalità. E così infatti è
successo.
Si trovò subito la
scappatoia “legale” per salvare i partigiani dall'accusa di
essere dei terroristi. Con una serie di decreti legislativi2
essi furono riconosciuti come combattenti. Una volta attribuita ad
essi questa assurda veste, ne conseguì anche che la
rappresaglia attuata dai nazisti non poteva più essere
considerata tale, e pertanto i familiari delle vittime non potevano
avere diritto ad alcun risarcimento. Ma se i governi italiani fossero
stati coerenti avrebbero dovuto chiedere il risarcimento dei danni
alla Germania.
Eppure,
lo stesso tribunale dei vincitori di Norimberga aveva riconosciuto
che “le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se
illegali, nelle condizioni particolari in cui si verificano, possono
essere giustificati in quanto l'avversario si è a sua volta
comportato in maniera illegale e la rappresaglia stessa è
stata intrapresa allo scopo di impedire all'avversario di comportarsi
illegalmente anche in futuro”.La proporzione ritenuta come equa fu
quella di 10 a 1.
Quando
si insegnerà finalmente nelle scuole una storia non
ideologizzata che non sia più quella scritta dai vincitori?
1
Oggi si dice che siano stati solo due, tra cui un bambino di 10
anni. Ma il Messaggero
del 28 marzo scrisse che erano stati sette.
2
Si iniziò subito con il D.Lgt 5.4.1945, n.158 (che
riconosceva la qualifica di “patriota combattente”, comportante
benefici di ogni genere). Seguirono il D.Lgt 21.8.45 (che
disciplinava “il riconoscimento delle qualifiche di partigiani e
l'esame di proposte di ricompensa), quello del 6.9.1946 (che,
ponendo a carico dello Stato i danni di guerra causati dalle forze
alleate o nemiche, equiparava ad esse le formazioni volontarie) e
la legge 21.3. 1958, n. 285 (che ha riconosciuto “come corpo
organizzato inquadrato nelle forze armate dello Stato il “corpo
Volontari della libertà”.
1 commento:
L'Italia nasce sulla menzogna. Cresce nella menzogna.Sta finendo nella menzogna. Dire la verità è un atto rivoluzionario . . .
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