In Italia rimane classico il libretto di Pietro Verri Osservazioni sulla tortura (di cui ho rinfrescato la lettura nella vecchia edizione BUR del 1988). Pietro Verri (fratello del più noto Alessandro) fu l'ispiratore di Dei delitti e delle pene di Beccaria, l'amicizia con il quale si ruppe sia per l'invidia di Verri nei confronti di Beccaria, il cui successo Verri si attribuiva,sia perché Verri non approvò certe argomentazioni di Beccaria che riteneva fossero prive di un rigoroso impianto logico (come d'altronde io stesso, indipendentemente da Beccaria, ho rilevato nel mio libro e qui esposte nell'articolo precedente). Il libretto di Verri fu occasionato dalla condanna a morte di Guglielmo Piazza e di Gian Giacomo Mora che erano stati costretti a dichiarare di essere colpevoli di avere seminato la peste imbrattando dei muri con sostanze atte alla diffusione della peste. Si tratta di un episodio risalente al 1630 rientrante in uno dei processi agli untori di cui scrive il Manzoni nella Storia della colonna infame. Verri accusa i giudici di avere condannato degli innocenti costretti a confessare sotto tortura e sotto la pressione di una folla inferocita che vedeva nel Piazza e nel Mora degli untori. Alla luce delle conoscenze scientifiche è evidente che l'accusa era del tutto campata in aria, perché si sa che la peste (come già quella del 1300 di cui scrive Boccaccio) è causata da topi infettati dal virus causa della peste. E qui ci sarebbe da meditare e da ironizzare sul "migliore dei mondi possibili" di Leibniz. Se questo mondo è il migliore dei mondi possibili con tutte le malattie di origine genetica e non causate dall'uomo (per cui vale un diverso discorso) figuriamoci come sarebbe se fosse un tantino peggiore. Ma andiamo avanti sulla tortura. Verri cita molti esempi di legislazione sia antica che moderna che escludevano la tortura come mezzo atto a far confessare all'imputato la sua colpevolezza. Ma questo era uno scoprire l'acqua calda. Il padre di Pietro Verri (Gabriele) era presidente del Senato della Lombardia, che si era opposto all'applicazione del decreto del 1776 dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria che aboliva la tortura. Questa fu abolita in Lombardia (che era una provincia dell'Impero asburgico) nel 1784 dall'imperatore Giuseppe II. Scrive Verri (§11): "Se è cosa ingiusta che un fratello accusi criminalmente l'altro a più forte ragione sarà cosa ingiusta e contraria alla voce della natura che un uomo diventi accusatore di se stesso". Si può commentare che questa è una verità lapalissiana. Infatti, ancora nel nostro Codice, l'accusato, al contrario del testimone, ha il diritto di dire il falso per difendersi. Aggiunge Verri (§14): "Mentre si esamina se un uomo sia innocente si tormenta, e per un delitto incerto dassi un certissimo spasimo, non perché si sappia che sia reo il paziente ma perché non si sa se sia reo, quindi l'ignoranza del giudice ricade nell'esterminio dell'innocente..Quintiliano pure (Instit. Orat. lib. V, cap. IV) accenna la disputa che eravi fra quei che sostenevano che la tortura è un mezzo di scoprire la verità e quei che insegnavano esser questa la cagione di esporre il falso, poiché i pazienti tacendo mentiscono, e i deboli sforzatamente mentiscono parlando...Non vediamo noi ben sovente degl'infelici che incontrano la morte anzi che poter sopportare lo spasimo e si accusano d'un delitto non commesso cert del supllizio per evitare la tortura!...Se la violenza del tormento lo sforza ad accusare se stesso indebitamente e quale detestabile umanità èella mai quella di opprimere cogli spasimi i più violenti e condannare poi al supplizio un cittadino virtuoso! Sarebbe men male lasciar impuniti venti colpevoli di quello che è lo sacrficare un innocente".
Sin qui non si può non dare ragione a Verri. La tortura inflitta ad un accusato perché confessi di essere colpevole è un non senso giuridico. Anche l'innocente potrebbe essere indotto a confessare di essere colpevole pur di sottrarsi alla tortura, che sarebbe peggiore della morte. Mentre chi fosse in grado per la sua forza fisica di resistere alla tortura potrebbe salvarsi dichiarandosi innocente pur sapendo di essere colpevole.
Ma la tortura non può avere la finalità di costringere l'accusato a confessare di essere colpevole (anche se lo fosse). La tortura dovrebbe avere tutt'altra finalità. E qui si dimostra la debolezza di Verri. Il quale (§15) scrive: "Come mai, dicono gli apologisti della tortura, come mai indurremo un reo a palesare i complici senza il mezzo della tortura?...Si suppone che la tortura sia un mezzo per rintracciare la verità. Ma anche prescindendo da questo si risponde che un uomo che accusa se medesimo non avrà difficoltà di nominare ordinariamente i complici; che un uomo che nega il delitto non gli può nominare senza accusare se stesso; che finalmente per volere saper tutto e scrivere tutta la serie d'un uomo e de' delitti che ha commessi o veduti commettere ordinariamente si riempiono le prigioni di tanti disgraziati e si vanno protraendo a somma lentezza i processi. E' men male l'ignorare un complice e il punire sollecitamente un reo di quello che sia dopo averlo lasciato languire nello squallore del carcere per mesi ed anni punire più uomini d'un delitto di cui nessuno ha più memoria, cosicché altro non vede il popolo che la isolata atrocità che eseguisce solennemente il carnefice".
La questione non è stata affrontata da Verri nei dovuti termini. Se un delitto è stato commesso da più individui e se ne scopre solo uno di cui sia PROVATA la colpevolezza ha questo individuo il dovere di fare il nome o i nomi dei complici? Il colpevole, forse per rispettare un cosiddetto codice d'onore che vige anche nella criminalità, o forse per timore che gli altri colpevoli (o i loro affiliati) possano poi vendicarsi sui familiari, avrebbe interesse ad evitare di fare i nomi dei complici. Ma questo è solo un interesse personale. L'interesse generale, che è quello della società, impone che tutti i colpevoli siano scoperti e condannati. E nel caso in cui il colpevole rifiuti assolutamente di fare i nomi dei complici che deve fare lo Stato se non ha altri mezzi per scoprire i complici? Deve arrendersi al silenzio e dimostrare di essere debole di fronte al silenzio. La questione si propone specialmente nei confronti delle organizzazioni mafiose. Se si fa prevalere il solito buonismo le organizzazioni mafiose continueranno ad essere più forti della legge. Ed ogni tentativo di combattere la mafia rimarrà una pura buffonata. Qui ci vogliono leggi speciali come le leggi di guerra, che prevedono anche la rappresaglia, perché le organizzazioni mafiose debbono essere considerate un nemico interno alla società, e, come ogni nemico in guerra esterna, deve essere combattutto con le armi. Se la mafia usa la pena di morte lo Stato non può usare armi inferiori. Sarebbe lo stesso che credere di poter sconfiggere con fucili da caccia un esercito dotato di artiglieria. Le organizzazioni mafiose, e qui mi inserisco più personalmente, debbono essere considerate sotto i livello, non dell'umanità (che è soltato un retorico ideale perché non esiste l'umanità ma esistono gli uomini), ma della stessa animalità. Infatti nemmeno i predatori uccidono con crudeltà, ma solo per motivi di sopravvivenza alimentare. Dunque i mafiosi di ogni specie debbono essere considerati dei subanimali, la cui vita vale meno di quella di qualsiasi animale.
Ma anche prescindendo da queste mie personali affermazioni, che rimedio avrebbe lo Stato se non cercasse di demolire le organizzazioni criminali costringendo gli arrestati a confessare i nomi dell'organizzazione di cui fanno parte? Lo Stato italiano, dimostrando la sua vigliacca impotenza, concede benefici ai cosiddetti pentiti, oggi per di più definiti eufemisticamente "collaboratori di giustizia" (che schifo!). E qui aveva ragione Beccaria nel passo (da me riportato nell'articolo precedente) dove condanna la compera della delazione da parte dello Stato. Ma Beccaria, anch'egli contrario alla tortura, non seppe offrire altro rimedio alla compera della delazione da parte dello Stato. Non rimane altro rimedio che la tortura di quelli di cui sia stata provata la colpevolezza. Dunque la tortura non può essere finalizzata all'assurdo della confessione di colpevolezza di un accusato. Il quale, ripeto, ha tutto il diritto di dire il falso per salvarsi. La tortura trova giustificazione solo in funzione della confessione dei nomi dei complici. Naturalmente la questione non finisce qui perché il condannato potrebbe fare il nome di innocenti per salvare i suoi complici. Vi è da ricordare a questo proposito il caso Enzo Tortora, che finì in carcere perché accusato falsamente da un cosiddetto pentito. I nomi fatti sotto tortura debbono essere attentamente vagliati con un controllo ad incrocio. E quando i nomi corrispondono ad individui che notoriamente, anche se liberi, appartengono ad affiliazioni mafiose si hanno già delle buone premesse (anche se non sufficienti) per indirizzare ulteriori indagini sui nomi fatti sotto tortura. Anche con un carcere preventivo perché quando si pesca nell'ambiente mafioso si pesca sempre bene. E se la confessione di nomi fatti dal colpevole risultasse falsa costui la dovrebbe scontare con una pena maggiore. Per me andrebbe bene una doppia dose di tortura.
In conclusione, la condanna della tortura da parte del papa parte da una concezione antropocentrica che vede pur sempre in qualsiasi uomo la cosiddetta "dignità della persona umana", che è veramente una grande stronzata. Altrimenti si dovrebbe riconoscere tale dignità anche ai peggiori criminali della storia, e perciò non negarla nemmeno a Hitler. Ma purtroppo questo papa non si accorge delle banalità che dice anche quando dice cose giuste, né si accorge tanto meno delle stronzate che dice cadendo in tante contraddizioni. Dice spesso: pregate per me. Roba da matti. Poiché egli è considerato vicario di Cristo in Terra, sarebbe lo stesso che Gesù (considerato figlio di Dio) avesse detto, almeno agli apostoli: pregate per me. Ma che stronzata è questa? E tuttavia la folla di ebeti che affollano la piazza S. Pietro e applaudono il papa non si accorgono delle stronzate che dice. Essi mandano in vacanza la ragione (ammesso che l'abbiano) perché sopraffatti dall'emozione, che diventa ancora più forte in una sorta di spirito gregario di gruppo che mi fa pensare alle bande giovanili dove i componenti si rafforzano a vicenda per superare il loro senso di debolezza individuale e sfogano la loro forza come banda. Allo stesso modo i credenti che applaudono il papa hanno bisogno di cercare una "verità" non nei Vangeli, perché, se li conoscessero e fossero capaci di capirli la loro fede vacillerebbe o ne verrebbe demolita, ma in una Istituzione visibile che li assicuri dall'esterno e che si faccia garante di una verità a cui da soli sarebbero incapaci di arrivare, anche perché questa verità non esiste.
Vada poi al papa il mio massimo disprezzo per avere taciuto su tutte le torture a cui sono sottoposti i veri innocenti della Terra che sono gli animali non umani, anche quelli nocivi (come certi insetti), che non non sanno di esserlo, al contrario dell'uomo. Quale insegnamento mi può dare un individuo che ancora non considera nemmeno come peccato di cui sia necessario confessarsi il maltrattamento e la tortura degli animali non umani mentre per la legge italiana (anche se insufficiente e di fatto puramente nominale) considera reato il maltrattamento? Nessuno. Caro papa, tutto ciò premesso, ti dico: vaffanculo, a me per il culo non mi prendi con le tue quotidiane stronzate. E mi riparo dietro un verso di Dante: "E cortesia fu lui esser villano" (Inferno, XXXIII, 150).
Riporto qui il commento di un lettore al mio precedente articolo.
"Il papa, poi stamane affacciandosi dal balcone di piazza s. Pietro, ha detto che torturare una persona è un peccato molto grave. Ma perché non dire invece che torturare ogni essere vivente è un peccato molto grave.
La solita arroganza antropocentrica della chiesa cattolica che se ne infischia degli animali. Ma non si rende conto che a predicare la compassione solo per gli uomini e l'indifferenza verso i maltrattamenti, le torture e il disprezzo della vita degli animali è diseducativo anche nei rapporti fra uomini? Purtroppo anche questo papa si identifica perfettamente in questa errata ed ingiusta teoria del cattolicesimo in perfetta continuità con il passato".
Un saluto.
Anton.
La questione non è stata affrontata da Verri nei dovuti termini. Se un delitto è stato commesso da più individui e se ne scopre solo uno di cui sia PROVATA la colpevolezza ha questo individuo il dovere di fare il nome o i nomi dei complici? Il colpevole, forse per rispettare un cosiddetto codice d'onore che vige anche nella criminalità, o forse per timore che gli altri colpevoli (o i loro affiliati) possano poi vendicarsi sui familiari, avrebbe interesse ad evitare di fare i nomi dei complici. Ma questo è solo un interesse personale. L'interesse generale, che è quello della società, impone che tutti i colpevoli siano scoperti e condannati. E nel caso in cui il colpevole rifiuti assolutamente di fare i nomi dei complici che deve fare lo Stato se non ha altri mezzi per scoprire i complici? Deve arrendersi al silenzio e dimostrare di essere debole di fronte al silenzio. La questione si propone specialmente nei confronti delle organizzazioni mafiose. Se si fa prevalere il solito buonismo le organizzazioni mafiose continueranno ad essere più forti della legge. Ed ogni tentativo di combattere la mafia rimarrà una pura buffonata. Qui ci vogliono leggi speciali come le leggi di guerra, che prevedono anche la rappresaglia, perché le organizzazioni mafiose debbono essere considerate un nemico interno alla società, e, come ogni nemico in guerra esterna, deve essere combattutto con le armi. Se la mafia usa la pena di morte lo Stato non può usare armi inferiori. Sarebbe lo stesso che credere di poter sconfiggere con fucili da caccia un esercito dotato di artiglieria. Le organizzazioni mafiose, e qui mi inserisco più personalmente, debbono essere considerate sotto i livello, non dell'umanità (che è soltato un retorico ideale perché non esiste l'umanità ma esistono gli uomini), ma della stessa animalità. Infatti nemmeno i predatori uccidono con crudeltà, ma solo per motivi di sopravvivenza alimentare. Dunque i mafiosi di ogni specie debbono essere considerati dei subanimali, la cui vita vale meno di quella di qualsiasi animale.
Ma anche prescindendo da queste mie personali affermazioni, che rimedio avrebbe lo Stato se non cercasse di demolire le organizzazioni criminali costringendo gli arrestati a confessare i nomi dell'organizzazione di cui fanno parte? Lo Stato italiano, dimostrando la sua vigliacca impotenza, concede benefici ai cosiddetti pentiti, oggi per di più definiti eufemisticamente "collaboratori di giustizia" (che schifo!). E qui aveva ragione Beccaria nel passo (da me riportato nell'articolo precedente) dove condanna la compera della delazione da parte dello Stato. Ma Beccaria, anch'egli contrario alla tortura, non seppe offrire altro rimedio alla compera della delazione da parte dello Stato. Non rimane altro rimedio che la tortura di quelli di cui sia stata provata la colpevolezza. Dunque la tortura non può essere finalizzata all'assurdo della confessione di colpevolezza di un accusato. Il quale, ripeto, ha tutto il diritto di dire il falso per salvarsi. La tortura trova giustificazione solo in funzione della confessione dei nomi dei complici. Naturalmente la questione non finisce qui perché il condannato potrebbe fare il nome di innocenti per salvare i suoi complici. Vi è da ricordare a questo proposito il caso Enzo Tortora, che finì in carcere perché accusato falsamente da un cosiddetto pentito. I nomi fatti sotto tortura debbono essere attentamente vagliati con un controllo ad incrocio. E quando i nomi corrispondono ad individui che notoriamente, anche se liberi, appartengono ad affiliazioni mafiose si hanno già delle buone premesse (anche se non sufficienti) per indirizzare ulteriori indagini sui nomi fatti sotto tortura. Anche con un carcere preventivo perché quando si pesca nell'ambiente mafioso si pesca sempre bene. E se la confessione di nomi fatti dal colpevole risultasse falsa costui la dovrebbe scontare con una pena maggiore. Per me andrebbe bene una doppia dose di tortura.
In conclusione, la condanna della tortura da parte del papa parte da una concezione antropocentrica che vede pur sempre in qualsiasi uomo la cosiddetta "dignità della persona umana", che è veramente una grande stronzata. Altrimenti si dovrebbe riconoscere tale dignità anche ai peggiori criminali della storia, e perciò non negarla nemmeno a Hitler. Ma purtroppo questo papa non si accorge delle banalità che dice anche quando dice cose giuste, né si accorge tanto meno delle stronzate che dice cadendo in tante contraddizioni. Dice spesso: pregate per me. Roba da matti. Poiché egli è considerato vicario di Cristo in Terra, sarebbe lo stesso che Gesù (considerato figlio di Dio) avesse detto, almeno agli apostoli: pregate per me. Ma che stronzata è questa? E tuttavia la folla di ebeti che affollano la piazza S. Pietro e applaudono il papa non si accorgono delle stronzate che dice. Essi mandano in vacanza la ragione (ammesso che l'abbiano) perché sopraffatti dall'emozione, che diventa ancora più forte in una sorta di spirito gregario di gruppo che mi fa pensare alle bande giovanili dove i componenti si rafforzano a vicenda per superare il loro senso di debolezza individuale e sfogano la loro forza come banda. Allo stesso modo i credenti che applaudono il papa hanno bisogno di cercare una "verità" non nei Vangeli, perché, se li conoscessero e fossero capaci di capirli la loro fede vacillerebbe o ne verrebbe demolita, ma in una Istituzione visibile che li assicuri dall'esterno e che si faccia garante di una verità a cui da soli sarebbero incapaci di arrivare, anche perché questa verità non esiste.
Vada poi al papa il mio massimo disprezzo per avere taciuto su tutte le torture a cui sono sottoposti i veri innocenti della Terra che sono gli animali non umani, anche quelli nocivi (come certi insetti), che non non sanno di esserlo, al contrario dell'uomo. Quale insegnamento mi può dare un individuo che ancora non considera nemmeno come peccato di cui sia necessario confessarsi il maltrattamento e la tortura degli animali non umani mentre per la legge italiana (anche se insufficiente e di fatto puramente nominale) considera reato il maltrattamento? Nessuno. Caro papa, tutto ciò premesso, ti dico: vaffanculo, a me per il culo non mi prendi con le tue quotidiane stronzate. E mi riparo dietro un verso di Dante: "E cortesia fu lui esser villano" (Inferno, XXXIII, 150).
Riporto qui il commento di un lettore al mio precedente articolo.
"Il papa, poi stamane affacciandosi dal balcone di piazza s. Pietro, ha detto che torturare una persona è un peccato molto grave. Ma perché non dire invece che torturare ogni essere vivente è un peccato molto grave.
La solita arroganza antropocentrica della chiesa cattolica che se ne infischia degli animali. Ma non si rende conto che a predicare la compassione solo per gli uomini e l'indifferenza verso i maltrattamenti, le torture e il disprezzo della vita degli animali è diseducativo anche nei rapporti fra uomini? Purtroppo anche questo papa si identifica perfettamente in questa errata ed ingiusta teoria del cattolicesimo in perfetta continuità con il passato".
Un saluto.
Anton.
Papa condanna la tortura. "La Comunione ci cambia"
- AGI - Agenzia Giornalistica Italia - 1 giorno faUna "ferma condanna di ogni forma di tortura" e' stata ribadita oggi da Papa Francesco, che definedola "un peccato mortale molto grave", ..
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