domenica 22 giugno 2014

IL PAPA SCOMUNICA I MAFIOSI: CHE RIDERE! SE LA SBATTONO NEL DI DIETRO

Capirai quanto gliene importi a quei criminali della scomunica del papa. Se la sbattono nel di dietro e si mettono a ridere.
La vera scomunica consisterebbe nella pena di morte per liberare la società da questa schifosa genia di subanimali. Ma guai a parlare di pena di morte in Europa. Si è subito accusati si essere incivili. E magari si tira fuori il solito Beccaria, ma senza aver mai letto il suo Dei delitti e delle pene. Beccaria sostituì la pena di morte con il carcere a vita. Ora, a parte il fatto che in Italia il carcere a vita di fatto non esiste più, se si applicasse il carcere a vita come lo intendeva Beccaria un condannato a morte preferirrebbe la pena di morte al carcere a vita. Inoltre Beccaria, alla faccia degli ignoranti, non escluse in assoluto la pena di morte nel casi di organizzazioni criminali che mettano a repentaglio la pace sociale. La Chiesa ha abolito solo nel 1999 la pena di morte dal suo Catechismo. Nel mio libro ho citato le argomentazioni di tutti i maggiori pensatori, dall'antichità all'età moderna, favorevoli alla pena di morte (Platone, Aristotele, S. Paolo, Seneca S. Agostino, S. Tomaso, Montaigne, John Locke, Rousseau, Montesquieu, Kant, Hegel, Schopenhauer, Giovanni Domenico Romagnosi, Gaetano Filangieri, finendo con il papa Pio XII, che, proposto per la beatificazione da Giovanni Paolo II, difese una concezione vendicativa della pena e giustificò la pena di morte vedendo nel disprezzo dell’ordine pubblico un’opposizione a Dio (Acta Apostolicae Sedis 47, 1955). Pio XII. l’ultimo grande papa. Dopo di lui il caos nella Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II, facendo visita ad un carcere, invitò i carcerati a sopportare la loro croce, come se i delinquenti di ogni specie potessero essere considerati vittime e non carnefici. Il buonismo che uccide la giustizia. I contrari alla pena di morte si trovano oggi in compagnia di ...Robespierre, che, prima di cambiare idea pochi anni dopo, scriveva nei Discorsi sulla pena di morte, avvalendosi dell’argomento del possibile errore giudiziario, che la pena di morte era un eccesso di severità, e precisava: “un vincitore che tagli la gola ai suoi prigionieri è definito un barbaro”. Egli si poneva contro il Codice penale approvato dall’Assemblea costituente nel 1791, che riconfermava la pena di morte prevista dalle leggi dell’ancien regime. Ma Robespierre, nel periodo del terrorre scatenato non da lui ma dal Comitato di Salute pubblica (di cui condannava gli eccessi), fu egli stesso ingiusta vittima della ghigliottina.
LA VISITA IN CALABRIA

Il Papa: “Mafiosi scomunicati,
la ‘ndrangheta adora il male”

Dal mio libro Io non volevo nascere   quanto segue. 

Il famoso Dei delitti e delle pene (1764) di Beccaria nell’escludere la pena di morte esprime una concezione contrattualistica e utilitaristica della legge,1 e pertanto non può che escludere una concezione retributiva della pena. Secondo Beccaria dal contratto sociale non deriva il diritto dello Stato di applicare la pena di morte perché gli uomini non possono avere contrattato ciò, dando agli altri il potere di ucciderli. Ma si noti come l’affermazione di Beccaria sia, oltre che illogica, soltanto una petizione di principio. Infatti gli uomini che avessero escluso la pena di morte sin dalla fase del contratto sociale per timore di essere uccisi avrebbero ammesso di aderire contraddittoriamente (perché in malafede) al contratto, avendo già d’allora intenzione di uccidere, mentre il contratto nasceva perché nessuno potesse più rimanere vittima degli altri. Chi non avesse avuto intenzione di uccidere non avrebbe avuto paura di richiedere allo Stato la pena di morte, per maggiore tutela della propria vita, ma, al contrario, l’avrebbe impedita chi avesse avuto in animo di uccidere, pur aderendo al contratto. Perciò l’esempio di Beccaria giustifica solo la malafede.

Per Beccaria la pena ha la funzione di distogliere gli altri dal commettere eguale reato, mentre gli è estranea una concezione emendativa della pena, che serva al reo per redimersi. Ma si tratta di una giustificazione logicamente insostenibile, giacché 1) o tutti si dovrebbero sentire distolti; 2) o la pena non serve a tutti quelli che non si siano sentiti distolti, mentre per tutti gli altri sarebbe inutile.

La pena serve soltanto a quelli che non si sentano distolti. Ma questa è una tautologia che non spiega alcunché.

Le argomentazioni di Beccaria contro la pena di morte sono dunque risibili. Egli scrive: “Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risultano la sovranità e le leggi…Non è dunque la pena di morte un diritto…ma è una guerra della nazione con un cittadino, che giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere”. Quale enorme confusione di idee! Da una parte un assassino viene considerato moralisticamente simile alla vittima innocente, dall’altra si presenta come negativo ciò che è positivo, che lo Stato, come in una guerra, ritenga necessario o utile usare le armi da guerra contro il nemico. L’argomentazione di Beccaria si rivolge contro di lui. Ma lungi da qualsiasi considerazione filosofico-umanitaria l’illuminista Beccaria è indotto a chiedere per il carcere perpetuo “una schiavitù perpetua! “fra ceppi o le catene”, in cui “il disperato non finisce i suoi mali”, come, invece, con la pena di morte. Beccaria condanna lo Stato che compra le delazioni e impone taglie: “Chi ha la forza di difendersi non cerca di comprarla. Di più, un tal editto sconvolge tutte le idee di morale e di virtù, che ad ogni minimo vento svaniscono nell’animo umano. Ora le leggi invitano al tradimento, ed ora lo puniscono…Invece di prevenire un delitto, ne fa nascere cento. Questi sono gli espedienti delle nazioni deboli, le leggi delle quali non sono che istantanee riparazioni di un edificio rovinoso che crolla da ogni parte”.2 D’altra parte, Beccaria (Dei delitti e delle pene, cap. XXVII) continuò a giustificare la pena di morte se “la morte di qualche cittadino diviene necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell’anarchia, quando i disordini tengon luogo di leggi”.
Bisognerebbe dunque concludere che Beccaria non sarebbe oggi contrario alla pena di morte almeno per i delitti di mafia, in cui “i disordini tengon luogo di leggi”, o contro i trafficanti di droga, cioè di morte, siano collegati o non con la mafia. La mafia non può essere combattuta democraticamente, ma sospendendo nelle regioni mafiose ogni forma di rappresentanza politica, esposta localmente ai ricatti mafiosi, e ogni forma di garanzia costituzionale nei confronti delle famiglie mafiose, a cui soggiace anche tutto l’apparato giudiziario, dalle guardie carcerarie ai direttori delle carceri sino ai magistrati che dovrebbero giudicare i criminali mafiosi, i quali smetterebbero di comandare e ricattare anche dal carcere soltanto se venissero giustiziati con la pena di morte. Soltanto da morti non potrebbero più comandare e ordinare altre uccisioni. Si sa quali sono le famiglie mafiose, e quando si peschi dentro di esse si pesca sempre bene, senza andare per il sottile. Uno Stato che non voglia intendere ciò è o buffone o connivente con questa feccia di specie soltanto biologicamente umana. Merito principale di Beccaria è l’avere evidenziato la necessità di “una proporzione tra i delitti e le pene”. Ma proprio tale proporzione sarà rivendicata da Kant contro Beccaria per giustificare la pena di morte.

1 Il contrattualismo non implica necessariamente l’utilitarismo come negazione di un diritto naturale. In Hobbes, per esempio, la concezione contrattualistica si accorda con quella utilitaristica, ma anche con una concezione giusnaturalistica che vede la legge naturale non dipendere dal contratto ma precederlo. Così in Locke la concezione contrattualistica si accorda con il diritto naturale alla libertà e alla proprietà (Secondo Trattato del governo civile (a cura di Luigi Pareyson) , Utet 1982, pp. 229-63.


2 Oggi il riferimento va all’impiego, da parte dello Stato, dei cosiddetti “pentiti”, premiati per le loro “confessioni”. E’ il risultato, direbbe Beccaria, di uno Stato che, non avendo la forza di difendersi, a causa del suo garantismo nei riguardi delle organizzazioni criminali, cerca di comprarla, mandando in rovina l’edificio dell’ordinamento giuridico, fondato sulla proporzionalità della pena al delitto.

8 commenti:

Sergio ha detto...

Beccaria è molto citato e poco letto (peccato perché il suo famoso trattato contiene malgrado i suoi difetti alcune bellissime pagine). Intanto, come ha ricordato Lei, non è vero che egli abbia invocato l'abolizione della pena di morte che ritiene necessaria in alcune circostanze. I suoi meriti maggiori consistono nei suoi plaidoyer contro la tortura e per la proporzionalità delle pene.
La legittimità della pena di morte è e resterà sempre una questione controversa. L'uccisione in guerra del nemico è considerata da tutti, anche dalla Chiesa, legittima. La legittima difesa non è infatti contestata da nessuno (la legge però sancisce gli eccessi nella legittima difesa).
Tuttavia se si nega il libero arbitrio (e io lo nego d'accordo con Schopenhauer e le neuroscienze moderne) la pena di morte appare o può apparire eccessiva. L'individuo e la società hanno comunque il diritto di tutelarsi contro i criminali per cui la pena di morte può essere giustificata, apparire congrua (come si ritiene del resto giusto uccidere il nemico in guerra).
Gli americani continuano ad essere favorevoli alla pena di morte. Non so che cosa pensasse Kant del libero arbitrio. Comunque il colpevole di tutto è o sarebbe Dio - e all'inferno bisognerebbe mandare lui. Ma per fortuna sua non esiste.

Anonimo ha detto...

Il papa, poi stamane affacciandosi dal balcone di piazza s. Pietro, ha detto che torturare una persona è un peccato molto grave. Ma perché non dire invece che torturare ogni essere vivente è un peccato molto grave.
La solita arroganza antropocentrica della chiesa cattolica che se ne infischia degli animali. Ma non si rende conto che a predicare la compassione solo per gli uomini e l'indifferenza verso i maltrattamenti, le torture e il disprezzo della vita degli animali è diseducativo anche nei rapporti fra uomini? Purtroppo anche questo papa si identifica perfettamente in questa errata ed ingiusta teoria del cattolicesimo in perfetta continuità con il passato.
Un saluto.
Anton.

Anonimo ha detto...

Gentile prof., scusi la non pertinenza, ho letto dal suo sito ordine liberale la sua interpretazione del nonsenso linguistico “dono della vita”. Ora legga la mia: L’essere è materia animata. Solo dio può “donare” un’anima alla materia (il corpo). La vita è il legame tra corpo ed anima. Di conseguenza, la vita è il “dono” di dio che “dona” l’anima al corpo. Poi sta a noi saper apprezzare al meglio quest’opportunità che ci vien regalata o donata. E’ anche vero però che non per tutti, questo “dono” è un bene. E’ anche difficile poter parlare di “dono”. Un dono un po’ stronzo, perché nessuno ha chiesto di nascere. Ecco perché secondo me siamo nelle mani di un dio ostile, e che nulla ci deve far pensare di essere al centro delle sue attenzioni, di un dio malvagio e crudele, di un Dio porco (ci sta proprio la bestemmia).

Pietro Melis ha detto...

Caro Sergio, per sfortuna non esiste perché ci sarebbe da sputargli in faccia. Ma per sfortuna ulteriore, se esistsse, non avrebbe nemmeno faccia. Se Dio è onnipotente perché non può annullarsi? Allora non è onnipotente.

Pietro Melis ha detto...

All'anonimo (perché non presentarsi per correttezza?):il suo ragionamento ha una premessa completamente sbagliata, cioè il presupposto tacito (fatto proprio da Cartesio che distingueva tra sostanza estesa o materia e sostanza pensante) che la materia sia di per sé inanimata e che perciò abbia bisogno di un intervento esterno per divenire materia animata. Se lei avesse conoscenze di biologia evoluzionistica sull'origine della vita (ho scritto su questo tema un libro d 518 pagine intitolato "Biologia e filosofia. Origine della vita ed evoluzione biologica. Casualità e necessità) saprebbe che la materia organica (chimica organica fondata sul carbonio) è derivata dalla materia inorganica, ed è derivata NATURALMENTE. E dalla materia organica è derivata la NATURALMENTE la vita, che ha una comune origine nei protorganismi, formatisi circa 3 miliardi di anni fa. Tra tutti i libri le suggerisco quelli di Mario Ageno, a cui ho dedicato circa 100 pagine del mio libro e con cui fui in corrispondenza). Le consiglio soprattutto "Le radici della biologia", Feltrinelli 1987).Mario Ageno rimane il più grande scienziato italiano in fatto di biofisica di cui ebbe la prima cattedra in Italia, appositamente instaurata per lui. Perciò la scienza non ha bisogno di Dio. E' autosufficiente su questo argomento.

Pietro Melis ha detto...

Ad Anton, le risponderò in un nuovo articolo. Grazie. Lei mi ha chiesto l'indirizzo email. Preferisco non renderlo pubblico per ovvi motivi. Mi invii il suo e le risponderò privatamente.

Anonimo ha detto...

Ma con quale mezzo glielo invio il mio indirizzo e-mail? Se tramite un post su questo sito, allora dovrei:-) necessariamente renderlo pubblico? Il che non mi va.
Anton

Pietro Melis ha detto...

Ad Anton
ricevuto il suo indirizzo email