Queste sono le considerazioni che la Cassazione (formata da ignoranti, perché manovali e non studiosi del diritto anche dal punto di vista storico) avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Il crocifisso è dunque il simblo storico di quella separazione tra religione e Stato che l'Europa si è conquistata anche attraverso dure guerre di religione all'interno del cristianesimo, da cui la Riforma protestante, che ha scisso chiaramente la religione come fatto di coscienza privata dal potere dello Stato.
La sentenza riguarda anche gli altri uffici pubblici
Cassazione: «Solo il crocefisso
può stare nei tribunali»
Per gli altri simboli religiosi «è necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo stato non sussiste»
La sentenza riguarda aNche gli altri uffici pubblici
Cassazione: «Solo il crocefisso
può stare nei tribunali»
Per gli altri simboli religiosi «è necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo stato non sussiste»
ROMA - Per esporre negli uffici pubblici, tra i quali rientrano le aule di giustizia, simboli religiosi diversi dal crocefisso «è necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo stato non sussiste». Lo sottolinea la Corte di cassazione nelle motivazioni con le quali ha confermato la rimozione dalla Magistratura del giudice «anticrocefisso» Luigi Tosti, che rifiutava di tenere udienza finché il simbolo della cristianità non fosse stato tolto da tutti i tribunali italiani. In alternativa Tosti chiedeva, anche in Cassazione, di poter esporre la Menorah, simbolo della fede ebraica.
RISCHIO DI «POSSIBILI CONFLITTI» - Dopo aver respinto la pretesa di Tosti per quanto riguarda la richiesta di esporre il simbolo ebraico accanto al crocefisso, la Cassazione rileva che una simile scelta potrebbe anche essere fatta dal legislatore valutando, però, anche il rischio di «possibili conflitti» che potrebbero nascere dall'esposizione di simboli di identità religiose diverse. «È vero che sul piano teorico il principio di laicità - scrive la Cassazione - è compatibile sia con un modello di equiparazione verso l'alto (laicità per addizione) che consenta ad ogni soggetto di vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli della propria religione, sia con un modello di equiparazione verso il basso (laicità per sottrazione)». «Tale scelta legislativa, però, presuppone - spiega la Cassazione - che siano valutati una pluralità di profili, primi tra tutti la praticabilità concreta ed il bilanciamento tra l'esercizio della libertà religiosa da parte degli utenti di un luogo pubblico con l'analogo esercizio della libertà religiosa negativa da parte dell'ateo o del non credente, nonché il bilanciamento tra garanzia del pluralismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità religiose tra loro incompatibili».
14 marzo 2011
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