Ho lasciato la seguente lettera nel sito di Angela Pellicciari
Angela Pellicciari
www.angelapellicciari.it/chi sono. Sono nata a Fabriano l'8 aprile 1948 ma vivo a Roma da molto tempo. Nel 1969 ho frequentato come borsista la SISPE (scuola italiana di ...
L'ho ascoltata nella sua lunga intevista al TG2. Sono d'accordo con ciò di negativo ha espresso Martin Lutero. Lo stesso Benedetto Croce scrisse nel libro Storia dell'Italia nell'età barocca che la Controriforma, opponendosi alla disgregazione dell'Europa, salvò il razionalismo dottrinale consegnandolo poi al liberalismo laico, sino al razionalismo del '600 e persino all'Illuminismo producendo effetti che andarono contro di essa anche nella involontaria promozione di una religione naturale e del principio di tolleranza. Lutero non fu meno fanatico della Chiesa cattolica persecutrice delle "streghe" e degli "eretici". Fu Lutero a spronare i principi tedeschi a soffocare spietatamente nel sangue la rivolta dei contadini, considerati da lui una banda di rivoltosi contro il potere costituito. E ciò contro il dettato evangelico "amate anche i vostri nemici" (anche se ritengo che ciò sia una pura utopia). Per Lutero non esiste il libero arbitrio, e infatti scrisse il De servo arbitrio contro il De libero arbitrio di Erasmo da Rotterdam. E' anche vero ciò che lei ha detto della contraddizione di Lutero circa la libera interpretazione della Bibbia e l'avere affidato poi la difesa del protestantesimo ai principi germanici favorendo in questo modo l'assolutismo che ha caratterizzato la storia tedesca, rendendo così la religione dipendente dal potere statale. Ma anche lei si è contraddetta facendo l'elogio di S.Agostino. E' infatti strano il fatto che lei non abbia colto il particolare importante che Lutero, ex frate agostiniano, abbia preso proprio da Agostino la dottrina della predeterminazione. Secondo Agostino fuori della Chiesa non vi è salvezza e l'umanità fuori di essa è solo "massa dannata". Lutero negava il libero arbitrio dicendo che Dio sin dall'eternità aveva già stabilito chi si sarebbe salvato e chi si sarebbe dannato. Ha riportato con efficacia l'esempio di Lutero secondo cui l'uomo è come un cavallo che va dove viene guidato da chi ci monta sopra. Se ci monta sopra Dio si salva, se ci monta sopra il demonio si danna. Le opere di bene non servono per la salvezza. Tutto dipende dalla fortuna della grazia. Dio l'ha data dall'eternità a chi vuole lui. Questa è irrazionalità pura. S. Tomaso, per salvare il merito delle opere ai fini della salvezza, cercò da equilibrista di salvare la libertà umana traducendo la predestinazione in prescienza, nel senso che Dio conosce il futuro ma non determina la volontà umana (anche se ciò è assai difficile da comprendere). La grazia è un aiuto in più che Dio dà all'uomo per operare bene ma non è determinante, anche perhé la grazia l'uomo deve meritarsela. Pertanto non capisco come lei possa salvare S. Agostino se fu proprio lui ad essere involontariamente l'ispiratore della Riforma con la sua dottrina della predestinazione e non ho mai capito come mai ancor oggi la Chiesa consideri Agostino il maggiore Padre della Chiesa mentre dovrebbe essere considerato un eretico per avere negato la libertà umana. Lei, inoltre, ha fatto anche l'elogio di S. Paolo. E anche questo non lo capisco. Io ho scritto nei miei libri soprattutto in Addio a Dio, che il cristianesimo è nato "cornuto". Ora le cito alcuni passi dalla Lettera ai Romani di Paolo, che lo stesso Lutero ritenne il documento fondativo del cristianesimo. Da una parte Paolo scrive che l'iniziativa è sempre divina (9,14-18) perché sempre libera dalla volontà umana. Pertanto la fede diviene un libero dono divino che priva di merito colui che la abbia. E non basta avere fede perché (ecco la dottrina della predestinazione) Dio "usa misericordia con chi vuole e indurisce nel peccato chi vuole". A tal punto da doversi considerare "beato l'uomo del cui peccato Dio non tiene conto ((4,7). Aggiunge Paolo: "Coloro che predeterminò anche chiamò; coloro che chiamò anche giustificò; coloro poi che giustificò anche glorificò"(8,30). Questa è una delle facce del Paolo bifronte, come Giano. Infatti nella stessa Lettera ai Romani scrive: "Quando i Gentili (i pagani), che non hanno legge (rivelata, n.d.r.) adempiono per natura le cose della legge, essi, che non hanno legge (rivelata), sono legge a se stessi; essi mostrano che quel che la legge comanda è scritto nei loro cuori per la testimonianza che rende loro la coscienza" (2,14). Affermazione rafforzata dalla frase "Dio renderà a ciascuno secondo le opere" (2,6). Con ciò, secondo tutti i commentatori, Paolo voleva dire che esiste una legge naturale scolpita nell'animo umano che consente, nel rispetto di essa, di operare bene, altrimenti per i pagani non vi sarebbe stata salvezza. Ora, a parte la contraddizione fondamentale di Paolo per il suo navigare tra predestinazione e libero arbitrio derivante dal libero rispetto della legge naturale (che avrebbe consentito a tutti gli uomini di salvarsi indipendentemente dalla conoscenza del messaggio cristiano), la conseguenza del venire a contatto con il cristianesimo avrebbe reso più difficile la salvezza. Se prima bastava il rispetto della legge naturale (per di più interpretata soggettivamente secondo la propria coscienza), aprendosi con ciò una sorta di autostrada per la salvezza, dopo la conversione al cristianesimo questa autostrada si trasformava in una strada stretta e pericolosa. Infatti, accortosi del pericolo che il cristianesimo diventasse del tutto inutile ai fini della salvezza se bastava la legge naturale, Paolo scrive che "l'uomo è giudicato mediante la fede, senza le opere della legge"(3,28). E nella Lettera ai Filippesi (3,8) scrive: "Riuniziai a tutte queste cose...al fin di guadagnare Cristo e d'esser trovato in lui avendo, non una giustizia mia, derivante dalla legge (mosaica, n.d.r.), ma quella che si ha mediante la fede in Cristo; la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede". Non basta. Adesso viene il punto più importante e più contraddittorio quando Paolo scrive che "senza la legge (rivelata, n.d.r.) il peccato è morto". Allora, sia che si tratti della legge rivelata prima che se ne avesse conoscenza, sia che si tratti della legge naturale prima che se ne percepisse l'esistenza nella coscienza, non poteva esserci alcuna condanna divina per chi non avesse rispettato la legge (rivelata). La conoscenza della legge (rivelata) rende paradossalmente più difficile la salvezza. Lo stesso Paolo infatti scrive nella Lettera ai Romani (5,20) che "la legge (rivelata, n.d.r.) subentrò perché si moltiplicasse la trasgressione colpevole". Solo con la fede in Cristo si sarebbe avuta la forza di osservare la nuova legge (rivelata), ma rendendo ancor più colpevole la trasgressione. Ma poi, a che serve la fede in Cristo se, come detto sopra, non basta la fede perché Dio sin dall'eternità ha già stabilito chi si salverà e chi si dannerà? A che serviva la predicazione di Paolo se non bastava nemmeno la conversione per avere la sicurezza della salvezza pur nel rispetto della legge rivelata? Come si vede il cristianesimo è nato da un cumulo di contraddizioni, e ciò fa pensare che i testi non siano affatto ispirati da un Dio, che sarebbe del tutto illogico. Chi vuol essere ascoltato deve rispettare una regola fondamentale, la mancanza di contraddizione, altrimenti è meglio che taccia per sempre. E ora passo alle contraddizioni dei Vangeli. Da una parte si dice che bisogna amare anche i propri nemici, ma Dio non perdonerà coloro che non l'amano (voglio dire coloro che non credono, non dico coloro che ne siano nemici). Infatti Gesù, prima di lasciare gli apostoli dopo la resurrezione (invenzione di Paolo sulla via di Damasco - fu allucinazione o malafede? Secondo Nietzsche fu malafede perché gli ebrei volevano vendicare l'ebreo Gesù appiccando un grosso incendio nell'impero romano trasformando Gesù in figlio di Dio) disse: "andate e predicate per tutte le nazioni. Coloro che crederanno e si faranno battezzare saranno salvi, altrimenti saranno condannati". Ma non aveva detto che bisognava amare anche i propri nemici? Pare che per lui (cioè per Dio) questa regola non valga.
E prescindo qui da tutte le difficoltà nascenti oggi dalla scienza dell'evoluzione biologica, che rende impossibile stabilire in che consista e quando sarebbe stato commesso il peccato originale, senza il quale cade tutta la cristologia. Eppure la Chiesa (con un discorso del 1996 di Giovanni Paolo II in occasione di un convegno su Darwin in Vaticano) ha accettato la scientificità dell'evoluzione biologica, anche se l'ha interpretata antiscientificamente in senso finalistico, come se l'evoluzione biologica di tutte le forme di vita a iniziare dai protorganismi fosse indirizzata verso la formazione dell'uomo. E' evidente che allora cadiamo in una fantascienza teologica. Io nel mio Libro Addio a Dio ho cercato con difficoltà, ma per una sorta di sfida linguistica, di sanare le contraddizioni di Paolo dando una doppia lettura delle sue Lettere, una per i credenti, i quali non hanno bisogno o sono incapaci di cogliere le contraddizioni, e un'altra esoterica, nascosta, per i non credenti, che fa scomparire le contraddizioni spiegando che secondo lo stesso Paolo basta per gli uomini adulti (capaci di razionalità) il rispetto della legge naturale per la salvezza, perché per gli altri è necessario il timore di Dio, di un padre che guidi gli uomini bambini con il premio della salvezza o il timore di una condanna. Infatti lo stesso Paolo (Lettera1 ai Corinzi, 3,1) scrive, rivolgendosi ai neoconvertiti: "Fratelli, non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma come a bambini in Cristo. Vi ho nutrito a latte, non di cibo solido perché non eravate ancora da tanto; anzi non lo siete nemmeno adesso perché siete ancora carnali". Pare dunque che chi crede in Cristo sia come un bambino da latte, bisognoso della guida di un padre (o della madre Chiesa) per crescere. Gli adulti, rispettosi della legge naturale, non hanno bisogno di credere in Cristo per salvarsi. Anzi (e questo è un mio pensiero), i non credenti che rispettino la legge naturale (da cui discende il diritto naturale) dovrebbero avere più meriti di fronte a Dio (se esiste) perché essi rispettano la giustizia in modo disinteressato, senza aspettarsi alcun premio nell'aldilà, mentre i credenti sono solo degli opportunisti che credono per avere il premio di benefici da parte di Dio in vita (con la preghiera a lui e ai suoi intermidiari, la madonna e i santi) e la salvezza dell'anima nell'aldilà. Ma inquesto modo la morale dei credenti, direbbe Kant, è eteronoma (interessata) e non autonoma. Secondo Kant il credente non potrà mai compiere un'azione morale perché la sua azione è dettata da una legge esterna (quella divina) e non interna alla coscienza intesa come principio di una legislazione universale. L'azione morale deve prescindere dall'esistenza di Dio altrimenti non è morale.
E prescindo qui da tutte le difficoltà nascenti oggi dalla scienza dell'evoluzione biologica, che rende impossibile stabilire in che consista e quando sarebbe stato commesso il peccato originale, senza il quale cade tutta la cristologia. Eppure la Chiesa (con un discorso del 1996 di Giovanni Paolo II in occasione di un convegno su Darwin in Vaticano) ha accettato la scientificità dell'evoluzione biologica, anche se l'ha interpretata antiscientificamente in senso finalistico, come se l'evoluzione biologica di tutte le forme di vita a iniziare dai protorganismi fosse indirizzata verso la formazione dell'uomo. E' evidente che allora cadiamo in una fantascienza teologica. Io nel mio Libro Addio a Dio ho cercato con difficoltà, ma per una sorta di sfida linguistica, di sanare le contraddizioni di Paolo dando una doppia lettura delle sue Lettere, una per i credenti, i quali non hanno bisogno o sono incapaci di cogliere le contraddizioni, e un'altra esoterica, nascosta, per i non credenti, che fa scomparire le contraddizioni spiegando che secondo lo stesso Paolo basta per gli uomini adulti (capaci di razionalità) il rispetto della legge naturale per la salvezza, perché per gli altri è necessario il timore di Dio, di un padre che guidi gli uomini bambini con il premio della salvezza o il timore di una condanna. Infatti lo stesso Paolo (Lettera1 ai Corinzi, 3,1) scrive, rivolgendosi ai neoconvertiti: "Fratelli, non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma come a bambini in Cristo. Vi ho nutrito a latte, non di cibo solido perché non eravate ancora da tanto; anzi non lo siete nemmeno adesso perché siete ancora carnali". Pare dunque che chi crede in Cristo sia come un bambino da latte, bisognoso della guida di un padre (o della madre Chiesa) per crescere. Gli adulti, rispettosi della legge naturale, non hanno bisogno di credere in Cristo per salvarsi. Anzi (e questo è un mio pensiero), i non credenti che rispettino la legge naturale (da cui discende il diritto naturale) dovrebbero avere più meriti di fronte a Dio (se esiste) perché essi rispettano la giustizia in modo disinteressato, senza aspettarsi alcun premio nell'aldilà, mentre i credenti sono solo degli opportunisti che credono per avere il premio di benefici da parte di Dio in vita (con la preghiera a lui e ai suoi intermidiari, la madonna e i santi) e la salvezza dell'anima nell'aldilà. Ma inquesto modo la morale dei credenti, direbbe Kant, è eteronoma (interessata) e non autonoma. Secondo Kant il credente non potrà mai compiere un'azione morale perché la sua azione è dettata da una legge esterna (quella divina) e non interna alla coscienza intesa come principio di una legislazione universale. L'azione morale deve prescindere dall'esistenza di Dio altrimenti non è morale.
1 commento:
Crediamo a Cristo, a quel che ha fatto, e molte domande troveranno risposta, il suo comportamento ed insegnamento sono paralleli.
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