COME PROMESSO ECCO ALCUNE LETTERE (TRA CUI LA MIA) INVIATE AL CARDINALE RAVASI E LA SUA RISPOSTA
Può
un cristiano lasciar uccidere gli animali? (Ilsole24Ore,
29 gennaio 2012)
Illustrissimo
cardinal Gianfranco Ravasi, desidero sottoporre alla Sua alta
competenza, una questione etica che mi inquieta da tempo, e che
attiene la mia quotidiana sfera professionale. Sono un funzionario
del Servizio veterinario di una Asl della Lombardia; mi occupo con
particolare attenzione, degli alimenti di origine animale e tutto
quanto si snoda attraverso la suddetta filiera, attraverso tutte le
varie fasi della produzione. «Dalla stalla al piatto»,
come è d'uso dire oggi Effettuo campionamenti di alimenti o
materie prime, e compio sopralluoghi e ispezioni in tutte le
strutture deputate alla produzione e al consumo di carne, latte,
pesce, uova, miele e quant'altro. Assisto spesso anche alla
macellazione degli animali, dove poi anche attraverso le competenze
della mia professione, esprimo giudizi in merito.
E
qui vengo, reverendissimo padre, al nocciolo della questione. È
ormai universalmente riconosciuto e documentato anche attraverso
numerose e infinite ricerche effettuate in tutto il mondo, che gli
animali sono considerati esseri senzienti dotati di capacità
di dolore, di sentimento e di coscienza. Ancora di più, la
Chiesa attraverso due suoi santi padri, ha riconosciuto agli animali
un'anima. Nel gennaio 1990 infatti Papa Wojtyla -Giovanni Paolo II
- ha affermato: «Non solo l'uomo, ma anche gli animali
hanno il soffio-spirito di Dio», dedicando loro poi anche un
passaggio nella sua enciclica Sollicitudo rei socialis. E Papa
Montini -Paolo VI - parecchi anni prima, aveva affermato: «Gli
animali sono la parte più piccola della creazione divina, ma
noi un giorno li rivedremo nel mistero di Cristo». Nel Libro di
Isaia infine, si parla di animali che pasceranno in pace tra di loro,
e che vivranno a fianco degli uomini. Mi viene naturalmente da
pensare: in quale luogo potrebbe accadere questo, se non in Paradiso?
E qui vengo allora alla domanda per lei, di cui in apertura. Per
quanto critico, e perennemente alla ricerca di risposte, mi dico
cristiano. Ed allora, come mi debbo porre io cristiano, di fronte
all'uccisione (perché di questo si tratta) di altri esseri
viventi anch'essi dotati di coscienza e di anima? Non sono un
ingenuo, e voglio subito togliere qualsiasi velo di ipocrisia alla
cosa: un conto è l'uomo fatto a immagine di Dio, e un altro
sono gli animali, ovviamente e certamente; questo è chiaro.
Nella fattispecie però, trattasi sempre di esseri coscienti e
appunto, con un'anima. Tecnicamente la legislazione italiana
consente, previo stordimento ed insensibilizzazione, l'uccisione di
animali ai fini alimentari, ma è chiaro che il mio problema
non è di questo tipo; il mio è un problema di natura
etico-morale.
Sono
sempre più in crisi di fronte a queste uccisioni, e mi pongo
spesso di fronte al dubbio: io avvallo e acconsento l'uccisione di
esseri viventi dotati di anima.
Il
suo illuminato e competente parere sarebbe per me di fondamentale
importanza.
La
ringrazio per la sua risposta, e che il Signore sia sempre con lei
F.M.
- Bergamo
Risponde
Mons. Ravasi:
La
questione sollevata dal nostro lettore è molto più
complessa di quanto appaia a prima vista. Potremo, perciò,
affrontare solo qualche aspetto in modo semplificato, ignorando molti
profili contestuali e di interpretazione generale dei testi sacri.
Procederemo schematicamente, quasi per asserti, rimanendo all'interno
della tradizione ebraico-cristiana (diversa, ad esempio, da quella
"panteista" indiana). O La Bibbia riconosce che gli
umani e gli animali hanno un identico "spirito" (rùah)
vitale che ha come espressione il «soffio-respiro» e
il «sangue», segni della vita.
0
L'umanità, però, ha un'ulteriore componente esclusiva
con Dio, chiamata in ebraico nishmat-hajjim (Genesi 2,7) di
solito resa con «alito di vita», ma in realtà da
ricondurre alla «coscienza» perché essa è
così definita nel libro biblico dei Proverbi : «Lampada
del Signore è la nishmat dell'uomo: essa scruta fin
nell'intimo delle viscere», cioè nell'interiorità
personale (20,27). Inoltre, solo dell'uomo e della donna si dichiara
che sono "immagine" di Dio (Genesi 1,27) e che sono
creature libere e morali («l'albero della conoscenza del bene e
del male»).
©
Il rapporto umano con gli animali è, perciò, di
solidarietà vitale, ma è anche di profonda differenza
qualitativa, tant'è vero che l'uomo è chiamato ad
essere una sorta di viceré nel creato: è il famoso
imperativo "dominate" (Genesi 1,28) che il Creatore
gli rivolge (e il verbo è quello del dominio regale).
Purtroppo, l'essere umano, con la sua libertà, trasforma nella
storia questa investitura in tirannide che devasta la natura (Genesi
3,17-18). O Nel progetto ideale divino, il "dominio"
umano esclude la macellazione dell'animale a fini commestibili. La
dieta è vegetariana: «Ecco, io vi do erba che produce
seme e che è su tutta la terra e ogni albero fruttifero:
saranno il vostro cibo» (Genesi 1,29). È solo
dopo il diluvio, ossia nella storia concreta e "pesante" in
cui siamo immersi, che si passa al regime carnivoro, ammesso da Dio:
«Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà da cibo,
come le verdi erbe» (9,3). Anche Gesù si ciba di pesce e
persino lo cuoce per i suoi discepoli (Giovanni 21,9-13). È,
quindi, uno stato quasi di "necessità" storica, in
cui però
si esclude il "sangue" dell'animale, affermando così
una sorta di rispetto di principio nei confronti della vita e,
quindi, di condanna di ogni violenza gratuita verso i viventi.
In
questa luce si comprende perché nella pienezza della
redenzione dal male, la cosiddetta "escatologia", animali e
umani vivano in gioiosa armonia, come canta il profeta Isaia in una
celebre pagina messianica (11,6-7) che può essere considerata
la base per ipotizzare una nuova creazione alla quale partecipino
tutti insieme uomini, donne e animali (si veda Romani
8,19-22).
Gianfranco
Ravasi
Il
Sole 24 Ore Quotidiano 29 gennaio 2012
Il dibattito (I titoli delle lettere
sono stati apposti da Gianfranco Ravasi)
La lettera del veterinario
sull'uccisione degli animali a fini alimentari e la conseguente
risposta di monsignor Gianfranco Ravasi sono stati pubblicati sulla
«Domenica» del 29 gennaio scorso
D'accordo, Cristo era carnivoro. Ma
succedeva tanto tempo fa...
Caro Monsignor Ravasi, non si può
prendere per oro colato tutto quello che il vecchio testamento ci
riporta essendo tale racconto solo la storia del popolo ebraico. E
neanche la presunta parola del Creatore che in molti casi
interpretata a nostra somiglianza giustifica i peggiori desideri
dell'uomo. Gesù infatti si fa agnello per una nuova alleanza e
per questo entra subito in conflitto con il potere temporale e
spirituale del tempo dopo di che viene sacrificato nel modo che ben
conosciamo. Sul permesso che Gesù concede al popolo che lo
seguiva di mangiare il pesce consideriamo il tempo in cui si viveva,
ma ora la coscienza si è evoluta; però certo
necessiterà molto tempo prima che gli animali siano davvero
considerati liberi e fino a quel momento non ci sarà vera pace
sulla Terra.
Pastore protestante e storico del cristianesimo
Pastore protestante e storico del cristianesimo
Marco Melodia
Pastore protestante e storico del
cristianesimo
Anche le formiche nel loro piccolo
hanno un'anima (peraltro immortale)
Eminenza, la Sua risposta al
veterinario F.M. di Bergamo aggira la questione posta e lascia le
cose come stanno. Ella trascura il fatto che dal 1996 con un
documento della Chiesa è stata riconosciuta la verità
scientifica dell'evoluzione biologica da una comune origine di tutte
le forme di vita, anche se interpretata finalisticamente (cioè
antiscientificamente) come indirizzata verso la formazione della
specie homo. I teologi, già alcuni decenni prima (e cito solo
il paleontologo Teilhard de Chardin) hanno cercato di superare tutte
le difficoltà dottrinali conseguenti a
incominciare da quella del peccato originale,senza il quale cade tutta la cristologia.
Poiché vi sono alcune interpretazioni teologiche che attribuiscono l'immortalità dell'anima anche agli animali non umani, mi domando se questa sia da attribuire a tutti gli animali, compresi gli insetti come pulci, zecche, zanzare, e perfino ai batteri. Oppure la sopravvivenza è limitata solo agli animali dotati di coscienza? Già il filosofo dei diritti degli animali Tom Regan aveva sospeso il giudizio sulla presenza di coscienza perfino per animali come le galline. Figuriamoci per gli insetti. Chi siamo noi per poter escludere scientificamente uno stato di coscienza per insetti, molluschi e crostacei (per esempio)? Ma vengo alla questione principale, che mi sta soprattutto a cuore. Io rimprovero alla Chiesa di continuare a considerare il diritto naturale come quello stesso che nell'età moderna fu sostenuto da Grozio, Pufendorf, Locke, Leibniz, Montesquieu, Kant e altri, cioè come diritto della ragione. Ma allora non si tratta di giusnaturalismo bensì di giusrazionalismo. Fatta questa lunga premessa rilevo che ancor oggi assurdamente la Chiesa non ritiene peccato di cui bisogna confessarsi ciò che per la legge (almeno sulla carta) è reato: il maltrattamento degli animali. E questo è assai grave da parte della Chiesa, che, inoltre, continua a conservare un complice silenzio sulla maggiore crudeltà della macellazione ebraico-islamica. Eminenza, i cristiani vegetariani o comunque sensibili alle sofferenze degli animali non umani (odio il termine «bestie») non si sentono rappresentati dalla Chiesa e le chiese si stanno svuotando sempre di più anche per questo. I vegetariani in Italia hanno superato i 6 milioni e sono in crescita costante. Io, che ho studiato sempre in istituti religiosi dalle elementari, sono agnostico dall'età di 20 anni e vegetariano dall'età di 10 anni, e ne ho 72. Sono in pensione da due anni come professore universitario di storia della filosofia. È in corso di stampa un mio dialogo teologico intitolato Addio a Dio. I diritti d'autore sono devoluti ad una associazione animalistica.
Poiché vi sono alcune interpretazioni teologiche che attribuiscono l'immortalità dell'anima anche agli animali non umani, mi domando se questa sia da attribuire a tutti gli animali, compresi gli insetti come pulci, zecche, zanzare, e perfino ai batteri. Oppure la sopravvivenza è limitata solo agli animali dotati di coscienza? Già il filosofo dei diritti degli animali Tom Regan aveva sospeso il giudizio sulla presenza di coscienza perfino per animali come le galline. Figuriamoci per gli insetti. Chi siamo noi per poter escludere scientificamente uno stato di coscienza per insetti, molluschi e crostacei (per esempio)? Ma vengo alla questione principale, che mi sta soprattutto a cuore. Io rimprovero alla Chiesa di continuare a considerare il diritto naturale come quello stesso che nell'età moderna fu sostenuto da Grozio, Pufendorf, Locke, Leibniz, Montesquieu, Kant e altri, cioè come diritto della ragione. Ma allora non si tratta di giusnaturalismo bensì di giusrazionalismo. Fatta questa lunga premessa rilevo che ancor oggi assurdamente la Chiesa non ritiene peccato di cui bisogna confessarsi ciò che per la legge (almeno sulla carta) è reato: il maltrattamento degli animali. E questo è assai grave da parte della Chiesa, che, inoltre, continua a conservare un complice silenzio sulla maggiore crudeltà della macellazione ebraico-islamica. Eminenza, i cristiani vegetariani o comunque sensibili alle sofferenze degli animali non umani (odio il termine «bestie») non si sentono rappresentati dalla Chiesa e le chiese si stanno svuotando sempre di più anche per questo. I vegetariani in Italia hanno superato i 6 milioni e sono in crescita costante. Io, che ho studiato sempre in istituti religiosi dalle elementari, sono agnostico dall'età di 20 anni e vegetariano dall'età di 10 anni, e ne ho 72. Sono in pensione da due anni come professore universitario di storia della filosofia. È in corso di stampa un mio dialogo teologico intitolato Addio a Dio. I diritti d'autore sono devoluti ad una associazione animalistica.
Pietro Melis
Cagliari
Il dolore e la sofferenza delle
bestie al macello
Eminenza, premesso che da tanti anni leggo sempre con interesse e viva partecipazione quanto scrive su argomenti che riguardano la "mia" religione, confesso di essere rimasto un po' insoddisfatto per la Sua risposta al Sig. F.M.
È ben vero che Ella all'inizio conferma la questione è molto complessa e avrebbe potuto affrontarne solo qualche aspetto, ma mi perdoni, mi aspettavo che si pure di sfuggita Ella affrontasse due aspetti che a mio avviso sono molto importanti.
.
Primo, le sofferenze alla quali sono molto spesso sottoposti gli animali destinati al macello. Anni fa, per lavoro, ebbi occasione di visitare uno dei più grandi e attrezzati macelli d'Italia, ed è ben vero che potei constatare come venivano uccisi con un colpo solo, ma le povere bestie già prima avevano perfettamente capito tutto, ed erano chiaramente terrorizzate. Il dolore non è soltanto fisico, ma anche psicologico, e gli animali soffrono, godono, si rallegrano, hanno paura, e quant'altro esattamente noi.
Secondo. Io mangio carne e pesce, lo confesso. Noi uomini siamo l'ultimo anello della catena alimentare e quando uccidiamo un animale per soddisfare un'esigenza alimentare rientriamo in un meccanismo "naturale", non c'è dubbio. Ma uccidere per divertimento no, questo non è ammissibile per un cristiano, e il mancato riferimento alla caccia e alla pesca sportiva confesso che mi lascia perplesso.
Primo, le sofferenze alla quali sono molto spesso sottoposti gli animali destinati al macello. Anni fa, per lavoro, ebbi occasione di visitare uno dei più grandi e attrezzati macelli d'Italia, ed è ben vero che potei constatare come venivano uccisi con un colpo solo, ma le povere bestie già prima avevano perfettamente capito tutto, ed erano chiaramente terrorizzate. Il dolore non è soltanto fisico, ma anche psicologico, e gli animali soffrono, godono, si rallegrano, hanno paura, e quant'altro esattamente noi.
Secondo. Io mangio carne e pesce, lo confesso. Noi uomini siamo l'ultimo anello della catena alimentare e quando uccidiamo un animale per soddisfare un'esigenza alimentare rientriamo in un meccanismo "naturale", non c'è dubbio. Ma uccidere per divertimento no, questo non è ammissibile per un cristiano, e il mancato riferimento alla caccia e alla pesca sportiva confesso che mi lascia perplesso.
Guglielmo Franchi Scarselli
Bologna
Il
dilemma dell'onnivoro (Ilsole24Ore, 12 febbraio 2012).
Risposta di
Gianfranco Ravasi
Il «Fermoposta» di domenica
29 gennaio sull'uccisione degli animali a finalità
commestibile ha generato uno sciame di reazioni disparate, ora pacate
ora eccitate. E proprio perché – come allora scrivevo – la
questione è ben più complessa di quanto immaginano gli
animalisti estremi o gli "umanisti" radicali, abbiamo
pensato di ritornare sull'argomento in modo più generale,
anche se non esaustivo, naturalmente secondo la prospettiva culturale
cristiana. Quest'ultima, infatti, ha elaborato una sua concezione
della natura, originale rispetto alle altre civiltà e per
secoli dominante in Occidente. Essa potrebbe essere riassunta in due
asserti principali.
Da un lato, la tradizione ebraico-cristiana ha demitologizzato la natura che non è perciò né una divinità né frutto di una generazione divina (così accadeva nelle cosmogonie orientali e nello stesso panteismo stoico o indiano), ma è il risultato di un atto creatore e quindi è una realtà finita e limitata. D'altro lato, pur riconoscendo un legame tra uomo e animali attraverso la vita (rûah o "spirito" vitale), ha affermato una netta distinzione qualitativa tra i due, attraverso l'introduzione di un particolare statuto umano variamente descritto in alcuni passi della Genesi: si pensi al simbolismo dell'«immagine e somiglianza divina» (1,27), alla dotazione della coscienza morale nella «conoscenza del bene e del male» (cc. 2-3) e alla funzione di «governo» delegato, di «nomina» e di «custodia e coltivazione» del creato da parte dell'uomo e della donna (1,26 e 2,15-20). L'accettazione della teoria scientifica dell'evoluzione biologica non è incompatibile con l'affermazione teologica e metafisica della specificità umana, variamente declinata (anima, spiritualità, simbolicità, estetica e così via).
In questa prospettiva non si contesta l'uso nutritivo delle carni animali, sia pure con vincoli di taglio igienico-folclorico-sacrale (ad esempio, le norme di purità rituale che escludono alcuni animali dall'essere commestibili, norme superate però dal cristianesimo, come appare nella visione di san Pietro descritta nel c. 10 degli Atti degli Apostoli). Lapidario è il precetto successivo al diluvio: «Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà da cibo, come le verdi erbe» (Genesi 9,3). Gesù stesso si nutre di pesce e persino lo cuoce per i suoi discepoli, così come è implicito che abbia consumato l'agnello pasquale.
Da un lato, la tradizione ebraico-cristiana ha demitologizzato la natura che non è perciò né una divinità né frutto di una generazione divina (così accadeva nelle cosmogonie orientali e nello stesso panteismo stoico o indiano), ma è il risultato di un atto creatore e quindi è una realtà finita e limitata. D'altro lato, pur riconoscendo un legame tra uomo e animali attraverso la vita (rûah o "spirito" vitale), ha affermato una netta distinzione qualitativa tra i due, attraverso l'introduzione di un particolare statuto umano variamente descritto in alcuni passi della Genesi: si pensi al simbolismo dell'«immagine e somiglianza divina» (1,27), alla dotazione della coscienza morale nella «conoscenza del bene e del male» (cc. 2-3) e alla funzione di «governo» delegato, di «nomina» e di «custodia e coltivazione» del creato da parte dell'uomo e della donna (1,26 e 2,15-20). L'accettazione della teoria scientifica dell'evoluzione biologica non è incompatibile con l'affermazione teologica e metafisica della specificità umana, variamente declinata (anima, spiritualità, simbolicità, estetica e così via).
In questa prospettiva non si contesta l'uso nutritivo delle carni animali, sia pure con vincoli di taglio igienico-folclorico-sacrale (ad esempio, le norme di purità rituale che escludono alcuni animali dall'essere commestibili, norme superate però dal cristianesimo, come appare nella visione di san Pietro descritta nel c. 10 degli Atti degli Apostoli). Lapidario è il precetto successivo al diluvio: «Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà da cibo, come le verdi erbe» (Genesi 9,3). Gesù stesso si nutre di pesce e persino lo cuoce per i suoi discepoli, così come è implicito che abbia consumato l'agnello pasquale.
Tutto questo, però, non
impedisce che si sia consapevoli del peccato dell'uomo quando
prevarica sul creato in modo tirannico e devastante. È, così,
sorto un movimento ambientalista e animalista (talora strettamente
vegetariano) cristiano che ha inteso richiamare la meta ideale a cui
la stessa Bibbia vorrebbe condurre l'umanità e che è
dipinta, ad esempio, dal profeta Isaia con sette coppie di esseri
viventi, animali e umani che coesistono in perfetta parità e
armonia (11,6-8). In questa creazione perfetta ed "escatologica"
– nella quale anche gli animali sono coinvolti – la dieta sarà
necessariamente vegetariana: «Ecco, io vi do erba che produce
seme e che è su tutta la terra e ogni albero fruttifero:
saranno il vostro cibo» (Genesi 1,29).
A una rinnovata sensibilità cosmica, sminuita nella storia del cristianesimo dal l'influsso spiritualistico greco, ha contribuito la figura di san Francesco, anche se la sua era una visione non tanto ecologista ma nettamente teologica, come è attestato dal suo Cantico delle creature: alieno da una concezione panteistica, egli considera il creato come dono di Dio, come segno di bellezza trascendente, come simbolo che conduce al Creatore, sulla scia di quanto si legge nel libro biblico della Sapienza: «Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore» (13,5). Questa ecologia cristiana sorge intorno agli anni Sessanta del secolo scorso in ambito protestante (in particolare con il teologo americano Joseph Sittler e col Faith-Man-Nature Group del Consiglio delle Chiese protestanti d'America). .
Ben presto anche il mondo cattolico vi si associa e, tra i tanti passi dei testi magisteriali ufficiali di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sul tema, ricordiamo soprattutto il messaggio del 1° gennaio 1990 di Papa Wojtyla Pace con Dio Creatore, pace con tutto il creato, ove si denuncia la crisi ecologica come questione morale, evocando una nuova solidarietà dell'uomo con le altre creature e il creato. Intanto, però, si stavano affermando anche concezioni ambientaliste e animaliste radicali che si alimentavano a religioni e filosofie orientali di stampo immanentistico e reincazionistico. Si trattava di impostazioni spesso sincretistiche dagli esiti più disparati: tanto per fare un esempio ormai famoso, si pensi al saggio Il Tao della Fisica (Adelphi 1982) del fisico nucleare Fritjof Capra che cercava di conciliare la fisica teoretica col misticismo orientale. Oppure all'altrettanto nota e vasta opera Liberazione animale (Mondadori 1991) del filosofo australiano Peter Singer, incline ad assegnare al mondo animale una superiorità rispetto a quello umano.
In America, anche su impulso della rivalutazione del pensiero degli Indiani aborigeni per i quali tutte le forme di vita sono uguali e appartenenti a un'unica comunità, si è registrato un grande successo (ora, però, in crisi) del movimento New Age che, tra l'altro, propugnava un'ecologia "olistica" di stampo pan-spiritualistico. In questa linea si debordava, anche in ambito cristiano, dalla prospettiva sopra descritta e si adottavano definizioni e descrizioni antropomorfiche per gli animali: anch'essi, ad esempio, avrebbero una coscienza etica, percepirebbero il trascendente e pregherebbero (si veda Michel Damien, Un paradiso per gli animali. L'animale, l'uomo e Dio, Piemme 1987). Un capitolo a sé è quello della sofferenza degli animali, definita un po' enfaticamente «un mistero ancor maggiore rispetto al dolore umano» dalla Teologia degli animali di Paolo De Benedetti (Morcelliana 2007).
Certo è che la sensibilizzazione su quest'ultimo tema è significativa e ha generato, ad esempio, la «Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali» dell'Unesco (1978), così come a Münster ha aperto da tempo i battenti l'«Institut für theologische Zoologie», un'istituzione cattolica ed ecumenica annessa alla locale facoltà di Teologia e Filosofia. Si contrasta, così, giustamente ogni brutalità e ogni prevaricazione nei confronti delle creature viventi. La solitudine nell'anonimato delle moderne metropoli ha, poi, generato rapporti di condivisione familiare e di affetto con animali domestici, modellati sulle dinamiche che intercorrono tra esseri umani, tanto da rendere talora cani o gatti beneficiari di lasciati testamentari. Victor Hugo scriveva: «A chi è solo, Dio dona un cane. Il cane è la virtù che, non potendo farsi uomo, si è fatta animale». Anche al Lazzaro miserabile della parabola evangelica del ricco epulone «erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe».
Detto questo si può, però, pervenire all'eccesso opposto per cui le persone umane, ultime e diseredate, piccole, deboli e affamate, sono meno considerate e tutelate nelle società ricche e occidentali di quanto lo siano gli animali. Così come paradossali sono anche alcune nuove attitudini culturali: una recente statistica dimostrava che solo il 40% dei tedeschi crede in Dio, ma l'80% è convinto che i loro cani e gatti abbiano un'anima! Tuttavia, è curioso notare che la Bibbia – pur netta nelle sue distinzioni di specie e genere tra esseri umani e animali – è forse il testo sacro più affollato da uno straordinario bestiario che va dal mastodontico cammello fino al tarlo nascosto nel legno e alla pulce, e che ascende al simbolismo spirituale più alto con l'agnello emblema dello stesso Cristo o con la colomba che incarna lo Spirito Santo, ma che discende fino ai mostri apocalittici e al serpente tentatore. La funzione primaziale dell'uomo e la sua diversa natura intima non escludono una sua solidarietà con le altre creature viventi, anche perché – come canta il Salmista – «buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature… Uomini e bestie tu salvi, Signore» (145,9; 36,7).
A una rinnovata sensibilità cosmica, sminuita nella storia del cristianesimo dal l'influsso spiritualistico greco, ha contribuito la figura di san Francesco, anche se la sua era una visione non tanto ecologista ma nettamente teologica, come è attestato dal suo Cantico delle creature: alieno da una concezione panteistica, egli considera il creato come dono di Dio, come segno di bellezza trascendente, come simbolo che conduce al Creatore, sulla scia di quanto si legge nel libro biblico della Sapienza: «Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore» (13,5). Questa ecologia cristiana sorge intorno agli anni Sessanta del secolo scorso in ambito protestante (in particolare con il teologo americano Joseph Sittler e col Faith-Man-Nature Group del Consiglio delle Chiese protestanti d'America). .
Ben presto anche il mondo cattolico vi si associa e, tra i tanti passi dei testi magisteriali ufficiali di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sul tema, ricordiamo soprattutto il messaggio del 1° gennaio 1990 di Papa Wojtyla Pace con Dio Creatore, pace con tutto il creato, ove si denuncia la crisi ecologica come questione morale, evocando una nuova solidarietà dell'uomo con le altre creature e il creato. Intanto, però, si stavano affermando anche concezioni ambientaliste e animaliste radicali che si alimentavano a religioni e filosofie orientali di stampo immanentistico e reincazionistico. Si trattava di impostazioni spesso sincretistiche dagli esiti più disparati: tanto per fare un esempio ormai famoso, si pensi al saggio Il Tao della Fisica (Adelphi 1982) del fisico nucleare Fritjof Capra che cercava di conciliare la fisica teoretica col misticismo orientale. Oppure all'altrettanto nota e vasta opera Liberazione animale (Mondadori 1991) del filosofo australiano Peter Singer, incline ad assegnare al mondo animale una superiorità rispetto a quello umano.
In America, anche su impulso della rivalutazione del pensiero degli Indiani aborigeni per i quali tutte le forme di vita sono uguali e appartenenti a un'unica comunità, si è registrato un grande successo (ora, però, in crisi) del movimento New Age che, tra l'altro, propugnava un'ecologia "olistica" di stampo pan-spiritualistico. In questa linea si debordava, anche in ambito cristiano, dalla prospettiva sopra descritta e si adottavano definizioni e descrizioni antropomorfiche per gli animali: anch'essi, ad esempio, avrebbero una coscienza etica, percepirebbero il trascendente e pregherebbero (si veda Michel Damien, Un paradiso per gli animali. L'animale, l'uomo e Dio, Piemme 1987). Un capitolo a sé è quello della sofferenza degli animali, definita un po' enfaticamente «un mistero ancor maggiore rispetto al dolore umano» dalla Teologia degli animali di Paolo De Benedetti (Morcelliana 2007).
Certo è che la sensibilizzazione su quest'ultimo tema è significativa e ha generato, ad esempio, la «Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali» dell'Unesco (1978), così come a Münster ha aperto da tempo i battenti l'«Institut für theologische Zoologie», un'istituzione cattolica ed ecumenica annessa alla locale facoltà di Teologia e Filosofia. Si contrasta, così, giustamente ogni brutalità e ogni prevaricazione nei confronti delle creature viventi. La solitudine nell'anonimato delle moderne metropoli ha, poi, generato rapporti di condivisione familiare e di affetto con animali domestici, modellati sulle dinamiche che intercorrono tra esseri umani, tanto da rendere talora cani o gatti beneficiari di lasciati testamentari. Victor Hugo scriveva: «A chi è solo, Dio dona un cane. Il cane è la virtù che, non potendo farsi uomo, si è fatta animale». Anche al Lazzaro miserabile della parabola evangelica del ricco epulone «erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe».
Detto questo si può, però, pervenire all'eccesso opposto per cui le persone umane, ultime e diseredate, piccole, deboli e affamate, sono meno considerate e tutelate nelle società ricche e occidentali di quanto lo siano gli animali. Così come paradossali sono anche alcune nuove attitudini culturali: una recente statistica dimostrava che solo il 40% dei tedeschi crede in Dio, ma l'80% è convinto che i loro cani e gatti abbiano un'anima! Tuttavia, è curioso notare che la Bibbia – pur netta nelle sue distinzioni di specie e genere tra esseri umani e animali – è forse il testo sacro più affollato da uno straordinario bestiario che va dal mastodontico cammello fino al tarlo nascosto nel legno e alla pulce, e che ascende al simbolismo spirituale più alto con l'agnello emblema dello stesso Cristo o con la colomba che incarna lo Spirito Santo, ma che discende fino ai mostri apocalittici e al serpente tentatore. La funzione primaziale dell'uomo e la sua diversa natura intima non escludono una sua solidarietà con le altre creature viventi, anche perché – come canta il Salmista – «buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature… Uomini e bestie tu salvi, Signore» (145,9; 36,7).
1 commento:
Ravasi? Nooooooo! Sarà pure un pozzo di scienza, un ingegno addirittura mostruoso (è ciò che si dice), ma questo è a parer mio un'aggravante! Come si può essere tanto colti e non cogliere le contraddizioni flagranti dei vangeli o dello stesso S. Paolo come lei spiega così bene nel post precedente? Del resto il Cortile dei Gentili tenuto da Ravasi (e a cui partecipano personaggi come Napolitano e Cacciari) non ha finora sortito gran che.
Benedetto XiV Lambertini dialogava con Voltaire. Ravasi sarebbe probabilmente per lo meno all'altezza di papa Lambertini, ma è per sempre qualcuno che crede (o dice o finge di credere) alle incredibili sciocchezze del vangelo che non sto qui a enumerare: le conosce meglio di me.
Forse Ravasi come il meno peggio? Per me la Chiesa e il papato sono irriformabili. La cosiddetta apertura del papa buono - Giovanni XXIII - che cosa ha portato? Giovanni XXIII voleva aggiornare la chiesa con una stupenda coreografia che sarebbe terminata con la beatificazione di Pio IX! Alla faccia dell'aggiornamento! Abbiamo avuto l'abbandono del latino, cosa triste piuttosto.
Ciò non toglie che sicuramente Ravasi ha dei numeri e che con lui Lei possa avere uno scambio interessante (ma anche solo fino a un certo punto).
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