Sono più grande in età rispetto a Telmo Pievani. Prima che iniziasse a farsi conoscere come divulgatore scientifico io nel 1999 avevo pubblicato un libro di circa 500 pagine intitolato Biologia e filosofia. Origine della vita ed evoluzione biologica. Casualità e necessità. Purtroppo fu pubblicato negli Annali della Facoltà di Scienze della formazione (oggi chiamata Facoltà di Studi Umanistici dopo la unificazione con la Facoltà di Lettere e filosofia). Nel mio libro ho esposto largamente le opere di Mario Ageno con cui avevo un rapporto epistolare. Purtroppo venne a mancare poco prima che gli inviassi un biglietto d'aereo di andata e ritorno perché venisse a Cagliari per tenere una conferenza. Ageno fu professore di biofisica ottenendo la cattedra di tale insegnamento istituita proprio per lui. Nel mio prossimo libro, di cui ho già inviato il testo a un editore, ho dedicato due capitoli all'evoluzione cosmologica e biologica utilizzando quanto ho già scritto sull'evoluzione biologica in due libri. Pievani ha evitato di dedurre chiaramente le conseguenze dell'evoluzione biologica sulle credenze non scientifiche che dominano l'esistenza umana, forse perché non ha voluto apparire polemico nei confronti delle religioni. Pievani non ha voluto, per esempio, dare una risposta a chi, come me, si è domandato quando sarebbe sorta l'immortalità dell'anima umana nell'evoluzione partita circa sei milioni di anni fa dall'Australopithecus africanus per arrivare al Sapiens Sapiens passando attraverso il Sapiens dell'uomo di Neanderthal meno di un milione di anni fa. Circa un milione di anni fa aveva la specie umana una coscienza morale che deve essere un presupposto necessario per giustificare l'immortalità umana? Dopo qualche anno ho ricevuto un commento ad un mio articolo sul noto o famoso filosofo Emanuele Severino, su cui ho sempre irriso a causa delle sue affermazioni che appaiono pazzesche nel suo affermare nel libro Gli abitatori del tempo che l'evoluzione biologica non esiste perché, andando oltre Parmenide, l'eternità deve essere attribuita non solo all'essere considerato nella totalità dell'Universo ma anche a tutti gli enti. Con la conseguenza assurda che era necessario che Severino nascesse e che fosse vittorioso lo spermatozoo che, compreso tra milioni di spermatozoi compresi in una eiaculazione, arrivò a fecondare l'ovulo. E tutti gli altri spermatozoi erano anch'essi eterni? Per Severino la nascita e la morte non esistono perché la nascita è un apparire nel mondo fisico mentre la morte è un sottrarsi alla visibilità. E Severino fu anche opinionista nel Corriere della sera. I suoi libri sono una ripetizione sino alla nausea della immortalità di tutti gli enti e non solo dell'essere di Parmenide. Nel mio libro prendo in esame anche il lussureggiante sproloquio onirico di Massimo Cacciari che ha preteso di discettare sulla natura di Dio scrivendo che la sua natura deve essere ritenuta non comprensibile perché Dio è anche aldilà di ogni rigore voluto dalla logica. Però Cacciari, negando la comprensabilità della natura divina, tuttavia non si è accorto che è lui che non rispetta la norma del principio di non contraddizione. Sull'evoluzione biologica Cacciari non si è espresso, ma è evidente che la sua teologia non può non essere demolita dall'evoluzione biologica.
Tornando a Pievani, bisogna riconoscere che egli si è astenuto da prendere posizione di fronte all'ignoranza dei filosofi. Però mi è sempre rimasta impressa la domanda: perché l'essere piuttosto che il nulla? Mi spaventa l'eternità dell'Universo, o del Multiverso se esistono altri universi oltre a quello visibile. Pievani evidenzia soprattutto la casualità che ha dominato tutta l'evoluzione biologica. La casualità demolisce ogni interpretazione antropocentrica dell'evoluzione biologica. E Pievani ha mancato di rilevare un'altra conseguenza riguardo alla specie umana. Se si va nel campo dei diritti umani ne consegue che l'uomo non può considerarsi padrone della Terra come se tutta l'evoluzione biologica avesse come fine l'apparizione della specie homo. Se è casuale l'apparizione della specie umana questa specie non può arrogarsi per sé sola il diritto di esistere. L'esistenza della ragione di cui ci si serve per giustificare la superiorità dell'homo su tutte le specie di vita non può più essere il motivo che giustifichi la presunzione che tutte le specie viventi siano al servizio dell'uomo. Conseguentemente, ancora, se chiamiamo diritto naturale il diritto di esistere, tale diritto non può più essere circoscritto alla specie umana. Questo è l'aspetto rivoluzionario dell'evoluzione biologica fondata sulla casualità delle mutazioni, che distrugge la credenza alimentata dalle religioni che il diritto di esistere appartenga solo alla specie umana. Se il diritto naturale è il diritto di esistere come diritto all'autoconservazione lo stesso diritto deve esistere anche per tutte le specie viventi. Ma allora anche le pulci, le zecche, i pidocchi, le zanzare (e perché non anche tutti i batteri nocivi alla salute?) hanno diritto di esistere? Purtroppo sì, debbo rispondere. Quasi tutti i famosi filosofi o giuristi hanno ritenuto che il diritto naturale non esista perché in natura esiste il diritto ad esistere come diritto del più forte. Faccio i nomi di Hans Kelsen, Norderto Bobbio, Benedetto Croce. L'immeritatamente famoso Norberto Bobbio nel suo libro Giusnaturalismo e positivismo giuridico ha ritenuto che il diritto naturale non esista perché in natura esiste solo il diritto del più forte, come dimostrato, secondo Bobbio, dal fatto che il pesce grande mangia il pesce piccolo. Nessuno che gli abbia fatto notare questa cretinata considerando che questo esempio non demolisce il diritto naturale perché il pesce grande mangia il pesce piccolo in quanto costrettovi dal suo diritto naturale, cioè dalla sua necessità di nutrirsi se vuole continuare ad esistere. Quando Bobbio venne a Cagliari per una conferenza evitai di ridicolizzarlo perché non avevo ancora maturato il mio pensiero sul diritto naturale. Egli merita di essere ridicolizzato perché non si accorse che il suo esempio confermava il diritto naturale avendo il diritto naturale di uno il limite del diritto naturale di un altro, come nella catena alimentare preda-predatore. Solo l'uomo, per ragioni culturali e non naturali, ha indirizzato la forza oltre la necessità naturale della sua autoconservazione. Nessun predatore uccide la preda oltre la sua necessità di autoconservarsi in vita. Se la zanzara (femmina) ha il diritto naturale di succhiarmi il sangue per riscaldare le sue uova e riprodursi io ho il diritto naturale di ucciderla per difendermi. La questione è così semplice, come scoperta dell'acqua calda, che vi è da domandarsi come mai filosofi e giuristi non l'abbiano capito ed abbiano considerato il rapporto preda-predatore come dimostrazione che il diritto naturale, ammesso che esista, possa valere solo per l'uomo. Pievani avrebbe dovuto allargare le conseguenze della casualità delle mutazioni biologiche alla sfera delle questioni che riguarda il diritto. Il diritto naturale o è di tutte le specie animali o è di nessuna, e così si rimarrebbe nel relativismo dei valori morali, e nella conseguente "guerra mortale tra valori morali" per usare un'espressione di Max Weber. Solo con il diritto naturale si può uscire dal relativismo dei valori morali, che sono sempre culturali e non naturali. Pievani non ha saputo, o non ha voluto, cogliere le conseguenze rivoluzionarie scaturenti dal diritto naturale, lasciando così le cose come stanno sul piano del discorso riguardanti i diritti umani, avendo trascurato le conseguenze scaturenti dalla casualità che domina l'evoluzione biologica.