martedì 30 aprile 2013

INTERVISTA A PIETRO MELIS IN RECENSIONILIBRI

Intervista a Pietro Melis autore di Addio a Dio

Intervista a Pietro Melis autore di Addio a dio
Intervista a Pietro Melis autore di Addio a Dio e di Io non volevo nascere

Io non volevo nascere, autobiografia di Pietro Melis - Recensioni Libri

www.recensionilibri.org/.../io-non-volevo-nascere-autobiografia-di-pietr...
22/apr/2013 – Io non volevo nascere. Un mondo senza certezze e senza giustizia. Filosofi odierni alla berlina è l'autobiografia di Pietro Melis, edito da ...


Nella sua opera “Scontro tra culture e metacultura scientifica” Pietro Melis affronta la questione degli effetti prodotti dalle religioni “rivelate”. Non pensa che la loro presenza, al di là dell’origine, sia anche un semplice effetto del bisogno d’ordine sociale?
Le religioni rivelate nascono sulla base di una credenza degli uomini primitivi che, come spiega Darwin ne "L’origine dell’uomo", da quando incominciarono a credere che le immagini oniriche dei loro parenti defunti provenissero da spiriti, incominciarono a seppellire i loro cadaveri dando luogo alle onoranza funebri. Da qui sorse anche la religione totemistica che estendeva l’immortalità anche a degli animali considerati sacri, la cui uccisione una volta l’anno serviva ad impossessarsi dello spirito dell’animale sacro.
Il successivo passo fu la credenza in divinità che rappresentavano originariamente le forze della natura. Lo sviluppo del politeismo portò poi a scindere le divinità dalle forze della natura, nonostante rimanesse in alcune di esse la rappresentazione della forza della natura, come in Nettuno, il dio del mare. Dunque le religioni in origine non sorsero come bisogno di fondare su di esse un ordine sociale. E’ anche vero che poi il politeismo nell’antichità greco-romana le divinità assursero alla funzione di protezione di uno Stato secondo le sue necessità politiche e sociali. Da qui la nascita dei templi pagani in cui si invocavano le diverse divinità a seconda delle prerogative ad esse attribuite, con la credenza che esse potessero essere soddisfatte con sacrifici di animali.
Ma nel mondo greco-romano la religione era un’istituzione statale, con sacerdoti che erano dipendenti dall’autorità statale. Solo con il monoteismo di origine ebraico-cristiana si arrivò, al contrario, a concepire la religione come fondamento delle istituzioni statali arrivando così ad una sorta di teocrazia, in cui i sacerdoti non dipendevano più dalle istituzioni statali, ma, al contrario, le controllavano. Bisogna però precisare che nell’antichità ebraica il monoteismo non nacque subito in contrapposizione al politeismo. Infatti la religione ebraica passò dal politeismo, in cui prevalente era il dio Jahweh (avente come maggiore antagonista il dio Baal) alla monolatria che incominciò con la riforma del re Giosia nel 609.
Nel primo tempio (quello fatto costruire da Salomone), distrutto nel 587 dal re babilonese Nabucodonosor, venivano riconosciute ed onorate anche altre divinità nel tempio. Con la riforma del re Giosia non venne negata l’esistenza di altre divinità, ma si proibì il loro culto, ristretto ormai al dio Jahweh, assurto ormai a dio nazionale. Solo nel 538, con il ritorno dei discendenti degli esiliati in Babilonia, incomincia a sorgere il monoteismo, con il riconoscimento dell’esistenza di un solo dio. Con il ritorno degli esiliati avvenne l’inizio della costruzione del secondo tempio (allargato molti secoli dopo da Erode il grande). Il monoteismo nacque dalla convinzione ebraica che la distruzione di Gerusalemmme nel 587 fosse dovuta all’ira di Jahweh che non era stato mai riconosciuto come dio unico.
La religione cristiana ereditò dall’ultima fase della religione ebraica il monoteismo, ma vi introdusse la trinità sulla base dell’influenza della triade neoplatonica Uno-Intelletto-Anima del mondo. E’ evidente che la religione, assurta ormai con le sue autonome gerarchie a potere autonomo scisso dallo Stato, tanto da entrare in conflitto con esso, come dimostrano i conflitti tra papi e imperatori del sacro romano impero, che dovevano avere la loro investitura dai papi, diveniva in questo modo il fondamento dell’ordine sociale costituito. L’imperatore era la faccia temporale di quell’unico potere che aveva il suo fondamento in Dio. La religione dunque come fondamento dell’ordinamento statale e sociale.
Con il lento processo di laicizzazione dello Stato e la nascita degli Stati nazionali, a cominciare dalla Francia, la figura dell’imperatore del sacro romano impero, ridottasi già prima ad essere imperatore dell’impero asburgico, scomparve definitivamente con Napoleone, che tuttavia sentì anch’egli il bisogno di consacrare la sua carica di imperatore facendosi incoronare a Parigi dal papa Pio VII, che fu costretto ad andare per questo a Parigi. Nonostante il processo ulteriore di laicizzazione, dovuto soprattutto all’Illuminismo e ai filosofi materialisti del XVIII secolo in Francia, la religione continuò a rimanere nel popolo incolto come fondamento dell’ordine sociale.
A questo proposito bisogna ricordare il famoso discorso  del grande Inquisitore ne "I fratelli Karamazov". L’Inquisitore di fronte a Gesù tornato in terra gli rimprovera di voler distruggere l’ordine sociale facendo appello alla coscienza individuale, che avrebbe distrutto il fondamento stesso di tale ordine, che era la Chiesa come istituzione. Non vi può dunque essere ordine sociale che sia scisso da un ordine di cui la Chiesa come istituzione si fa fondamento.
Il processo successivo del liberalismo ha portato a scindere l’ordine sociale voluto dallo Stato da quello fondato sulle regole religiose. Rimase nei credenti la religione come spiegazione dell’origine del mondo e come mezzo per dare un senso alla vita nel perdurare della credenza primitiva nell’immortalità dell’anima. Ma  nel monoteismo cristiano, nonostante poche eccezioni di semplici preti e teologi, l’immortalità viene attribuita solo all’anima umana. In sostanza, la credenza nell’immortalità dell’anima umana serve sia come rimedio alla disperazione di fronte alla morte sia come arma della religione stessa, che può indirettamente essere utilizzata dallo Stato, come deterrente psicologico contro ogni forma di violenza pubblica o privata. Ancora una volta si può fare riferimento alla famosa frase  di uno dei protagonisti del romanzo "I fratelli Karamazov": se Dio non esiste allora tutto è permesso. Voltaire scrisse che, se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo perché esso serve a tenere il popolo soggiogato da determinate leggi divine che sono anche il fondamento  dello Stato. La religione è come il morso che bisogna mettere al cavallo per guidarlo. Ma lo stesso concetto può ritrovarsi in filosofi, se pur distanti, come Hobbes, fautore dell’assolutismo, e Locke, padre del liberalismo moderno.
Oggi solo l’islamismo pare avere un diretto controllo sull’ordine sociale per l’identificazione della legge con le norme del Corano, di cui è per diversi gradi pervasa la stessa società negli Stati islamici, come soprattutto nella teocrazia dell’Arabia Saudita. All’interno del cristianesimo, dopo la caduta del comunismo dell’Unione Sovietica, vi è una profonda influenza della Chiesa ortodossa sullo Stato russo, anche frutto di una nuova forma di nazionalismo che ha voluto riprendere le radici storiche di una Mosca che, dopo la caduta dell’impero bizantino, si era proclamata terza Roma.
Le sue opere sono dense di dettagliati riferimenti storici, teologici e filosofici, ritiene che questo sia l’approccio essenziale per prendere coscienza dei problemi culturali che affliggono la nostra società?
Il mio testo è soprattutto l’esposizione, per circa la metà del testo di 800 pagine, dell’esegesi biblica svolta dai maggiori studiosi mondiali dell’Antico Testamento. Chi non ha capito che l’Antico Testamento è nato con l’unico scopo di giustificare il diritto del popolo ebraico alla terra di Palestina, come promessa dal loro dio Jahweh, non ha capito l’unica finalità dell’Antico Testamento, che non aveva alcuna intenzione nei suoi scrittori anonimi di fare del proselitismo presso altri popoli. Anzi, il popolo ebraico è rimasto sempre geloso del suo dio, che non voleva che il suo popolo si contaminasse con altri popoli. Questa è la somma contraddizione dell’Antico Testamento, che espone la concezione di un dio ordinatore, non creatore dal nulla, del mondo, e tuttavia rimane come dio che chiede di essere riconosciuto come tale solo dal popolo ebraico. In realtà l’Antico Testamento è il risultato nel Genesi di antiche mitologie e racconti egizi e mesopotamici (mesopotamici soprattutto per quanto riguarda le figure di Abramo, Isacco e Giacobbe). Mosè risulta non essere mai esistito perché è una figura che riprende racconti di origine egizia.
Lo stesso nome ne tradisce l’origine egizia. Il popolo ebraico, pur essendo circondato da Stati che erano allora all’avanguardia nel campo della conoscenza scientifica, l’Egitto e gli Stati mesopotamici, rimase un popolo ignorante proprio per il divieto religioso di contaminarsi con altri popoli. Questo isolamento è stato la causa della persecuzione degli ebrei in tutta la loro storia prima del processo di lacizzazione che l’ebraismo subì nel  XIX secolo. Essi rifiutarono sempre di integrarsi negli Stati in cui vivevano, pretendendo che fossero riconosciute per essi delle eccezioni che concordassero anche con le loro tradizioni alimentari. Ancor oggi essi, come gli islamici, pretendono che sia rispettata la macellazione kosher (corrispondente a quella halal islamica). Il cristianesimo, sorgente dalle radici dell’ebraismo, ne ha cambiato totalmente la sostanza prima di tutto introducendo la trinità, in concordanza con l’influenza della filosofia neoplatonica.
Nonostante tutte le oscurità della sua storia il  cristianesimo (con i conflitti tra confessioni cristiane, tra imperatori e re da una parte e Chiesa dall’altra) è stato traghettatore, proprio tramite la trinità, includente nella seconda persona l’Intelletto, della razionalità greca o LOGOS. E’ questo un aspetto che fu messo bene in luce dal papa Benedetto XVI nel famoso discorso di Ratisbona, in cui lamentò la dis-ellenizzazione del cristianesimo. In considerazione di ciò si può dire che la rivoluzione scientifica poteva avvenire solo nell’Europa cristiana. E infatti nel Medievo i principali scienziati erano religiosi, che si contrapponevano alla filosofia aristotelica sottoponenendola ad analisi critica. E sino alla Controriforma la Chiesa  cattolica fu una scuola di liberalismo in fatto di conoscenza scientifica. Basti considerare che il vescovo di Parigi Stefano Tempier nel1277 affisse sul portale della cattedrale di Notre-Dame 20 tesi che contrastavano quelle fondamentali di S.Tomaso dicendo che il mondo era infinito e non finito. Il vescovo di Parigi Nicola d’Oresme nel XIV secolo affermò la rotazione della Terra intorno al suo asse.
Il cardinale filosofo e matematico Nicola Cusano (tedesco) affermò anch’egli che il mondo era infinito e che non esisteva un centro del mondo data la potenza infinita di Dio. Il sistema copernicano fu dovuto ad un canonico polacco che dedicò la sua opera "De revolutionibus orbium coelestium" (1543) al papa Urbano VIII, che lo ringraziò. L’astronomia delle ellissi fu dovuta al cristiano neplatonico Keplero. E per il cristiano Newton lo spazio assoluto era il sensorium Dei, cioè l’organo visivo divino con cui Dio vedeva le cose in se stesse e non come apparivano all’uomo. L’analisi infinitesimale fu dovuta al cristiano luterano ma ecumenico Leibniz, favorevole ad una riconciliazione tra cattolici e protestanti. Come controprova vi è da domandarsi: come mai la rivoluzione scientifica non nacque in Oriente e non poteva nascere negli Stati islamici? Perché essi non ereditarono tramite la trinità il LOGOS, e con essa quell’interesse alla ricerca scientifica fondata sulla stessa razionalità divina.
Il dio islamico infatti, come quello ebraico, è scisso dal vincolo della razionalità. Esso è la potenza che non è vincolata dal LOGOS. La potenza precede la ragione. Il Dio cristiano, al contrario, è vincolato, nel suo stesso interno, dal LOGOS, dall’Intelletto. Da qui una concezione della natura come specchio della razionalità divina. Studiare la natura significava conoscere anche la perfezione divina. Tale interesse non poteva non mancare in chi pensava che Dio non si potesse ritrovare nella razionalità della natura, essendo egli trascendente rispetto alla ragione. Per un cristiano sarebbe stato impossibile concepire un Dio che imponesse ad Abramo di uccidere il figlio Isacco per metterlo ad una prova di obbedienza. O un dio che accetta di fare una scommessa con il diavolo a danno di Giobbe, risultando Jahweh vittorioso perché Giobbe si protesta innocente ma si sottomette infine alla volontà irrazionale di Jahweh pur non riuscendo a comprenderlo per averlo sottomesso a tante sofferenze, ma venendo premiato successivamente per la sua sottomissione. Ma Jahweh, se gli restituisce il doppio di ciò che materialmente gli aveva tolto e lo guarisce da tutte le malattie, tuttavia non gli restituisce in vita i dieci figli morti. La storia del cristianesimo è dunque la storia d’Europa, nonostante il rogo di Giordano Bruno, martire della libertà di pensiero, e la condanna di Galileo. Questi tristi e gravi episodi son dovuti a quello spirito di Controriforma che spense nella Chiesa cattolica il precedente liberalismo in fatto di conoscenze scientifiche.
Ma il grande storico della scienza Alexandre Koyré in Studi galileiani ha scritto che la rivoluzione scientifica fu la rivincita di Platone contro Aristotele. E si sa che il maggiore filosofo greco che influenzò il pensiero cristiano (come in Agostino) fu Platone, non Aristotele. La stessa cornice del pensiero dell’aristotelico S. Tomaso non fu data da Aristotele ma dal neoplatonismo (exitus et reditus, tutte le cose derivano da Dio e tornano a Dio con tutta la natura). Ma purtroppo il neoplatonismo ereditato dal cristianesimo portò all’oscuramento di quel grande patrimonio di scienza e di filosofia che fu il pensiero presocratico, indirizzato verso la concezione di un universo infinito in pensatori come Anassimandro, Eraclito e Democrito. A causa del cristianesimo, assorbente il platonismo, ci sono rimasti solo frammenti e citazioni del pensiero presocratico.
Oggi l’Europa è pervasa da una malattia mortale che è il relativismo, frutto della perdita di riferimento ad un diritto naturale che è rimasto malamente rifugiato nella dottrina cattolica. Nel Trattato di Lisbona (2007), Carta di fondazione dell’Europa cosiddetta Unita, a causa di un laicismo relativistico, facente capo ad una società multiculturale e multirazziale, si è voluto impedire un riferimeto alle radici cristiane dell’Europa, credendo con ciò di salvare l’Europa da influenze religiose. L’errore grave è derivato dal non aver voluto riconoscere l’identità europea, che è stata forgiata dalla storia del cristianesimo. Si sarebbe potuto almeno superare l’ostacolo facendo riferimento alle radici greco-romano-cristiane dell’Europa, con ciò evitando di dare una connotazione unicamente religiosa all’Europa. Radici greche per avere ereditato, pur criticamente per quanto riguarda la fisica, la scienza greca; romane per avere ereditato la giurisprudenza romana (nel codice giustiniano).
Il diritto naturale è quel diritto che è stato ereditato dallo stoicismo greco e poi dal giusnaturalismo moderno (Grozio, Pufendorf, Leibniz, Locke, Rousseau, Montesquieu, Kant), purtroppo inteso come diritto della ragione, e perciò riferibile alla sola natura umana. E senza il diritto naturale si cade nel relativismo dei valori morali. Ma, come scrisse, Max Weber, filosofo e sociologo, nonché studioso della storia delle religioni, non si uscirà mai dalla “lotta mortale tra valori morali”. Weber non capì che se ne poteva uscire solo con il diritto naturale, che non è culturale ma metaculturale in quanto deve trascendere tutte le culture. Non vi è infatti fuori dell’Europa un’area geografica in cui si sia riconosciuto il diritto naturale come fondamento di tutti i diritti.  La decadenza dell’Occidente è dovuta alla perdita di quella bussola che serve come mezzo di orientamento in quella foresta confusa che è oggi il campo dei cosiddetti diritti umani. Se ci si domanda infatti su che cosa siano fondati, la domanda oggi è costretta a rimanere senza risposta. Ma, come scrisse il giusnaturalista olandese Grozio  (De jure belli ac pacis), il diritto naturale esisterebbe anche se Dio non esistesse. Grozio, che voleva evitare di passare per ateo, aggiunse che il diritto naturale è connaturato alla natura divina, essendo espressione della sua razionalità, di cui partecipa la razionalità umana.
Ciò che viene escluso da qualsiasi altra religione che non sia quella cristiana. Oggi il diritto naturale, ho detto, rimane rifugiato nella dottrina cristiana, in particolare in quella cattolica, per lunga tradizione. Pertanto, paradossolmente, la Chiesa oggi si pone come unico baluardo contro una cultura improntata al relativismo. Non per questo bisogna essere cristiani per sottrarsi al relativismo. Rimane infatti il diritto naturale contro ogni forma di relativismo dei valori morali. Tanto più che la Chiesa cattolica, con un documento del 1996, ha riconosciuto la verità dell’evoluzione biologica derivante da una comune origine di tutte le forme di vita. Adamo e Eva diventano in questo modo solo una rappresentazione simbolica, non scientifica, della creazione dell’uomo, nonostante l’interpretazione finalistica dell’evoluzione biologica data dalla Chiesa, che fa riferimento ad un disegno divino sottostante  a tutta l’evoluzione. Sulla base della malattia mortale del relativismo si arriva a concezoni antiscientifiche nella confusione tra morale e diritto, di cui è frutto, per esempio, l’equiparazione innaturale del matrimonio ad una coppia di omosessuali, dimenticando che il termine matrimonio deriva dal termine “mater”.
Tutta la filosofia contemporanea (tranne quella di Robert Nozick in "Anarchia, Stato, Utopia") è intrisa di relativismo. I filosofi del diritto, come il tanto lodato Norberto Bobbio, non riconoscono alcuna validità di fondamento al diritto naturale, con ciò non potendo giustificare le loro scelte morali. Bobbio non potè giustificare, per esempio, il suo passaggio dal fascismo all’antifascismo se non sulla base di superiori valori morali. Ma chi stabilisce la superiorità di certi valori morali rispetto ad altri?
Non esiste, perché non può esistere, un tribunale dei valori morali. La storia ha dimostrato che i valori morali superiori sono sempre quelli dei vincitori. Anche il nazismo aveva i suoi valori morali. Ma non li impose perché perse la guerra.  Il noto filosofo italiano Remo Bodei non si è sottratto nemmeno lui al relativismo, pur scrivendo che l’etica laica non è necessariamente relativista. In un suo articolo scritto il 3 aprile 2005 sul quotidiano Ilsole24Ore della Domenica, in occasione della morte di Giovanni Paolo II, contrapponendosi alla tesi del papa (Fides et ratio), secondo cui l’età moderna ha prodotto la separazione tra fede e ragione, con il conseguente relativismo etico, Bodei crede di poter superare il relativismo offrendo, senza accorgersene, una medicina che è peggiore del male che vuole curare, cioè lo stesso relativismo. Egli infatti oppone al “paradigma perduto della natura umana”, “all’esistenza di leggi immutabili ed oggettive” “un corpo di regole e di leggi che ha valore proprio perché non esistono naturalmente”. Ed egli le ricava da quella zona “di scelte di fondo oscure”, per cui non è in grado di giudicare tra scelte di fondo opposte, e con la pretesa  infondata di condannare l’autoritarismo. Se i valori morali nascono da “scelte di fondo oscure” si può concludere che ognuno ha i suoi valori morali conseguenti dalla sue personali “scelte di fondo oscure”. E non si ha alcun criterio oggettivo per preferire alcune scelte ad altre.
Infatti per i Paesi islamici le leggi fondate sul Corano esprimono valori morali superiori a quelli dell’Occidente corrotto. E in quei Paesi  l’espressione “diritti umani” non è mai esistita. La Carta dellONU è contraddittoria nella sua applicazione. Essa parla di diritti umani senza dire su che cosa siano fondati tali diritti. Infatti ne fanno parte parte tanti Paesi, come la Cina e tutti gli Stati islamici, in cui l’espressione “diritti umani”  è priva di qualsiasi significato perché del tutto sconosciuta. Non si sa più che cosa siano i diritti umani. Ma ne parla anche la Chiesa cattolica, pur essa contaminata di fatto da un pragmatico ecumenismo nel suo stato di necessità, che è quello di non acuire i contrasti con l’islamismo nella paura che vengano ancor più perseguitate le minoranze cristiane negli Stati islamici, in cui la cosiddetta primavera araba si è scoperto che era un inverno arabo, con il ritorno dell’islamismo più duro e più puro. E il relativismo, che è il fondamento della società multuculturale, è il maggiore responsabile della silenziosa invasione, con l’immigrazione, dell’invasione islamica.
Oggi bisogna che la Chiesa cattolica si renda conto che bisogna far concordare il diritto naturale con l’evoluzione biologica per superare una concezione antropocentrica, e perciò antiscientifica, della natura. Ma in questo modo dovrebbe riconoscere l’inutilità della credenza in Dio e del proselitismo se il diritto naturale è espressione della razionalità divina. Il limite del diritto naturale di uno è il diritto naturale di un altro alla sua autoconservazione. E dal diritto naturale così inteso derivano tutti gli altri diritti fondamentali, a iniziare dal diritto alla libertà. Contro coloro che dicono che il termine “diritto” ha una connotazione puramente umana perché in natura non esisterebbe un diritto naturale si può rispondere dicendo che in questo caso è una questione di termini.
Al posto dell’espressione “diritto naturale” si può infatti, in analogia con il primo principio della dinamica, usare l’espressione “principio naturale della TENDENZA di ogni organismo alla sua auto-conservazione”. Non contraddetto dalla catena preda-predatore, perché il predatore non uccide per crudeltà, come fa l’uomo per motivi culturali, ma solo per necessità di sopravvivenza, per la sua auto-conservazione. Alla luce del diritto naturale si ha una concezione che demolisce la concezione biblica dell’uomo come padrone della Terra.  Mentre con i valori morali tutto si giustifica perché si rimane all’interno delle tradizioni culturali.
Le conoscenze scientifiche odierne hanno tuttavia demolito l’immagine di una razionalità della natura in considerazione della profonda incidenza della casualità sin dalla formazione dell’universo visibile a iniziare dal Big Bang per arrivare alla formazione del nostro sistema solare e conseguentemente alla nascita della vita sulla Terra. Tutta l’evoluzione biologica tradisce ancor di più l’incidenza della casualità sin dalla formazione del DNA e della cellula eucariotica, formatasi dopo tre miliardi di anni dalla casuale simbiosi di cellule procariotiche,  essendo  la cellula procariotica quella dei batteri e delle alghe verdi-azzurre. Senza la casuale formazione della cellula eucariotica la Terra sarebbe ancora abitata solo da batteri e da alghe verdi-azzurre, monocellulari. D’altra parte il Big Bang non può più ritenersi come origine dell’universo giacché la cosmologia ritiene che il Big Bang sia anch’esso un episodio casuale e marginale da ricomprendere all’interno di un pluriverso, o insieme di universi paralleli.
Anche la cosmologia ha portato alla demolizione di una concezione antropocentrica della natura e alla crisi delle religioni giacché non si può escludere che nel gioco dei grandi numeri esistano in altre parti dell’universo, anche soltanto quello visibile, altre forme di vita intelligente pari, se non superiore, a quella umana. Come ha scritto il fisico matematico Roger Penrose nell’opera di circa mille pagine intitolata "La strada che porta alla realtà". Si pensi che l’universo visibile comprende circa 200 miliardi di galassie comprendenti ciascuna 200-300 miliardi di stelle. Dice Penrose che sarebbe bastato un universo visibile molto più piccolo per rendere molto probabile l’esistenza di sistemi solari aventi forme di vita intelligente.
In base anche alla sua esperienza personale, pensa che ancora oggi le religioni siano capaci di esercitare una censura, diretta o indiretta che sia, sull’espressione di posizioni culturalmente non ortodosse?
A questa domanda si può rispondere brevemente. Dipende dalle religioni. E non è necessario fare riferimento ad una esperienza personale. Basta essere informati per sapere ciò che capita ogni giorno. In India, nonostante una recente rivoluzione tecnologica, rimane una società schizofrenica, in cui vigono ancora i vecchi miti della religione indù e di altri miti risalenti a migliaia di anni fa.  Si tratta di miti che sono più vecchi di quelli dell’Antico Testamento. Quando si vedono milioni di individui che vanno a purificarsi nelle cosiddette sacre, ma luride e contaminanti, acque del Gange, non si può non rimanere sconcertati. Gandhi e Indira Gandhi furono uccisi da fanatici induisti. Gandhi fu considerato una sorta di eretico per il suo voler dialogare con altri religioni. Indira Gandhi fu uccisa perché proponeva dei metodi di limitazione delle nascite.
Non parliamo poi dell’islamismo, interno allo stessa India, con continui conflitti tra induisti ed islamici.  L’unica grande religione che oggi sia di fatto incapace di esercitare una censura diretta o indiretta è il cristianesimo, che si trova in difesa anche in quell’Europa di cui è stato le radici storiche. Soltanto in Italia può apparire che il cattolicesimo sia in grado di esercitare una censura. In realtà le chiese si stanno vuotando e la Chiesa dimostra anche in Italia tutto il suo affanno. Di fatto essa appare più ricca di ritualità che di spiritualità. L’Italia è sostanzialmente uno Stato laico nonostante certi privilegi materiali riconosciuti alla Chiesa in fatto di imposte sulle sue grandi ricchezze immobiliari e finanziarie. Essa è l’ultimo baluardo in Italia contro l’innaturale equiparazione del matrimonio alle coppie di omosessuali. Su questo hanno ragione gli islamici quando dicono che l’Occidente è corrotto. Ma la causa della sua corruzione è il relativismo.
È possibile il dialogo con un dio privo dell’intermediazione della religione?
Anche a questa domanda non si può dare una risposta breve.  Riporto a questo proposito alcune frasi tratte dal libro di Oriana Fallaci "Lettera ad un bambino mai nato" e riportate nel mio libro "Io non volevo nascere".
“nulla è peggiore del nulla…nascere merita sempre…perché l’alternativa è il vuoto e il silenzio…Il brutto è dover dire di non esserci stato”. Notare la contraddizione: infatti nel nulla non si può dire alcunché, nemmeno che nulla è peggiore del nulla. Ma questo era un tentativo iniziale di dare, se non un senso, una giustificazione, alla vita. Infatti è il figlio mai nato, abortito, che deve parlare al posto della madre per porla di fronte alla realtà che lei non voleva riconoscere: “Non appena compresi che tu non credevi alla vita, io mi permisi la prima ed ultima scelta: rifiutare di nascere…Si nasceva perché altri erano nati e perché altri nascessero…Se non accadesse così, mi dicesti, la specie si estinguerebbe. Anzi, non esisterebbe. Ma perché dovrebbe esistere, perché deve esistere? Lo scopo qual è? Te lo dico io:un’attesa della morte, del niente. Nell’universo che tu chiamavi uovo lo scopo esisteva: era nascere. Ma nel tuo mondo lo scopo è soltanto morire: la vita è una condanna a morte. Io non vedo perché avrei dovuto uscire dal nulla per tornare nel nulla”. E il mancato padre aggiunge: “Ti scrivo per congratularmi, per riconoscere che hai vinto…Sei riuscita a non cedere al bisogno degli altri, incluso il bisogno di Dio…Dio è un punto esclamativo con cui si incollano tutti i cocci rotti: se uno ci crede vuol dire che è stanco, che non ce la fa più a cavarsela da sé. Tu non sei stanca perché sei l’apoteosi del dubbio…E solo chi si strazia nelle domande per trovare risposte, va avanti. Solo chi non cede alla comodità di credere in Dio per aggrapparsi ad una zattera e riposarsi può incominciare di nuovo: per contraddirsi di nuovo, smentirsi di nuovo, regalarsi di nuovo al dolore”.
Ecco, anche per me, andando oltre Oriana Fallaci nel fare riferimento a quel mistero che circonda anche la scienza quando si arriva ai confini della conoscenza (come nella cosmologia), Dio è una sorta di tappabuchi che serve a spiegare cose che non potremo mai capire. La stessa domanda “perché l’essere piuttosto che il nulla?”, sebbene possa apparire senza senso alla luce della risposta del vecchio Parmenide (l’essere è e il non essere non è), acquista un misterioso senso che va oltre la logica. Infatti un universo eterno nascente dal nulla e giustificantesi da se stesso è quell’infinito leopardiano in cui la mente non può non naufragare (poesia “l’infinito”). Dio è quell’essere con cui si incollano tutti i cocci rotti della nostra conoscenza. Dio è l’essere che dà riparo alla disperazione del ritorno nel nulla dopo la morte. Dio è quell’essere con cui si cerca di dare un senso alla vita, che scientificamente non ne ha alcuno.
Eppure, come osservò il filosofo Ludwig Buchner (Forza e materia), è più angosciante il pensiero del nulla o non è più angosciante il pensiero che dopo morti, divenendo immortali, non possiamo più morire? Ecco perché Platone aveva concepito, riprendendo il pensiero da Pitagora, la teoria della reincarnazione. Ma a che serve la reincarnazione se, una volta rinati, non si ha ricordo delle vite precedenti? E’ come se si nascesse per la prima volta, conservando tutta l’angoscia derivante da mancanza di certezze.  Potrebbe esistere un aldilà senza Dio, in cui le anime, come nell’aldilà platonico subiscono un giudizio che si danno da sé prendendo coscienza della loro vita da incarnati perché il Demiurgo di Platone non è un giudice ma un Dio ordinatore del mondo, che poi abbandona a se stesso.
Concludo dicendo che non mi appaiono in contrasto con una concezione scientifica del mondo fenomeni verificati da seri psichiatri che, usando il metodo dell’ipnosi regressiva, hanno accertato che i soggetti a tale ipnosi sono capaci di parlare correttamente lingue mai imparate e di raccontare avvenimeti precisi mai vissuti nella vita in corso e risultati veri. Sono fenomeni che non sono in contrasto con la scienza se tale stati di ipnosi hanno una verifica fisica, pur scientificamente non spiegabile. Dunque, rispondendo più precisamente alla domanda, non è necessario ricorrere all’intermediazione delle religioni, soprattutto se ci si riferisce ad un Dio antropomorfico quale quello delle religioni cosiddette rivelate. Anzi, non è nemmeno necessario credere che esista un Dio per credere che esista un aldilà. Ma, data l’evoluzione biologica da una comune origine di tutte le forme di vita, perché dovrebbe esistere solo l’immortalità della vita umana? Una risposta che escluda l’immortalità di tutte le forme di vita sarebbe illogica. Come si vede, si possono raccogliere solo cocci dalle religioni cosiddette rivelate, mentre rimangono pur sempre inspiegabili molti fenomeni fisicamente accertabili ma scientificamente inspiegabili, anche se rappresentano l’unica porta socchiusa verso un aldilà.

lunedì 29 aprile 2013

I PARTITI, CHE FESTEGGIAVANO IL NUOVO GOVERNICCHIO, SONO I MANDANTI DI CHI NEL FRATTEMPO SPARAVA CONTRO I CARABINIERI

Che Bersani non sia un gigante rispetto a Letta è dimostrato dal suo fallimento. Pretendeva all'inizio di avere il voto dei grillini promettendo ad essi nulla. Poi, non sapendo che pesci prendere, ha proposto prima Prodi al Quirinale non sapendo prevedere che avrebbe spaccato il PD (ormai agonizzante). Ha rifiutato Rodotà al Quirinale (ed è stato meglio) perché era troppo di sinistra (dovendo fare i conti con l'ala cattolica del PD). Non poteva proporre per fare un governo un accordo con Berlusconi per non sputtanare il PD. Ma il povero Bersani non ha tutte le colpe. La colpa è l'esistenza del PD, un partito nato male perché è un'accozzaglia di partiti con due anime principali, cattolica e socialista ex comunista, oggi falsamente di sinistra). Letta deve la sua nomina ad una imposizione di Napolitano, mentre Bersani non poteva proporre il suo vice Letta se non perdendo la faccia. In sostanza, Bersani, per colpa dello stesso PD, era in un vicolo cieco. Ma il vincitore è Grillo. Infatti questo governicchio non durerà perché ha troppe contraddizioni per il suo innaturale connubio tra PDL e PD-L.  Si ammazzeranno tra loro, con il conseguente scioglimento delle Camere e nuove elezioni. E Grillo sta seduto sulla sponda del fiume aspettando il cadavere dei due nemici. E questi disonesti partiti vorrebbero ora scaricare le colpe su Grillo trasformandolo in capro espiatorio non potendo scaricarle su se stessi. Ma intanto hanno paura e hanno già pensato di rafforzare le loro scorte.
LA RABBIA DEGLI AGENTI: "I POLITICI TIRANO TROPPO LA CORDA. E POI SUCCEDONO QUESTI DRAMMI"

 I mandanti di quello che ha sparato contro i due carabinieri (non un folle, ma un disperato che avrebbe dovuto aspettare per sparare contro alcuni maggiori rappresentanti dei partiti assassini di tanti imprenditori e non imprenditori) sono proprio i partiti, che continueranno a rovinare l'Italia con il mito dell'Unione Europea, con i governi delle banche (ministro dell'economia è ora Saccomanni direttore della Banca d'Italia, privatizzata nel 1992 trasformandola in una corporazione di banche private), con il mito della società multirazziale e multiculturale che con la novità del ministero dell'integrazione, presieduto da una negra come simbolo del ministero, vorrebbe occuparsi di quelli che sono giunti qui allo sbando invece di preoccuparsi degli italiani. L'Unione Europea (con in più la disgrazia dell'euro, per cui si era sempre battuto il prode Prodi) non poteva non essere che un'utopia. Infatti si consideri che, se fosse veramente un'Unione, questa dovrebbe essere concepita ad immagine di uno Stato, sia pure federale come la Germania o gli Stati Uniti, dove vi è un governo centrale che ridistribuisce la ricchezza a favore delle regioni meno ricche. Questa ridistribuzione in Italia ha sempre fallito a causa delle varie mafie nel sud. Ma, a parte ciò, l'Unione Europea non potrà mai essere una Unione perché gli Stati più forti, come la Germania, non sono disposti a fare sacrifici a favore degli Stati più deboli. Ed è giusto sia così. Infatti, brutalmente, perché dovrebbero stare peggio per aiutare gratis l'Italia, per esempio? Chi glielo fa fare? Ogni Stato deve essere arteficie del proprio destino. Ma questo i partiti assassini, che hanno rovinato l'economia, portando molti alla disperazione e al  suicidio rincorrendo o incosciamente o disonestamente vari miti non lo vorranno mai riconoscere. Dovrebbero rinnegare se stessi. L'Italia non è stata mai uno Stato unitario perché divisa storicamente tra regionalismi e dispute localistiche tra gli stessi comuni. Ed una scellerata ideologia promuove la concezione di una società multirazziale per introdurre maggiori divisioni. Siamo alla follia. Vi sono 4 milioni di poveri, una massa di individui che vivono senza dimora, e 1/3 di questi è costituito da italiani, che ora dovrebbero subire la concorrenza degli altri 2/3 che sono stranieri ex clandestini. Metà della popolazione carceraria è costituita da cosiddetti immigrati. In un altro Stato si sarebbe sull'orlo della guerra civile, ma l'Italia è abituata a subire "democraticamente". Quo usque tandem Catilina abutere patientia nostra? (Cicerone)  

domenica 28 aprile 2013

ADESSO SI AGGIUNGE LA PAZZIA DEL MINISTERO DELL'INTEGRAZIONE. E' SPERABILE CHE QUESTA PAZZIA CESSI PRESTO CON LA FINE DI QUESTO ABORTO DI GOVERNO

Inviato a kyenge_c@camera.it. Questa folle ha detto che l'Italia deve essere un Paese meticciato. E' venuta a comandare in casa degli altri. Grazie alla falsa sinistra del PD che alle prossime elezioni deve finire nella fogna. Perché non è rimasta nel suo Congo in mezzo alla guerra civile che imperversa da tanti anni? No, è venuta qui da fuggiasca a farci lezione. Vuole anche qui una guerra civile tra poveri questa forsennata. Ma se ne torni in Congo, dove merita di continuare a vivere. Faccia lì l'oculista. Di lei non abbiamo bisogno. 
Si dice continuamente anche nei TG che in Italia vi sono 4 milioni di poveri, che la disoccupazione giovanile (entro i 30 anni) raggiunge mediamente il 35% e che nel sud arriva al 50%. Si aggiunge che vi è una grande massa di individui che vivono senza dimora e che 1/3 di essi è costituito da italiani secondo un rapporto dell'associazione "Avvocato di strada". Integrazione dovrebbe significare dunque che quel terzo di italiani senza dimora dovrebbe concorrere oggi con ben 2/3 di stranieri senza dimora per essere aiutati. Bisogna essere mentecatti o antitaliani per accettare una cosa simile. Le carceri sono sovraffollate solo perché circa metà dei detenuti è costituita da individui venuti qui allo sbando senza essere richiesti. Grazie alla politica buonistica dell'accoglienza.
 Ebbene, pur di fronte a queste cifre, in una situazione economica in cui non si trovano i soldi per aumentare le pensioni minime, ci si preoccupa dell'integrazione degli stranieri venuti qui allo sbando senza lavoro e perciò arrivati come clandestini. Si dice che molti di essi facciano lavori che gli italiani non vogliono fare. BALLE. La si smetta di portare avanti queste menzogne della falsa sinistra del PD, divenuta ormai la peggiore nemica della classe operaia. Lo vado dicendo da 20 anni. Peccato che non sia un opinionista per smascherare pubblicamente e con forza questi pazzi del PD, che hanno come unico disegno di dare un giorno la cittadinanza, e perciò il voto, a questa grande massa di invasori venuti qui per fare concorrenza agli italiani accettando, PER ORA, di fare lavori sottopagati pur di sopravvivere. E' evidente che gli italiani non sono disposti a fare certi lavori solo perché non sono disposti a farsi sfruttare dalle imprese, grandi e piccole, anche facendo lavori in nero. Avrete notato come sia aumentato negli ospedali il numero di infermieri stranieri. Forse non vi sono italiani disposti a fare lo stesso lavoro? FALSO! Agli ospedali e, soprattutto alle case di  cura private, conviene assumere infermieri stranieri perché si adattano ad essere sottopagati e non "rompono le scatole" con rivendicazioni salariali. E così rimane attuale la tesi di Marx che "l'esercito di riserva", costituito da disoccupati, serve a mantenere bassi i salari a favore di un maggiore profitto ottenuto con lavori sottopagati. 
A che serve dunque il neonato pazzesco ministero dell'integrazione? Che sia stata nominata come ministro di questo cosiddetto ministero una negra sposata con un'italiano (deve essere un disperato) la dice lunga sui propositi nefasti del PD di propagandare il mito della società multiculturale e multirazziale. Ben sapendo che la politica dell'accoglienza ha portato ad una maggiore criminalità, essendo, per esempio, lo spaccio della droga dominato dalle organizzazioni mafiose di cui i clandestini o ex clandestini (tali solo per avere avuto un permesso di soggiorno) sono spesso la manovalanza, se non si mettono in proprio. Si è detto che molti africani o asiatici stanno decidendo di tornare nei loro Paesi perché non trovano lavoro e qui si inventa un ministero dell'integrazione. Pazzesco. Non è che si voglia concedere anche ad essi un reddito di cittadinanza? Qui siamo giunti ad una tale utopia che ormai si identifica con la follia. 
E' sperabile che la soluzione si trovi presto con l'aborto di questo governo, nato da un connubio innaturale. Il PD, già agonizzante, alle prossime elezioni diventi un partito morto. Solo così ci potremo salvare da questi folli del PD. Qualsiasi altra soluzione senza il PD sarà sempre un male minore, perché certamente non sarà il PDL la salvezza dell'Italia. E per quanto riguarda 5 stelle bisogna ancora sapere che cosa abbiano intenzione di fare circa la questione dell'immigrazione.  
Da notare che ormai non si può più dire "negro", al massimo nero, ma va più in voga "uomo di colore". Ma si può essere più deficienti? Chi usa quest'ultima espressione tradisce, senza nemmeno accorgersene, un'espressione razzista. Infatti dice, senza volerlo dire, che solo i negri hanno colore e che i "bianchi" non hanno colore. Come se tra il colore della pelle dei "bianchi" e il vero bianco (come quello della carta da scrivere) non vi fosse differenza. Da notare inoltre che l'espressione "uomo di colore" viene riservata solo ai negri. Infatti non viene usata la stessa espressione per gli asiatici, anche se molti indiani (dell'India) hanno la pelle molto oscura, talvolta più oscura di quella di molte popolazioni africane. Però per gli indiani non vale l'espressione "uomo di colore". DEFICIENTI! Pochi sanno quale sia l'origine della differenza tra negro (nigger) e nero (black). I negri discendenti dagli schiavi deportati dalla follia degli schiavisti americani per farli lavorare nelle piantagioni non volevano essere confusi con gli immigrati dall'Africa. Essi si ritenevano superiori in quanto cittadini americani. Perciò vollero chiamarsi black per differenziarsi dagli immigrati dall'Africa, chiamati da essi stessi nigger. 
Quando studiavo la geografia sin dalle scuole medie inferiori leggevo la distinzione tra vari tipi di razze: tra queste vi era il tipo "negroide". Che cosa si scrive oggi nei libri di geografia? Tipo "neroide" oppure tipo "di colore"? Qualcuno me lo dica. Non sono informato su questo.   
Che cosa vi è di dispregiativo nel termine "negro" se la "negritudine" è stata la bandiera del movimento di liberazione delle popolazioni africane dalla colonizzazione europea?

Negritudine - Wikipedia

it.wikipedia.org/wiki/Negritudine
La négritude (in italiano negritudine) è stato un movimento letterario, culturale e politico sviluppatosi nel XX secolo nelle colonie francofone e che coinvolse ...   

In data 1 maggio tengo a precisare - contro tutti gli imbecilli che non sanno pensare perché plagiati dalla cultura di regime del pensiero unico della falsa sinistra - che ciò che ho scritto non era indirizzato contro la ministra negra ma contro quelli (soprattutto del PD) che l'hanno voluta imporre come emblema per fare entrare in testa il mito della società multiculturale e multirazziale presentata disonestamente come un destino e non  parte di un disegno politico che serve a manovrare un maggiore esercito di disoccupati che, illusi, credono di essere rappresentati da una falsa sinistra che, traditrice di Marx, ha posto in concorrenza la classe operaia italiana con una massa di invasori che vengono qui allo sbando aggravando il dissesto sociale. E di questa disonestà, se non è follia, è rappresentante l'attuale falsa presidente della Camera Laura Boldrini, che rappresenta solo il 30% degli elettori ma è stata eletta grazie alla legge elettorale truffa (capolavoro di quello stronzo di Calderoli della Lega Nord) che permette un premio di maggioranza a quel partito che abbia avuto anche solo un voto in più rispetto agli altri, consentendogli in questo modo di avere il 55% dei deputati, cosicché questa indegna rappresentante della Camera ha usufruito del voto di 327 deputati, nemmeno di quello di tutti quei 340 corrispondenti al 55%. Ma dovrà fare presto la fine dei suoi predecessori. Tutti scomparsi politicamente.
   
Salvini (Lega) contro il ministro Kyenge
Cecìle Kyenge Politica - L'esponente della Lega annuncia battaglia contro Cécile Kyenge, di origine congolese, nominata al ministero per l'Integrazione. (7) commenta
Vi fareste operare agli occhi da questa oculista "di colore"?  
Notare il messaggio disonesto SUBLIMINALE della fotografia.  La ministra negra si trova come coccolata e privilegiata stando tra Letta e Napolitano. Ha la precedenza su tutti gli altri ministri.   

 
  1. Notizie relative a cecile kyenge

    Modenaonline
    1. Primo Ministro di colore della repubblica
      Corriere della Sera ‎- 8 ore fa
      Medico nato in Congo, ha 49 anni: ĢLavoro per la societā civile che chiede a gran voce una legge sulla cittadinanza.

  2. Cécile Kyenge - Wikipedia

    it.wikipedia.org/wiki/Cécile_Kyenge
    Cécile Kyenge Kashetu (Kambove, 28 agosto 1964) è una politica e oculista italiana di origine congolese, attuale Ministro dell'Integrazione.

  3. Chi è Cécile Kyenge, primo ministro di colore - IlGiornale.it

    www.ilgiornale.it/.../chi-c-cile-kyenge-primo-ministro-colore-912216.html
    9 ore fa – Il neo ministro dell'Integrazione, Cecile Kyenge, è nata a Kambove in Congo 49 anni fa ed è un medico oculista. Modenese, vive a ...

    Si mediti su ciò che ha scritto un commentatore nel blog di Grillo


    Bernareggio - Rompe la testa all'ex moglie, arrestato marocchino
    50 anni, in stato di fermo dopo avere colpito ripetutamente alla testa la moglie che è ora in fin di vita.
    Sembra essere stata la gelosia a spingere un uomo di origine marocchina, Abdesselam Lakhriraz a
    riempire di botte la donna.
    Un marocchino di 34 anni, pregiudicato, nullafacente, è stato arrestato per maltrattamenti in famiglia.
    Lo straniero, in presenza dei tre figli di 3, 5 e 6 anni,( 34 ANNI : AD ARRIVARE AI 50 QUANTI
    NE METTERA' AL MONDO ? TANTO PAGANO QUEI CIULA DEL BUONISTUME ITALICO,
    GRILLINI COMPRESI)  in varie circostanze tra novembre e gennaio scorso, ha minacciato, ingiuriato
    e percosso la convivente e in un'occasione l'ha anche colpita con un coltello ad una spalla.
    PENSARE CHE CI SONO DEI MATTI CHE SPACCIANO COME CULTURA QUESTA
    MENTALITA' IDIOTA FERMA A 400 ANNI FA!!
    PS: MA QUANDO AVREMO FINITO DI INTEGRARE LA PRIMA ONDATA DI 
    BARBARI , POI ARRIVERA' LA SECONDA GENERAZIONE, LA TERZA GENERAZIONE: 
    MA DOBBIAMO PASSARE LA VITA AD INTEGRARE BARBARI ?
    Donato Ronzulli  28.04.13 18:43|

    Grazie a questo articolo ho raggiunto il massimo delle visualizzazioni in un solo giorno: 1256. Più l'indotto. 
    Grazie anche ai denigratori. Più nemici più onore. Calunniate, calunniate (contro di me). Qualcosa resterà  

    Calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose ...

    Grafico delle visualizzazioni di pagine di Blogger

sabato 27 aprile 2013

ALBERT SCHWEIZTER: QUESTO IMMERITATAMENTE DIMENTICATO O SCONOSCIUTO GIGANTE DELL'UMANITA'

Nel mio prossimo libro, intitolato E GIUSTIZIA INFINE FU FATTA. SETTE GIUDICI UCCISI IN SETTE GIORNI  (racconto thriller contenente un lunga parte saggistica e autobiografica) tratto principalmente della cloaca della giustizia civile in Italia. Nulla vi è da sperare in meglio da questo nuovo governo pasticciato. Quella dei giudici è una casta resa irresponsabile dalla legge anche quando emette sentenze palesemente aberranti. Dovrebbero assicurarsi perché non sia lo Stato a dover pagare per i loro errori (ma questo capita solo nei processi penali quando uno sia finito in galera e poi sia stato assolto con sentenza passata in giudicato e di fatto non vale per il processo civile, nonostante la legge Pinto). 

E giustizia infine fu fatta - Recensione Libro.it

www.recensionelibro.it › Romanzi
Recensione Libro.it - “E giustizia infine fu fatta” di Pietro Melis un romanzo avvincente alla scoperta del colpevole che ha ucciso sette magistrati.

 Nel dialogo tra il protagonista e il cappellano dell'ospedale si intreccia un dialogo sul senso della vita, che scientificamente non ne ha alcuno. Tutto congiura contro l'esistenza di Dio. Il cappellano tenta di difendere la sua fede ma infine si arrende di fronte all'evidenza. Nel dialogo viene posta una domanda al cappellano: secondo lei fu migliore S. Francesco d'Assisi o Albert Schweitzer? Naturalmente il cappellano, per dovere d'ufficio, difende Francesco. Ma poi è costretto ad arrendersi. Schweitzer fu assai migliore del tanto immeritatamente lodato Francesco d'Assisi. Di cui bisogna rileggere la vita per capire che non meritava nemmeno di essere dichiarato santo. Ne ho già scritto in altro post. Qui mi limito ad affacciare la domanda: perché tutti conoscono Francesco d'Assisi e quasi nessuno conosce Albert Schweitzer? E' evidente che per essere santi bisogna appartenere alla parrocchia cattolica che è la fabbrica di santi (i protestanti - e Albert Schweitzer era un cristiano luterano, ma aperto ad uno spirito ecumenico - non hanno il culto dei santi). Se ne deduce che è il papa che, sostituendosi all'ipotetico Dio, stabilisce chi debba essere santo. Il cappellano obietta che Schweitzer non ha mai fatto miracoli. Ma il protagonista osserva che non li può fare perché Dio è stato costretto dal papa a non riconoscerlo come santo non appartenendo al cattolicesimo. Dunque per essere santi Dio è costretto dal papa a riconoscere più meritevole uno come Francesco d'Assisi (d'accodo, tra tante altre cose aberranti, con il papa Innocenzo III per lo sterminio dei Catari, cristiani ritenuti eretici) invece che Albert Schweitzer. Un nano (Francesco d'Assisi) di fronte ad un gigante (Schweitzer). Chi era Albert Schweitzer? Quando avevo 20 anni lessi di lui RISPETTO PER LA VITA. E' un libro che, se fosse il fondamento dell'umanità, il mondo sarebbe molto migliore. Il rispetto della vita era per Schweitzer rispetto per ogni forma di vita. Vi sono tanti episodi a proposito. Egli salvava anche gli insetti e piangeva in Africa quando era costretto ad uccidere le zanzare malarigene. Salvava persino un insetto che vedeva annaspare in una pozzanghera. Qualcuno dirà: e questo basta per farlo dichiarare santo? Ma Schweitzer, per chi non lo sapesse, fu uno che, dopo essere diventato sin da 8 anni un grande organista, massimo interprete dell'opera organistica di Bach, di cui curò l'edizione integrale, a 30 anni ebbe un'illuminazione. Nato tedesco nel 1875 in Alsazia, era già laureato in filosofia e teologia quando a 30 anni decise di laurearsi in medicina e a 38 anni, dopo la laurea, aveva già conseguito varie specializzazioni. Dopo di che, pur rientrando varie volte in Europa per continuare a dare concerti d'organo e a fare conferenze, fondò l'ospedale di Lambaréné in Africa, nel Gabon. Qui si diede alla cura dei lebbrosi e delle malattie tropicali. Gli indigeni, da cui fu sempre amato, lo chiamavano lo stregone bianco. Schweitzer combatté lo spirito colonialistico e sfruttatore dei bianchi. Bianchi scellerati se i francesi, vittoriosi nella prima guerra mondiale, lo tennero per qualche tempo agli arresti solo perché tedesco, pur  essendo rimasto estraneo alla guerra perché pacifista. Fu amico di Einstein, che lo definì "uno degli uomini più grandi dei tempi moderni, se non il più grande" e la rivista TIME gli dedicò nel 1954 la copertina definendolo "l'uomo più buono del mondo". Ebbe nel 1952 il premio Nobel per la pace. E la somma ricevuta fu da lui impiegata per terminare, sempre nel Gabon, un altro ospedale chiamato "Villaggio della luce". Morì nel 1965 a 90 anni. E allora chi fu migliore? Francesco d'Assisi o Albert Schweitzer?  Se Albert Schweitzer è oggi dimenticato o sconosciuto, anche questo è un argomento a favore della non esistenza di Dio, se questo Dio si identifica con quello della Chiesa cattolica, che per principio non può dichiarare santo Schweitzer. Infatti si tratterebbe di un Dio, oltre che ingiusto, anche del tutto illogico perché dipenderebbe dalla volontà dei papi, e non la volontà dei papi da quella di Dio.              

giovedì 25 aprile 2013

LA RETORICA DEL 25 APRILE: INESISTENZA DELLA RESISTENZA FATTA IN REALTA' DAGLI ANGLOAMERICANI. E NON DA POCHE MIGLIAIA DI PARTIGIANI RESPONSABILI FANATICI DELLE RAPPRESAGLIE NAZISTE

Si sa che la storia è scritta sempre dai vincitori. La cosa strana è che in Italia la storia degli  anni '43-45 sia stata scritta dai perdenti che ritengono che l'Italia sia stata "liberata" dal fascismo dagli italiani. Non ci si dimentichi che i "liberatori" angloamericani (con al soldo anche dei marocchini che avevano avuto via libera per stuprare le donne, di cui si fa eco il romanzo La ciociara di Alberto Moravia) furono degli strani liberatori in quanto si resero colpevoli di un numero di morti superiore a quello attribuito ai nazisti nelle loro rappresaglie. I "liberatori" bombardavano edifici che non avevano alcuna importanza come obiettivi di guerra. Basti ricordare il bombardamento del quartiere di S. Lorenzo a Roma, la distruzione totale dell'antico monastero di Montecassino, i bombardamento persino su una città come Cagliari che era praticamente fuori della guerra. Ci si ricordi della distruzione in Germania della città di Dresda, con 200 mila morti, quando ormai si era già alla fine della guerra. "Liberatori" che avevano in animo come scopo principale quello di terrorizzare la popolazione, non capendosi a che cosa fosse indirizzato questo scopo se tutta la popolazione attendeva passivamente la fine della guerra.   
Una storia metaculturale, non ideologica, dovrà riconoscere un giorno la responsabilità di quei partigiani che, mosche cocchiere della resistenza, fatta in realtà dagli anglo-americani, provocarono le rappresaglie dei nazisti (previste dai trattati internazionali a partire dalla Convenzione dell'Aja del 1907). Ai sensi dell'art. 42 di tale Convenzione “la popolazione ha l'obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi”. E l'art.1 della stessa Convenzione (come ribadito dalla Convenzione di Ginevra del 1929)1 pone come condizione che i corpi di volontari affianchino gli eserciti regolari, siano riconoscibili in base ad una divisa, rispondano ad un responsabile e portino apertamente le armi. E lo stesso Tribunale di Norimberga al caso 9 disse: “Le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui essi si verificano possono essere giustificati. Ciò in quanto l'avversario colpevole si è comportato a sua volta in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di impedire all'avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro”.Lo stesso Tribunale ritenne equa la proporzione di 10 ad 1. Certamente perché gli stessi alleati tra il 1944 e il 1945 avevano anch'essi, quando pure non attuato, minacciato rappresaglie da una proporzione minima di 1 a 25 ad un massimo di 200 a 1. 2 E nel processo che si svolse a Mestre nel febbraio del 1947 contro Kesserling (conclusosi con sentenza di condanna a morte, commutata in ergastolo e seguita da concessione di libertà dal 1952) la Corte accolse la tesi, formulata dalla stessa pubblica accusa, che la rappresaglia era legittima, ma aggiunse che Kesserling doveva essere accusato del fatto che per errore erano state uccise 335 persone invece di 330. E per quanto riguarda le stragi che furono compiute tra l'agosto e il settembre del '44, culminanti in quella di Marzabotto si riconobbe da parte dello stesso pubblico Ministero che Kesserling si trovò ad affrontare “alcune persone irresponsabili con le quali non poteva negoziare e ai cui capi non poteva dire: controllate i vostri uomini”.3

Inoltre, i partigiani non potevano pretendere di essere rappresentanti del popolo, rimasto pressoché passivo o indifferente ad essi nell'Italia occupata dai nazisti (come dimostrerà il referendum che vide prevalere di poco la repubblica sulla monarchia – pur responsabile del fascismo - soltanto per il sospetto di brogli elettorali). Il cosiddetto Comitato di Liberazione Nazionale, giuridicamente inesistente, in quanto costituito da individui che si erano autoinvestiti di un potere politico, non fu mai ufficialmente riconosciuto dalle forze belligeranti. Dagli Alleati e dal governo monarchico fu riconosciuto, e solo dal 7 settembre 1944 (Protocolli di Roma) il Corpo dei Volontari della Libertà, al comando del generale Raffaele Cadorna e a condizione che esso operasse a fianco degli Alleati. Ma il CLN accettò solo nominalmente tale accordo per darsi una veste giuridica, mentre le varie bande partigiane continuarono ad operare indipendentemente da esso e separatamente tra loro.

Una parte di esse, formata da comunisti e dai loro fiancheggiatori, come Pertini, rifiutò infatti di consegnare agli americani Mussolini, contro la volontà degli emissari del governo regio di Badoglio, e ordinò che Mussolini fosse fucilato forse anche per timore che egli potesse rendere pubblico un carteggio con Churchill, che, facendo il doppio gioco - con la promessa nascosta di Nizza, (a spese dell'alleata Francia) e della Dalmazia all'Italia - pare avesse indotto Mussolini ad entrare in guerra perché, considerata ormai persa la guerra – quando gli Stati Uniti non erano ancora intervenuti – moderasse le pretese della Germania. 4

Quando verranno tolte le medaglie agli assassini materiali che, causando anche vittime civili, il 23 marzo del 1944 provocarono, in una strada di Roma (via Rasella) la rappresaglia delle Fosse ardeatine, perché vigliaccamente rifiutarono di costituirsi, allora finalmente si inizierà a rendere giustizia alle vittime della rappresaglia, come a quelle di altre.5 I mandanti dell'attacco proditorio, e perciò i maggiori responsabili della rappresaglia, furono i componenti di una sedicente Giunta militare del sedicente Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Di tale Giunta erano responsabili Giorgio Amendola (uno dei futuri capi del P.C.I.), Riccardo Bauer (Partito d'Azione) e Sandro Pertini (socialista), un fanatico che poi cercò di scaricare su Amendola la responsabilità dicendo che non era stato informato della decisione di porre in atto l'attentato terroristico e fu premiato con la presidenza della Repubblica. E fu principalmente lui a volere ad ogni costo la morte di Mussolini sovrapponendosi al governo monarchico (riconosciuto dagli alleati) e impedendo che Mussolini, tramite l'accordo cercato con il cardinale Schuster, si consegnasse agli americani, come da essi richiesto in quanto veri legittimati a chiederne la consegna, e non i cosiddetti partigiani, che, pur privi di qualsiasi autonoma legittimazione politica, volevano acquisirla decidendo, con la loro ala oltranzista, di passare per le armi tutti i gerarchi della Repubblica Sociale, senza alcun processo, come si fece, invece, a Norimberga. Fu assassinato dai comunisti persino Nicola Bombacci, che, uomo mite, teorizzatore della socializzazione delle imprese, era stato prima segretario del partito socialista e poi cofondatore nel 1921 del partito comunista, delegato a Mosca dei comunisti italiani nel 1920 ed amico di Lenin, ma espulso nel 1923 dai miopi del suo partito quando alla Camera propose un'alleanza tra fascismo e comunismo sovietico, capendo l'affinità tra le origini socialiste del fascismo e il comunismo sovietico sino a quando condannò la svolta staliniana. Nella Repubblica sociale, dove fu consigliere economico di Mussolini, continuava a chiamare “compagni” gli operai. Morì gridando:”Viva il socialismo”. Mussolini, anche contro la volontà di quei partigiani che l'avevano arrestato nella sua fuga verso la Svizzera, disposti a consegnarlo agli americani, fu sottratto ad essi da una banda di assassini che, al comando di una cupola di fanatici (in prevalenza formata da comunisti, ma tra cui si trovava anche Pertini), furono inviati da Milano a Dongo per anticipare l'arrivo a Milano degli americani e permettere a questi fanatici vigliacchi di fregiarsi di fronte ai vincitori di un'autorità che non avevano e di dare poi in pasto ad una folla scatenata la visione dei cadaveri appesi a testa in giù in piazzale Loreto. Quella stessa folla che, come commentò con disprezzo lo stesso Leo Valiani, leader del Partito d'Azione (e uno dei mandanti dell'assassinio di Mussolini), non era mai stata antifascista. E ora saltava indegnamente sul carro dei vincitori. E poi si parla di guerra di liberazione. Come se fosse stata una guerra di popolo.

I vigliacchi partigiani (per lo più comunisti) agivano sempre proditoriamente con imboscate esponendo le popolazioni alle rappresaglie con il rifiuto di presentarsi. Nel processo contro Kappler (Tribunale Militare di Roma, 20 luglio 1948) – che riconobbe che l'attentato era da ritenersi illegittimo secondo il diritto internazionale - il Bentivegna disse di avere ricevuto l'ordine di attaccare il battaglione di altoatesini e che si sarebbe presentato se fosse stata richiesta dai tedeschi la presentazione degli attentatori, che, invece, non vi sarebbe stata perché sarebbe stato deciso dai tedeschi di attuare comunque la rappresaglia. Ma la stessa accusa riconobbe che già due mesi prima erano stati affissi dei manifesti preannunciando rappresaglie per gli attentati: Soltanto il 28 marzo 1974 (settimanale “Panorama”) si fece vivo un testimone (Domenico Anzaldi) per dire che la sera stessa dell'attentato era stato affisso un manifesto sui muri di Roma.6 Non basta. Questo principale manovale dell'attentato cambiò versione quando si accodò a quanto Paolo Emilio Taviani, ex partigiano ed esponente dei passati governi democristiani, dichiarò nel 1977 al quotidiano Il Giornale (del 10 luglio 1997 affacciando la tesi che “l'attentato di via Rasella fu un atto di guerra compiuto dai partigiani, non per regolamento di conti al loro interno (questa è un'altra versione, che vorrebbe che i partigiani comunisti volessero sbarazzarsi di quelli non comunisti o anche di quelli comunisti non affiliati al P.C,I. che si trovavano già in carcere, in modo da farli finire vittime della prevedibile rappresaglia – n. d. r.),7 ma su richiesta dei comandi alleati. L'azione doveva alleggerire la pressione delle forze tedesche che impedivano l'avanzata angloamericana verso Roma”.8 La tesi apparve a chi non fosse disonesto del tutto insostenibile. Non si era mai affacciata prima d'allora una simile tesi. Se fosse stata vera la banda degli attentatori, a incominciare dal Bentivegna, sarebbe stata la prima a dirlo. Invece la banda tacque di fronte alla tesi di Taviani, smentendo così se stessa, giacché lo stesso Bentivegna aveva detto che tutto era stato programmato all'interno della “giunta militare” del CLN, anche se poi, all'interno di questa asserita giunta, Amendola, come detto, si assunse inverosimilmente la responsabilità per tutti, non sconfessando Bauer e Pertini, che, per ridurre al minimo le responsabilità, disse che egli e Bauer erano ignari della decisione presa da Amendola.

Per salvare questa banda di assassini si mosse subito il governo Badoglio (dimentico della sua connivenza con il fascismo e delle stragi da lui operate in Etiopia) e provvide subito ad una amnistia con decreto legge n.96 del 5 aprile 1944 e con quello del 12 aprile, n. 194, riconoscendo retroattivamente questa banda come composta da legittimi belligeranti. Era infatti già incalzato dai partiti antifascisti, che sarebbero entrati organicamente nel II governo Badoglio il 22 aprile, con Togliatti vicepresidente del Consiglio. Se gli attentati fossero stati azioni di guerra non ci sarebbe stato bisogno di amnistia. Ciò in contrasto con l'ordine che lo stesso Badoglio aveva diramato di evitare di fare attentati nelle città proprio per evitare prevedibili rappresaglie.9

I parenti delle vittime delle Fosse Ardeatine si videro negato il risarcimento dei danni nella causa promossa nel 1949, conclusasi negativamente in tre gradi del giudizio con la sentenza della Cassazione del 9 maggio 1957 che riconosceva che l'attentato era stato un'azione di guerra condotta da “legittimi belligeranti”.

Ciò in contrasto con la citata sentenza del Tribunale militare del 1948 (processo Kappler), a cui si aggiunse la sentenza del Tribunale Supremo Militare del 26 aprile 1954, che stabiliva che, per espresso disposto dell'art. 1 del Decreto legge 6 settembre 1946, n.93 i partigiani non potevano essere considerati belligeranti. 10

. Però la Corte Costituzionale, abrogando l'art. 270 del codice penale militare, che vietava la presenza di parti civili in un processo militare, permise che i familiari delle vittime e il Comune di Roma alla fine degli anni '90 si costituissero parte civile nel processo militare e civile contro Priebke, ritenuto uno dei responsabili dell'attuazione della rappresaglia. Così si passò giudiziariamente dalla tragedia alla farsa. Si immagini che cosa avrebbero potuto avere i familiari delle vittime delle Fosse Ardeatine da Priebke, a parte l'età ormai avanzata. Lo Stato avrebbe dovuto pagare il risarcimento dei danni ai parenti. Ma come avrebbe potuto farlo se non riconoscendo di essere nato dalla complicità con coloro che furono degli assassini? In alternativa i parenti delle vittime avrebbero dovuto chiedere i danni allo Stato tedesco, che infatti pagò i danni ai parenti degli ebrei morti nei lager. Ma per ragioni di amicizia con la nuova Germania lo Stato italiano non fece nemmeno questo. Oppure agì ipocritamente non sentendosi giudiziariamente forte nel sostenere di fronte alla Germania che l'attentato fosse un'azione di guerra. E così preferì scaricare le colpe su chi non avrebbe potuto pagare. Gli bastò aver trovato un capro espiatorio per salvare la faccia.11

Basta ripercorrere le varie fasi del processo contro Priebke per accorgersi della confusione ideologica in cui esso si svolse. Assolto per prescrizione del reato dal Tribunale militare di Roma l'1 agosto 1996, la sentenza fu cambiata dal Tribunale in una condanna, prima a 15, poi a 10 anni dopo che la prima sentenza fu annullata dalla Cassazione, sensibile al tumulto suscitato nella stessa aula alla lettura della prima sentenza e alla reazione del governo, a sua volta sensibile al tumulto alimentato soprattutto dalle comunità ebraiche, senza le quali quasi certamente la Cassazione non sarebbe intervenuta. Da notare che Kappler nel 1948 era stato condannato all'ergastolo solo per il fatto di essere stato responsabile per sbaglio di cinque vittime in più alle Fosse Ardeatine e di averne aggiunto altre dieci dopo la morte in ospedale di un altro soldato rimasto ferito in via Rasella, mentre Priebke fu riconosciuto colpevole della morte di tutte le 335 vittime. La Corte d'Appello nel marzo del 1998 condannò Priebke all'ergastolo, con conferma della Cassazione nel mese di novembre (che celerità!). Ma poi, a causa dell'età, fu concessa a Priebke la detenzione domiciliare. Il 12 giugno gli fu concesso di uscire di casa per recarsi nello studio del suo avvocato. Ma le comunità degli ebrei – che si credono ancora l'ombelico dell'umanità e che credono di poter vivere di rendita per tutto l'avvenire a motivo dell'asserito olocausto – ottennero dal magistrato dell'ufficio di sorveglianza, e poi dalla Cassazione il 3 novembre 2007, che fosse revocato tale permesso.

Indro Montanelli – che si era visto sequestrare su querela dei vigliacchi attentatori di via Rasella il volume “L'Italia della guerra civile” (scritto con Mario Cervi) perché aveva ritenuto gli attentatori responsabili della rappresaglia – per quieto vivere il 22 marzo 1998 (Corriere della sera) si limitò a condividere il giudizio di Enzo Forcella secondo cui l'attentato era privo di rilevanza militare, suggerendo ingiustamente che non si disseppellissero i cadaveri e non si tenessero ancora aperti i conti con il processo contro Priebke, che, invece fu condannato. E il 26 marzo aggiunse che non si poteva tenere aperta un caso giudiziario dopo che 50 anni prima era passata in giudicato una sentenza di assoluzione che aveva riconosciuto colpevole Kappler e non i suoi subordinati, come Priebke. Concludeva scrivendo che non si poteva continuare ad avvelenare il presente compromettendo il futuro. Ma in sede storica il passato deve essere rivisitato, non per avvelenare il presente, ma per illuminarlo alla luce della verità. E la verità è scomoda per uno Stato nato dalla disonestà.

Il Gip Pacioni, affiancato dai familiari delle vittime nel processo contro Priebke, quando respinse la richiesta di archiviazione per le responsabilità dei partigiani, fu assalito da tutta la sinistra, compreso l'attuale capo di Stato Napolitano, che, insieme con tanti altri del suo partito, definì “aberrante” la decisione del Gip, che fu sottoposto ad un linciaggio morale e minacciato, per cui rinunciò all'incarico. Anche l'intellighenzia giornalistica, ben rappresentata a sinistra dall'ex partigiano Giorgio Bocca (La Repubblica, 28.6.97), si scatenò contro il Gip cercando di ridicolizzarlo. L'ineffabile capo dello Stato di allora, Scalfaro, disse che non si poteva portare la storia in Tribunale dopo 50 anni. Seguì a ruota Prodi con una frase assai simile. E perché allora dopo 53 anni si portò in giudizio Priebke?

Per contrasto non si può non citare la luminosa figura del carabiniere Salvo d'Acquisto, che a Palidoro (a pochi km da Roma), dopo che una bomba - che si trovava in una cassa di munizioni ispezionata da alcuni componenti del corpo di S.S. che si era acquartierato in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza - scoppiò uccidendone uno e ferendone due, sacrificò la sua vita per evitare la fucilazione, per rappresaglia, di 22 ostaggi presi tra la popolazione civile. Si disse che la bomba fosse scoppiata accidentalmente. Come mai fu trovata dai nazisti quella cassa nonostante la caserma fosse stata abbandonata? I finanzieri l'avevano dimenticata lì? La cosa appare inverosimile. I nazisti sapevano che d'Acquisto era innocente, ma preferirono evitare la rappresaglia facendo finta che fosse lui il colpevole, e solo lui. Né si possono dimenticare i carabinieri Vittorio Marandola, Alberto La Rocca e Fulvio Sbarretti, che anch'essi, a Fiesole, si sacrificarono per salvare dieci ostaggi innocenti. Questi furono veri patrioti, non gli scellerati partigiani, soprattutto quelli comunisti, che avevano in mente non tanto il progetto di combattere contro il nazismo, ma quello di combattere per una rivoluzione comunista, strumentalizzando i partigiani non comunisti.12

Non voglio e non posso addentrarmi nei particolari di altre stragi, che furono tali più che rappresaglie, come quella commessa ai nazisti a Marzabotto. Infatti in questi casi furono uccisi indiscriminatamente anche dei bambini, e senza alcun preavviso che permettesse un'alternativa alle stragi. Si disse subito che i morti fossero stati 1800, mentre oggi si sa che furono 750. Ma il minore numero accertato non diminuisce la gravità della strage. Nonostante ciò, anche in questo caso non si deve nascondere la verità che fu all'origine della rabbiosa vendetta dei nazisti. La propaganda ideologica ha voluto tacere di questa verità. Nel settembre del 1944 i nazisti erano ormai in fuga ed avevano già abbandonato la difesa della linea gotica. Il maresciallo Kesserling volle assicurarsi almeno che la ritirata potesse compiersi indisturbata, senza ulteriori attacchi proditori delle bande dei partigiani, che nella zona di Marzabotto e degli altri paesi ad esso vicini avvenivano soprattutto per le frequenti incursioni di una brigata di partigiani comunisti chiamata Stella Rossa. Perciò inviò una delegazione per contrattare la pacifica ritirata del suo esercito. Ma la delegazione non tornò mai perché i suoi componenti furono uccisi dai partigiani. Questo fu un atto di pazzia, che contravveniva ad una delle più antiche tradizioni in tempo di guerra, che voleva che fossero fatte salve le vite dei componenti di un'ambasceria. La reazione nazista fu feroce, folle, ma pari alla follia di coloro che l'avevano scatenata. La storia dei vincitori fa apparire il male solo da una parte, ma la verità storica deve fare apparire il male da ogni parte. La feroce reazione nazista seguì alla vigliacca e maramaldesca azione delle bande dei partigiani che nella loro follia volevano apprestarsi a presentarsi come liberatori. Né si può escludere che effettivamente una buona parte della popolazioni di quei luoghi, che nel dopo guerra rappresenteranno la fortezza elettorale del comunismo, fosse connivente con le bande dei partigiani e avesse dato ad essi rifugio.13 Al contrario di quanto avvenne nei confronti dei maggiori responsabili della rappresaglia delle Fosse Ardeatine, abbandonati a stessi dal governo della nuova Germania, nei confronti del maggiore responsabile della strage di Marzabotto, Walter Reder, estradato e condannato all'ergastolo nel 1951, si mosse il governo austriaco, a tal punto che nel 1985 ottenne perfino la grazia dal governo italiano. Come è spiegabile ciò pur in presenza di un numero assai maggiore di morti rispetto a quelli della rappresaglia di Roma? Penso che, nonostante tutta l'ufficialità della retorica di Stato, si sia voluto ammettere nascostamente la responsabilità delle azioni maramaldesche dei partigiani che operavano in quella zona sparando su un esercito in fuga. L'attribuzione della medaglia d'oro a Marzabotto (il 30 settembre 1945) tradisce scioccamente la verità nel suo attribuire alla popolazione locale - certamente oltre i limiti della sua vera azione di fiancheggiamento attivo dei partigiani – il merito – del tutto inesistente - di avere contribuito alla ritirata dell'esercito tedesco e alla liberazione dei paesi circostanti, quando, invece, la ritirata era stata già decisa. Si racconti bene ciò nei libri di storia prima di continuare a commemorare le vittime di tali stragi, facendole passare tutte per martiri.

1V. voce“Leggi di guerra nel XX secolo” nel sito www.cronologia.leonardo.storia.it/guerra03.htm.

2Quando fu ucciso il generale americano Rose nel marzo del 1945 furono uccisi per rappresaglia 110 civili  tedeschi. Per le rappresaglie attuate da inglesi ed americani cfr. “1945 seconda guerra mondiale le RAPPRESAGLIE” nel sito www.cronologia.leonardo.storia.it/storia/a1945s.htm.

3 www.inilossum.it/comunismo6.html (La strage di via Rasella:un atto “eroico”).V. la descrizione del procedimento contro Kesserling in www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Processi/AlbertKesserlingPer una rassegna dei processi condotti negli anni 1947-51 contro i nazisti v. www.storicamente.org/Focardi_shoa/htm. Per conoscere la contraddittoria difesa dell'attentato di via Rasella da parte dell'Associazione Nazionale Partigiani v. www.anpibagnoaripoli/doc//testiNoteDominiciSuViaRasella.

4 V. su Google carteggio Churchill-Mussolini. In particolare cronologia.leonardo.it e controstoria.it.(Mussolini fucilato-da chi?).

5I principali manovali dell'attacco proditorio, da ritenersi di natura terroristica e non azione di guerra perché attuato fuori di un'azione di guerra tra nemici dichiarati sono stati Rosario Bentivegna (che fece esplodere la bomba posta in un carretto dopo essersi travestito da spazzino), Carla Capponi, Pasquale Balsamo e Franco Calamandrei. Gli ultimi tre avevano il compito di segnalare al primo l'arrivo di un battaglione del reggimento (Bozen) di altoatesini che aveva solo compiti di polizia e si dice transitasse disarmato (almeno perché avevano l'ordine di transitare con le armi scariche). Un gruppo di sostegno lanciò altre bombe sulla coda del battaglione portando i morti a 32. I primi tre ebbero nel 1951 dal presidente della Repubblica, su proposta di De Gasperi, rispettivamente una medaglia d'argento, d'oro e di bronzo. Evidentemente la Capponi come terrorista aveva più benemerenze. L'attacco proditorio fu preparato da Carlo Salinari, che negli anni '60 mi ritrovai come professore ordinario di letteratura italiana nella Facoltà di Magistero di Cagliari. Suo è il noto manuale di letteratura italiana adottato in molte scuole. Di indirizzo marxista, come lo era Giuseppe Petronio, professore di letteratura italiana, con cui detti l'esame da studente del corso di filosofia della Facoltà di Lettere e filosofia.

6V. l'articolo citato “La strage di via Rasella: un atto “eroico”. V. anche (a cura di Reno Bromuro) “L'attentato di via Rasella”, in www.nonsoloparole.com. (riportante un articolo di Ivaldo Giaquinto (“L'imboscata di via Rasella. Ma questa era guerra?”, in www.italia-rsi.org.

7Tra i comunisti non appartenenti al P.C.I. vi erano quelli di “Bandiera Rossa” (formata da troskisti), alcuni dei quali finirono a Regina Coeli e poi alle Fosse Ardeatine. Alcuni sopravvissuti dissero che la loro presenza in via Rasella fu voluta dal P.C.I. per farli cadere in una trappola e far ricadere su di essi le responsabilità. V. di Pierangelo Maurizio “via Rasella, un mistero che dura sessant'anni” (Il Giornale, 12 agosto 2007), in www.mascellaro.it/taxonomy/term/35.

8 V. voce “D'Acquisto Salvo (salvatore) 23 settembre 1943 in www.cronologia.leonardo.it/storia/a1943za.htm.

9 V. cronologia.leonardo.it/storia/a1945s. Le rappresaglie. V. anche nota 103.

10In questo senso è stato citata la sentenza da Giampaolo Pansa in Sconosciuto 1945 (Sperling&Kupfer 2005, pp.376 sgg.). In realtà il decreto del 6 settembre 1946 riconosceva la qualifica di belligeranti anche ai partigiani, come confermato dal decreto legislativo 4 marzo 1948, n.137. Una rassegna faziosa di processi a vari comandanti nazisti (tra cui Kapler, Priebke, Haas, Stommel, Reder) è volta a condannare la rappresaglia a posteriori, dopo la guerra, secondo il diritto internazionale delle Nazioni Unite (www.difesa.it/GiustiziaMilitare/RassegnaGM/Proces cessi/HeinrichNordhom.17.La rappresaglia).

11 Per tali notizie v. Salvo D'acquisto e la strage di via Rasella, compreso nell'articolo citato nella nota 89.

12V. D'Acquisto Salvo-23 settembre 1943, art. cit. (nota 89).


13: V. la voce “La strage di Marzabotto: le vittime furono 750 e non 1820, nel sito laperfetta letizia.blogspot.com (3.7.09). Si tratta di un sito che è la “rivista giornalistica cattolica di informazione e attualità”.